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Articolo 75
(Modifiche all'articolo 1-septies del decreto-legge n. 78 del 1998
e altri interventi in materia occupazionale e previdenziale)

Comma 1
Mobilità lunga

Il comma 1 in esame è stato introdotto dalla Camera.
Esso modifica l'articolo 1-septies, comma 1, del D.L. 8 aprile 1998, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 1998, n. 176 -, che costituisce l'ultima di una serie di previsioni di collocamento in mobilità lunga. Tale istituto tutela i lavoratori fino al conseguimento dei requisiti per il conseguimento del trattamento pensionistico.
Le modifiche consistono:
1) nella proroga dal 31 dicembre 1999 al 31 dicembre 2002 del termine entro il quale i lavoratori possono essere collocati in mobilità lunga;
2) nell'elevamento del limite massimo di lavoratori beneficiari da 1.000 a 3.000 unità.
Si ricorda che la possibilità di collocamento in mobilità lunga in esame è concessa a favore delle aziende operanti nelle aree di cui all'art. 1, comma 1, del D.L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1993, n. 236, e successive modificazioni e integrazioni.
Possono rientrare nell'ambito di applicazione di tale contingente i lavoratori che, alla data della cessazione del rapporto di lavoro, abbiano compiuto un'età inferiore di non oltre 10 anni a quella prevista per il pensionamento di vecchiaia (pari - per il periodo 1° gennaio 1997-30 giugno 1998 - a 63 anni per gli uomini e a 58 anni per le donne) e possano far valere almeno 28 anni di anzianità contributiva. Essi, anche in caso di ammissione al benefico in esame, conseguono il trattamento pensionistico di anzianità secondo i requisiti generali.
Gli oneri derivanti dal prolungamento della mobilità ordinaria - ivi compresi quelli relativi alla contribuzione figurativa - sono a carico delle imprese.
Queste ultime, ai fini dell'accesso al beneficio, devono presentare domanda al Ministero del lavoro entro il 30 settembre 1998.
Ai fini della concessione del beneficio, si fa riferimento alla presenza di piani di gestione delle eccedenze che presentino rilevanti conseguenze sul piano occupazionale, avuto riguardo alla dimensione dell'impresa in rapporto con il territorio in cui è ubicata. Quest'ultimo riferimento è introdotto - almeno in maniera esplicita - dal presente articolo 75, che - modificando l'art. 1-septies - estende il richiamo al comma 1 (oltreché al comma 2) dell'art. 3 del D.L. 19 maggio 1997, n. 129, convertito, con modificazioni, nella L. 18 luglio 1997, n. 229 (come modificato dall'art. 1, comma 7, del D.L. 20 gennaio 1998, n. 4, convertito, con modificazioni, nella L. 20 marzo 1998, n. 52). Queste ultime norme hanno disciplinato il precedente intervento di concessione di collocamento in mobilità lunga - attuato con i D.M. 25 marzo 1998, 5 giugno 1998 e 16 ottobre 1998 -.

Comma 2
Proroga dell'iscrizione nelle liste di mobilità dei dipendenti di piccole imprese

Il comma 2 - introdotto dalla V Commissione del Senato - proroga la disciplina relativa all'iscrizione nelle liste di mobilità dei dipendenti delle piccole imprese.
Tale possibilità è, da ultimo, consentita, fino al 31 dicembre 1998 ai sensi dell'art. 1, comma 1, del D.L. 20 gennaio 1998, n. 4, convertito, con modificazioni, nella L. 20 marzo 1998, n. 52, per i lavoratori licenziati da imprese che occupino fino a 15 dipendenti per giustificato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro.
Il diritto all'iscrizione è riconosciuto ai soli fini dei benefici conseguenti all'eventuale rioccupazione - con esclusione, cioè, dell'indennità di mobilità -.
Si ricorda che l’istituto della mobilità - disciplinato dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni e integrazioni - concerne in via ordinaria: 1) le imprese ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale che non risultino in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi né di ricorrere a misure alternative (art. 4 della citata L. n. 223); 2) le imprese che occupino più di 15 dipendenti e che intendano procedere ad almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni per riduzioni del personale in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive ubicate nel territorio della stessa provincia (art. 24 della stessa L. n. 223). In tale ambito è riconosciuta l’indennità di mobilità ai dipendenti (assunti a tempo indeterminato e con un’anzianità aziendale di almeno 12 mesi), licenziati da imprese che rientrano nel campo di applicazione dell’intervento straordinario di integrazione salariale (art. 16 della L. n. 223), mentre gli altri hanno diritto soltanto all’iscrizione nelle liste di mobilità.
Riguardo alla disciplina sulla mobilità e ai benefici relativi all'assunzione di soggetti iscritti nelle relative liste, cfr. la precedente nota 3.
Il comma 2 in esame proroga il termine dal 31 dicembre 1998 fino alla riforma degli ammortizzatori sociali e, in ogni caso, non oltre il 31 dicembre 1999. Si ricorda che l'art. 24, comma 1, dell'A.S. n. 3593-A - disegno di legge cosiddetto ordinamentale, all'esame del Senato in prima lettura - delega il Governo al riordino della materia degli ammortizzatori sociali. L'onere derivante dalla proroga – pari a 9 miliardi per il 1999 - è coperto mediante utilizzo del Fondo per l'occupazione di cui all'art. 1, comma 7, del D.L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1993, n. 236, e successive modificazioni e integrazioni. La disposizione di cui alla lett. a) del presente comma 2 - relativa ai summenzionati presupposti per il diritto all’iscrizione dei dipendenti di piccole imprese - sembra infine superflua, essendo già vigente ai sensi dell'art. 4, comma 1, del D.L. n. 148 del 1993 (convertito nella L. n. 236 del 1993) (a cui rinviano le successive norme di proroga).

Comma 3
Trattamento CIGS e di mobilità per le imprese
commerciali, turistiche, di spedizione e trasporto, di vigilanza

Il comma 3 - introdotto dalla V Commissione del Senato - proroga dal 31 dicembre 1998 al 31 dicembre 1999 l'accesso ai trattamenti straordinari di integrazione salariale e di mobilità a favore delle imprese esercenti attività commerciali, delle agenzie di viaggio e di turismo, degli operatori turistici e delle imprese di spedizione e trasporto, aventi più di 50 addetti, nonché delle imprese di vigilanza (in quest'ultimo caso, senza limiti di dipendenti).
La proroga in esame - come già quella precedente, disposta dall'art. 59, comma 59, della L. 27 dicembre 1997, n. 449 - è subordinata alle disponibilità del gettito contributivo derivante dall'applicazione (alle suddette categorie di imprese) dei medesimi istituti; nel computo dell'onere derivante dalla proroga si deve tener conto anche della contribuzione figurativa relativa ai periodi di godimento dei trattamenti in esame.
Si ricorda che in applicazione della precedente disposizione di proroga di cui al citato art. 59, comma 59, della L. n. 449 è stato emanato il D.M. 10 giugno 1998.

Comma 4
Contratti di solidarietà

Il comma 4 - introdotto dalla V Commissione del Senato - proroga dal 31 dicembre 1998 al 31 dicembre 1999 il termine, per le imprese non ricomprese nell'ambito di applicazione dei contratti di solidarietà, entro il quale possono stipulare i medesimi, beneficiando di analoghe agevolazioni.
La precedente proroga è stata disposta dall'art. 1, comma 2, del D.L. 20 gennaio 1998, n. 4, convertito, con modificazioni, nella L. 20 marzo 1998, n. 52.
Si osserva che la nuova norma di proroga non prevede un relativo rifinanziamento. Resta dunque fermo il limite di spesa di cui al summenzionato art. 1, comma 2, del D.L. n. 4. Esso è pari a 30 miliardi, a carico del Fondo per l'occupazione di cui all'art. 1, comma 7, del D.L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1993, n. 236, e successive modificazioni e integrazioni.
Com'è noto, per "contratti di solidarietà" si intendono i contratti collettivi aziendali stipulati tra imprese industriali e le rappresentanze sindacali, che, a norma dell'art. 1 del D.L. n. 726/1984, conv. in L. n. 863/1984, stabiliscano una riduzione dell'orario di lavoro al fine di evitare, in tutto o in parte, la riduzione o la dichiarazione di esubero del personale. In relazione a tale riduzione d'orario, di cui sia stata accertata la finalizzazione da parte dell'Ufficio regionale del lavoro, il Ministro del lavoro concede il trattamento d'integrazione salariale; il suo ammontare è determinato nella misura del 60% del trattamento retributivo perso a seguito della riduzione d'orario (art. 6, comma 3, del D.L. 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, nella L. 28 novembre 1996, n. 608).
Il comma 5 dell'art. 5 del D.L. n. 148/1993, conv. dalla L. n. 236/1993, ha previsto un analogo beneficio per le imprese, aventi più di 15 dipendenti e non rientranti tra quelle (imprese industriali, appaltatrici di servizi di mensa o ristorazione e dell'editoria) cui si applica il D.L. n. 726/1984, qualora stipulino, entro il 31 dicembre 1995, contratti di solidarietà, che evitino o riducano le eccedenze di personale, nel corso della procedura di cui all'art. 24 della L. n. 223 del 1991. In tal caso, viene riconosciuto per un periodo massimo di due anni un contributo pari alla metà del monte retributivo non erogato a seguito della riduzione di orario; tale misura, erogata in rate trimestrali, viene ripartita in parti uguali tra l'impresa e lavoratori interessati - per questi ultimi, il contributo non ha natura di retribuzione ai fini degli istituti contrattuali e di legge (tuttavia, ai fini della liquidazione del trattamento pensionistico, si tiene conto dell'intera retribuzione di riferimento) -. La suddetta data del 31 dicembre 1995 costituiva esclusivamente il termine per la stipulazione del contratto di solidarietà e non della cessazione del beneficio, come stabilito, con norma di interpretazione autentica, dall'art. 6, co. 5, lett. d) del D.L. n. 510/1996 (L. n. 608/1996).
Il comma 8 dell'art. 5 - come modificato dall'art. 4, co. 2, del D.L. n. 299/1994 (L. n. 451/1994) - ha disposto, inoltre, che il predetto contributo possa concedersi, limitatamente allo stesso periodo, anche alle imprese artigiane non rientranti nel campo di applicazione del trattamento CIGS (cfr., al riguardo, la precedente nota 6), anche ove occupino meno di 16 dipendenti. Tale estensione è disposta a condizione che i lavoratori di tali imprese, interessati dal contratto di solidarietà, percepiscano (a carico di fondi bilaterali istituiti dalla contrattazione collettiva) una prestazione "di entità non inferiore alla metà della quota del contributo pubblico destinata ai lavoratori".

Comma 5
Proroga dei trattamenti di integrazione salariale

Il comma 5 - introdotto dalla V Commissione del Senato - prevede che il Ministro del lavoro possa prorogare per un periodo massimo di 6 mesi i trattamenti di integrazione salariale straordinaria di cui all'art. 9, comma 25, lett. c), del D.L. n. 510 del 1996 (convertito nella L. n. 608 del 1996). Quest'ultima disposizione consentiva, a sua volta, la proroga fino a 3 mesi, sempre con decreto del Ministro del lavoro, dei trattamenti relativi ai lavoratori sospesi a seguito di cessazione dell'attività, dismissioni anche parziali di rami di attività ovvero di procedure concorsuali e in attesa di reimpiego in iniziative industriali o di servizio concernenti le medesime aree.
Una disposizione di proroga dei suddetti trattamenti - sempre per un periodo massimo di 6 mesi - è stata già stabilita dall'art. 1, comma 3-bis, del D.L. 20 gennaio 1998, n. 4, convertito, con modificazioni, nella L. 20 marzo 1998, n. 52.
L'onere relativo alla nuova ipotesi di proroga di cui al comma 5 in esame - così come quella precedente di cui al summenzionato art. 1, comma 3-bis, del D.L. n. 4 - è quantificato in lire 3 miliardi ed è posto a carico del Fondo per l'occupazione di cui all'art. 1, comma 7, del D.L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1993, n. 236, e successive modificazioni e integrazioni.

Comma 6
Concessione di trattamenti di integrazione salariale straordinaria
in deroga alla disciplina ordinaria

Il comma 6 - introdotto dalla V Commissione del Senato - prevede che il Ministro del lavoro possa attribuire, per la durata massima di 12 mesi, il trattamento straordinario di integrazione salariale anche in deroga alla disciplina ordinaria in favore di un contingente massimo di 500 lavoratori, dipendenti da imprese interessate da contratti d'area stipulati entro il 31 marzo 1998. La concessione è subordinata alla conclusione di accordi presso il Ministero del lavoro, dai quali risulti la possibile rioccupazione nelle iniziative industriali previste dai programmi di reindustrializzazione.
Viene posto un limite temporale al 31 dicembre 1999. Non è chiaro, tuttavia, se tale termine si riferisca all'emanazione dei decreti ministeriali di concessione dei trattamenti ovvero alla scadenza di questi ultimi.
I contratti d'area - di cui all'art. 2, comma 203, lett. f), della L. 23 dicembre 1996, n. 662, e alla delibera CIPE 21 marzo 1997, e successive modificazioni e integrazioni - costituiscono uno strumento operativo per accelerare lo sviluppo e la creazione di nuova occupazione in territori circoscritti.
L'onere derivante dal presente comma 6 è valutato in lire 12 miliardi e posto a carico del Fondo per l'occupazione di cui all'art. 1, comma 7, del D.L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1993, n. 236, e successive modificazioni e integrazioni.

Comma 7
Piani per l'inserimento professionale dei giovani

Il comma 7 - introdotto dalla V Commissione del Senato - modifica la disciplina sull'erogazione dell'indennità spettante ai soggetti utilizzati nei piani per l'inserimento professionale dei giovani.
La disciplina relativa a tali piani è posta dall'art. 15 del D.L. n. 299/1994 (L. n. 451/1994), dall'art. 9-octies del D.L. n. 510/1996 (L. n. 608/1996) nonché dall'art. 1, comma 6, del D.L. n. 4/1998 (L. n. 52/1998).
I piani in esame sono predisposti dal Ministero del lavoro, sentite le commissioni regionali per l'impiego e di intesa con le regioni interessate, per l'inserimento professionale di giovani, residenti nelle aree degli obiettivi nn. 1 e 2 del Reg. 2081/93/CEE ovvero nelle altre zone di cui all'art. 1 del D.L. n. 148 del 1993 (convertito nella L. n. 236 del 1993) , di età compresa tra i 19 e i 32 anni, privi di occupazione; il limite massimo anagrafico è elevato a 35 anni per i "disoccupati di lunga durata", iscritti nelle liste di collocamento.
I progetti devono essere in ogni caso avviati entro il 1998 e realizzati entro il 1999.
Essi si distinguono in:
a) progetti che prevedono sia la realizzazione di lavori socialmente utili, sia la partecipazione ad iniziative formative, al recupero dell'istruzione di base e alla qualificazione professionale di primo e di secondo livello (concernente i soggetti rispettivamente in possesso del solo diploma di scuola media inferiore ovvero del diploma di scuola secondaria superiore);
b) progetti che prevedono sia periodi di formazione che di esperienza lavorativa per figure professionalmente qualificate.
La partecipazione dei giovani ai progetti non può essere superiore alle 80 ore mensili e ad un periodo complessivo di 12 mesi. L'indennità oraria è pari a lire 7.500 ed è corrisposta mensilmente dalla direzione provinciale del lavoro, anche mediante convenzione con sportelli bancari o uffici postali. Per quanto riguarda la seconda categoria di progetti, la metà dell'onere dell'indennità, esclusa quella relativa alle ore di formazione, è posta a carico del soggetto che utilizza la prestazione di lavoro secondo modalità stabilite dalla summenzionata convenzione. L'utilizzazione dei giovani nei progetti appartenenti alla seconda categoria, come pure alla prima, non comporta l'instaurazione di un rapporto di lavoro e la cancellazione dalle liste di collocamento. Il datore di lavoro può, al termine dell'esperienza lavorativa, assumere il giovane, con contratto di formazione e lavoro, relativamente alla stessa area professionale. I progetti appartenenti alla seconda categoria sono redatti dalle associazioni dei datori di lavoro, ovvero da ordini e/o collegi professionali sulla base di apposite convenzioni predisposte di concerto con le agenzie per l'impiego ed approvate dalle commissioni regionali per l'impiego. Per l'assegnazione dei giovani il Ministro del lavoro, in considerazione della specificità, anche territoriale, dell'emergenza occupazionale, può disporre modalità straordinarie per l'assegnazione dei lavoratori, ivi compresa l'adozione di criteri quali il carico familiare, l'età anagrafica e il luogo di residenza.
I piani per i giovani residenti nelle aree degli obiettivi nn. 1 e 2 del Reg. 2081/93/CEE (riguardo ai quali, cfr. la precedente nota 13) possano essere svolte anche presso imprese operanti in ambiti territoriali diversi, a condizione che le imprese utilizzatrici abbiano concordato, mediante un accordo di programmazione negoziata, ovvero tramite le loro associazioni territoriali, rapporti di collaborazione con le corrispondenti associazioni o con gli enti locali delle aree territoriali di provenienza dei giovani, intesi allo sviluppo economico di tali aree. Non è chiaro se anche l'ipotesi di accordo da parte dell'associazione - anziché della singola impresa - debba necessariamente rientrare in una delle suddette figure di programmazione negoziata.
Nelle ipotesi suddette ai giovani viene corrisposta un'indennità aggiuntiva di L. 800.000 mensili a titolo di rimborso delle spese di vitto e alloggio (a carico della direzione provinciale del lavoro) nonché un'indennità pari a L. 200.000 mensili a carico dell'impresa, ad integrazione dell'indennità ordinaria (pari, come detto, a lire 7.500 per ora). Per i giovani residenti nel citato obiettivo n. 2 le indennità aggiuntive sono corrisposte a condizione che le attività formative siano svolte in regioni diverse da quelle di residenza (condizione che è implicita per i giovani residenti nei territori di cui all'obiettivo n. 1); al riguardo, sembra farsi riferimento soltanto alle attività formative e non anche a quelle lavorative.
Gli oneri finanziari relativi ai piani in esame sono a carico del Fondo per l'occupazione di cui all'art. 1, comma 7, del D.L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1993, n. 236, e successive modificazioni e integrazioni.

Il comma 7 in esame prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 1999, i soggetti utilizzatori anticipino il pagamento dell'indennità o della quota di indennità a carico della direzione provinciale del lavoro. Non è chiaro se la disposizione si riferisca soltanto all’indennità base o anche a quella aggiuntiva spettante in alcuni casi, come detto, per le spese di vitto e alloggio.
Il rimborso in favore del soggetto utilizzatore avviene mediante conguaglio in sede di versamento dei contributi relativi a lavoratori dipendenti e dovuti all'INPS. Quest'ultimo, previa rendicontazione, corrisponde trimestralmente al Ministero del lavoro le somme in esame.

Comma 8
Ripetizione delle somme pagate in base a condoni previdenziali

Il comma 8 - introdotto dalla V Commissione del Senato - specifica che le clausole di riserva di ripetizione apposte alle domande di condono previdenziale (presentate ai sensi dei vari provvedimenti intervenuti in materia) sono valide. Conseguentemente, qualora dall’esito del contenzioso - a cui era relativa la clausola di riserva - il debito risulti insussistente, si ha diritto al rimborso delle somme pagate in sede di condono. E’ esclusa, per tale fattispecie, l’applicazione di ogni forma di interessi.

Comma 9
Termini per la domanda di proroga
del trattamento straordinario di integrazione salariale

Il comma 9 - introdotto dalla V Commissione del Senato - ridefinisce - con una norma interpetrativa - la disciplina sui termini per la domanda di proroga dei trattamenti straordinari di integrazione salariale.
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 1 della L. 23 luglio 1991, n. 223, come modificato dall’art. 1, comma 4, del D.L. 16 maggio 1994, n. 299 (convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1994, n. 451), i limiti di durata del trattamento di integrazione salariale straordinaria sono pari a 2 anni (se concessa per ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale) o a 1 anno (se riconosciuta per crisi aziendale; in questo caso, un nuovo intervento, per la medesima causale, non può essere disposto prima che sia decorso un periodo pari a due terzi di quello relativo alla precedente concessione).
Nell’ambito di tali limiti, il trattamento viene concesso per singoli semestri prorogabili. Inoltre, il Ministero del lavoro può concedere due ulteriori proroghe – oltre i limiti in esame -, ciascuna di durata non superiore a 12 mesi, per quei programmi che presentino una particolare complessità (in ragione della rilevanza delle loro conseguenze occupazionali ovvero delle caratteristiche tecniche dei processi produttivi dell’azienda).
Il comma 9 in esame chiarisce che la disciplina relativa ai termini per la presentazione delle domande concerne non solo le proroghe oltre i limiti di durata, ma anche quelle ordinarie semestrali.
Tale disciplina - che è identica a quella relativa alle domande di concessione iniziale - è posta dall’art. 2, comma 4, della L. 23 luglio 1991, n. 223, nel testo sostituito dall’art. 7 del D.L. 20 maggio 1993, convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1993, n. 236. Essa, disponendo che la domanda deve esser presentata alla direzione provinciale del lavoro, rinvia per i termini e per le conseguenze in caso di ritardo od omissione, alla normativa relativa ai trattamenti ordinari di integrazione salariale, stabilita dall’art. 7 della L. 20 maggio 1975, n. 164.
Quest’ultimo prevede un termine di 25 giorni decorrenti dalla fine del periodo di paga in corso al termine della settimana in cui ha avuto inizio la sospensione o la riduzione dell’orario di lavoro. Qualora la scadenza non sia rispettata, l’eventuale trattamento non può avere luogo per periodi anteriori di una settimana rispetto alla data di presentazione. Inoltre nel caso in cui dall’omessa o tardiva domanda derivi a danno dei dipendenti la perdita totale o parziale del diritto all’integrazione, il datore è tenuto a corrispondere una somma d’importo equivalente a quella non percepita.
Non è chiaro se la norma di cui al comma 9 in esame sia di interpetrazione autentica ed abbia quindi effetto retroattivo.

NOTE

1 L'art. 1-septies fa riferimento all'art. 4, comma 21, del D.L. 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, nella L. 28 novembre 1996, n. 608, il quale a sua volta rinvia al citato art. 1, comma 1, del D.L. n. 148 del 1993.
Tali aree sono:
1) i territori di cui all’obiettivo 1 del Regolamento CEE n. 2081/1993. Quest'ultimo concerne le regioni che presentano, nell'ultimo triennio, un PIL pro-capite inferiore al 75% di quello della media comunitaria. Le regioni italiane interessate sono: la Basilicata, la Calabria, la Campania, il Molise, la Puglia, la Sardegna, la Sicilia (l'Abruzzo ne ha fatto parte fino al 31 dicembre 1996).
2) i territori di cui all’obiettivo 2 del suddetto Regolamento CEE. Esso riguarda le zone in declino industriale - non ricadenti nelle aree interessate dall'obiettivo 1 - che presentano un tasso medio di disoccupazione superiore alla media comunitaria registrata negli ultimi tre anni, un tasso di occupazione nel settore industriale, rispetto all'occupazione complessiva, uguale o superiore alla media comunitaria per ciascun anno di riferimento a decorrere dal 1975, nonché un regresso del livello occupazionale nel settore industriale rispetto al 1975. Inoltre, l'intervento comunitario può estendersi anche a comunità urbane caratterizzate da un tasso di disoccupazione superiore di almeno il 50% alla media comunitaria e che hanno registrato un regresso notevole nell'occupazione nel settore industriale, alle altre aree che nel corso degli ultimi tre anni hanno subìto o rischiano di subire perdite occupazionali di rilievo in settori industriali determinanti per il loro sviluppo economico, a zone che presentano gravi problemi a causa della bonifica di aree industriali degradate o della ristrutturazione nel settore della pesca. Per l'Italia sono state individuate - con la decisione della Commissione UE del 26 luglio 1996, n. 472, relativa al triennio 1997-1999 (che rinvia, in larga misura, alla decisione del 20 gennaio 1994, n. 169, relativa al triennio 1994-1996) - numerose aree del Centro-Nord appartenenti alle seguenti province: Alessandria, Ancona, Aosta, Ascoli-Piceno, Ferrara, Firenze, Frosinone, Genova, Gorizia, Grosseto, La Spezia, Latina, Livorno, Macerata, Massa-Carrara, Milano, Modena, Padova, Perugia, Pisa, Pistoia, Prato, Reggio nell'Emilia, Rieti, Roma, Rovigo, Savona, Terni, Torino, Trieste, Udine, Varese, Venezia, Verbano-Cusio-Ossola, Verona.
3) le zone industriali (di riconversione siderurgica) di Genova, Napoli, Taranto e Terni;
4) le aree dove sussistono accertati squilibri tra domanda e offerta di lavoro, individuate dai D.M. 14 marzo 1995, 23 dicembre 1997, 14 maggio 1998, 14 luglio 1998 e 29 luglio 1998, in alcune zone delle province di Alessandria, Ancona, Arezzo, Ascoli Piceno, Cremona, Ferrara, Firenze, Frosinone, Genova, Grosseto, Latina, Lucca, Macerata, Milano, Padova, Perugia, Pesaro, Piacenza, Pistoia, Rieti, Rimini, Roma, Savona, Varese, Venezia, Vercelli, Verona, Viterbo, nonché nell'intera area territoriale Sebino-Valcamonica-Valcavallina.
5) le aree (del Nord-Italia) colpite dai gravi eventi alluvionali del novembre 1994 (ai sensi dell’art. 9-bis del D.L. 23 settembre 1994, n. 547, convertito, con modificazioni, nella L. 22 novembre 1994, n. 644); tali aree fanno parte delle seguenti province: Alessandria, Asti, Cremona, Cuneo, Ferrara, Genova, Imperia, La Spezia, Mantova, Massa-Carrara, Milano, Parma, Pavia, Reggio Emilia, Rovigo, Savona, Torino, Varese, Vercelli;
6) l’intero territorio nazionale, limitatamente alle iniziative riguardanti l’occupazione di persone svantaggiate promosse dalle cooperative sociali di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), della L. 8 novembre 1991, n. 381.
2 Si ricorda che gli artt. 1, comma 1, e 5, comma 1, e l’allegata tabella A (come sostituita dalla tabella A allegata all’art. 11 della L. 23 dicembre 1994, n. 724) del D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, hanno disposto, in linea generale, un progressivo elevamento del requisito anagrafico, fino a 65 anni per gli uomini e a 60 anni per le donne, in ragione di un anno ogni 18 mesi, a decorrere dal 1° gennaio 1993.
L’istituto della mobilità - disciplinato dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni e integrazioni - concerne in via ordinaria: 1) le imprese ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale che non risultino in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi né di ricorrere a misure alternative (art. 4 della citata L. n. 223); 2) le imprese che occupino più di 15 dipendenti e che intendano procedere ad almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni per riduzioni del personale in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive ubicate nel territorio della stessa provincia (art. 24 della stessa L. n. 223). In tale ambito è riconosciuta l’indennità di mobilità ai dipendenti (assunti a tempo indeterminato e con un’anzianità aziendale di almeno 12 mesi), licenziati da imprese che rientrano nel campo di applicazione dell’intervento straordinario di integrazione salariale (art. 16 della L. n. 223), mentre gli altri hanno diritto soltanto all’iscrizione nelle liste di mobilità.
L'art. 4, comma 1, del D.L. 20 maggio 1993, n. 148 (convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1993, n. 236), e successive modificazioni e integrazioni consente in via temporanea (il termine è da ultimo prorogato dal successivo
comma 2 del presente articolo 75) l'iscrizione alle liste di mobilità - senza corresponsione della relativa indennità - anche di lavoratori licenziati da imprese che occupino meno di 15 dipendenti, a condizione che il provvedimento di recesso sia stato adottato per giustificato motivo, effettivamente connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro, secondo quanto indicato dall'art. 2, comma 2, della L. n. 604/1966 sui licenziamenti individuali, come modificato dall'art. 2 della L. n. 108/1990.
La durata di iscrizione nelle liste di mobilità, nonché dell’eventuale relativo trattamento, è pari, ai sensi dell’art. 7 della L. 223 e dell’art. 4 del D.L. 148, a 12 mesi, elevati a 24 e a 36 mesi per i lavoratori che abbiano superato rispettivamente i 40 e i 50 anni; tali periodi sono, tuttavia, aumentati nel territorio del Mezzogiorno rispettivamente a 24, 36 e 48 mesi. Un regime particolare, cosiddetto di "mobilità lunga", valido fino al conseguimento del diritto alla pensione, è stabilito per i lavoratori aventi determinati requisiti contributivi e anagrafici, ed appartenenti ad alcuni settori produttivi ed aree territoriali, dallo stesso art. 7 della L. n. 223 del 1991, e successive modificazioni ed integrazioni.
L'indennità di mobilità è pari, per i primi 12 mesi, al 100% e per i successivi mesi all’80% del trattamento di integrazione salariale straordinaria che è stato percepito, ovvero che sarebbe spettato nel periodo immediatamente precedente la risoluzione del rapporto (art. 7, comma 1, della L. n. 223). L'importo del trattamento di integrazione salariale straordinaria è a sua volta eguale all’80% della retribuzione che sarebbe spettata, fino ad un limite massimo pari, nel 1998, a 1.403.503 lire mensili, ovvero a l. 1.686.875 nel caso in cui la retribuzione di riferimento sia superiore a 3.036.374 lire mensili (per la determinazione di quest’ultimo importo l’ammontare della retribuzione annua viene diviso per 12 mensilità) (art. 2, comma 16, della L. 28 dicembre 1995, n. 549, che rinvia indirettamente all'art. unico della L. 13 agosto 1980, n. 427, come modificato dall’art. 1, comma 5, del D.L. 16 maggio 1994, n. 299 convertito, con modificazioni, nella l. 19 luglio 1994, n. 451). Sull'importo dell'indennità di mobilità si applica l'aliquota contributiva a carico dei lavoratori apprendisti (attualmente pari a 5,54 punti percentuali, interamente relativi al Fondo pensioni lavoratori dipendenti INPS).
Gli incentivi per l’assunzione di lavoratori in mobilità (ivi compresa quella "lunga") sono i seguenti:
a) in caso di stipulazione di un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, è attribuito al datore di lavoro un contributo mensile pari al 50% dell’indennità di mobilità che sarebbe spettata al lavoratore, contributo erogato per un numero di mesi non superiore a 12 ovvero a 24 e 36 mesi, rispettivamente per i lavoratori di età superiore a 50 anni e per quelli appartenenti alle aree suddette del Mezzogiorno o in quelle in cui il rapporto tra gli iscritti alla prima classe delle liste di collocamento e la popolazione residente in età di lavoro è superiore alla media nazionale (art. 8, comma 4, della citata L. n. 223);
b) in caso di conclusione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (mentre la fattispecie precedente pone anche il requisito del tempo pieno), viene concesso al datore di lavoro il beneficio della riduzione della relativa contribuzione a suo carico, che viene equiparata, per i primi 18 mesi, a quella dovuta per gli apprendisti (pari, nel 1998, a 5.030 o a 4.850 lire settimanali a seconda che sia previsto o meno l’obbligo di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) (art. 25, comma 9, della L. n. 223);
c) in caso di stipulazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato per una durata non superiore a 12 mesi, viene riconosciuto, per l’intero periodo, il medesimo beneficio di cui alla precedente lett. b), beneficio che è concesso per ulteriori 12 mesi qualora, nel corso del suo svolgimento, tale contratto venga trasformato a tempo indeterminato (nel qual caso viene anche attribuito il contributo di cui alla precedente lett. a)) (art. 8, comma 2, della L. n. 223); si ricorda che la sentenza della Corte di Cassazione n. 2202 del 27 febbraio 1998 ha affermato che anche il beneficio di cui alla presente lett. c) assorbe i premi INAIL - mentre quest'ultimo istituto - seguendo peraltro una nota del Ministero del lavoro del marzo 1992 - ha finora seguito l'interpetrazione contraria.
Si ricorda inoltre che la contribuzione relativa all'istituto della mobilità - a carico delle imprese rientranti nel campo di applicazione dell'integrazione salariale straordinaria - è pari allo 0,3% della retribuzione assoggettata al contributo integrativo per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria (art. 16, comma 2, lett. a), della L. n. 223 del 1991). Inoltre, per ciascun lavoratore posto in mobilità, l'impresa è tenuta a versare, in 30 rate mensili, una somma pari a 6 volte il trattamento mensile iniziale di mobilità spettante al lavoratore (tale importo è ridotto della metà qualora la dichiarazione di eccedenza del personale abbia formato oggetto di accordo sindacale) (art. 5, comma 4, della L. n. 223). In alcune fattispecie, disciplinate dall'art. 5, comma 6, della L. n. 223, sono posti ulteriori oneri a carico del datore.

3 L'intervento di integrazione salariale straordinaria è riservato, ai sensi degli artt. 1 e 2 della L. 23 luglio 1991, n. 223, alle imprese industriali che abbiano occupato mediamente più di 15 lavoratori nel semestre precedente la domanda nonché alle imprese commerciali con più di 200 dipendenti (secondo lo stesso criterio di computo); fino al 31 dicembre 1998 - il termine è ora prorogato al 31 dicembre 1999 dal successivo
comma 3 dell'articolo 75 in esame -, l'istituto è applicabile anche alle imprese commerciali con un numero di dipendenti superiore a 50 (art. 59, comma 59, della 27 dicembre 1997, n. 449). Inoltre le imprese artigiane, ai fini dell'applicazione dell'istituto in esame, sono equiparate a quelle industriali nel caso in cui un'altra impresa, che eserciti un "influsso gestionale prevalente (determinato secondo i termini posti dall'art. 12 della L. n. 223) si avvalga a sua volta dell'intervento di integrazione straordinaria; anche per le imprese artigiane valgono i requisiti dimensionali stabiliti per le imprese industriali.
Si ricorda che gli interventi di integrazione salariale straordinaria sono stati estesi - spesso con provvedimenti a termine - ad altri settori imprenditoriali.
4 Si ricorda che il Fondo per l’occupazione è stato istituito per iniziative di sostegno per l’occupazione, tra cui: l’erogazione di contributi ai datori di lavoro, per ogni unità lavorativa occupata a tempo pieno aggiuntiva rispetto alle unità occupate alla data di entrata in vigore del medesimo decreto n. 148 del 1993; il finanziamento dei lavori socialmente utili in esame e dei piani per l’inserimento professionale dei giovani privi di occupazione (di cui all’art. 15 del D.L. 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1994, n. 451, e successive modificazioni e integrazioni).
5 L'intervento di integrazione salariale straordinaria è riservato, ai sensi degli artt. 1 e 2 della L. 23 luglio 1991, n. 223, alle imprese industriali che abbiano occupato mediamente più di 15 lavoratori nel semestre precedente la domanda nonché alle imprese commerciali con più di 200 dipendenti (secondo lo stesso criterio di computo). Inoltre le imprese artigiane, ai fini dell'applicazione dell'istituto in esame, sono equiparate a quelle industriali nel caso in cui un'altra impresa, che eserciti un "influsso gestionale prevalente (determinato secondo i termini posti dall'art. 12 della L. n. 223) si avvalga a sua volta dell'intervento di integrazione straordinaria; anche per le imprese artigiane valgono i requisiti dimensionali stabiliti per le imprese industriali.
L’istituto della mobilità - disciplinato dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni e integrazioni - concerne: 1) le imprese ammesse al sopra ricordato trattamento straordinario di integrazione salariale che non risultino in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi né di ricorrere a misure alternative (art. 4 della citata L. n. 223); 2) le imprese che occupino più di 15 dipendenti e che intendano procedere ad almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni per riduzioni del personale in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive ubicate nel territorio della stessa provincia (art. 24 della stessa L. n. 223). In tale ambito è riconosciuta l’indennità di mobilità ai dipendenti (assunti a tempo indeterminato e con un’anzianità aziendale di almeno 12 mesi), licenziati da imprese che rientrano nel campo di applicazione dell’intervento straordinario di integrazione salariale (art. 16 della L. n. 223), mentre gli altri hanno diritto soltanto all’iscrizione nelle liste di mobilità.
6 Si ricorda che il Fondo per l’occupazione è stato istituito per iniziative di sostegno per l’occupazione, tra cui: l’erogazione di contributi ai datori di lavoro, per ogni unità lavorativa occupata a tempo pieno aggiuntiva rispetto alle unità occupate alla data di entrata in vigore del medesimo decreto n. 148 del 1993; il finanziamento dei lavori socialmente utili in esame e dei piani per l’inserimento professionale dei giovani privi di occupazione (di cui all’art. 15 del D.L. 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1994, n. 451, e successive modificazioni e integrazioni).
7 Riguardo all'art. 24 della L. n. 223, che disciplina una delle fattispecie che dànno diritto al collocamento in mobilità, cfr. sub il
comma 2 del presente articolo 75.
8 Si ricorda che il Fondo per l’occupazione è stato istituito per iniziative di sostegno per l’occupazione, tra cui: l’erogazione di contributi ai datori di lavoro, per ogni unità lavorativa occupata a tempo pieno aggiuntiva rispetto alle unità occupate alla data di entrata in vigore del medesimo decreto n. 148 del 1993; il finanziamento dei lavori socialmente utili in esame e dei piani per l’inserimento professionale dei giovani privi di occupazione (di cui all’art. 15 del D.L. 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1994, n. 451, e successive modificazioni e integrazioni).
9 L'intervento di integrazione salariale straordinaria è riservato, ai sensi degli artt. 1 e 2 della L. 23 luglio 1991, n. 223, alle imprese industriali che abbiano occupato mediamente più di 15 lavoratori nel semestre precedente la domanda nonché alle imprese commerciali con più di 200 dipendenti (secondo lo stesso criterio di computo); fino al 31 dicembre 1998 - il termine è ora prorogato al 31 dicembre 1999 dal
comma 3 del presente articolo 75 -, l'istituto è applicabile anche alle imprese commerciali con un numero di dipendenti superiore a 50 (art. 59, comma 59, della 27 dicembre 1997, n. 449). Inoltre le imprese artigiane, ai fini dell'applicazione dell'istituto in esame, sono equiparate a quelle industriali nel caso in cui un'altra impresa, che eserciti un "influsso gestionale prevalente (determinato secondo i termini posti dall'art. 12 della L. n. 223) si avvalga a sua volta dell'intervento di integrazione straordinaria; anche per le imprese artigiane valgono i requisiti dimensionali stabiliti per le imprese industriali.
Si ricorda che gli interventi di integrazione salariale straordinaria sono stati estesi - spesso con provvedimenti a termine - ad altri settori imprenditoriali.
In base alla disciplina posta dagli artt. 1 e 2 della L. 23 luglio 1991, n. 223, e dall'art. 2 del D.P.R. 20 aprile 1994, n. 373, e successive modificazioni e integrazioni, ai fini della concessione del trattamento, è richiesta l'approvazione da parte del Ministro del lavoro, di un programma presentato dall'impresa. Tale programma può riguardare una delle seguenti fattispecie: 1) ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale (per un periodo massimo pari, in linea ordinaria, a 24 mesi); 2) crisi aziendale (per un periodo massimo, pari, in linea ordinaria, a 12 mesi). Il trattamento in esame viene altresì concesso (in base all'art. 3 della L. n. 223, e successive modificazioni integrazioni) nei casi di fallimento, di liquidazione coatta amministrativa, di amministrazione straordinaria e di omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni, qualora la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata. L'attribuzione del trattamento deve essere richiesta, a seconda dei casi, dal curatore, dal liquidatore o dal commissario.
L'importo del trattamento è eguale all’80% della retribuzione che sarebbe spettata, fino ad un limite massimo pari, nel 1998, a 1.403.503 lire mensili, ovvero a l. 1.686.875 nel caso in cui la retribuzione di riferimento sia superiore a 3.036.374 lire mensili (per la determinazione di quest’ultimo importo l’ammontare della retribuzione annua viene diviso per 12 mensilità) (art. unico della L. 13 agosto 1980, n. 427, come modificato dall’art. 1, comma 5, del D.L. 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1994, n. 451). Sull'importo si applica l'aliquota contributiva a carico dei lavoratori apprendisti (attualmente pari a 5,54 punti percentuali, interamente relativi al Fondo pensioni lavoratori dipendenti INPS).
In linea di massima, ai sensi dell’art. 1 della L. 23 luglio 1991, n. 223, come modificato dall’art. 1, comma 4, del D.L. 16 maggio 1994, n. 299 (convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1994, n. 451), i limiti di durata del trattamento di integrazione salariale straordinaria sono pari a 2 anni (se concessa per ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale) o a 1 anno (se riconosciuta per crisi aziendale; in questo caso, un nuovo intervento, per la medesima causale, non può essere disposto prima che sia decorso un periodo pari a due terzi di quello relativo alla precedente concessione).
Inoltre i trattamenti relativi alla medesima unità produttiva non possono avere una durata superiore a 36 mesi nell’arco di un quinquennio (il quale decorre dal mese iniziale del primo dei trattamenti in considerazione); nel computo sono inclusi anche i periodi di integrazione salariale ordinaria relativa a situazioni temporanee di mercato (art. 1, comma 9, della L. n. 223, come modificato dall’art. 4, comma 35, del D.L. 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 novembre 1996, n. 608).
Il relativo finanziamento degli interventi straordinari in esame è ripartito tra: 1) contributi a carico delle imprese che rientrano nell'ambito di applicazione dell'istituto e a carico dei relativi lavoratori; tali contributi, previsti dall'art. 9 della L. 29 dicembre 1990, n. 407, sono pari rispettivamente allo 0,6% e allo 0,3% della retribuzione; 2) contributi addizionali a carico delle imprese quando si avvalgano dell'intervento straordinario, pari al 4,5% dell'integrazione salariale corrisposta ai propri dipendenti, ridotti al 3% per le imprese fino a 50 dipendenti (art. 8 del D.L. 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, nella L. 20 maggio 1988, n. 160); il contributo, ai sensi dell'art. 1, comma 4, della L. n. 223 del 1991, è dovuto in misura doppia a partire dal primo giorno del venticinquesimo mese successivo alla data di decorrenza del trattamento; 3) contributi a carico dello Stato.
10 Si ricorda che il Fondo per l’occupazione è stato istituito per iniziative di sostegno per l’occupazione, tra cui: l’erogazione di contributi ai datori di lavoro, per ogni unità lavorativa occupata a tempo pieno aggiuntiva rispetto alle unità occupate alla data di entrata in vigore del medesimo decreto n. 148 del 1993; il finanziamento dei lavori socialmente utili in esame e dei piani per l’inserimento professionale dei giovani privi di occupazione (di cui all’art. 15 del D.L. 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1994, n. 451, e successive modificazioni e integrazioni).
11 Si ricordano altresì in materia le circolari INPS n. 115 del 1997, n. 74 del 1998 e n. 120 del 1998.
12 L'obiettivo n. 1 concerne le regioni che presentano, nell'ultimo triennio, un PIL pro-capite inferiore al 75% di quello della media comunitaria. Le regioni italiane interessate sono (per il periodo 1994-1999): la Basilicata, la Calabria, la Campania, il Molise, la Puglia, la Sardegna, la Sicilia (l'Abruzzo ne ha fatto parte fino al 31 dicembre 1996).
Con la decisione C(97) 836 dell'11 aprile 1997 sono stati prorogati i termini relativi a impegni (31 dicembre 1998) e pagamenti (31 dicembre 2000) relativi agli interventi previsti in Abruzzo nell’ambito del Quadro comunitario di sostegno – obiettivo 1 autorizzato per il triennio 1994-1996.
L'obiettivo n. 2 riguarda le zone in declino industriale - non ricadenti nelle aree interessate dall'obiettivo 1 - che presentano un tasso medio di disoccupazione superiore alla media comunitaria registrata negli ultimi tre anni, un tasso di occupazione nel settore industriale, rispetto all'occupazione complessiva, uguale o superiore alla media comunitaria per ciascun anno di riferimento a decorrere dal 1975, nonché un regresso del livello occupazionale nel settore industriale rispetto al 1975. Inoltre, l'intervento comunitario può estendersi anche a comunità urbane caratterizzate da un tasso di disoccupazione superiore di almeno il 50% alla media comunitaria e che hanno registrato un regresso notevole nell'occupazione nel settore industriale, alle altre aree che nel corso degli ultimi tre anni hanno subìto o rischiano di subire perdite occupazionali di rilievo in settori industriali determinanti per il loro sviluppo economico, a zone che presentano gravi problemi a causa della bonifica di aree industriali degradate o della ristrutturazione nel settore della pesca. Per l'Italia sono state individuate - con la decisione della Commissione UE del 26 luglio 1996, n. 472, relativa al triennio 1997-1999 (che rinvia, in larga misura, alla decisione del 20 gennaio 1994, n. 169, relativa al triennio 1994-1996) - numerose aree del Centro-Nord appartenenti alle seguenti province: Alessandria, Ancona, Aosta, Ascoli-Piceno, Ferrara, Firenze, Frosinone, Genova, Gorizia, Grosseto, La Spezia, Latina, Livorno, Macerata, Massa-Carrara, Milano, Modena, Padova, Perugia, Pisa, Pistoia, Prato, Reggio nell'Emilia, Rieti, Roma, Rovigo, Savona, Terni, Torino, Trieste, Udine, Varese, Venezia, Verbano-Cusio-Ossola, Verona.
L'obiettivo n. 5b concerne le zone rurali, situate al di fuori delle regioni di cui all'obiettivo 1, che sono caratterizzate da uno scarso livello di sviluppo socio-economico, valutato in base al PIL pro-capite, e che soddisfano inoltre almeno 2 dei 3 seguenti criteri: 1) tasso elevato dell'occupazione agricola su quella totale; 2) basso livello di reddito agricolo, espresso in particolare in valore aggiunto agricolo per unità di lavoro agricolo; 3) scarsa densità di popolazione o tendenza a consistente spopolamento. L'intervento comunitario può estendersi a ulteriori zone rurali, sempre poste al di fuori delle regioni di cui all'obiettivo 1, che soddisfino altri criteri posti dalla disciplina comunitaria. Per l'Italia sono state individuate - con la decisione della Commissione UE del 26 gennaio 1994, n. 197, relativa al periodo 1994-1999 - numerose aree del Centro-Nord appartenenti alle seguenti province: Alessandria, Ancona, Aosta, Arezzo, Ascoli-Piceno, Asti, Belluno, Bergamo, Biella, Bologna, Bolzano, Brescia, Como, Cuneo, Ferrara, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Genova, Grosseto, Imperia, La Spezia, Latina, Lecco, Livorno, Lucca, Macerata, Massa-Carrara, Modena, Padova, Parma, Pavia, Perugia, Pesaro e Urbino, Piacenza, Pistoia, Pordenone, Prato, Ravenna, Reggio nell'Emilia, Rieti, Rimini, Roma, Rovigo, Savona, Siena, Trento, Treviso, Udine, Venezia, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Verona, Vicenza, Viterbo.
13 Esse sono - oltre a quelle di cui alla
precedente nota 12 -:
1) le zone industriali (di riconversione siderurgica) di Genova, Napoli, Taranto e Terni;
2) le aree dove sussistono accertati squilibri tra domanda e offerta di lavoro, individuate dai D.M. 14 marzo 1995, 23 dicembre 1997, 14 maggio 1998, 14 luglio 1998 e 29 luglio 1998, in alcune zone delle province di Alessandria, Ancona, Arezzo, Ascoli Piceno, Cremona, Ferrara, Firenze, Frosinone, Genova, Grosseto, Latina, Lucca, Macerata, Milano, Padova, Perugia, Pesaro, Piacenza, Pistoia, Rieti, Rimini, Roma, Savona, Varese, Venezia, Vercelli, Verona, Viterbo, nonché nell'intera area territoriale Sebino-Valcamonica-Valcavallina.
3) le aree (del Nord-Italia) colpite dai gravi eventi alluvionali del novembre 1994 (ai sensi dell’art. 9-bis del D.L. 23 settembre 1994, n. 547, convertito, con modificazioni, nella L. 22 novembre 1994, n. 644); tali aree fanno parte delle seguenti province: Alessandria, Asti, Cremona, Cuneo, Ferrara, Genova, Imperia, La Spezia, Mantova, Massa-Carrara, Milano, Parma, Pavia, Reggio Emilia, Rovigo, Savona, Torino, Varese, Vercelli;
4) l’intero territorio nazionale, limitatamente alle iniziative riguardanti l’occupazione di persone svantaggiate promosse dalle cooperative sociali di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), della L. 8 novembre 1991, n. 381.
14 I soggetti utilizzati, tuttavia, sono ricompresi nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Al riguardo, il D.M. 12 febbraio 1998 dispone, a decorrere, dal 1° gennaio 1998, per la durata di un triennio e a titolo di sperimentazione, una riduzione del 50% del relativo premio INAIL - premio determinato sulla base della retribuzione minima annua fissata ai fini della rivalutazione delle rendite e del tasso di tariffa valido per la voce corrispondente alle lavorazioni effetivamente svolte -.
15 Tali tipologie sono definite dall'art. 2, comma 203, della L. 23 dicembre 1996, n. 662. Nella fattispecie in esame, potrebbero trovare applicazione: gli accordi di programma quadro, i patti territoriali, i contratti d'area, i contratti di programma. In generale, tali strumenti definiscono il quadro degli interventi in determinati ambiti territoriali da parte di una pluralità di soggetti, pubblici e privati.
16 Si ricorda che il Fondo per l’occupazione è stato istituito per iniziative di sostegno per l’occupazione, tra cui: l’erogazione di contributi ai datori di lavoro, per ogni unità lavorativa occupata a tempo pieno aggiuntiva rispetto alle unità occupate alla data di entrata in vigore del medesimo decreto n. 148 del 1993; il finanziamento dei lavori socialmente utili in esame e dei piani
in esame.
17 Inoltre i trattamenti relativi alla medesima unità produttiva non possono avere una durata superiore a 36 mesi nell’arco di un quinquennio (il quale decorre dal mese iniziale del primo dei trattamenti in considerazione); nel computo sono inclusi anche i periodi di integrazione salariale ordinaria relativa a situazioni temporanee di mercato (art. 1, comma 9, della L. n. 223, come modificato dall’art. 4, comma 35, del D.L. 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 novembre 1996, n. 608).


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13/12/1998
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