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Articolo 32
(Disposizioni modificative ed interpretative dell'articolo 1, commi 181 e 182, della legge 23 dicembre 1996, n. 662)

L'articolo in esame modifica la disciplina relativa al pagamento degli arretrati pensionistici derivanti da due sentenze della Corte Costituzionale, la n. 495 del 1993 e la n. 240 del 1994, le quali hanno sancito l'illegittimità di norme riguardanti, rispettivamente, il computo del trattamento di pensione di reversibilità integrata o integrabile al minimo e l'erogazione di due o più pensioni integrate o integrabili al trattamento minimo.
L'articolo in esame propone - presumibilmente - il contenuto di un disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 luglio 1998 - disegno non ancora presentato in Parlamento -.

Quadro normativo

Sentenza n. 495 del 1993
Con la sentenza n. 495/1993 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903, "Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione", nella parte in cui non prevede che la pensione di reversibilità - determinata nella misura del 60% della pensione che sarebbe spettata al dante causa al momento del decesso - sia calcolata in proporzione alla pensione diretta integrata al trattamento minimo già liquidata al pensionato o che l'assicurato avrebbe comunque diritto di percepire.

Sentenza n. 240/1994
La disciplina sull'integrazione al minimo dei trattamenti pensionistici non consente l'integrazione di più pensioni erogate allo stesso soggetto. In particolare il comma 3 dell'art. 6 del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, stabilisce il principio per cui, nel caso di concorso di due o più pensioni, l'istituto dell'integrazione al minimo si applica solamente sul trattamento il cui regime preveda l'importo minimo più elevato o, a parità di valore, sulla pensione avente decorrenza più remota (particolari criteri regolano, ai sensi dello stesso comma, l'attribuzione del beneficio all'uno o all'altro dei trattamenti, nel caso di concorso di pensione diretta ed ai superstiti a carico della stessa gestione). Il comma 6 dello stesso art. 6, inoltre, prevede l'applicazione di tale disciplina anche ai trattamenti che già godevano del beneficio dell'integrazione, nel caso in cui il titolare superi i menzionati limiti di reddito relativi a tale istituto in data successiva a quella di decorrenza della pensione (ivi comprese le pensioni aventi decorrenza anteriore al 30 settembre 1983, data di entrata in vigore del decreto legge). In tal caso, le disposizioni di cui al comma 3 si applicano dal momento della cessazione del diritto all'integrazione (nell'ipotesi, che il soggetto titolare rientri nuovamente in avvenire nei limiti di reddito previsti). L'importo dei trattamenti non integrati, ai sensi dello stesso comma 6, viene determinato, all'atto della cessazione del diritto all'integrazione, sommando all'importo in vigore alla data di decorrenza della pensione, le percentuali di rivalutazione dei trattamenti minimi di pensione nel frattempo intervenuti nel relativo ordinamento. Tuttavia, il comma 7 stabilisce che in ogni caso l'importo erogato prima della cessazione del diritto all'integrazione viene conservato (c.d. "cristallizzazione" della seconda integrazione), fino al suo superamento per effetto dell'applicazione, sull'importo determinato in base al comma precedente, del meccanismo di perequazione automatica (come previsto dal comma 5).
Con la sentenza 3 dicembre 1985, n. 314, la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità della normativa che prima del 1° ottobre 1983, e cioè in data antecedente all'entrata in vigore del D.L. n. 463/1983, vietava il godimento di più integrazioni al minimo (art. 2 della L.12 agosto 1962, n. 1338, e art. 23 della L. 30 aprile 1969, n. 153). Tale orientamento è stato mantenuto in successive pronunce, estendendo il principio della doppia integrazione anche alle gestioni dei lavoratori autonomi. In merito alla sentenza n. 314, il Ministero del lavoro, su richiesta dell'INPS, ha specificato che l'integrazione al minimo poteva essere riconosciuta d'ufficio limitatamente alle pensioni in corso di definizione alla data di pubblicazione della sentenza 314/1985 con decorrenza anteriore al 1/10/1983, mentre negli altri casi l'integrazione al minimo per i periodi anteriori alla predetta data poteva essere disposto nei limiti della prescrizione quinquennale su domanda degli interessati, sempre che il rapporto previdenziale potesse considerarsi pendente.
In applicazione del D.L. n. 463, l'INPS ha disposto dal 1° ottobre 1983 il mantenimento di una sola pensione integrata al minimo, nell'importo corrente o in quello cristallizzato a seconda della situazione reddituale del pensionato, riconducendo all'importo derivante dal solo calcolo dei contributi, e quindi senza integrazione al minimo, l'altra o le altre pensioni.
La Corte di cassazione si è pronunciata in senso contrario a tale interpretazione, giacché con sentenza n. 5720/1989 è stato riconosciuto in ogni caso il diritto alla "cristallizzazione" del trattamento minimo erogato al 30 settembre 1983 (tesi accolta in seguito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 418/1991), mentre con sentenza n. 3749/1990 è stato riconosciuto il diritto comunque all'integrazione, in caso di non superamento dei limiti di reddito.
Al fine di evitare all'INPS gli oneri conseguenti alle sentenze della giurisprudenza di merito - che stava nel frattempo intervenendo in base a quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità della Cassazione -, il Governo è intervenuto, quindi, con un'interpretazione autentica dell'art. 6 della legge 638/1993, dapprima inserita in alcuni provvedimenti d'urgenza, non convertiti in legge (D.L. 14/1992, art. 4, e successive reiterazioni) e poi approvata con l'art. 11, comma 22, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (legge collegata alla legge finanziaria per il 1994). Tale norma stabilisce che il beneficio dell'integrazione al minimo spetta in favore di un solo trattamento, individuato secondo i criteri di cui al comma 3 dell'art. 6, anche nell'ipotesi di pensioni aventi decorrenza anteriore all'entrata in vigore del DL n. 463 del 1983, escludendo peraltro l'applicazione del meccanismo di "cristallizzazione" stabilito dal comma 7 (sulla base della considerazione, sostenuta nella nota tecnica governativa, che tale meccanismo era previsto soltanto per l'ipotesi di un'unica integrazione al minimo).
Con sentenza n. 240/1994, infine, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità di tale norma nella parte in cui prevede la riconduzione all'importo a calcolo della pensione non più integrabile, anziché il mantenimento di essa nell'importo spettante alla data del 30 settembre 1983, fino ad assorbimento negli aumenti della pensione base derivanti dalla perequazione automatica. Conseguentemente nei confronti dei pensionati il cui reddito superava i limiti fissati dalla legge (7.177.300 lire per il 1983), rimangono confermati i criteri seguiti dall'INPS, mentre nei confronti dei pensionati il cui reddito sia inferiore al predetto limite - ferma restando l'integrazione al minimo della pensione indicata in via prioritaria dalla legge - l'altra o le altre pensioni dal 1° ottobre 1983 devono essere corrisposte nell'importo cristallizzato al 30 settembre 1983, anziché in quello a calcolo.

Contenuto della disciplina vigente relativa al pagamento degli arretrati in esame
Il comma 181 dell'art. 1 della L. 23 dicembre 1996, n. 662 - nel testo sostituito dall'art. 3-bis, comma 1, del D.L. 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, nella L. 28 maggio 1997, n. 140 - dispone che il pagamento degli arretrati in esame sia effettuato - in luogo dell'originario strumento di emissioni di titoli del debito pubblico - in contanti - sempre in 6 annualità - da parte dei competenti enti previdenziali, nelle forme previste per la corresponsione dei trattamenti pensionistici. A tal fine, il Ministero del tesoro è autorizzato ad emettere, per ciascuna delle sei suddette annualità (1996-2001), buoni poliennali del tesoro o certificati di credito del tesoro o titoli denominati in ECU (ovvero in lire italiane riferite all'ECU oppure collegati alle variazioni di un altro indice determinato con decreto del Ministro del tesoro), con l'osservanza delle rispettive disposizioni generali di cui all'art. 38 della L. 30 marzo 1981, n. 119, e successive modificazioni e integrazioni. Il ricavo netto delle emissioni è versato ai competenti enti previdenziali, che provvedono, di conseguenza, al pagamento degli arretrati in contanti (nelle forme previste per la corresponsione dei trattamenti pensionistici). L'importo di ciascuna annualità di arretrato sarà determinato dagli enti in relazione all'ammontare del ricavo netto delle emissioni ai medesimi versato.
Il ricavo netto delle emissioni è limitato a lire 3.135 per la prima annualità (1996).
Si specifica infine che le emissioni in esame non concorrono al raggiungimento del limite dell'importo di emissione di titoli pubblici stabilito annualmente dalla legge di bilancio.

Il comma 182 dell'art. 1 della L. n. 662 - come modificato dall'art. 3-bis, commi 2 e 3, del D.L. n. 79 del 1997 - definisce il regime degli interessi.
Tale comma prevede il diritto alla corresponsione, con la prima annualità, degli interessi maturati sull'intero ammontare degli arretrati dal 1° gennaio 1996 alla data di pagamento. Essi sono determinati sulla base di un tasso annuo pari alla variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati relativa all'anno precedente.
Gli interessi per gli anni successivi sono determinati allo stesso modo e commisurati sulle somme ancora da rimborsare.
E' esclusa invece, ai fini della determinazione dell'importo maturato fino al 31 dicembre 1995, l'applicazione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria.
Ai sensi del medesimo comma 182, il diritto al pagamento è riconosciuto ai soli soggetti interessati e ai loro superstiti aventi titolo alla pensione di reversibilità alla data del 30 marzo 1996.
Il comma 182 prevede altresì che la verifica annuale del requisito reddituale per il diritto all'integrazione del trattamento sia effettuata non solo in relazione ai redditi riferiti al 1983, ma anche con riferimento a quelli degli anni successivi. Il superamento dei livelli di reddito, anche se intercorrente negli anni successivi al 1983, determina quindi l'esclusione dal rimborso.
Si ricorda inoltre che le sentenze della Corte di cassazione n. 6491 del 18 luglio 1996, n. 6.924 del 1° agosto 1996 e n. 1691 del 12 dicembre 1996 prospettano un ampliamento della platea dei soggetti interessati al rimborso; esse, infatti, ritengono che l’ente gestore dovrebbe procedere d’ufficio alla riliquidazione non essendovi alcun termine di decadenza per la richiesta da parte dell’interessato. Quest’ultima avrebbe, dunque, come unico effetto, quello di interrompere il decorso dell’ordinaria prescrizione decennale. Peraltro, le circolari INPS n. 52 del 28 marzo 1997 e n. 123 del 29 maggio 1997, con riferimento rispettivamente alla sentenza n. 495/93 e alla n. 240/94, hanno riconosciuto tale principio, subordinando, tuttavia, il pagamento alla domanda da parte dell'interessato (escludendo, cioè, il procedimento d'ufficio).

Contenuto dell'articolo in esame

Il comma 1 riformula l'intero testo del sopra ricordato comma 182 dell'art. 1 della L. n. 662 del 1996 - già modificato dall'art. 3-bis, commi 2 e 3, del D.L. n. 79 del 1997 -.
Il nuovo testo riconosce l'applicazione di un tasso di interesse pari al 5% sull'importo maturato al 31 dicembre 1995. La disciplina vigente esclude invece, come detto, ai fini della determinazione dell'importo maturato fino al 31 dicembre 1995, l'applicazione di ogni forma di rivalutazione (ivi compresi gli interessi legali e la rivalutazione monetaria).
Sono confermate le norme sulla rivalutazione delle somme a decorrere dal 1° gennaio 1996 e sulla verifica annuale dei requisiti di reddito per l'integrazione al minimo (cfr., al riguardo, sub il precedente paragrafo).
Il nuovo testo del comma 182 sopprime infine la limitazione del diritto al pagamento degli arretrati ai soggetti interessati e ai loro superstiti aventi titolo alla pensione di reversibilità alla data del 30 marzo 1996. Il diritto al rimborso si estende quindi a tutti gli eredi, come conferma il successivo comma 2 (che pone, al riguardo, una norma di interpretazione autentica del comma 181 dell'art. 1 della L. n. 662 del 1996 - nel testo sostituito dall'art. 3-bis, comma 1, del D.L. n. 79 del 1997 -).
Il comma 3 stabilisce il termine per la presentazione della domanda di corresponsione degli arretrati relativamente agli eredi non aventi titolo alla pensione ai superstiti dei pensionati deceduti anteriormente al 30 marzo 1996; tale categoria infatti non ha diritto al pagamento, come già ricordato, secondo la normativa attualmente vigente. Il termine, a pena di decadenza, è fissato al 31 dicembre 1999 (la V Commissione del Senato ha così modificato il termine originario del 30 giugno 1999).
Il comma 4 concerne la documentazione da allegare alla domanda presentata, in ogni caso, da parte degli eredi (non si opera qui distinzione nell'ambito della categoria). Si richiede la consegna di copia della denuncia di successione eseguita presso i competenti uffici finanziari, dalla quale risultino i nominativi di eventuali coeredi e la quota di eredità a ciascuno spettante.
Il comma 5 - confermando il principio di cui al summenzionato comma 183 dell'art. 1 della L. n. 662 del 1996 - prevede che i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge (1° gennaio 1999) siano dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese tra le parti e che i provvedimenti giudiziari non ancora passati in giudicato restino privi di effetto.
Il comma 6 intende far fronte ai maggiori oneri derivanti dal precedente comma 1, stimati pari a 875 miliardi. La copertura è posta contabilmente a carico dell'accantonamento del Ministero del tesoro nell'ambito del fondo speciale di parte corrente per l'anno 1998, a valere sulla voce "Rimborso dei crediti d'imposta (Regolazione debitoria)". Tuttavia va notato che, mentre sia la quantificazione che la relativa copertura sono riferite all'anno 1998, la presente legge entrerà in vigore il 1° gennaio 1999.
Si osserva infine che l'articolo in esame non prevede la copertura dei maggiori oneri derivanti dall'estensione - nell'ambito della categoria degli eredi - del diritto al pagamento degli arretrati.

NOTE

1 Si ricorda che l’istituto dell’integrazione al trattamento minimo assicura un determinato importo della pensione (pari nel 1998 a lire 9.070.100 annue nel regime generale INPS, al quale, di solito, gli altri ordinamenti previdenziali fanno rinvio).
Tale beneficio è subordinato, oltre che al conseguimento dei requisiti ordinari per il diritto al trattamento, al rispetto di determinati importi di reddito. La disciplina in vigore prima del D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, poneva come unico limite che il reddito annuo, assoggettabile all’IRPEF, dell’assicurato non superasse il doppio dell’ammontare delle 13 mensilità dello stesso minimo pensionistico. L’art. 4 del citato D.lgs. - che ha riformulato completamente la disciplina - ha introdotto un nuovo limite, concorrente con il primo, relativo anche al reddito del coniuge non legalmente ed effettivamente separato e pari al quadruplo del predetto ammontare annuo del minimo pensionistico (l’originaria misura del triplo è stata così elevata dall’art. 2, comma 14, della L. 8 agosto 1995, n. 335).
Dal computo dei due limiti di reddito sono esclusi - oltre, come detto, ai redditi esenti dall’IRPEF - i trattamenti di fine rapporto comunque denominati, il reddito della casa di abitazione, le competenze arretrate relative ad anni solari precedenti e il trattamento previdenziale medesimo da integrare. Inoltre, per i lavoratori autonomi agricoli, il reddito dichiarato ai fini IRPEF viene imputato, indipendentemente dall’effettiva percezione, a ciascun componente attivo del nucleo familiare, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro effettivamente svolto da ciascuno in modo continuativo e attestato con dichiarazione del titolare dell’azienda.
Infine, l’importo dell’integrazione (ma non della pensione da integrare, che, come detto, non è compresa nel computo del reddito) non può comportare il superamento di uno dei limiti e viene eventualmente ridotto fino al raggiungimento del limite medesimo.
2 Sembra opportuno rilevare che, in tema di esclusione di ulteriori oneri finanziari in presenza di emolumenti arretrati derivanti da provvedimenti di "sanatoria legislativa", si è pronunciata più volte la Corte Costituzionale, da ultimo con sentenza n. 320/1995 (relativa al rimborso senza interessi e rivalutazioni da parte dell'INPS di somme non dovute in tema di contribuzione), confermativa di precedenti pronunce del medesimo giudice, disattendendo censure di illegittimità avverso la mancata corresponsione, in tali casi, di interessi e rivalutazioni. In tale ultima sentenza, in particolare la Corte ha precisato che: "In casi nei quali, in esecuzione di sentenze di questa corte, il legislatore ha apprestato la disponibilità di mezzi economici necessari, tenendo anche conto dell'ampiezza dell'onere richiesto, è stata ritenuta giustificata l'osservanza di particolari modalità e ragionevoli limiti, nonché la gradualità corrispondente alle esigenze di reperimento delle risorse finanziarie...".
Sulla disciplina di pagamento degli arretrati pensionistici in esame, in ogni caso, sono state emanate numerose ordinanze di remissione alla Corte Costituzionale di questioni di illegittimità costituzionale (per l'esclusione degli interessi e della rivalutazione monetaria, per la limitazione del diritto al pagamento ai soli soggetti interessati e ai loro superstiti aventi titolo alla pensione di reversibilità alla data del 30 marzo 1996 e per l'estinzione dei giudizi pendenti al 1° gennaio 1997).
3 Riguardo alla rivalutazione monetaria, si ricorda che la sentenza della Corte costituzionale n. 156 dell’8 aprile 1991 ha esteso al credito previdenziale il regime del credito da lavoro (di cui all’art. 429, comma 3, del Codice di procedura civile), con applicazione cioè degli interessi in misura legale e del maggior danno eventualmente subito dal titolare per la diminuzione del valore del suo credito.
Successivamente, l’art. 16, comma 6, della L. 30 dicembre 1991, n. 412, ha disposto, per il credito previdenziale, che l’importo percepito a titolo di interessi legali sia portato in detrazione dal risarcimento dell’eventuale danno maggiore. Tale principio è stato poi esteso ai crediti da lavoro dall’art. 22, comma 36, della L. 23 dicembre 1994, n. 724. In attuazione delle norme suddette di cui alla L. n. 412 e alla L. n. 724, è stato emanato il D.M. 1° settembre 1998, n. 352. Si ricorda che una norma di interpetrazione autentica (relativa all'applicazione ai trattamenti pensionistici dei dipendenti pubblici e alle pensioni assistenziali di invalidità a carico dello Stato) del citato art. 16, comma 6, della L. n. 412 è posta dal successivo
articolo 42, comma 5, del presente disegno di legge.
Sull’applicabilità della detrazione anche ai rapporti pendenti alla data di entrata in vigore della L. n. 412 del 1991 (31 dicembre 1991; per i crediti da lavoro, invece, la disciplina transitoria è posta dal medesimo art. 22, comma 36, della L. n. 724) si è sviluppata una complessa vicenda giurisprudenziale, che, da ultimo, ha registrato un orientamento restrittivo (applicazione del principio della detrazione solo per i nuovi rapporti) (sentenza delle Sezioni unite civili n. 5895 del 2 maggio 1996). Una più articolata normativa transitoria è ora posta, in termini non del tutto perspicui, dal suddetto D.M. attuativo 1° settembre 1998, n. 352.
Si ricorda infine che su alcune questioni relative rispettivamente ai crediti previdenziali e a quelli retributivi sono intervenute di recente la circolare INPS n. 96 del 6 maggio 1998 - che accoglie un consolidato orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione - e la decisione n. 3/98 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
4 Si ricorda altresì che la circolare INPS n. 168 del 28 maggio 1997 fissa invece le istruzioni per il calcolo degli arretrati dovuti, con riferimento alla sentenza 240/94.


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13/12/1998
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