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L’Europa si prepara ad investire sul "capitale umano" dei propri cittadini
In consiglio europeo di metà giugno a Cardiff (Regno Unito) servirà a mettere a punto le politiche per l’occupazione

In dicembre al Consiglio Europeo che si riunirà a Vienna (Austria) l’argomento centrale sarà il lavoro. Il Consiglio Europeo (un po’ governo, un po’ parlamento) è la più importante istituzione dell’Unione e alla vigilia della nascita ufficiale dell’Euro (1 gennaio 1999) ha scelto di discutere e di deliberare sull’argomento che per anni è sembrato un ostacolo alla moneta unica: l’occupazione. Anche per questo la coincidenza di date assume il valore quasi simbolico di un’Europa che con il consenso popolare si è messa in condizione di competere economicamente sul mercato globale e contemporaneamente riafferma la sua "vocazione sociale".

Le decisioni di Vienna saranno preparate al Consiglio Europeo di Cardiff (Regno Unito), che si terrà il 15 e il 16 di giugno.

A Cardiff i capi di Stato e di governo faranno una prima valutazione dei "piani di azione nazionale" per l’impiego che ciascuno dei quindici membri dell’Unione ha presentato ad aprile e che la Commissione europea ha valutato nelle scorse settimane. Le "politiche europee" per il lavoro saranno infatti più "federali" che comunitarie: frutto di piani nazionali e di scelte locali (In Italia, regionali), piuttosto che progetti di continentali cui adeguarsi.

Una parola nuova. Nel vocabolario dell’Unione Europea (e presto diventerà comune anche in Italia) accanto ad "occupazione" e "disoccupazione" è stata introdotta una nuova parola: "occupabilità". Quando le parole che ci sono non bastano, vuol dire che siamo di fronte ad un fatto o ad un’idea nuova, almeno in parte. L’idea nuova (e la politica conseguente) è questa: compito dell’Unione non è solo creare lavoro e dare garanzie per i periodi in cui il lavoro non c’è; il ruolo essenziale che l’Europa vuole svolgere è rendere "occupabili" i propri cittadini, cioè metterli nella condizione di avere un lavoro, di "farselo" (se serve), di essere "desiderabili" dal mercato e dalle imprese.

Il salto sociale è grandissimo. Le politiche pubbliche in tutto questo secolo hanno puntato alla creazione di posti di lavoro, investendo in essi molte risorse. L’Unione vuole aprire il prossimo millennio facendo invece il massimo degli investimenti sui propri cittadini.

Lo spostamento delle risorse. Una prima conseguenza sarà la crescente dotazione di risorse finanziarie per la formazione. Tutti i quindici Stati dell’Unione hanno in corso riforme destinate a migliorare il sistema nazionale di educazione e di formazione professionale e soprattutto ad elevarlo qualitativamente e quantitativamente (riducendo l’abbandono scolastico). Non sarà una politica facile ed accettabile socialmente: avendo acquisito il principio di bilanci pubblici sani, gli Stati dovranno spostare risorse pubbliche da altri capitoli, da altri interventi. Come nel caso della riforma del sistema previdenziale, ci attende una difficile mediazione fra generazioni.

Questa mediazione che sarà probabilmente spinta dall’estensione del sistema formativo oltre l’età giovanile e dalla necessità di investire nella formazione non solo risorse pubbliche ma anche quelle derivanti dalle imprese e frutto quindi della contrattazione sindacale. Una commissione di industriali e sindacalisti europei ha giovedì scorso proposto che l’Unione favorisca (anche con multe a chi non la fa) l’azione di formazione dentro le imprese, in modo che ogni variazione di prodotto non determini inevitabilmente la sostituzione degli addetti con l’aumento della disoccupazione. Si tratterà insomma di rendere "occupabili" ed "appetibili" gli europei non solo da giovani ma in tutto il periodo della loro vita lavorativa.

Posti di lavoro... fuori produzione. L’Unione, gli Stati dell’Unione non rinunceranno però a "creare posti" di lavoro. In Europa emerge un’altra scelta pubblica, anche se non è ancora chiara e maggioritaria: favorire il potenziale di lavoro che offre l’economia sociale, in particolare le nuove attività che danno risposte a bisogni sociali insoddisfatti. Sono apparentemente posti di lavoro... fuori produzione, ma il cui ritorno economico per la società sarà elevatissimo.

Questa tendenza svilupperà inoltre forme oggi poco diffuse di rapporto di lavoro come le cooperative e le società di mutuo soccorso, rilanciando sistemi di occupazione "misti". Lo si coglie, ad esempio, nei piani nazionali presentati da Italia, Germania, Svezia, Finlandia, Spagna e Belgio.

Tino Bedin


12/06/1998
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