i-t01
Documento di
programmazione economico-finanziaria 1988-2000
LItalia si
fa Europa
Lo strumento
attraverso il quale lUnione economica e monetaria vedrà
fin dallinizio anche gli italiani
di Tino Bedin
presidente della
Giunta per gli Affari europei del Senato
L'Europa, meglio l'Unione Europea, è dichiaratamente al
centro del Documento di Programmazione economico-finanziaria per
il periodo che va fino all'anno Duemila. Ma già per l'anno
prossimo, quello più direttamente influenzato dagli
orientamenti, contenuti in questo Dpef, i progetti europei sono
determinanti per le scelte. Il 1998 è infatti l'anno cruciale
per la partecipazione alla Uem e alla determinazione delle
politiche dell'Euro. Anzi solo la partecipazione a questa fase
consentirà all'Italia di costruire le più generali politiche
dell'Unione Europea.
«Con questo documento - si spiega sin dalla prima riga - il
governo ripropone in forma operativa due finalità fondamentali
del suo programma di sviluppo economico: la partecipazione
all'Unione economica e monetaria europea; il risanamento delle
pubbliche finanze. Sono due finalità che coincidono e si
alimentano vicendevolmente attraverso il calo dei tassi di
interesse. L'Unione economica e monetaria è essenziale nella
realizzazione di quel grande disegno europeo deciso e tracciato
quarant'anni fa con il Trattato di Roma; disegno economico e
politico che investe il destino di generazioni, che modifica
l'assetto e le prospettive dell'intera Europa e, con essa, del
mondo».
Con la moneta unica si
pagherà... il lavoro
Il Documento di programmazione economico-finanziaria
sottolinea dunque che la partecipazione dell'Italia all'Unione
economica monetaria fin dall'inizio riveste un'importanza che va
ben oltre le esigenze di prestigio o di acquisizione di vantaggi
contingenti. Essa, infatti, "significa concorrere alla
formazione della qualità, dei caratteri delle nuove istituzioni,
operando con gli altri paesi membri nel definire le regole di
funzionamento e nell'avviarne le prassi. Significa ancor più
assicurare, nella costruzione europea, quell'equilibrio fra la
componente mittel-europea e la componente mediterranea che è
elemento costitutivo della natura, della storia del nostro
continente".
Non è solo questo. Il Dpef presentato dal Governo Prodi risponde
alle indicazioni che la Commissione Europea ha dato all'Italia
per la definizione del bilancio ed il raggiungimento dei
parametri. Siamo cioè già "europei", siamo già nella
logica del "Patto di stabilità". Da questo punto di
vista il Dpef è la condizione indispensabile perché l'Italia
rispetti entro il 30 giugno 1998 e poi consolidi la propria
stabilità per l'ingresso nella moneta
unica
Lo stesso documento, tuttavia, sottolinea altresì come il
risanamento dei conti pubblici, liberando risorse per le imprese
e gli investimenti, migliorando la qualità e l'efficienza dei
servizi offerti dalla pubblica amministrazione e consentendo una
riduzione della pressione fiscale, costituisca condizione
essenziale per lo sviluppo nella stabilità e per il rilancio
dell'occupazione.
Ben prima dunque che il tema del lavoro diventasse elemento di
riflessione, non facile, prima del Consiglio europeo di
Amsterdam, il Documento di programmazione aveva posto e pone
nelle premesse e nei progetti il tema dei bilanci personale e
familiari come elemento di politica. Il risanamento
economico-finanziario ha determinato e consoliderà un
abbassamento dell'inflazione: il principale vantaggio è per i
bilanci familiari, per la loro capacità di spesa e di risparmio
e quindi per il rilancio economico. Contemporaneamente la
riduzione del rapporto tra il debito pubblico e il Pil libera
risorse per l'occupazione
L'occupazione, come concordato al Consiglio Europeo di Amsterdam,
è l'obiettivo al quale, assieme a quello della stabilità, le
politiche di bilancio previste nel Dpef spingono. Anche in questo
il giudizio "europeo" è favorevole, nel senso che si
muove nella comune direzione europea.
I cinque criteri decisi a
Maastricht
Per analizzare compiutamente i profili di diretto
interesse comunitario nel Documento di programmazione
economico-finanziaria, è utile ricordare che le tappe principali
a completamento della seconda e ad avvio della terza fase del
processo di transizione verso l'Unione economica e monetaria sono
previste e regolate in primo luogo dal Trattato sull'Unione
europea, in particolare dall'articolo 109, lettere J e seguenti.
In estrema sintesi, il Trattato di Maastrich prevede che entro il 31
dicembre 1996, su rapporto della Commissione e dell'Istituto
monetario europeo, si sarebbe deciso se fosse possibile o meno
passare alla moneta unica, sulla base della condicio sine qua
non del raggiungimento, da parte di almeno sette Stati, delle
condizioni previste dal Trattato. Tali condizioni prendono in
considerazione cinque criteri fondamentali:
il primo è il rispetto dei limiti di fluttuazione del sistema monetario europeo per almeno due anni;
il secondo riguarda il tasso di inflazione che non deve superare di oltre l'1,5 per cento la media dei tassi dei tre Stati membri che abbiano ottenuto i risultati migliori;
il terzo elemento è il deficit pubblico che deve essere inferiore al 3% del prodotto interno lordo;
quindi si prende in esame il debito pubblico che non deve essere superiore al 60% del prodotto interno lordo;
e poi ancora i tassi di interesse a lungo termine che non debbono superare di oltre il 2% quelli dei tre Paesi che hanno ottenuto il più basso tasso di inflazione.
Ove entro il 31 dicembre 1996 tali condizioni non si fossero verificate per almeno sette Stati membri, la valutazione va ripetuta entro il 1° luglio 1998. Ed è appunto quello che avverrà il prossimo anno. Non sarà a questo punto necessario che sia raggiunto il limite minimo di sette Stati, dal momento che gli Stati che risponderanno alle condizioni previste e che lo desiderino potranno istituire il regime della moneta unica al più tardi il 1° gennaio 1999.
Il calendario dell'Euro
E' stato il Consiglio europeo di Madrid, tenutosi il 15 e
16 dicembre 1995, a stabilire come data d'avvio della Terza fase
dell'Uem il 1° gennaio 1999. Quella data rientra in un
calendario per la transizione alla Moneta unica, di cui
sintetizzo alcune fasi, quelle che riguardano direttamente il
prossimo anno:
· quanto prima possibile, nel 1998, il Consiglio prenderà la propria decisione sugli Stati membri partecipanti; seguiranno la nomina del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea, la fissazione della data di introduzione delle banconote e monete in euro, l'inizio dell'emissione di banconote in euro e del conio di monete frazionarie in euro;
· prima del 1° gennaio 1999 si procederà inoltre alla messa a punto definitiva di Banca centrale europea e del Sistema europeo delle Banche centrali e all'adozione del diritto derivato;
· il 1° gennaio 1999 verranno fissati in modo irrevocabile i tassi di conversione ed entrerà in vigore la legislazione connessa all'introduzione dell'euro.
Nell'ottobre del 1966, un anno dopo Madrid, nell'ambito del
Consiglio europeo di Dublino, è stata accolta e allegata alle
conclusioni le relazione del Consiglio Ecofin sulla preparazione
della terza fase dell'Uem. La relazione prende posizione sul
rapporto tra gli Stati membri aderenti e non aderenti all'area
dell'Euro, sottolineando in particolare la necessità di un nuovo
meccanismo di cambio che garantisca una sufficiente
flessibilità, ma soprattutto l'irrinunciabilità di un quadro di
stabilità basato sulla convergenza duratura dei fondamenti
economici. Attraverso appropriate procedure di sorveglianza si
tenterà di assicurare che le politiche nazionali di tutti gli
Stati membri siano improntate alla stabilità dei prezzi e alla
solidità delle finanze pubbliche, creando così le condizioni
per il mantenimento di tassi di cambio stabili.
Benché l'adesione al nuovo sistema di cambio resti facoltativa,
agli Stati membri con deroga sarà possibile partecipare al
meccanismo ed avere pertanto un tasso centrale rispetto all'euro;
in tal modo essi offriranno un punto di riferimento utile nella
valutazione dell'adeguatezza delle loro politiche.
Indicazioni e
raccomandazioni dell'Unione all'Italia
Nel corso della seconda fase di passaggio all'Unione
economica e monetaria, le istituzioni comunitarie hanno
contemporaneamente proseguito e intensificato la loro attività
di esame delle politiche di convergenza degli Stati membri,
esprimendo valutazioni e avanzando suggerimenti, accolti e
inoltrati dal Consiglio sotto forma di raccomandazioni.
Per quanto concerne in particolare l'Italia, appare utile il
riferimento ad alcuni documenti comunitari:
Relazione della Commissione sulla convergenza nell'Unione europea nel 1996 (novembre 1996);
Relazione economica annuale per il 1997 della Commissione (febbraio 1997);
Raccomandazione della Commissione sui grandi orientamenti di politica economica degli Stati membri e della Comunità (aprile 1997);
Raccomandazione del Consiglio perché sia posto termine a una situazione di deficit eccessivo in Italia (maggio 1997).
Nell'attività della Commissione europea, rilievo particolare
assume la relazione sulla convergenza nell'Unione europea nel
1996. In essa si sottolineava come l'Italia avesse un tasso medio
di inflazione per l'anno avente termine nel settembre 1996 pari
al 4,7%, un valore nettamente superiore al valore di riferimento;
per lo stesso periodo il tasso medio di interesse nominale a
lungo termine era del 10,3%, di nuovo al di sopra del valore di
riferimento.
Per quanto concerne i tassi di inflazione, dieci Stati erano già
al di sotto del valore di riferimento e Portogallo e Regno Unito
lo oltrepassavano di meno di mezzo punto percentuale. Per quanto
riguarda la soddisfazione dei criteri riguardanti la situazione
di bilancio pubblico, solo tre Stati membri (Danimarca, Irlanda e
Lussemburgo) non erano oggetto di una decisione del Consiglio
relativa all'esistenza di un disavanzo eccessivo, ma ad essi si
sarebbero probabilmente aggiunti a breve Paesi Bassi, Belgio e
Finlandia. Per quanto concerne invece il rapporto tra debito
pubblico lordo e prodotto interno lordo (PIL), ci si aspettava
che entro la fine del 1996 solo tre Stati membri (Francia,
Lussemburgo e Regno Unito) sarebbero rimasti al di sotto del
valore di riferimento del 60%. Germania e Finlandia, invece, lo
avrebbero superato, dopo essere rimasti per diversi anni al di
sotto. Per i tassi di interesse, infine, sono undici gli Stati
che lo hanno mantenuto al di sotto del valore di riferimento.
Nella successiva Relazione economica annuale per il 1997,
"Crescita, occupazione e convergenza sulla via
dell'Uem", la Commissione tornava sul problema della
riduzione dei disavanzi di bilancio, sottolineando come, secondo
le previsioni, praticamente tutti gli Stati membri contano di
compiere ulteriori progressi nel 1997; il miglioramento dovrebbe
essere molto significativo in Italia (pari a circa 3,5 punti
percentuali del PIL) e aggirarsi intorno a 1 - 1,5 punti
percentuali in quasi tutti gli altri Stati membri. In questa
situazione, caratterizzata da significative e diffuse riduzioni
del disavanzo, non meno di dodici Stati membri dovrebbero
riuscire a ridurre il disavanzo al 3% del PIL o ad un valore
inferiore nel 1997. Le uniche eccezioni sono la Grecia, in cui il
disavanzo è elevato ma in diminuzione, e l'Italia e il Regno
Unito, nei quali dovrebbe ammontare al 3,5% circa del PIL in base
alle proiezioni attuali.
Per quanto riguarda più in generale lo sforzo per il risanamento
delle finanze pubbliche, la Commissione riconosce che il bilancio
preventivo italiano per il 1997 contiene obiettivi molto
ambiziosi che comporteranno uno sforzo particolarmente intenso.
La relazione sottolinea inoltre, sempre per quanto riguarda
l'Italia, la necessità di proseguire nell'opera finalizzata alla
riduzione drastica dei tassi d'interesse. Prevede una diminuzione
rispetto al PIL dei trasferimenti alle famiglie e un
ridimensionamento del pubblico impiego. Per quanto riguarda
infine l'evoluzione del rapporto debito pubblico-PIL, si
evidenzia come in Belgio, Grecia e Italia, paesi in cui
l'indebitamento è particolarmente elevato, nonché in Svezia,
Paesi Bassi e Portogallo, esso dovrebbe scendere di 4-10 punti
percentuali nel periodo 1996-1998.
Nelle raccomandazioni la Commissione ha notato con favore come in
Spagna, Italia e Portogallo il tasso medio d'inflazione sia
progressivamente diminuito fino ad attestarsi entro la forbice
del 3-3,5% nello scorso febbraio. E' essenziale perseverare in
tali politiche orientate verso la stabilità, nella prospettiva
di conseguire un tasso di inflazione del 2,5% o meno nel 1997 e
di garantire che i guadagni della deflazione siano preservati o
addirittura rinforzati dopo l'avvio della ripresa economica.
Nel valutare il rapporto deficit-PIL per quanto concerne
l'Italia, la Commissione ha osservato come esso possa raggiungere
il 3% nel 1997 se le misure già prese nel bilancio per il 1997 e
nel marzo di quest'anno risulteranno pienamente efficaci o se, in
caso contrario, il Governo italiano ne assumerà di ulteriori.
Sulla base delle politiche attuali, tuttavia, il deficit potrebbe
aumentare nuovamente nel 1998 per la cessazione degli effetti di
tutte le misure puntuali. Si dovrà quindi prevedere, nel
bilancio per il 1998, un'ulteriore riduzione, allo scopo di
fornire la garanzia di una continuità dell'assestamento della
finanza pubblica su basi sane nel medio termine. Le misure prese
nel 1997 e che avevano carattere temporaneo dovranno essere
sostituite da misure strutturali che abbiano un impatto
permanente sul bilancio.
Da tali valutazioni sul rapporto deficit-PIL e sul permanere di
un deficit eccessivo è derivata la raccomandazione del Consiglio
sulla necessità del superamento di una situazione di deficit
eccessivo in Italia. Essa prevede, testualmente, che il Governo
italiano ponga termine il più rapidamente possibile all'attuale
situazione di deficit eccessivo, allo scopo di essere pronta a
partecipare alla terza fase dell'Uem secondo il calendario e le
procedure previsti dal Trattato.
Le risposte nel Dpef
italiano 1988-2000
Questo, dunque, il quadro comunitario dentro al quale
interviene il Dpef. Ed in effetti il documento illustra in modo
analitico i progressi compiuti nel 1996 e nel 1997 nel processo
di convergenza dell'economia italiana rispetto ai parametri
fissati dal Trattato di Maastricht quali condizioni per la
partecipazione all'Unione economica e monetaria.
Cominciano dal 1997. Il documento rileva una serie di dati:
il rientro nella lira nel meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo, il 25 novembre 1996,
la tendenza al ribasso del tasso di inflazione e la riduzione dei differenziali dei tassi di interesse a lungo termine,
la riduzione dell'indebitamento netto della Pubblica amministrazione al 3 per cento del PIL, grazie alla manovra correttiva di 15.500 miliardi varata con il decreto legge 28 marzo 1997 n. 79, convertito lo scorso 28 maggio.
Sono risultati consentano di guardare con ottimismo al
raggiungimento degli obiettivi connessi al rispetto dei parametri
europei, nonostante si preveda una crescita ridotta del PIL reale
(1,2 per cento) rispetto alle indicazioni del Dpef 1997-1999 (2
per cento).
Passando al 1998, il Dpef prevede una crescita del PIL reale del
2 per cento, una riduzione del tasso di inflazione dal 2,5 per
cento del 1996 all'1,8 per cento ed una riduzione dei tassi di
interesse sui Bot a dodici mesi ad un livello del 6,0 per cento.
La ripresa degli investimenti e dei consumi e la crescita della
domanda determineranno un aumento del gettito fiscale.
Questo aumento delle entrate, pur aggiungendosi ad una riduzione dell'onere per interessi - derivante dalla riduzione dei differenziali dei tassi di interesse con gli altri paesi e dal ridimensionamento del debito pubblico conseguito negli anni precedenti - non compenserà il venir meno dell'effetto di alcuni provvedimenti a carattere temporaneo adottati nel 1997 e la crescita tendenziale della spesa per prestazioni sociali e per i trasferimenti richiesti per il finanziamento delle aziende di servizio pubblico centrali e periferiche. Poiché il quadro tendenziale per il 1998 indica un indebitamento netto corrispondente al 4,10 per cento del PIL si renderà necessaria una manovra correttiva di circa 25 mila miliardi per ridurre l'indebitamento della Pubblica amministrazione in rapporto al PIL al livello programmato del 2,8 per cento. Tale manovra, secondo le indicazione del DPEF, dovrebbe gravare per due quinti su aumenti di entrate e per tre quinti su interventi correttivi della spesa.
Il "costo" della
Finanziaria 1998: 25 mila miliardi
Il recupero di gettito tributario sarà dunque dell'ordine
di 10 mila miliardi. Si esclude il mantenimento dei proventi
straordinari derivanti dal contributo per l'Europa, introdotto
nel 1997 (11.500 miliardi), e si prevede di incorporare 2.000
miliardi dal recupero di evasione in conseguenza dell'attuazione
delle deleghe fiscali, cui si aggiungeranno altri interventi
concernenti l'evasione ed una rimodulazione delle aliquote delle
imposte indirette.
Per quanto riguarda le uscite, sono esclusi tagli alle spese in
conto capitale, giacché l'intervento correttivo riguarderà
interamente la spese corrente al netto degli interessi per un
importo di circa 15.000 miliardi.
Circa 5.000 miliardi, in particolare, deriveranno dalla riforma
del bilancio, dal decentramento amministrativo, dallo snellimento
delle procedure, dalla responsabilizzazione finanziaria degli
enti periferici e da interventi di razionalizzazione nel settore
della scuola, della sanità e delle procedure di acquisto di beni
e servizi da parte della Pubblica amministrazione.
Ulteriori risparmi per circa 10.000 miliardi deriveranno dal
riordino di finanziamenti statali alle aziende di servizio
pubblico, della politica tariffaria nei settori dei trasporti e
delle poste, delle politiche di sostegno dei prezzi agricoli,
delle politiche di finanziamento degli enti esterni al settore
statale e dallo sviluppo del processo di riforma dello stato
sociale in settori quali il mercato del lavoro, la sanità,
l'assistenza e l'ordinamento pensionistico.
Dall'aumento dell'avanzo primario derivante dalla manovra (che,
nel 1998, passerà da 92.129 miliardi delle previsioni
tendenziali ai 117.129 miliardi, pari al 5,8 per cento del PIL)
deriverà inoltre un risparmio della spesa per interessi stimato
in 1.500 miliardi.
Il debito collettivo sta
calando
Il documento segnala altresì i risparmi che deriveranno
dalla razionalizzazione del bilancio, disposta dalla legge del 3
aprile 1997, n. 94, e dalla applicazione della legge 15 marzo
1997, n. 59, la quale prevede una globale azione di
delegificazione e di semplificazione delle procedure che sfocerà
nella presentazione di un'apposita legge annuale, secondo il
modello della legge comunitaria.
Il Dpef interessa anche gli anni 1999 e 2000. Stabilisce come
obiettivo per il 1999 un indebitamento netto della Pubblica
amministrazione rispetto al PIL del 2,4 per cento e per il 2000
dell'1,8 per cento. Considerando invece che la previsione
tendenziale dell'indebitamento netto in rapporto al PIL è del
4,38 per cento nel 1999 e del 4,06 per cento nel 2000, si
richiederanno manovre correttive pari, rispettivamente, a 14.503
miliardi e 6.793 miliardi, i cui effetti si aggiungeranno a
quelli prodotti negli anni futuri dalla manovra programmata per
il 1998.
Per quanto concerne il debito, tenendo anche conto della politica
di privatizzazioni, i cui proventi non sono utilizzati per
finanziare il fabbisogno dello Stato ma per ridurre il debito,
l'obiettivo programmatico è di scendere, in termine di rapporti
al PIL, dal 123,8 per cento nel 1996 al 122,76 per cento nel
1997, al 121,11 per cento nel 1998. Il documento mostra altresì
come negli ultimi anni, in previsione della partecipazione
dell'Italia all'Unione economica e monetaria, sia stata ridotta
la quota di titoli a breve e di quelli indicizzati - più
sensibili alle fluttuazioni dei mercati finanziari - sul totale
dei titoli di Stato in circolazione, in modo da ridurre l'impatto
di movimenti avversi nei tassi di interesse sulla spesa per
interessi e di migliorare le capacità di previsione di tali
oneri in sede di formazione del bilancio dello Stato.
Europei non solo nel
portafoglio
Vediamo ora altri profili di interesse comunitario. Il
documento sottolinea l'impegno del Governo per migliorare la
capacità di utilizzo dei finanziamenti comunitari, prevedendo di
spendere, entro il 31 dicembre 1997, il 38 per cento dei fondi
disponibili e di utilizzare, entro il 31 dicembre 2001, l'intero
ammontare di risorse assegnate all'Italia dall'Unione europea.
Tra i profili di natura fiscale si rileva l'incidenza
dell'armonizzazione a livello comunitario sulla struttura delle
imposte indirette.
Per quanto concerne, infine, i profili sociali e occupazionali,
il documento rileva i benefici che deriveranno alla crescita
economica, e pertanto all'occupazione, dal risanamento del
bilancio dello Stato e dalla realizzazione dell'Unione economica
e monetaria in uno scenario di crescente stabilità dei prezzi,
dei tassi di cambio valutari e di riduzione dei differenziali di
interesse in Europa.
Per la spesa sociale, in particolare, il documento segnala come
la quota di spesa destinata a finalità sociali sia analoga a
quella degli altri paesi dell'Unione europea ma come si possano
riscontrare profonde differenze qualitative. La struttura della
spesa sociale in Italia, infatti, a differenza della media
europea, sembrerebbe privilegiare la spesa previdenziale a
scapito di quella assistenziale, per il sostegno delle famiglie e
dei disoccupati.
Il tema della disoccupazione è presente nell'intero Dpef. Le
dimensioni del problema, la sua concentrazione territoriale,
l'importanza che una sua soluzione riveste anche per la
prosecuzione del cammino europeo, lo rendono elemento
fondamentale della politica del parlamento e dell'azione del
governo. Il progetto di unificazione economica e monetaria
europea sarà sostenibile solo se la stabilità che esso porterà
sulla scena continentale si tradurrà in creazione di posti di
lavoro. Il Dpef si pone un obiettivo minimo di crescita
dell'occupazione dello 0,5 per cento nel 1998, dello 0,7 per
cento nell'anno successivo e dello 0,9 per cento nel Duemila.
Questo Documento di programmazione economico-finanziaria è stato
pensato dal governo e proposto al parlamento prima del Consiglio
europeo di Amsterdam e prima della richiesta del nuovo governo
francese di inserire nell'intesa sulla stabilità in vista della
moneta europea anche impegni per l'occupazione. Nel Dpef italiano
questa doppia ragione dell'Unità europea è già compresa: segno
che la partecipazione dell'Italia all'Unione avverrà non solo
per convergenza economica ma soprattutto per consonanza culturale
e politica.
È il lavoro che fa la
società europea
Ad Amsterdam i paesi dell'Unione hanno tra
l'altro dichiarato: «È urgente dare un nuovo impulso per
mantenere l'occupazione saldamente in testa all'agenda politica
dell'Unione. Sviluppare una forza lavoro qualificata e flessibile
e rendere i mercati del lavoro sensibili ai cambiamenti economici
dovrebbe essere un'aspirazione primaria Le politiche economiche e
sociali si rafforzano a vicenda. I sistemi di protezione sociale
dovrebbero essere modernizzati in modo da potenziare le loro
funzioni e fornire un contributo a competitività, occupazione e
crescita, stabilendo una base durevole per la coesione sociale».
Merita di essere sottolineato che proprio alla vigilia della
discussione in Parlamento del Dpef, il Senato ha definitivamente
approvato una serie di misure per rendere più moderno il mercato
del lavoro (attraverso il tempo parziale ed il lavoro interinale)
e più efficace la preparazione al lavoro con nuovi modelli di
formazione professionale: capitolo quest'ultimo pienamente
europeo, in quando l'utilizzo del Fondo sociale europeo è fra
gli impegni del Dpef.
E a proposito di utilizzo di risorse disponibili, leggiamo il
punto 9 della "Risoluzione del Consiglio europeo su crescita
ed occupazione", che i Quindici Stati dell'Unione Europea
hanno sottoscritto ad Amsterdam il 16 giugno. Si tratta di
un'indicazione sulla quale l'Italia potrebbe finalmente essere
tra i primi ad accedere alla risorse.
«Noi riconosciamo l'importante ruolo della Banca europea degli
investimenti e del Fondo europei per gli investimenti nel creare
occupazione attraverso opportunità di investimento in Europa.
Invitiamo la Bei ad accelerare le proprie attività in questa
direzione, promuovendo progetti di investimento compatibili con
rigorosi principi e pratiche bancarie, ed in particolare ad
intervenire in questi campi:
- a esaminare la possibilità di un istituto che finanzi progetti
di piccole e medie aziende ad alto contenuto tecnologico in
cooperazione con il Fondo europeo per gli investimenti, magari
utilizzando il venture capital con la partecipazione del settore
bancario privato;
- a esaminare il proprio ambito di intervento nei settori
dell'istruzione, della sanità, dell'ambiente urbano e della
tutela dell'ambiente;
- a incrementare la propria azione nell'ambito delle grandi reti
infrastrutturali, esaminando la possibilità di concedere
prestiti a lunghissimo termine, soprattutto per i grandi progetti
prioritari adottati ad Essen».
I Parlamenti dell'Unione
spingono per l'occupazione
Una settimana prima del Consiglio europeo di Amsterdam,
avevo guidato la delegazione italiana alla Conferenza delle commissioni parlamentari europee
sempre in Olanda, ma all'Aja. Lì la delegazione italiana aveva
sostenuto, con il conforto di numerosi altri parlamenti, la
necessità di accompagnare la stabilità economica con la
coesione sociale e quindi con il fondamento di questa coesione,
che è il lavoro. La presidenza olandese dell'Unione Europea non
aveva mostrato nessun entusiasmo per questa prospettiva. Sette
giorni dopo i governi hanno dato ragione ai loro parlamenti. Un
risultato che segnala l'urgenza che sempre più i parlamenti
possano indirizzare il futuro dei loro popoli in Europa.
Tino Bedin
Roma, 18 giugno 1997
06/09/1998 webmaster@euganeo.it |
il collegio senatoriale
di Tino Bedin |