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Il Dpef nel commento di Romano Prodi ai senatori

"Dopo aver risanato il bilancio
dobbiamo risanare il Mezzogiono
per restare in Europa"

Nell’azione del governo non c’è mai stata frattura
tra la fase del risanamento e quella dello sviluppo

Il presidente del Consiglio Romano Prodi ha direttamente discusso con i senatori dell’Ulivo il Documento di programmazione economico-finanziaria 1999-2001. Si è trattato di un affollato e vivace confronto che si è svolto il 22 aprile nell’aula della Commissione Difesa al Senato. Una procedura non consueta, ma significativa sia del momento di svolta che delle prospettive che l’Italia può raggiungere dopo avere superato l’"esame Maastricht".
Il
Dpef è alla base della Legge Finanziaria per il 1999. Le valutazione del presidente Prodi che qui riportiamo conservano dunque una attualità per tutto il dibattito che certamente la Finanziaria determina.

di Romano Prodi

1. Sono trascorsi due anni dalla vittoria dell’Ulivo. Alla base della nostra vittoria c’era una visione chiara dei problemi del Paese e di cosa era necessario per risolverli. I cittadini hanno capito, ci hanno dato fiducia. Noi stiamo ricambiando tale fiducia dando piena attuazione al programma del Governo.
Esso aveva al centro un grande obiettivo: riportare l’Italia in Europa. Non potevamo permettere che uno dei paesi fondatori dell’Europa unita rimanesse fuori. La Nuova Europa - quella della moneta unica, oggi, e dell’unione politica, domani - non poteva nascere senza l’Italia.

2. Il DPEF 1999-2001 rappresenta un ulteriore tassello nella costruzione di un Paese che entra in Europa a testa alta, e può restarci con piena dignità. Il nuovo DPEF testimonia nei fatti che, nell’azione del Governo, non c’è mai stata una frattura e tanto meno una contrapposizione tra la fase del risanamento e la fase dello sviluppo (le cosiddette "fase 1" e "fase 2").
Il risanamento - la stabilizzazione macroeconomica, che dir si voglia - è stata dappertutto nel mondo l’autentica precondizione per generare: una crescita economica sostenibile, una ripresa dell’occupazione.
Non per caso, mentre nel corso del ‘97 il Governo approvava manovre finanziarie per complessivi 100.000 miliardi (mini-budget giugno ‘96, finanziaria ‘97, mini-budget marzo ‘97) l’economia reale ritornava a crescere:

- nel 1997 il PIL è aumentato dell’1,5% (dopo lo 0,7% del ‘96); prevediamo una crescita del 2,5% per l’anno in corso;
- la produzione industriale ha mostrata segnali forti di recupero (nel periodo gennaio ‘97/gennaio ‘98, l’indice tendenziale è aumentato del 2,3%, mentre la produzione media giornaliera del 6,4%);
- certo, rimane il dramma della disoccupazione a due cifre, specialmente al Sud. Ma il lieve miglioramento che si è manifestato (in un anno il numero degli occupati è cresciuto di 117 mila unità) è un segno che fa bene sperare.

3. Vi è qualche magia nell’aver messo mano a una così rilevante manovra di aggiustamento finanziario senza aver depresso l’economia? No, assolutamente no. Vi è più semplicemente il fatto che la massa d’urto creata dai nostri provvedimenti finanziari ha condotto alla costante e drastica riduzione dei tassi di interesse. Da questi bassi tassi trae soprattutto giovamento l’attività di investimento delle imprese e delle famiglie.
Già nel corso dell’ultimo anno, per la diminuzione dell’onere per il servizio del debito, abbiamo "liberato" ingenti risorse: lo Stato italiano spendeva oltre 200 mila miliardi per interessi nel ‘96, mentre quest’onere è sceso a 185 mila miliardi nel ‘97 e scenderà a 160 mila miliardi quest’anno.
Di fatto, stiamo ridistribuendo 40 mila miliardi di lire che non vanno più a finanziare la montagna del debito pubblico, ma sono disponibili per finanziare lo sviluppo delle attività produttive. In altri termini, da una spesa per interessi superiore al 10% del PIL stiamo scendendo all’8% (1998), e scenderemo al 6,5% del PIL nel 2001.
Questa non è una politica di stampo monetarista. E’ politica per lo sviluppo.

4. Ripeto: nell’azione del Governo in questi (quasi) due anni di lavoro, non c’è stata alcuna contrapposizione fra due ipotetiche fasi (risanamento e sviluppo). C’è invece stata la necessità di una diversa gradazione temporale degli obiettivi perché, al momento del nostro insediamento, il risanamento finanziario rappresentava una assoluta emergenza: il deficit era totalmente fuori linea rispetto al Trattato di Maastricht (circa il 7% contro il 3% richiesto); l’altissimo debito non accennava a diminuire. Questo disordine finanziario non poteva che riflettersi sull’inflazione e sui tassi di interesse: la prima e i secondi assolutamente non in linea con i criteri di "convergenza". Da ultimo, la lira era fuori dal meccanismo di cambio dello SME: vi è rientrata nel novembre ‘96, dopo solo sei mesi di Governo dell’Ulivo e quando la Finanziaria ‘97, quella da 67.000 miliardi, viaggiava in Parlamento forte del sostegno della maggioranza dell’Ulivo (il Polo, si ricorderà, disertava i lavori del Parlamento).

5. Oggi la stessa urgenza è sui temi del lavoro e dell’occupazione, con un riguardo particolare al nostro Mezzogiorno - una autentica opportunità in una economia mondiale ove il Mediterraneo sta tornando a giocare un ruolo di primo piano. Il DPEF dedica a questi temi ampio spazio.
Ho già avuto modo di dire che è il DPEF della crescita e dell’occupazione. Sarà il Ministro Treu a trattare in maniera più puntuale gli strumenti che abbiamo messo in campo. Da parte mia, mi soffermerò sull’impostazione generale.

6. Nei giorni scorsi ho avuto modo di scrivere ai Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri, nonché al presidente della Commissione Europea, J Santer. Ebbene, ho riaffermato che il DPEF per gli anni 1999-2001 si iscrive coerentemente all’interno della strategia finalizzata alla partecipazione dell’Italia all’Unione Monetaria.
A tal fine si pone il duplice obiettivo: di consolidare il risanamento finanziario; di proseguire l’azione di "adeguamento strutturale" già avviata.
Già nel corso del 1997 la politica economica del Governo è stata finalizzata al sostegno della ripresa dell’attività economica, anche attraverso interventi di riforma del mercato del lavoro (il c.d. "pacchetto Treu"), e di riforma degli strumenti di incentivazione per le imprese (il c.d. "pacchetto Bersani").
Sulla base dei positivi risultati conseguiti nel corso del passato esercizio finanziario, il Governo ha pertanto rivisto al ribasso l’obiettivo di indebitamento netto della Pubblica Amministrazione per il 1998, portandolo dal 2,8% del PIL al 2,6%.

7. Per il triennio 1999-2001 sono due le grandi direttrici di politica di bilancio:
a) continuazione dell’opera di risanamento finanziario in coerenza con gli impegni assunti dall’Italia con l’adesione al Patto di Stabilità e Crescita e con l’obiettivo di una riduzione sistematica del rapporto debito pubblico/PIL; l’indebitamento netto della Pubblica Amministrazione in rapporto al PIL scenderà progressivamente dal 2% nel 1999, all’1,5% nel 2000 e all’1% nel 2001. Il rapporto debito pubblico/PIL passerà dal 118,2% previsto per il 1998 al 106,6% nel 2001, secondo un percorso di riduzione che lo porterà sotto il 100% nel 2003;
b) destinazione di risorse del bilancio a sostegno degli investimenti produttivi del settore privato e di quelli pubblici in infrastrutture al fine di creare un ambiente più favorevole allo sviluppo dell’occupazione.
Tali interventi non interferiranno con l’obiettivo di riduzione dell’indebitamento pubblico e non intaccheranno l’entità dell’avanzo primario, che rimarrà invariato per il triennio 1999-2001 al livello del 5,5% del PIL previsto per il corrente anno.
Verrà realizzata una riqualificazione e ricomposizione della spesa pubblica:
- la spesa in conto corrente al netto degli interessi passerà dal 38,5% del PIL nel 1998 al 37% nel 2001;
- per converso la spesa in conto capitale aumenterà nello stesso periodo dal 3,5% del PIL al 4,1%.
Si prevedono in particolare un controllo rigoroso della spesa del settore pubblico e l’attuazione delle politiche di ristrutturazione della spesa sociale già avviate con la Legge Finanziaria per il 1998.
In via programmatica, gli interventi addizionali a favore dello sviluppo ammontano a circa 26.600 miliardi nel triennio e sono così ripartiti: 5.000 miliardi nelle politiche di sviluppo in alcuni settori prioritari, 15.600 nelle politiche di sostegno agli investimenti e nella ricostruzione delle zone terremotate, 6.000 miliardi nella riduzione della pressione fiscale.
Per quanto riguarda gli interventi sulla struttura economica del Paese, il DPEF esprime l’impegno del Governo:
- a proseguire nella liberalizzazione dei mercati dei servizi interni, internazionali e di pubblica utilità attraverso un’azione di deregolamentazione e la prosecuzione del programma di privatizzazioni;
- gli introiti derivanti dalle dismissioni di proprietà pubbliche forniranno inoltre un importante contributo alla riduzione del debito pubblico stimato nell’ordine di 2 punti percentuali di PIL per li prossimo triennio.

8. Vorrei infine ritornare sulle politiche per il Mezzogiorno. E’ sul Mezzogiorno, sul suo definitivo riscatto, che ora vogliamo ricreare la stessa tensione nazionale che ha accompagnato il cammino del nostro Paese verso l’Euro. La politica per il Mezzogiorno messa in campo dal Governo è orientata secondo due linee strategiche prioritarie: favorire l’allargamento della base produttiva del Sud; basare lo sviluppo sulla piena valorizzazione delle risorse locali.
Queste due linee strategiche si coniugano, nell’azione del Governo, con una serie di strumenti di intervento mirati a favorire il pieno operare delle forze imprenditoriali. I "gemellaggio" Manfredonia-Treviso segna un punto di svolta.
I protagonisti dello sviluppo meridionale non possono che essere le imprese e i lavoratori. Allo Stato, nelle sue varie articolazioni, spetta il compito di rimuovere gli ostacoli e di creare le condizioni per consentire il pieno dispiegarsi delle risorse del lavoro e dell’impresa: le dotazioni industriali; i processi formativi e di trasferimento dei saperi; il ristabilimento di condizioni di sicurezza e di qualità della convivenza civile; il costo e la flessibilità del lavoro; gli incentivi finanziari e fiscali.
Allora il Sud non può essere un problema da affrontare solo con gli strumenti dell’intervento pubblico ma deve diventare il terreno dove rimettere alla prova quella politica di concertazione tra istituzioni e forze sociali che è stata ed è tanta parte delle condizioni di successo delle politiche di risanamento.

In conclusione, se il risanamento del bilancio era la condizione indispensabile per entrare in Europa , lo sviluppo del Mezzogiorno è oggi la condizione necessaria per restare in Europa.

Senato, 22 aprile 1998

 


 


22/04/1998
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