i-p10
Il Documento di programmazione economica 1999-2001
Una base europea
per la Finanziaria del 1999
Ottenuta la
partecipazione allEuro, va rispettato di Patto di
stabilità e di crescita. Loccupabilità come elemento di
convergenza europea. Lutilizzo delle risorse comunitarie
di Tino Bedin
Il capitolo centrale del Documento di programmazione economico-finanziaria Dpef
per il 1999 ha un titolo che spiega da
solo lo stretto rapporto che lega questo Documento di
programmazione economica e finanziaria per il prossimo triennio
alla dimensione europea. "L'Italia in Europa: stabilità e
crescita" è appunto il titolo del capitolo terzo del
documento, quello che delinea gli obiettivi e le strategie.
Eloquente è anche il primo capoverso di questo capitolo:
"Nel triennio 1999-2001 la politica di bilancio assume quale
obiettivo della propria azione il sostegno dello sviluppo di
medio periodo dell'attività produttiva e la creazione di nuovi
posti di lavoro. L'ingresso del nostro Paese in Europa offre
nuove opportunità di sviluppo e pone al tempo stesso nuove
sfide".
Appare chiaro fin da questa premessa che siamo di fronte ad un
progetto economico-finanziario innovativo; esso però è reso
possibile proprio dall'aggancio all'Europa e dalle prospettive
che essa apre.
Questa è una manovra di finanza pubblica in cui si torna a fare
del Dpef uno strumento nel quale si imposta un discorso di
politica economica senza essere più sotto il vincolo cogente di
manovre quantitative di rilevante entità, come è stato in
questi ultimi anni. "Si può pertanto parlare di un Dpef non
più di quantità ma di qualità", ha osservato il ministro
Ciampi.
Il documento viene presentato alla vigilia della decisione finale
dellingresso in Europa. Il 1° maggio cominciano a
Bruxelles le riunioni finali, con la riunione dei ministri delle
finanze: il 2 maggio il Parlamento europeo esaminerà le proposte
che i ministri delle finanze avranno avanzato e nella stessa
giornata si terrà la riunione del Consiglio europeo con la
decisione finale da parte dei capi di Stato e di Governo che,
secondo le procedure, dovranno votare sullammissione di
ciascun paese con la maggioranza qualificata dei due terzi.
Il Dpef è stato quindi presentato in un momento particolare,
perché si tratta non solo di avere raggiunto ed ottenuto da
parte degli altri partecipanti allUnione europea una
valutazione positiva sui dati del 1997, ma anche di dare la
dimostrazione della sostenibilità dello stato delle finanze
pubbliche e dellinflazione in Italia.
Il documento si inserisce nel quadro del patto di stabilità e di
crescita (che è laltro punto sul quale vi è stato un
accordo in sede europea) che passando attraverso
laccertamento della rispondenza ai criteri di Maastricht,
pone i paesi partecipanti alla moneta unica nella posizione di
impegnarsi per avere un futuro di stabilità e di crescita.
Non sono ancora passati due
anni
Si tratta di un percorso iniziato da lontano.
Nel mese di settembre 1996 l'Italia chiese il reingresso della
lira nellaccordo di cambio, cosa che fu oggetto di un
passaggio non facile e che avvenne con la fine di novembre,
talché il criterio dei due anni è rispettato nella misura in
cui si considerano due momenti: si può interpretare che i due
anni terminano al dicembre 1998, cioè alla vigilia
dellinizio delleuro, o si può considerare che la
lira, anche se la consideriamo nei sei mesi precedenti al
reingresso nellaccordo di cambio, di fatto è rimasta in
tutti i sei mesi precedenti quasi sempre nella banda stretta (ci
fu solo un eccezione nel mese di luglio).
Proprio in considerazione di questo lungo e non ancora concluso
percorso, appare importante lo scenario che il Dpef propone in
considerazione del patto di stabilità e quindi della rafforzata
e costruttiva partecipazione dell'Italia alla moneta unica.
"Gli impegni assunti dall'Italia con il Patto di stabilità
e crescita - spiega il Dpef - definiscono vincoli sui saldi di
bilancio del sistema delle amministrazioni pubbliche, che
richiedono comportamenti coerenti da parte di tutti i soggetti
pubblici: Stato, regioni, Enti Locali ed Enti pubblici. Ciò
implica da parte di tutti la condivisione degli obiettivi, la
presa di coscienza delle implicazioni per le proprie politiche di
bilancio, la costruzione di un sistema di garanzie reciproche per
il rispetto degli impegni che il Governo centrale ha preso
nell'interesse di tutto il Paese". In considerazione di ciò
con il Dpef "il Governo apre al sistema delle autonomie e al
Parlamento una fase di dibattito e di ricerca di una soluzione
operativa rispettosa sia dell'interesse del Paese sia delle sfere
di autonomia". Con una avvertenza: che ogni sforamento del
patto di stabilità, da chiunque originato, avrà serie
ripercussioni sull'Italia a causa delle sanzioni previste appunto
dal Patto.
Stabilita e crescita
non sono in conflitto
Il documento è suddiviso in cinque parti. La prima parte
consiste nel consueto sguardo allo scenario internazionale. La
seconda parte è una presa datto di quanto è avvenuto nel
1997 e si sta attuando nel 1998, quindi riguarda leconomia
italiana nel processo di convergenza europea.
La terza parte è invece rivolta al triennio futuro ed è la vera
parte propositiva. La quarta parte è dedicata alle politiche per
lefficienza dei mercati. La quinta parte, che è la più
diffusa, riguarda le politiche per la cooperazione e lo sviluppo
e si articola in una serie di temi, quali la disoccupazione
(quindi la spinta per una maggiore occupazione), gli interventi
sul tessuto civile, ossia sicurezza e giustizia, istruzione e
formazione, la società del benessere, lambiente, il
patrimonio artistico e culturale, e poi gli interventi sulle
infrastrutture, fino ad arrivare alla parte concernente la
promozione dello sviluppo e gli interventi specifici sul tessuto
produttivo. La logica di questa quinta parte è quella di partire
innanzitutto dagli interventi programmati sul tessuto
socio-economico, per passare in secondo luogo agli interventi
sulle infrastrutture ed in terzo luogo alla programmazione
dellattività imprenditoriale. I tre aspetti sono fra loro
congiunti, perché per conseguire lo sviluppo bisogna progredire
sui tre fronti.
Ciò partendo dal presupposto (e questo riguarda anche non solo
l'Italia, ma l'Europa) che stabilità e crescita non sono fra
loro in conflitto separate: noi possiamo puntare, come tutta
lEuropa, ad una crescita duratura nella misura in cui siamo
in grado di avere una vera stabilità.
Disoccupazione: una
condizione europea
La scelta dell'occupazione
come obiettivo della programmazione economico-finanziaria del
triennio corrisponde alla scelta europea; prima di tutto alla
condizione europea. Il Dpef apre il capito quinto, quello su
"Le politiche per l'occupazione e lo sviluppo", con
poche cifre: "Nel 1997, il tasso di disoccupazione è stato
del 12,4 per cento in Francia, del 12,2 per cento in Italia, del
9,7 per cento in Germania, del 7,1 per cento in Gran Bretagna,
del 5,2 per cento in Olanda e del 4,9 per cento negli Stati
Uniti". E poi annota: "L'alta disoccupazione europea
dipende dalla difficoltà, non solo del mercato del lavoro, ma
anche degli altri mercati: del prodotto, dei capitali e del
governo delle società, ad adattarsi al mutamento in atto nelle
regole della competizione internazionale e nelle
tecnologie".
Opportunamente quindi, in coerenza con gli impegni assunti in
occasione del recente Vertice di Lussemburgo, il Dpef assegna un
rilievo centrale alle problematiche della
"occupabilità". Mi pare un profilo comunitario
politicamente rilevante, anche se non è questa la sede di merito
per approfondirlo.
La transizione nel sostegno
alle imprese europee
Una annotazione comunque mi pare indispensabile. Il periodo di
programmazione del Dpef comprende anche parte del periodo
2000-2006 di transizione per quanto riguarda le politiche di
sostegno alle imprese e di attivazione dei fondi strutturali
da parte dell'Unione Europea. Si tratta di innovazioni delineate
da Agenda 2000 destinate ad avere significative ricadute sulle
politiche occupazionali: una indicazione di prospettiva della
programmazione italiana in raffronto ad Agenda 2000 con
particolare riferimento appunto ad uno degli obiettivi del Dpef,
quello dell'occupazione e dello sviluppo, appare a mio avviso
necessaria. Insomma non basta dire che si sta procedendo alla
nuova fase di programmazione tenendo conto di Agenda 2000.
Non occorre ricordare che i sistemi agevolativi di natura
tributaria e contributiva, anche per il loro carattere di
automaticità, svolgono un ruolo essenziale nelle politiche di
localizzazione delle attività produttive in particolari zone sia
nelle decisioni di investimento, sia con riferimento al profilo
temporale (anticipazione di scelte di investimento in funzione
anticiclica).
Daltro canto, come rilevato anche dalla Commissione
Europea, esiste un rapporto tra carico impositivo sul lavoro
dipendente e occupazione.
Esistono, infatti, sempre maggiori prove del grave effetto
negativo che lelevata pressione fiscale sul lavoro
dipendente esercita sul livello di occupazione. In alcuni recenti
studi effettuati a livello comunitario è stato calcolato che 4
punti percentuali dellattuale tasso di disoccupazione (pari
a oltre un terzo del tasso complessivo dellUnione europea)
sono dovuti allaumento del carico fiscale effettivo sul
lavoro dipendente.
A tal fine, andrebbe attentamente valutata la possibilità di
introdurre, sulla base dei suggerimenti della stessa Commissione
europea, forme di tassazione sui prodotti energetici, utilizzando
il gettito rinveniente da tali imposizioni per operare una
sostanziale riduzione degli oneri contributivi a carico delle
imprese. In tal modo, potrebbe essere perseguita una valida
politica di tutela ambientale unitamente alla realizzazione di
condizioni favorevoli per la creazione di posti di lavoro.
I legami mondiali
dellagricoltura comunitaria
Più dettagliato è invece il paragrafo dedicato ad un
particolare settore produttivo ed occupazionale, quello agricolo.
Il Dpef riconosce il fondamentale ruolo che l'Italia deve giocare
nelle processo di riforma della Politica
Agricola Comune. Aggiunge però una serie di obiettivi
interni, nella consapevolezza che la politica agricola si
sviluppa e ancor più si svilupperà (per il processo di
allargamento dell'Unione Europea) in un sistema di
interconnessioni. In questo sistema aperto la politica agricola
sarà efficace nella misura in cui avrà rinnovato le strutture
ed i servizi (trasporti, energia, credito) che possono annullare
il differenziale oggi esistente tra Italia ed altri paesi
europei. Anche questa prospettiva è urgente proprio in vista dei
cambiamenti dell'Unione che porteranno quasi tutte le regioni
dell'Italia sia peninsulare che insulare al di fuori
dell'Obiettivo 1, in quanto avranno superato il tetto del 75 per
cento del Pil medio comunitario.
Cresce il livello dei fondi
europei usati in Italia
Un opportuno riferimento alle decisioni del Vertice di
Lussemburgo è invece contenuto nel paragrafo relativo alle
risorse comunitarie attivabili. Come si ricorderà proprio il
Consiglio Europeo straordinario di Lussemburgo aveva indicato una
strumentazione finanziaria per il progetti destinato ad
incrementare l'occupazione: la Banca Europea degli Investimenti.
La Bei è stata invitata ad aumentare il finanziamento
infrastrutturale ed il sostegno alle piccole e medie imprese.
Più specificatamente nell'ambito del programma di Azione
speciale di Amsterdam (programma Pasa) la Bei è stata invitata
ad intervenire anche nei settori dell'Istruzione e della Sanità,
precedentemente esclusi. Si tratta di settori nei quali gli
investimenti previsti dal Dpef sono particolarmente significativi
e quindi anche per questo aspetto la politica di programmazione
italiana si lega a quella europea.
Più generale per quanto riguarda l'utilizzo di risorse
comunitarie , il Dpef parte dal "sentiero di rientro"
nell'utilizzo ormai imboccato, che secondo le previsioni dello
stesso Documento porterà ad un utilizzo del 55 per cento dei
fondi, mentre per il triennio successivo "sono stati
individuati obiettivi annuali di spesa tali da consentire il
titola assorbimento delle risorse disponibili". Se si pensa
che nel maggio del 1996 la percentuale dio utilizzo delle risorse
era del 7,9 per cento, si ha la misura dello sforzo di
convergenza europea non solo contabile e monetaria che l'Italia
ha fatto e sta facendo.
Il primo Dpef con
"procedura europea"
C'è un aspetto "europeo" in più in questo Dpef,
che va evidenziato: un aspetto politico, che il governo ha
sottolineato anticipando la presentazione del Documento rispetto
alla tradizionale scadenza e che il parlamento ha condiviso
arrivando alla discussione e al giudizio nelle commissioni prima
del 2 maggio: questo Documento di programmazione economica è
già parte di una "procedura europea". Esso infatti è
stato anticipato nelle sue linee portanti e anche in alcune
procedure operative alla Commissione Europea e i suoi contenuti
sono all'origine del parere favorevole che la Commissione Europea
ha espresso per la partecipazione dell'Italia all'Euro. Insomma
tra i parametri di confronto per una valutazione di conformità
del Dpef con le indicazioni dell'Unione europea figurano, una
volta acquisita l'ammissione alla moneta unica e dunque il
rispetto dei requisiti stabiliti dal Trattato di Maastricht per
lUnione monetaria - in termini di legislazione sulla Banca
centrale e di andamento dei tassi di inflazione, di interesse e
di cambio - le relazioni della Commissione europea e
dell'Istituto monetario europeo (IME) sulla convergenza.
LItalia nella
relazione della Commissione sulla convergenza
Cominciamo dalla Commissione europea. La Commissione europea,
in particolare, con la relazione sulla convergenza 1998,
presentata il 25 marzo 1998, dopo aver esaminato l'evoluzione dei
conti pubblici negli ultimi anni e le indicazioni preliminari
fornite dal Governo italiano per il prossimo triennio, ha
raccomandato al Consiglio dei ministri di abrogare la decisione
relativa all'esistenza di un disavanzo eccessivo in Italia,
assunta il 26 settembre 1994, e di raccomandare a sua volta al
Consiglio europeo, il prossimo 1° maggio, di confermare che
l'Italia soddisfa "le condizioni necessarie per l'adozione
di una moneta unica il 1° gennaio 1999".
Tale raccomandazione della Commissione europea si fonda sugli
impegni assunti dall'Italia in merito all'accelerazione della
diminuzione del rapporto debito pubblico/prodotto interno lordo
(PIL), con un ritmo di circa 3 punti percentuali del PIL
all'anno, e al raggiungimento di una consistenza inferiore al 100
per cento del PIL entro l'anno 2003. A tale scopo l'Italia si è
altresì impegnata a mantenere un avanzo primario ad un livello
adeguatamente elevato, corrispondente al 6,8 per cento del PIL
nel 1997, al 5,5 per cento del PIL nel 1998 ed a circa il 5,1 per
cento del PIL a partire dal 1999, grazie anche alle misure di
riduzione della spesa di carattere permanente già adottate in
termini di aliquote Iva, sistema tributario, trasferimenti alle
imprese di pubblici servizi e agli Enti locali nonché, con
effetti maggiormente riscontrabili nel medio termine, con le
riforme del sistema pensionistico e del bilancio statale.
Nel formulare tale giudizio la Commissione europea sconta anche
la positiva influenza sulla riduzione del debito pubblico del
processo di privatizzazione di aziende pubbliche, per il quale
prevede, nel periodo 1999-2001, entrate comprese tra lo 0,5 e lo
0,75 per cento del PIL all'anno.
Oltre al rispetto degli impegni assunti in termini di avanzo
primario e di destinazione dei proventi delle privatizzazioni
alla riduzione del debito, le altre considerazioni che hanno
indotto la Commissione a formulare un parere positivo
sull'ammissione dell'Italia nell'euro sono la previsione di
un'ulteriore riduzione dei costi del servizio del debito pubblico
nei prossimi anni, per via del calo dei tassi di interesse, e una
crescita del PIL adeguata a ridurre il disavanzo in rapporto al
PIL dal 2,5 per cento nel 1998 a circa l'1,0 per cento nel 2001.
La lunga stabilita
della lira è una garanzia
E veniamo ora all'Istituto monetario europeo. Mi
sembrano utili alcuni passi delle considerazioni conclusive del
parere dellIme sulla partecipazione immediata dell'Italia
alla moneta unica. "Nel periodo in esame linflazione,
misurata sulla base dellindice armonizzato dei prezzi al
consumo (IAPC), è stata in Italia dell1,8 per cento, ben
al di sotto del valore di riferimento previsto dal Trattato. La
crescita del costo del lavoro per unità di prodotto è aumentata
nel 1996, per poi rallentare nel 1997 fino al 3,1 per cento; una
generale tendenza verso bassi tassi di inflazione è evidente
anche in base ad altri indici di prezzo rilevanti. In
prospettiva, ci sono pochi segnali di immediate pressioni
inflazionistiche; nella previsione più recente linflazione
dovrebbe attestarsi su valori leggermente inferiori al 2 per
cento nel 1998 e attorno al 2 per cento nel 1999. Il livello dei
tassi di interesse a lungo termine è stato pari al 6,7 per
cento, ossia al di sotto del relativo valore di
riferimento".
Ancora il parere dell'Ime sottolinea: "La lira italiana
partecipa agli Accordi europei di cambio da circa 15 mesi, cioè
da meno di due anni prima dellesame da parte dellIme.
Sulla base dellevidenza esaminata nel Rapporto, in una
valutazione a posteriori può dirsi che la lira è rimasta
sostanzialmente stabile nellintero periodo di riferimento;
nellambito degli AEC è rimasta generalmente vicina alle
proprie parità centrali, mantenute fisse, senza bisogno di
misure volte a sostenere il cambio.
Ci sono però delle osservazioni che non vanno dimenticate:
"Nonostante gli sforzi ed i sostanziali progressi realizzati
nel migliorare la situazione della finanza pubblica, deve esserci
una costante preoccupazione se il rapporto tra debito pubblico e
PIL "si stia riducendo in misura sufficiente e si avvicini
al valore di riferimento con ritmo adeguato", e se la
sostenibilità della situazione della finanza pubblica sia stata
raggiunta; affrontare questo problema dovrà rimanere una
priorità fondamentale per le autorità italiane. E
necessario conseguire in tempi brevi avanzi complessivi di
bilancio, significativi e persistenti, per ridurre con decisione
il rapporto fra debito pubblico e PIL al 60 per cento entro un
appropriato periodo di tempo".
Occorre rilevare, inoltre, che il rapporto sulla convergenza
presentato a marzo dall'Ime, che pure esprime parere positivo
sull'ammissione dell'Italia nell'euro, in considerazione del trend
demografico segnala un significativo aumento della spesa
previdenziale pubblica in rapporto al PIL a partire dal 2010,
nell'ipotesi che le politiche concernenti i trattamenti rimangano
invariati. Al riguardo occorre precisare, tuttavia, che il
suddetto orizzonte si colloca oltre il periodo di programmazione
esaminato dal Dpef.
Tino Bedin
11/04/1998 webmaster@euganeo.it |
il collegio senatoriale
di Tino Bedin |