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Articolo 28
Comma 1
(Differimento del termine
per la deliberazione del bilancio di previsione per il
1999)

Il comma 1 dell’articolo 28 (articolo 27 del testo approvato dalla Camera) differisce al 31 gennaio 1999 (31 dicembre 1998 nel testo originario del Governo) il termine per la deliberazione del bilancio di previsione per il 1999 che, ordinariamente, scadrebbe il 31 ottobre di ciascun anno, ai sensi dell’articolo 55, comma 2, della legge n. 142/1990, recante "Ordinamento delle autonomie locali".
La norma in esame non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.
Viene altresì differito alla stessa data il termine per deliberare le tariffe e le aliquote di imposta per i tributi e per i servizi locali relativamente allo stesso anno 1999.
Anche in questo caso il termine ordinario è fissato al 31 ottobre di ciascun anno, ai sensi dell’articolo 10 del D.L. 18 gennaio 1993, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 68/1993.
Come specificato nella Relazione di accompagnamento al disegno di legge in esame, tale disposizione si rende necessaria per consentire agli enti locali una più approfondita valutazione dell’ammontare delle risorse disponibili, sia dei trasferimenti erariali, in relazione agli esiti della manovra finanziaria per il 1999 che delle risorse proprie, anche in relazione alla riforma dei tributi locali avviata nel 1998, in quanto i dati finanziari inerenti le entrate tributarie devolute agli enti locali non sono ancora del tutto disponibili.

Analoghe esigenze hanno reso necessario anche negli anni passati il differimento dei termini per la deliberazione dei bilanci di previsione degli enti locali e delle tariffe e aliquote di imposta per i tributi e per i servizi locali, attraverso l’intervento legislativo.

La Camera ha stabilito
il differimento al 31 dicembre anche del termine previsto per la deliberazione dell’aliquota dell’addizionale comunale all’IRPEF, istituita a decorrere dal 1° gennaio 1999, con il decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360, emanato in attuazione della delega di cui al comma 3-bis, dell’articolo 7 della legge n. 59/1997, nonché dei termini per l’approvazione dei regolamenti il cui termine di scadenza è stabilito contestualmente alla data di approvazione del bilancio.
A tale proposito si ricorda che l’articolo 1, comma 3, del D.Lgs. n. 360/1998 fissa al 31 ottobre la eventuale deliberazione da parte dei comuni della variazione dell’aliquota dell’addizionale comunale all’IRPEF.

Con l’ultimo periodo del comma 1, come modificato dalla Camera, i predetti termini sono stati inoltre definitivamente fissati al 31 dicembre di ogni anno, evitando dunque per gli anni successivi la necessità di ricorso alla proroga dei termini.

Si ricorda che nel testo governativo, l’ultimo periodo del comma 1 prevedeva che per gli anni successivi, in presenza di motivate ragioni, i termini per la deliberazione dei bilanci di previsione e delle tariffe e aliquote di imposta per i tributi e per i servizi degli enti locali, sebbene fissati in via generale dalla legge, potessero essere prorogati mediante decreto del Ministro dell’interno, sentita la Conferenza Stato-Città e autonomie locali, in alternativa dunque al ricorso allo strumento legislativo,
Tale disposizione avrebbe introdotto una "delegificazione" per la modifica della legge n. 142/1990, in quanto demandava ad un regolamento ministeriale il differimento dei termini per la deliberazione del bilancio di previsione degli enti locali.
Il termine per la deliberazione del bilancio di previsione è infatti fissato al 31 ottobre di ciascun anno dall’articolo 55, comma 2, della legge n. 142/1990, che peraltro, al comma 1, stabilisce che "l’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali è riservato alla legge dello Stato".
Allo stesso modo, il termine per la deliberazione delle tariffe e delle aliquote di imposta per i tributi e per i servizi locali è fissato al 31 ottobre di ciascun anno dall’articolo 10 del D.L. 18 gennaio 1993, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 68/1993.

NOTE
1 Il differimento dei termini per la deliberazione dei bilanci di previsione degli enti locali e delle tariffe e aliquote di imposta per i tributi e per i servizi locali in passato era affidato a singoli provvedimenti d'urgenza annuali di finanza locale, recanti le disposizioni destinate a disciplinare i singoli esercizi finanziari.
Dal 1997, la definizione del quadro dei trasferimenti erariali e delle risorse proprie degli enti locali, nonché il differimento dei termini suddetti, è affidato ai provvedimenti collegati (legge n. 662/1996, art. 1, comma 164, e legge n. 449/1997, art. 49, comma 1).


Comma 2
(Versamento dell’addizionale IRPEF comunale
in alcune regioni a statuto speciale)

Il comma 2 in esame, introdotto dalla Camera, precisa i criteri di applicazione dell’addizionale comunale all’IRPEF nei territori delle regioni Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e nelle province autonome di Trento e di Bolzano, in relazione alle specifiche competenze attribuite a tali enti in materia di finanza locale.

Occorre ricordare che l'addizionale comunale all’IRPEF, istituita dall’articolo 1 del D.Lgs. n. 360 del 1998, deve essere versata, ai sensi del comma 6 dello stesso articolo, unitamente all’IRPEF, con le modalità che saranno stabilite con decreto del Ministro delle finanze di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e dell'interno. L’addizionale è dovuta ai comuni in cui il contribuente ha il domicilio fiscale alla data del 31 dicembre dell'anno cui si riferisce l'addizionale, ovvero, relativamente ai redditi di lavoro dipendente e a quelli assimilati a questi, con riferimento al comune in cui il sostituto ha il domicilio fiscale alla data dell'effettuazione delle operazioni di conguaglio relative a detti redditi.
Quanto ai meccanismi di ripartizione dell'addizionale, occorre distinguere tra la quota di addizionale obbligatoria e comune a tutti gli enti, prevista dal comma 2 dell'articolo 1 del D.Lgs. n. 360 del 1998, e la quota opzionale individuata dal comma 3 dello stesso articolo 1.
L'articolo 2 del D.Lgs. n. 360/1998 disciplina la ripartizione della quota di addizionale obbligatoria; mentre, ai sensi del comma 7, la ripartizione dell'addizionale comunale opzionale è effettuata dal Ministero dell'interno:
a titolo di acconto dell'intero importo delle somme versate, entro il medesimo anno di versamento: per il primo anno di applicazione sulla base del numero dei contribuenti aventi domicilio fiscale nei singoli comuni e dei redditi imponibili medi risultanti dalle più recenti statistiche generali pubblicate dal Ministero delle finanze; per i periodi d'imposta successivi, sulla base dei dati forniti dal Ministero delle finanze e concernenti le risultanze delle dichiarazioni dei redditi e dei sostituti d'imposta presentate per l'anno precedente a quello cui l'addizionale si riferisce;
a conguaglio, entro l'anno successivo a quello di versamento, sulla base dei dati forniti dal Ministero delle finanze e concernenti le risultanze delle dichiarazioni dei redditi e dei sostituti d'imposta presentate per l'anno cui l'addizionale si riferisce, con la possibilità di compensare le eventuali somme da restituire con quelle spettanti a titolo di acconto per l'anno successivo a quello del versamento;

Il medesimo comma 7 stabilisce che con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri delle finanze e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, possono essere stabilite ulteriori modalità per effettuare la ripartizione. Inoltre, l'accertamento contabile dei proventi derivanti dall'addizionale avviene, per i comuni, sulla base delle comunicazioni annuali del Ministero dell'interno delle somme spettanti.
L'articolo 2 del decreto legislativo n. 360 del 1998, come già ricordato, disciplina le modalità transitorie e definitive di attribuzione agli enti locali delle risorse finanziarie derivanti dall'introduzione dell'addizionale comunale all'IRPEF, per la parte obbligatoria comune a tutti gli enti, prevista dal comma 2 dell’articolo 1 dello stesso decreto legislativo.
Si ricorda che, poiché l'attribuzione delle risorse è finalizzata al finanziamento delle funzioni e dei compiti trasferiti ai comuni dai decreti legislativi di attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59, è necessaria, per la compiuta attuazione del sistema, la preventiva emanazione dei decreti previsti dall'articolo 7 della citata legge n. 59 del 1997, con i quali verrà individuato l'onere sia complessivo che ripartito territorialmente delle nuove funzioni, nonché definite le risorse (intese come risorse finanziarie, personale e beni) da attribuire agli enti locali per lo svolgimento di tali funzioni.
Conseguentemente, le disposizioni recate dall'articolo 2 prevedono una procedura di ripartizione delle risorse finanziarie distinta in tre fasi.
Il comma 1 dell'articolo 2 disciplina il periodo transitorio, nel quale il finanziamento delle funzioni e dei compiti effettivamente trasferiti ai Comuni è assicurato mediante i trasferimenti erariali aggiuntivi temporaneamente assegnati in sede di decreti emanati ai sensi dell'articolo 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59, come integrato dalle ricordate disposizioni recate dall'articolo 48, comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449: l'attribuzione sarà effettuata dall'anno di effettivo trasferimento delle funzioni sino a tutto l'anno relativo al periodo di imposta assunto a riferimento ai fini della determinazione dell'aliquota annuale dell'addizionale.
Il comma 2 disciplina, invece, la seconda fase, e cioè quella di prima attribuzione del gettito dell'addizionale, relativamente all'anno nel quale essa viene riscossa per la prima volta e sino all'anno precedente quello nel quale viene rideterminata la spesa secondo i parametri fissati dall'articolo 48, comma 11, lettera c), della legge n. 449 del 1997: in tale fase si prevede che il gettito dell'addizionale venga ripartito tra i comuni, da parte del Ministero dell'interno, in misura proporzionale ai trasferimenti erariali aggiuntivi corrisposti a ciascun comune nel periodo transitorio di cui al comma 1.
Il comma 3, infine, disciplina la ripartizione a regime del gettito dell'addizionale, a decorrere dall'anno in cui verrà applicata la più volte richiamata rideterminazione della spesa, ai sensi dell'articolo 48, comma 11, lettera c), della legge 27 dicembre 1997, n. 449: a regime, la ripartizione dei proventi dell'addizionale è effettuata dal Ministero dell'interno secondo le stesse disposizioni previste dal comma 7 dell'articolo 1 per la ripartizione dell'addizionale "opzionale", con un meccanismo di acconto e di successivo conguaglio.
Contestualmente alla rideterminazione della spesa, operata ai sensi dell'articolo 48, comma 11, lettera c), della legge 27 dicembre 1997, n. 449, si procederà con appositi provvedimenti alla determinazione della riduzione o dell'aumento dei trasferimenti statali da operare e da consolidare, per ciascun comune, in relazione alla differenza tra il gettito dell'addizionale obbligatoria (di cui al comma 2 dell'articolo 1) e la spesa come sopra rideterminata, nonché ai relativi eventuali conguagli.

Il comma 2 in esame stabilisce che l’addizionale comunale, nei ricordati territori, venga versata alle regioni e alle province autonome secondo le stesse modalità previste dall’articolo 50, comma 5, del D.Lgs. n. 446 del 1997 per l’addizionale regionale all’IRPEF. La Commissione Bilancio del Senato ha precisato che le regioni e le province predette (Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e province autonome di Trento e di Bolzano) provvedono ai trasferimenti ai comuni nel pieno rispetto dei rispettivi statuti di autonomia e delle loro norme di attuazione. Le stesse regioni e province autonome devono comunque assicurare ai comuni, nel quadro dei rispettivi rapporti finanziari, l’intero gettito dell’addizionale comunale "opzionale" all’IRPEF, di cui all’articolo 1, comma 3, del D.Lgs. n. 360 del 1998.


Comma 3
(Compensazione di minori entrate ICI)

Il comma 3 riproduce il testo dell’articolo 2 del decreto legge 2 novembre 1998, n. 376, "Disposizioni urgenti in materia di finanza locale".
Il comma in esame è stato introdotto dalla Camera, unitamente ai successivi commi 4, 5, 6, e 7, che riproducono anch’essi altrettante disposizioni del decreto legge n. 376/1998, e al comma 8, che reca la norma di salvaguardia degli effetti del medesimo decreto legge.

Il comma 3 stanzia 15 miliardi per l’anno 1998 come somma destinata a compensare i comuni che hanno subito una diminuzione delle entrate derivanti dal gettito dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) a seguito della minore rendita catastale attribuita ai fabbricati classificati nel gruppo "D".
L’articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, "Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421", stabilisce i criteri secondo i quali l’imposta comunale sugli immobili si applica ai fabbricati classificabili nella categoria catastale "D" quando essi non sono ancora iscritti a catasto, siano posseduti da imprese e contabilizzati distintamente da queste. Fino all’anno nel quale quei fabbricati sono iscritti in catasto il valore ai fini dell’ICI è costituito dall'ammontare che risulta dalle scritture contabili, al lordo delle quote di ammortamento. A quell’ammontare si applica inoltre un coefficiente di rivalutazione determinato per ciascun anno nel medesimo articolo 3. Il coefficiente di rivalutazione è aggiornato annualmente con decreto del Ministro delle finanze.
Da ultimo dispone il D.M. 24 marzo 1998, "Aggiornamento dei coefficienti per la determinazione del valore dei fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese agli effetti dell'imposta comunale sugli immobili (ICI) dovuta per l'anno 1998" (G.U. 14 aprile 1998, n. 86). Un ulteriore criterio di determinazione del valore ai fini dell’applicazione dell’ICI è data per quei medesimi fabbricati quando l’impresa li abbia in locazione finanziaria.
L’applicazione di questi criteri di determinazione del valore cessa all’atto della iscrizione dei fabbricati in catasto e con l’attribuzione della rendita catastale effettiva.
Il comma 3 in esame prevede di compensare i comuni per la diminuzione di gettito verificatasi quando con l’iscrizione a catasto di quegli immobili la rendita catastale attribuita sia risultata minore del valore assunto ai sensi del citato comma 3 dell’articolo 5. Ai comuni che hanno subito minori entrate è attribuito un "contributo" da parte dello Stato commisurato alla differenza fra il gettito dell’ICI per i medesimi fabbricati nell’anno 1993 e quello ottenuto nell’anno 1998, applicando alle due basi imponibili l’aliquota del 4 per mille. La misura del 4 per mille rende neutra la determinazione del gettito ICI rispetto alle variazioni di aliquota introdotte dai comuni. Il contributo così risultante viene corrisposto al netto della somma pari alla quota parte dei contributi ordinari destinati al finanziamento dei servizi indispensabili per le materie di competenza statale, delegate o attribuite al comune. I trasferimenti statali ai comuni sono stati ridefiniti nell’anno 1993 scontando il gettito ICI di ciascun comune in quell’anno. In quel caso l’ICI è stata considerata al netto della somma relativa al finanziamento dei servizi essenziali e, quindi, quella somma è già assicurata al comune nella commisurazione fatta ai sensi dell’articolo 36, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504. Quella medesima disposizione fissa convenzionalmente il finanziamento dei servizi indispensabili in un importo massimo pari al 5 per cento del complesso dei contributi ordinario e perequativo attribuito per il 1993.
Il contributo è costituito da una corresponsione "una tantum", per una spesa complessiva di 15 miliardi autorizzata per gli anni 1998 e 1999: la Camera ha infatti esteso l'autorizzazione di spesa anche al 1999, rispetto al solo 1998 previsto nel testo del decreto-legge n. 376 del 1998. In assenza di atti e procedure specifiche, la determinazione dell’ammontare spettante a ciascun comune e la relativa corresponsione sono effettuate con le modalità dei contributi ordinari.
Come ha precisato la Commissione Bilancio del Senato, in caso di insufficienza dello stanziamento le spettanze dei singoli comuni sono ridotte in misura proporzionalmente inversa all’entità della spesa corrente. Il testo approvato dalla Camera prevedeva, invece, che in caso di insufficienza dellostanziamento, le spettanze dei singoli comuni fossero proporzionalmente ridotte.
All’onere di 15 miliardi posto a carico del bilancio dello Stato si fa fronte con la riduzione - per pari cifra - dello stanziamento iscritto nel Fondo speciale di parte corrente, utilizzando gli accantonamenti relativi al Ministero di grazia e giustizia e al Ministero dell'interno (nel testo del decreto-legge la copertura è relativa al solo 1998 e riguarda l'accantonamento relativo al Ministero di grazia e giustizia).


Comma 4
(Lavori socialmente utili a Napoli e Palermo)

Il comma 4 dell’articolo 28 - aggiunto dalla Camera durante l'esame in Commissione bilancio - dispone una integrazione di 40 miliardi per il 1998 ai finanziamenti a favore del comune e della provincia di Napoli e del comune di Palermo, ai fini della prosecuzione degli interventi statali di lavori socialmente utili. Le disposizioni del comma in esame sono altresì contenute, in identica formulazione, nell'articolo 3 del decreto-legge 2 novembre 1998, n. 376, recante "Disposizioni urgenti in materia di finanza locale", attualmente all'esame del Senato (A.S. 3611).
La norma in esame non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.

L’intervento in oggetto ha avuto inizio - per l’area napoletana - con il D.L. 2 agosto 1984, n. 409, convertito, con modificazioni, in legge 28 settembre 1984, n. 618, portando alla costituzione di cooperative, formate da ex detenuti (circa 4000, secondo quanto riferito dal Ministero dell’interno) e impegnate in attività varie (per esempio, manutenzione e pulizie di scuole ed altri edifici pubblici). Successivamente il D.L. 4 settembre 1987, n. 366, convertito, con modificazioni, in legge 3 novembre 1987, n. 452, in seguito ad irregolarità riscontrate nella gestione, ha sottoposto le cooperative a gestione commissariale e al controllo di collegi sindacali. La prosecuzione dell’intervento è stata assicurata per il 1991 dall’art. 12, comma 1, del D.L. 12 gennaio 1991, n. 6, convertito, con modificazioni, in legge 15 marzo 1991, n. 80, che autorizzato una spesa di 120 mld., e per il 1992 dall’art. 1 della legge 20 gennaio 1992, n. 22, per un’ulteriore autorizzazione di 120 mld..
Quanto all’intervento nella città di Palermo, è stato inizialmente disposto dal D.L. 12 febbraio 1986, n. 24, convertito in legge 9 aprile 1986, n. 96. In questo caso si tratta di circa 1.600 operai edili, disoccupati per la conclusione di alcuni lavori in appalto del comune di Palermo e successivamente reimpiegati a tempo determinato per "lavori in economia relativi ad interventi indifferibili ed urgenti di manutenzione e salvaguardia del territorio nonché del patrimonio artistico e monumentale" della città di Palermo. Il proseguimento dell’intervento per il 1991 e 1992 è stato assicurato dalle medesime norme sopra citate per quanto riguarda le aree napoletane, rispettivamente i D.L. n. 6/1991 e la L. n. 22/1992, con un’autorizzazione di spesa di 90 mld. per ciascun anno.
L’art. 4, commi 8 e 9, del D.L. n. 148 del 1993 (convertito nella L. n. 236 del 1993) ha previsto un nuovo finanziamento, per l’anno 1993, pari a 100 miliardi per l’area napoletana e a 50 miliardi per il comune di Palermo.
Per il 1994 e il 1995 il finanziamento dell’intervento è stato assicurato rispettivamente dall’articolo 1, co. 3-4, del D.L. 27 agosto 1994, n. 515, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 ottobre 1994, n. 596 (125 miliardi a favore del comune e della provincia di Napoli e 50 miliardi a favore del comune di Palermo), e dall’art. 1, co. 2-3, del D.L. 27 ottobre 1995, n. 444, convertito, con modificazioni, dalla L. 20 dicembre 1995, n. 539 (130 miliardi a favore del comune e della provincia di Napoli e 56 miliardi a favore del comune di Palermo), concedendo anche la possibilità di impiegare eventuali disponibilità non utilizzate, derivanti dai contributi statali assegnati con i decreti-legge n. 409/1984 e n. 24/1986, sopra citati.
L’art. 1, comma 2, lett. f), del D.L. 25 novembre 1996, convertito, con modificazioni, nella L. 24 gennaio 1997, n. 5, ha disposto un ulteriore stanziamento, pari a 30 miliardi a favore dell’area napoletana e a 10 miliardi a favore del comune di Palermo. L'articolo 3, comma 1, del D.L. 25 marzo 1997, n. 67, convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, ha quindi disposto uno stanziamento per l’anno 1997 pari a 135 miliardi a favore del comune e della provincia di Napoli e a 55 miliardi a favore del comune di Palermo, ai fini della prosecuzione, nel medesimo anno, degli interventi statali di lavori socialmente utili.
Da ultimo, l'articolo 1-bis del D.L. 8 aprile 1998, n. 78, "Interventi urgenti in materia occupazionale", aggiunto dalla legge di conversione 5 giugno 1998, n. 176, ha previsto, al fine di provvedere ad una disciplina definitiva dei contratti riguardanti i lavoratori impegnati negli interventi finanziati ai sensi delle norme sopra citate, l'adozione da parte del Governo di "uno o più provvedimenti intesi, anche a mezzo di accordi di programma, a disciplinare la materia dei suddetti contratti e le forme dell'eventuale mobilità allo scopo di garantire sbocchi occupazionali nel settore pubblico ed in quello privato".

Il comma 4 in esame dispone dunque un ulteriore contributo di 40 miliardi di lire a valere sull'esercizio finanziario 1998 per il finanziamento di lavori ed opere pubbliche nell'area napoletana e palermitana. Il contributo è così ripartito: 30 miliardi a favore del comune e della provincia di Napoli; 10 miliardi a favore del comune di Palermo. All'erogazione provvederà il Ministero dell'interno entro trenta giorni dall'assegnazione dei fondi. La copertura finanziaria è assicurata a valere sui fondi speciali di cui alla legge finanziaria 1998, utilizzandosi per 20 mld. l'accantonamento relativo al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, e per 20 mld. l'accantonamento relativo al ministero della sanità.

NOTE
1 Il differimento dei termini per la deliberazione dei bilanci di previsione degli enti locali e delle tariffe e aliquote di imposta per i tributi e per i servizi locali in passato era affidato a singoli provvedimenti d'urgenza annuali di finanza locale, recanti le disposizioni destinate a disciplinare i singoli esercizi finanziari.
Dal 1997, la definizione del quadro dei trasferimenti erariali e delle risorse proprie degli enti locali, nonché il differimento dei termini suddetti, è affidato ai provvedimenti collegati (legge n. 662/1996, art. 1, comma 164, e legge n. 449/1997, art. 49, comma 1).


Comma 5
(Differimento del termine per l’iscrizione nei bilanci dei comuni
delle quote di ammortamento dei beni)

Il comma 5 riproduce il testo dell’articolo 4 del decreto legge 2 novembre 1998, n. 376, "Disposizioni urgenti in materia di finanza locale".
Come già ricordato, è stato introdotto dalla Camera unitamente ai commi 3, 4, 6, e 7, che riproducono anch’essi altrettante disposizioni del decreto legge n. 376/1998, e al comma 8, che reca la norma di salvaguardia degli effetti del medesimo decreto legge.
Il comma 5 differisce il termine a partire dal quale i comuni devono iscrivere nei propri bilanci gli ammortamenti per quote gradualmente crescenti sino al 30% del valore dei beni considerati. L’obbligo di iscrivere in bilancio le quote di ammortamento viene fatto decorrere ora a partire dall’anno 2000. Il differimento è disposto sostituendo il comma 1 dell'articolo 117 del D.Lgs. n. 77 del 1995, come successivamente modificato dall’articolo 1, comma 161, della legge n. 662 del 1996 (collegato alla finanziaria 1997).
L'art. 117, comma 1, del D.Lgs. n. 77/1995 disciplina la gradualità nell'ammortamento dei beni degli enti locali ai fini dell'applicazione delle norme di cui all'articolo 9 del medesimo decreto delegato che impone agli enti locali di iscrivere nell'apposito intervento di ciascun servizio l'importo dell'ammortamento accantonato per i beni relativi, secondo una precisa gradualità del valore, calcolato secondo i criteri stabiliti dall'articolo 71 del decreto stesso. L'applicazione delle prescrizioni di cui all'articolo 9, secondo l'originaria previsione del D.Lgs. n. 77/1995, iniziava a decorrere dal 1996; tale termine è stato tuttavia di volta in volta posticipato dall'intervento di successive disposizioni legislative sostitutive del comma 1 dell'articolo 117 del D.Lgs. n. 77/1995.
La gradualità nell'ammortamento dei beni degli enti locali era stata infatti inizialmente ridefinita dall'articolo 8, comma 1, lettera e), del decreto-legge 25 ottobre 1995, n. 444, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 539/1995, recante "Disposizioni urgenti in materia di finanza locale" che aveva fatto slittare di un anno i tempi di applicazione, per cui le disposizioni dell'articolo 9, originariamente destinate ad essere applicabili a partire dall'esercizio 1996, avrebbero dovuto applicarsi a partire dall'esercizio 1997, con le seguenti gradualità:
a) per il 1997 viene previsto almeno il 6 per cento del valore (anziché il 12 per cento);
b) per il 1998 il 12 per cento del valore (anziché il 18 per cento);
c) per il 1999 il 18 per cento del valore (anziché il 24);
d) per il 2000 il 24 per cento del valore (l'anno 2000 non era in precedenza contemplato).
Dall'anno 2001 in avanti sarebbe andata a regime la disciplina che prevede l'ammortamento nella misura minima del 30 per cento del valore, di cui all'art. 9 del D.Lgs. n. 77/1995.
L’articolo 1, comma 161, della legge n. 662 del 1996 ha sostituito il comma 1 dell'articolo 177 del D.Lgs. n. 77/1995 stabilendo che il termine iniziale per l'applicazione delle prescrizioni di cui all'articolo 9 del D.Lgs. n. 77/1995 e per l'introduzione, all'interno dei bilanci degli enti locali, del nuovo metodo di ammortamento decorre dal 1998, con le seguenti gradualità di valore:
a) per il 1998 il 6 per cento del valore;
b) per il 1999 il 12 per cento del valore;
c) per il 2000 il 18 per cento del valore;
d) per il 2001 il 24 per cento del valore.
Il comma 4 dell'articolo 49 della legge n. 449/1997 pone, come si è detto, al 1999 il termine iniziale per l'applicazione delle prescrizioni di cui all'articolo 9 del D.Lgs. n. 77/1995 e stabilisce la seguente gradualità:
a) per il 1999 il 6 per cento del valore;
b) per il 2000 il 12 per cento del valore;
c) per il 2001 il 18 per cento del valore;
d) per il 2002 il 24 per cento del valore.

Il nuovo differimento conserva i medesimi coefficienti di gradualità e slitta di un anno ciascuno dei valori per il periodo 2000-2003.

NOTE
1 Il differimento dei termini per la deliberazione dei bilanci di previsione degli enti locali e delle tariffe e aliquote di imposta per i tributi e per i servizi locali in passato era affidato a singoli provvedimenti d'urgenza annuali di finanza locale, recanti le disposizioni destinate a disciplinare i singoli esercizi finanziari.
Dal 1997, la definizione del quadro dei trasferimenti erariali e delle risorse proprie degli enti locali, nonché il differimento dei termini suddetti, è affidato ai provvedimenti collegati (legge n. 662/1996, art. 1, comma 164, e legge n. 449/1997, art. 49, comma 1).

 

2 Secondo il comma 7 dell'articolo 71 del D.Lgs. n. 77/1995 gli ammortamenti compresi nel conto economico sono determinati con i seguenti coefficienti:
a) edifici, anche demaniali, ivi compresa la manutenzione straordinaria al 3%;
b) strade, ponti ed altri beni demaniali al 2%;
c) macchinari, apparecchi, attrezzature, impianti ed altri beni mobili al 15%;
d) attrezzature e sistemi informatici, compresi i programmi applicativi, al 20%;
e) automezzi in genere, mezzi di movimentazione e motoveicoli al 20%;
f) altri beni al 20%.


Comma 6
(Ampliamento dei termini per la notifica da parte dei comuni
degli avvisi di accertamento e liquidazione dell’ICI)

Il comma 6 riproduce il testo dell’articolo 5, comma 1 del decreto legge 2 novembre 1998, n. 376, "Disposizioni urgenti in materia di finanza locale".
Come già ricordato, è stato introdotto dalla Camera unitamente ai commi 3, 4, 5 e 7, che riproducono anch’essi altrettante disposizioni del decreto legge n. 376/1998, e al comma 8, che reca la norma di salvaguardia degli effetti del medesimo decreto legge.
La norma in esame non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.

Il comma 6 proroga al 31 dicembre 1999 i termini in scadenza al 31 dicembre 1998 degli avvisi di liquidazione sulla base delle dichiarazioni e degli avvisi di accertamento in rettifica dell’ICI a partire dall’imposta dovuta per l’anno 1993.
L’articolo 11 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, "Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421" - decreto che istituisce l’ICI - disciplina le modalità ed i termini con i quali il comune procede al controllo delle dichiarazioni presentate dai contribuenti e verifica la rispondenza dei diversi elementi della dichiarazione secondo quanto risulta dalla dichiarazione stessa o emerge da informazioni assunte altrimenti. Sulla base dei controlli effettuati il comune, nel caso in cui l’imposta dichiarata o versata non corrisponda a quella dovuta, emette "avviso di liquidazione, con l'indicazione dei criteri adottati, dell'imposta o maggiore imposta dovuta e delle sanzioni ed interessi dovuti;". L'avviso deve essere notificato al contribuente, anche a mezzo posta mediante raccomandata con avviso di ricevimento, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia. Il termine è posto a pena di decadenza. Per l’imposta relativa all’anno 1993 il comma 3 dell’articolo 18 del D.Lgs., n. 504/1992 aveva attribuito agli uffici dell'Amministrazione finanziaria dello Stato la liquidazione e la rettifica delle dichiarazioni, l'accertamento, l'irrogazione delle sanzioni e degli interessi, la riscossione delle somme conseguentemente dovute. Questa effettuava tutte le attività a norma delle disposizioni vigenti in materia di accertamento, riscossione e sanzioni agli effetti delle imposte erariali sui redditi e dispone, quindi, del relativo termine quinquennale. Relativamente all’imposta dovuta per l’anno 1993 il termine entro cui l’amministrazione può emettere l’avviso di liquidazione scade il 31 dicembre 1998. Successivamente l’articolo 3 della legge 8 maggio 1998, n. 146, "Disposizioni per la semplificazione e la razionalizzazione del sistema tributario e per il funzionamento dell'Amministrazione finanziaria, nonché disposizioni varie di carattere finanziario" ha attribuito ai comuni , la liquidazione e la rettifica delle dichiarazioni, l'accertamento, la riscossione anche coattiva, l'applicazione delle sanzioni e degli interessi anche per l’imposta relativa all’anno 1993. Questi vi provvedono ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, salvo che per i termini di liquidazione e accertamento continuano ad applicarsi le disposizioni previste per le imposte erariali sui redditi.
Il primo periodo del comma 6 fissa ora quel termine al 31 dicembre 1999.

Nel caso in cui la denuncia del contribuente sia infedele, incompleta, inesatta, o sia stata del tutto omessa, il comune provvede alla rettifica delle dichiarazioni e delle denunce e, se ne ricorre il caso, all'accertamento d'ufficio se non sia stata presentata denuncia quando sussista l’obbligo tributario. Il comune emette avviso di accertamento motivato e determina la liquidazione dell'imposta o maggiore imposta dovuta e delle relative sanzioni ed interessi. In questi casi l'avviso, con le forme e modalità già dette per l’avviso di liquidazione, deve essere notificato, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia nel caso di rettifica di una dichiarazione presentata, ovvero, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo nel caso in cui la denuncia sia stata del tutto omessa. Anche per gli avvisi di accertamento relativi all’imposta dovuta per l’anno 1993 si applicava a disposizione transitoria del comma 3 dell’articolo 18 del D.Lgs., n. 504/1992, sia per la competenza dell’amministrazione centrale, sia per il termine ordinario del quinquennio, e si applica ora l’articolo 3 della citata legge n. 146/1998.
Questi termini sono anch’essi posti quindi al 31 dicembre 1998 e prorogati al 31 dicembre 1999 dalla disposizione in esame.

I termini di liquidazione e accertamento in rettifica relativi all’imposta dovuta per l’anno 1994 sono stati prorogati di un anno dall’articolo 3, comma 59, della legge n. 662/1996: il termine per gli avvisi di liquidazione al 31 dicembre 1997, quello per gli avvisi di accertamento al 31 dicembre 1998. Successivamente l’articolo 6-ter del decreto-legge 29 settembre 1997, n. 328, convertito con legge 29 novembre 1997, n. 410, "Disposizioni tributarie urgenti" ha fissato al 31 dicembre 1998 i termini per la notifica degli avvisi di liquidazione sulla base delle dichiarazioni e dei provvedimenti di irrogazione di sanzioni per infrazioni di carattere formale relativamente all'imposta comunale sugli immobili dovuta per gli anni 1994 e 1995. Quella disposizione ha inoltre prorogato al 31 dicembre 1998 anche i termini per gli avvisi di liquidazione per l’imposta dovuta per l’anno 1993 nei comuni compresi nei territori delle province autonome di Trento e Bolzano. Le province autonome hanno infatti competenza legislativa ed amministrativa in materia di finanza locale e - in ragione di ciò - non hanno trovato applicazione le altre proroghe della competenza della amministrazione centrale per l’imposta dovuta per l’anno 1993. Né trova applicazione diretta l’articolo 3 della legge n. 146/1998.

Per l’imposta dovuta relativamente agli anni 1994, 1995 e 1996 il comma 6 dispone una ulteriore proroga dei termini fissandoli anch’essi al 31 dicembre 1999. Specificamente:
gli avvisi di liquidazione relativi alle dichiarazioni ICI per gli anni 1994, 1995 e 1996; il termine relativo ai primi due è già stato prorogato al 31 dicembre 1998 dal decreto legge n. 328/1997, il terzo ha in questa data la sua scadenza naturale;
gli avvisi di accertamento in rettifica relativamente alle dichiarazioni ICI per gli anni 1994 e 1995; il primo termine già prorogato al 31 dicembre 1998 dalla legge n. 662/1996, il secondo alla sua scadenza naturale;
per contestazioni che non siano riferite all’ammontare dell’imposta e, dunque, non soggette ai vincoli posti per gli avvisi di liquidazione e accertamento, la lettera c) dispone che le amministrazioni finanziarie competenti possono contestare al contribuente, sino al 31 dicembre 1999, violazioni commesse negli anni dal 1993 al 1996.
Non sono considerati gli avvisi di accertamento per omessa presentazione. Secondo la disciplina ordinaria, infatti, questi possono essere notificati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o la denuncia dovevano essere presentate.


Comma 7
(Differimento del termine per la soppressione
della tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani
e per la copertura del costo del servizio mediante tariffa)

Il comma 7 riproduce il testo dell’articolo 5, comma 2 del decreto legge 2 novembre 1998, n. 376, "Disposizioni urgenti in materia di finanza locale".
Come già ricordato, è stato introdotto dalla Camera unitamente ai commi 3, 4, 5 e 6, che riproducono anch’essi altrettante disposizioni del decreto legge n. 376/1998, e al comma 8, che reca la norma di salvaguardia degli effetti del medesimo decreto legge.
L’articolo 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 "Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio" dispone che a partire dal 1° gennaio 1999 sia soppressa la tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) ed il servizio sia finanziato per intero tramite un sistema di tariffe che tengano conto delle componenti del costo.
A norma del comma 7 questo termine è ora differito al 1° gennaio 2000; per l’anno 1999 continua ad applicarsi la disciplina vigente e sono confermati i criteri di commisurazione della tassa adottati per il 1998.
La Commissione Bilancio del Senato ha tuttavia previsto che i comuni possono adottare sperimentalmente il pagamento del servizio in base alla tariffa. I relativi regolamenti non sono soggetti al controllo del Ministero delle finanze.

Si ricorda che in base all’articolo 52 del D.Lgs. n. 446 del 1997, le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti. Per quanto non regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti.
I regolamenti sono approvati con deliberazione del comune e della provincia non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione e non hanno effetto prima del 1 gennaio dell'anno successivo. I regolamenti sulle entrate tributarie sono comunicati, unitamente alla relativa delibera comunale o provinciale al Ministero delle finanze, entro trenta giorni dalla data in cui sono divenuti esecutivi e sono resi pubblici mediante avviso nella Gazzetta Ufficiale.
Il Ministero delle finanze può impugnare i regolamenti per vizi di legittimità avanti gli organi di giustizia amministrativa.

La sostituzione della Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani con un sistema di finanziamento a tariffa corrisponde, nella disciplina dettata dal D.Lgs n. 22/1997, alla riorganizzazione del servizio di smaltimento dei rifiuti secondo modalità che assumono come obiettivo primario la tutela dell’ambiente. Il Decreto legislativo n. 22/1997 ha introdotto infatti un nuovo quadro di riferimento per la gestione dei rifiuti da parte degli enti locali. Il sistema di copertura dei costi tramite la fissazione di una tariffa si conforma a questo nuova disciplina e ai suoi obiettivi. Per l’introduzione progressiva del nuovo sistema è previsto un periodo transitorio; l’articolo 57 del decreto legislativo n. 22/1997 stabilisce che sino alla entrata in vigore delle norme di attuazione del decreto restano in vigore gli attuali regolamenti che disciplinano la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti.
I comuni devono adeguare il loro sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti alla nuova classificazione dei rifiuti ne fa il decreto, alla nuova organizzazione delle funzioni, all’obiettivo ed ai minimi della raccolta differenziata e, comunque, a partire dal 1° gennaio 1999, devono adottare con regolamento e applicare il sistema delle tariffe. L’articolo 49 del decreto legislativo n. 22/1997 sopprime infatti a partire dalla stessa data la tassa per lo smaltimento dei rifiuti, di cui alla sezione II dal Capo XVIII del titolo III del testo unico della finanza locale, approvato con Regio Decreto 14 settembre 1931, n. 1175, e successive modificazioni. I proventi della tariffa devono coprire integralmente i costi per tutti i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o private ma soggette ad uso pubblico. La tariffa deve essere articolata per fasce di utenza territoriali ed è composta di due distinte quote: una prima che è determinata dall’incidenza degli investimenti e dei relativi ammortamenti sul costo del servizio; una seconda che tiene conto della quantità dei rifiuti che il soggetto passivo conferisce, della natura del servizio fornito, dei costi di gestione.
Nonostante i comuni avrebbero potuto approvare i regolamenti per l’applicazione della tariffa anche in via sperimentale prima del 1° gennaio 1999, questi non sono stati ancora adottati. Il comma 7 differisce il termine al 1° gennaio 2000 e conserva frattanto in vigore la disciplina vigente della T.AR.S.U. (per questa si fa rinvio alle note riportate di seguito al comma 23 di questo articolo).


Comma 8
(Salvaguardia degli effetti determinatisi
sulla base del decreto legge 2 novembre 1998, n. 376)

Il comma 8 costituisce la norma di salvaguardia degli effetti prodottisi a seguito del decreto-legge 2 novembre 1998, n. 376, "Disposizioni urgenti in materia di finanza locale", che viene abrogato (il termine per la conversione del decreto scade il 1° gennaio 1999).
Il comma è stato introdotto dalla Camera unitamente ai commi 3, 4, 5, 6 e 7, che riproducono nella sostanza il testo degli articoli 2-6 del decreto legge. La norma in esame non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.

Le disposizioni contenute nell’articolo 1 del decreto sono state riformulate come modifiche apportate al comma 1 dell’articolo in esame.
Secondo la rituale formula di salvaguardia, la disposizione dichiara validi gli atti ed i provvedimenti adottati e fa salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti.
Per il merito del decreto si fa rinvio alle schede relative ai commi 1 e 3-7 di quest’articolo.


Comma 9
(Determinazione dell’imposta di registro)

Il comma 9 dell’articolo 28 integra le disposizioni contenute all’articolo 61, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, recante "Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali" (c.d. decreto IRAP), relative alla riduzione dei trasferimenti erariali alle province e ai comuni a partire dal 1999 disposta a compensazione del trasferimento alle province e ai comuni del gettito derivante dall’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile proveniente dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, e dalle imposte di registro, ipotecaria e catastale.
La norma in esame non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.

Il comma 1 dell'articolo 61 del decreto legislativo n. 446/1997 dispone che, a decorrere dall'anno 1999, il fondo ordinario spettante alle provincie e quello spettante ai comuni vengano ridotti, rispettivamente, di un importo pari ai gettiti complessivamente riscossi nell'anno 1998 derivanti dall'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile proveniente dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, e dalle imposte di registro, ipotecaria e catastale, in concomitanza con il trasferimento del gettito stesso di queste imposte rispettivamente alle province e ai comuni.
La riduzione dei fondi per il 1999 viene parametrata ai gettiti stimati dall’amministrazione finanziaria per l’anno 1998 dei due tributi.
La stima del gettito annuo dei tributi, ai fini dell’assegnazione dei contributi ordinari, è effettuata dal Ministero delle finanze, per singola provincia e singolo comune, e comunicata al Ministero del tesoro e al Ministero dell'interno, non oltre il 31 luglio 1998.
Le riduzioni definitive delle dotazioni del fondo ordinario per le province e per i comuni sono determinate sulla base dei dati finali comunicati dal Ministero delle finanze ai detti Ministeri entro il 31 marzo 1999. Sulla base di tali dati sono introdotte le eventuali variazioni di bilancio.
Successivamente, il Ministro dell'interno provvede, con la seconda e la terza rata dei contributi ordinari relativi al 1999, ad operare i conguagli e a determinare in via definitiva l'importo annuo del contributo ridotto spettante ad ogni provincia e ad ogni comune a decorrere dal 1999.

Il comma 9 in esame integra la disciplina della devoluzione dell’imposta di registro ai comuni, dettata dal comma 1 dell’articolo 61 del D.Lgs. n. 446/1997, stabilendo che la determinazione definitiva della corrispondente detrazione dal fondo ordinario spettante ai comuni verrà effettuata nel 2001 in base alle risultanze medie del triennio 1998-2001 comunicati dal Ministero delle finanze entro il 31 marzo 2001.


Comma 10
(Fondo per le nuove province)

Il comma 10 dell’articolo 28 dispone la determinazione "a regime" della dotazione del "Fondo per la costituzione delle nuove province" (UPB 3.1.2.3. del Ministero dell’interno, cap. 1610), sulla base della quantificazione indicata dalla Tabella C del testo originario del disegno di legge finanziaria per il 1999 (A.C. 5266-bis), disponendone altresì l’accorpamento con il "Fondo ordinario per il finanziamento dei bilanci degli enti locali" (UPB 3.1.2.2, cap. 1601/Interno).
La norma in esame non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.

Il Fondo per la costituzione delle nuove province è istituito ai sensi dell’articolo 63 della legge 8 giugno 1990, n. 142, recante "Ordinamento delle autonomie locali", che prevedeva una delega al Governo per l’emanazione di decreti legislativi per la istituzione di nuove province.
Con decreti legislativi in data 6 marzo 1992 sono state, quindi, istituite:
la provincia di Biella (decreto legislativo n. 248/92);
la provincia di Crotone (decreto legislativo n. 249/92);
la provincia di Lecco (decreto legislativo n. 250/92);
la provincia di Lodi (decreto legislativo n. 251/92);
la provincia di Rimini (decreto legislativo n. 252/92);
la provincia di Vibo Valentia (decreto legislativo n. 253/92);
la provincia di Prato (decreto legislativo n. 254/92);
la provincia di Verbano - Cusio - Ossola (decreto legislativo n. 277/92).
Il comma 6 dell’articolo 63 demanda la quantificazione annuale del Fondo alla Tabella C della legge finanziaria.
La Tabella C del testo originario del disegno di legge finanziaria per il 1999 (A.C. 5266-bis) indicava la dotazione del Fondo per le nuove province (UPB 3.1.2.3, cap. 1610 dello stato di previsione del Ministero dell’interno) in 41,6 miliardi per il triennio.

La disposizione in esame - come modificata dalla Camera - quantifica definitivamente in 41,6 miliardi il Fondo per le nuove province, facendo confluire tale stanziamento nel Fondo ordinario per il finanziamento dei bilanci degli enti locali, mantenendo comunque l’originario vincolo di destinazione delle somme relative al Fondo per la costituzione delle nuove province, per le finalità per cui il fondo era stato costituito, ai sensi dell’articolo 63 della legge n. 142 del 1990.

Un ulteriore emendamento ha provveduto, di conseguenza, ad abrogare il comma 6 dell’articolo 63 della legge n. 142 del 1990 che riservava, come già ricordato, alla Tabella C della legge finanziaria la quantificazione annuale del Fondo per le nuove province.
La confluenza dello stanziamento del Fondo per le nuove province all’interno del Fondo ordinario, infatti, fa venir meno la necessità della sua annuale determinazione in Tabella C; l’aggiornamento annuale di tale stanziamento per le nuove province verrà determinato sulla base delle norme che disciplinano l’aggiornamento dei trasferimenti erariali ordinari agli enti locali, ai sensi dell’art. 35, comma 4, del D.Lgs. n. 504/1992 (e, per gli anni 1999 e 2000, in deroga alle norme vigenti, ai sensi dell’art. 49, comma 6, della legge n. 449/1997).

Si ricorda peraltro che l’articolo 1, comma 4, lettera b), del decreto legislativo n. 244/1997, recante il "Riordino del sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali", dispone la confluenza dei contributi a favore delle nuove province nel Fondo consolidato per province, comuni e comunità montane. Tuttavia, le disposizioni sul riordino del sistema dei trasferimenti erariali contenute nel decreto legislativo n. 244/1997, che in base al disposto dell’art. 9, comma 1, del decreto medesimo, avrebbero dovuto entrare in funzione nel 1999, non sono state prese in considerazione ai fini della determinazione dei contributi erariali per gli enti locali per il 1999 e anni seguenti, in quanto, come evidenziato nella Nota preliminare allo stato di previsione del Ministero dell’interno (A.C. 5188 – Tab. 8), non è stato ancora emanato il decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro del tesoro e del bilancio, che, a norma dell’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo n. 244/1997 dovrà provvedere all’aggiornamento dei dati inerenti alla determinazione e quantificazione dei fondi e relative assegnazioni agli enti locali con riferimento all’ultimo esercizio precedente.
A tale proposito si segnala che il comma 39 dell’articolo 28 - introdotto dalla Camera - posticipa al 1° gennaio 2000 l’entrata in vigore del decreto legislativo 30 giugno 1997, n. 244


Comma 11
(Determinazione dei trasferimenti erariali per il 1999)

Il comma 11 dell'articolo 28, come sostituito nel corso dell’iter presso la Camera, provvede alla determinazione dei trasferimenti erariali agli enti locali per l’anno 1999 nella medesima misura stabilita per il 1998.
La norma in esame non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.

Il primo periodo della disposizione in esame estende al 1999 le disposizioni previste dall'articolo 1, comma 164, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (provvedimento collegato alla legge finanziaria per il 1997), che definivano l'ammontare dei trasferimenti erariali agli enti locali per l'anno 1997, confermate dell’articolo 49, comma 1, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (provvedimento collegato alla legge finanziaria per il 1998), relativamente ai trasferimenti per l’anno 1998.

Il comma 164 dell’articolo 1 della legge n. 662/1996 stabiliva, al fine di adeguare i trasferimenti erariali ordinari all'inflazione e per restituire agli enti locali, seppure parzialmente, gli effetti delle riduzioni dei contributi apportati con il D.L. n. 41/1995, convertito dalla legge n. 85/1995, che i contributi erariali ordinari e perequativi spettanti ai comuni, alle province e alle comunità montane per l’anno 1997 venissero attribuiti con le seguenti variazioni:
- contributo di 180 miliardi spettante annualmente ai comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, che sono sottoposti al sistema della Tesoreria unica ai sensi dei commi 155-156 dell’articolo 1 della medesima legge n. 662/1996;
- aumento del fondo ordinario di 212.100 milioni, corrispondente, per ciascun comune e provincia, all'incremento dell'1,239% dei contributi a valere sul fondo ordinario definitivamente attribuiti nel 1995;
- incremento del fondo ordinario di 281.000 milioni, quale contributo spettante ai soli enti che hanno subito la riduzione dei trasferimenti nel 1995 ai sensi dell'articolo 3 del D.L. n. 41/1995 (c.d. manovra Dini). I contributi sono ripartiti in misura proporzionale ai contributi erariali assegnati per il 1996 a tale titolo;
- incremento del fondo ordinario di 10 miliardi da destinare alla provincia di Catanzaro per 3.850 milioni, alla provincia di Forlì per 3.150 milioni ed alla provincia di Vercelli per 3 miliardi a seguito della situazione di crisi finanziaria evidenziatasi in tali amministrazioni dopo la costituzione di nuove province a valere su parte del territorio di queste;
- incremento del fondo ordinario di 3 miliardi per l’erogazione di contributi per la fusione e l’unione di comuni, da attribuire con le modalità ed i criteri a tale titolo stabiliti per il 1996;
- riduzione di 506,1 miliardi del fondo perequativo per gli squilibri della fiscalità locale per il finanziamento degli incrementi sopra richiamati.

Conseguentemente, la legge di bilancio per il 1998 (legge 27 dicembre 1997, n. 453) indica una dotazione del cap. 1601 dello stato di previsione del Ministero dell'interno "Fondo ordinario per il finanziamento dei bilanci degli enti locali" (U.P.B. 3.1.2.2.) pari a 16.303,9 miliardi.
Tale importo è stato successivamente aumentato a 17.062,8 miliardi dal disegno di legge di assestamento.

Il secondo periodo del comma 11 dell'articolo 28, nella nuova formulazione approvata dalla Camera, prevede che per il 1999, in attesa dell’entrata in funzione del decreto legislativo 30 giugno 1997, n. 244, recante il "Riordino del sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali", la ripartizione tra gli enti locali dell’incremento annuale dei trasferimenti erariali avviene con i criteri e le finalità stabilite ai sensi dell’articolo 49, comma 1, lettera a), della legge n. 449/1997.

Per quanto riguarda la determinazione dell’incremento annuale, si ricorda che secondo la normativa vigente (art. 35, comma 4, del D.Lgs. n. 504/1992), la base di riferimento per l'aggiornamento delle risorse correnti agli enti locali è costituita dal fondo ordinario, considerato al lordo delle riduzioni previste per la quota spettante ai comuni. L'aggiornamento è operato con riferimento ad un andamento coordinato con i princìpi di finanza pubblica e con la crescita della spesa statale, in misura pari ai tassi di incremento, non riducibili nel triennio, contenuti nei documenti di programmazione economico-finanziaria dello Stato.
Soltanto per gli anni 1994 e 1995, il comma 4 dell'art. 35 del D.Lgs. n. 504 del 1992 stabiliva espressamente - in via eccezionale - che l'incremento fosse pari al tasso di inflazione programmato, così come indicato nel Documento di programmazione economico-finanziaria per il triennio 1993-1995.
Per gli anni 1996 e 1997, invece, l'incremento dei trasferimenti correnti è stato calcolato, in applicazione dell'art. 35, comma 4, del D.Lgs. n. 504, sulla base del tasso di crescita delle spese statali (intese come spese correnti al netto degli interessi) pari all'1,6% per il 1996 e al 2,5% per il 1997, sull'ammontare della dotazione del fondo ordinario, come determinato nella legge di bilancio.
Per gli anni 1999 e 2000, a modifica di quanto stabilito dalla normativa vigente e dal decreto legislativo n. 244/1997, il comma 6 dell’articolo 49 della legge n. 449/1997 ha stabilito che la base di riferimento per l'aggiornamento dei trasferimenti statali correnti da attribuire alle province, ai comuni e alle comunità montane sia costituita dalle dotazioni dell'anno precedente relative al fondo ordinario, al fondo consolidato e al fondo perequativo (confluenti in un’unica UPB 3.1.2.2. del Ministero dell’Interno).
La disposizione specifica inoltre che l'incremento annuale dei trasferimenti verrà determinato in misura pari ai tassi di inflazione programmati per gli anni 1999 e 2000, che nel Documento di programmazione economico-finanziaria per il triennio 1999-2001 sono fissati all'1,5 per cento per entrambi gli anni.

Per quanto riguarda i criteri di distribuzione dell’incremento delle risorse erariali, la lettera a) del comma 1 dell’articolo 49 della legge n. 449/1997 faceva riferimento ai criteri indicati dall'articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 30 giugno 1997, n. 244, recante il "Riordino del sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali", che prevede che sino all'entrata in funzione del nuovo sistema delineato dal D.Lgs. n. 244/1997, i trasferimenti erariali siano corrisposti agli enti locali nella misura stabilita dalla legislazione vigente.
Ai sensi di quanto disposto dal citato art. 35, comma 4, del D.Lgs. n. 504 del 1992, gli incrementi annuali dei trasferimenti correnti agli enti locali, per la parte spettante alle provincie ed ai comuni sono destinati, a decorrere dal 1994, esclusivamente alla perequazione degli squilibri della fiscalità locale, mentre per la parte spettante alle comunità montane gli incrementi affluiscono al fondo ordinario. Tali risorse aggiuntive vengono infatti ripartite ai soli enti le cui risorse risultino al di sotto della media pro-capite della fascia demografica di appartenenza in misura proporzionale allo scarto rispetto alla media stessa, considerando le risorse quali costituite dai contributi ordinari e consolidati maggiorati per i comuni dell'I.C.I. al 4 per mille a suo tempo detratta e per le province dell'A.P.I.E.T. a suo tempo detratta.

Si ricorda tuttavia che la disciplina dettata dal secondo periodo del comma 11 dell’articolo 28 in esame per la ripartizione tra gli enti locali dell’incremento annuale dei trasferimenti erariali, vale a decorrere dal 1999 in attesa dell’entrata in funzione del decreto legislativo 30 giugno 1997, n. 244, recante il "Riordino del sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali".

Si ricorda infatti in tale sede che il sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali disciplinato dal decreto legislativo n. 504/1992 è stato in larga parte superato dal decreto legislativo n. 244/1997, emanato in attuazione della delega prevista dall’articolo 1, comma 175, della legge n. 662/1996 (provvedimento collegato alla finanziaria per il 1997).
Il riordino del sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali è infatti strumentale al più vasto piano di revisione dell'ordinamento delle autonomie locali in atto, e consequenziale all'attuazione del decentramento fiscale a favore delle regioni, attuato con il decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che ha potenziato l'autonomia finanziaria degli enti territoriali mediante la semplificazione e la riorganizzazione dell'ordinamento tributario degli enti locali.
Tuttavia, le disposizioni sul riordino del sistema dei trasferimenti erariali contenute nel decreto legislativo n. 244/1997, che in base al disposto dell’art. 9, comma 1, del decreto medesimo, avrebbero dovuto entrare in funzione nel 1999, non sono state prese in considerazione ai fini della determinazione dei contributi erariali per gli enti locali per il 1999 e anni seguenti, in quanto, come evidenziato nella Nota preliminare allo stato di previsione del Ministero dell’interno (A.C. 5188 – Tab. 8), non è stato ancora emanato il decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro del tesoro e del bilancio, che, a norma dell’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo n. 244/1997 dovrà provvedere all’aggiornamento dei dati inerenti alla determinazione e quantificazione dei fondi e relative assegnazioni agli enti locali con riferimento all’ultimo esercizio precedente.
Si segnala che il comma 39 dell’articolo 28 in esame, introdotto dalla Camera, posticipa al 1° gennaio 2000 l’entrata in funzione del decreto legislativo 30 giugno 1997, n. 244.

NOTE

1 In particolare si ricorda che il decreto n. 41/1995 ha stabilito una riduzione degli stanziamenti complessivi previsti per gli enti locali iscritti nel bilancio dello Stato per il 1995, di un ammontare complessivo pari a 670 miliardi, dei quali 600 miliardi relativi ai comuni e 70 alle province, corrispondente al 3 per cento dell’ammontare stesso. Tale riduzione, pur disposta per il 1995, viene confermata per gli anni 1996 e seguenti dal successivo comma 4 dell'articolo 3 del decreto medesimo. Essa ha, dunque, carattere permanente.
2 Si ricorda, infatti, che l'articolo 63 della legge n. 142/1990, recante "Ordinamento delle autonomie locali", dava delega al Governo per l'istituzione di nuove province. Con decreti legislativi in data 6 marzo 1992 sono state, quindi, istituite: la provincia di Biella (decreto legislativo n. 248/92); la provincia di Crotone (decreto legislativo n. 249/92); la provincia di Lecco (decreto legislativo n. 250/92); la provincia di Lodi (decreto legislativo n. 251/92); la provincia di Rimini (decreto legislativo n. 252/92); la provincia di Vibo Valentia (decreto legislativo n. 253/92); la provincia di Prato (decreto legislativo n. 254/92); la provincia di Verbano – Cusio – Ossola (decreto legislativo n. 277/92).
3 I criteri e le modalità della concessione sono stabiliti con decreto del Ministro dell'interno, sentita l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e l'Unione nazionale comuni, comunità ed enti della montagna (UNCEM).
4 Soltanto a decorrere da quel momento cesseranno di avere efficacia le disposizioni di cui agli articoli da 34 a 43 del D.Lgs. n. 504/1992.


Comma 12
(Unioni e fusioni tra comuni)

Il comma 12 dell’articolo 28 - introdotto dalla Camera - stabilisce che una quota delle risorse aggiuntive dei trasferimenti erariali, determinatesi ai sensi dell'articolo 49, comma 6, della legge n. 449/1997, sia destinata al finanziamento delle unioni e delle fusioni tra comuni.
La norma in esame non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.

Il comma 6 dell’articolo 49 della legge n. 449/1997 stabilisce la base di riferimento per l'aggiornamento dei trasferimenti statali correnti per gli anni 1999 e 2000 da attribuire alle province, ai comuni e alle comunità montane.
A modifica di quanto stabilito dalla normativa vigente e dal decreto legislativo n. 244/1997, il citato comma 6 ha stabilito che per gli anni 1999-2000 la base di riferimento per l'aggiornamento dei trasferimenti statali correnti da attribuire alle province, ai comuni e alle comunità montane sia costituita dalle dotazioni dell'anno precedente relative al fondo ordinario, al fondo consolidato e al fondo perequativo (confluenti in un’unica UPB 3.1.2.2. del Ministero dell’Interno).
La disposizione specifica inoltre che l'incremento annuale dei trasferimenti viene determinato in misura pari ai tassi di inflazione programmati per gli anni 1999 e 2000, che nel Documento di programmazione economico-finanziaria per il triennio 1999-2001 sono fissati all'1,5 per cento per entrambi gli anni.
Si ricorda che secondo la normativa vigente (art. 35, comma 4, del D.Lgs. n. 504/1992), la base di riferimento per l'aggiornamento delle risorse correnti agli enti locali è costituita dal fondo ordinario, considerato al lordo delle riduzioni previste per la quota spettante ai comuni. L'aggiornamento è operato con riferimento ad un andamento coordinato con i princìpi di finanza pubblica e con la crescita della spesa statale, in misura pari ai tassi di incremento, non riducibili nel triennio, contenuti nei documenti di programmazione economico-finanziaria dello Stato.
Soltanto per gli anni 1994 e 1995, il comma 4 dell'art. 35 del D.Lgs. n. 504 del 1992 stabiliva espressamente - in via eccezionale - che l'incremento fosse pari al tasso di inflazione programmato, così come indicato nel Documento di programmazione economico-finanziaria per il triennio 1993-1995.
Per gli anni 1996, 1997 e 1998, invece, l'incremento dei trasferimenti correnti è stato calcolato, in applicazione dell'art. 35, comma 4, del D.Lgs. n. 504, sulla base del tasso di crescita delle spese statali (intese come spese correnti al netto degli interessi) pari all'1,6% per il 1996,al 2,5% per il 1997 e al 3% per il 1998, sull'ammontare della dotazione del fondo ordinario, come determinato nella legge di bilancio.

Ai sensi di quanto disposto dal citato art. 35, comma 4, del D.Lgs. n. 504 del 1992, gli incrementi annuali dei trasferimenti correnti agli enti locali, per la parte spettante alle provincie ed ai comuni sono destinati, a decorrere dal 1994, esclusivamente alla perequazione degli squilibri della fiscalità locale.
Tali risorse aggiuntive vengono infatti ripartite ai soli enti le cui risorse risultino al di sotto della media pro-capite della fascia demografica di appartenenza in misura proporzionale allo scarto rispetto alla media stessa, considerando le risorse quali costituite dai contributi ordinari e consolidati maggiorati per i comuni dell'I.C.I. al 4 per mille a suo tempo detratta e per le province dell'A.P.I.E.T. a suo tempo detratta.

Il comma 12 in esame stabilisce che al finanziamento delle unioni e delle fusioni tra comuni vengano destinate quote pari a 10 miliardi per il 1999, 20 miliardi per il 2000 e 30 miliardi per il 2001, che vengono detratte dall’ammontare delle risorse aggiuntive createsi ai sensi dell'articolo 49, comma 6, della legge n. 449/1997, corrispondenti all’incremento dei trasferimenti erariali per l’anno 1999 rispetto al 1998, determinato in misura pari ai tassi di inflazione programmati che, per l’anno 1999, nel Documento di programmazione economico-finanziaria per il triennio 1999-2001 risulta fissato all'1,5 per cento.

Al finanziamento delle unioni e delle fusioni tra comuni l’ultimo periodo del comma 12 destina un ulteriore contributo pari a 3 miliardi per il triennio 1999-2001.


Comma 13
(Sanatoria)

Il comma 13 dell’art. 28 - aggiunto dalla Camera - introduce una norma di sanatoria relativamente ai contributi erogati a comuni e province negli anni 1996, 1997 e 1998, ai sensi dell'articolo 3, comma 9, del decreto-legge 27 ottobre 1995, n. 444, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 539/1995.
La norma in esame non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.

Il secondo periodo del comma 9 dell'articolo 3 del D.L. n. 444/1995 prevedeva per l’anno 1995 l’erogazione di un contributo di 105 miliardi da parte del Ministero dell’interno ai comuni ed alle province che per effetto della riduzione dei trasferimenti erariali operata ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito dalla legge n. 85/1995, hanno subito una detrazione superiore al 3% della spesa corrente del 1995.

Si ricorda che il predetto articolo 3 del decreto-legge n. 41/1995 prevedeva una riduzione dei trasferimenti agli enti locali per un ammontare complessivo di 670 miliardi (600 relativi ai comuni e 70 alle province) in termini di competenza.
La riduzione è disposta per il 1995, (comma 3) e resta ferma per gli anni 1996 e seguenti (comma 4): essa ha dunque carattere permanente.
Il contributo di 105 miliardi concesso ai sensi del comma 9, dell’articolo 3, del D.L. n. 444/1995 era in realtà previsto per il solo anno 1995; tuttavia è stato erogato dal Ministero dell’interno ai comuni anche negli anni 1996 e 1997, in quanto ritenuto anch’esso di carattere permanente.
A seguito dell’opposizione del Ministero del tesoro, nel corso dell’anno 1998 è sorto il conflitto interpretativo sulla possibilità di erogare in maniera consolidata il contributo in questione, per il quale è stato richiesto il parere del Consiglio di Stato.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto corretta la posizione assunta dal Ministero del tesoro, ritenendo giuridicamente dovute soltanto le somme per il 1995.


Commi 14, 20 e 25-27
(Disposizioni in materia di TOSAP)

I commi 14, 20, 25, 26 e 27 - inseriti nel corso dell’esame presso la Camera - riguardano la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP).

Istituita con gli articoli 192 e seguenti del vecchio testo unico sulla finanza locale, la TOSAP è stata oggetto di profonda revisione ad opera del D.Lgs. n. 507/1993, emanato in attuazione della legge n. 421/1992. Nella nuova disciplina il tributo si riferisce sia agli spazi di qualsiasi natura, in strade, piazze, mercati o altro, sia agli spazi sovrastanti o sottostanti il suolo (ad esempio, condutture sotterranee e fili elettrici), sia allo stazionamento di taxi e vetture di piazza negli appositi spazi (parcheggi) loro destinati.
Oggetto della tassa sono le occupazioni di qualsiasi natura effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e comunque, su beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province. La tassa è dovuta al comune o alla provincia dal titolare dell'atto di concessione o di autorizzazione ed in mancanza di queste anche dall'occupante di fatto, anche abusivo, della superficie. I comuni e le province sono tenuti ad approvare un apposito regolamento per l'applicazione della tassa e ad adottare le tariffe entro il 31 ottobre di ogni anno, con entrata in vigore prevista per il 1° gennaio dell'anno successivo.
Ai fini della tassazione le occupazioni sono distinte in due categorie: occupazioni permanenti ed occupazioni temporanee. L'art. 42 del D.Lgs. n. 507/1993, come modificato dal D.Lgs. n. 566/1993, stabilisce infatti (comma 1) che le occupazioni possono essere:
a) permanenti, qualora abbiano come presupposto un atto di concessione per un periodo di tempo non inferiore all'anno, ed abbiano carattere "stabile", con o senza manufatti o impianti;
b) temporanee, nel caso in cui siano state approvate con un'autorizzazione per una durata inferiore all'anno.

Il comma 14 prevede l’abrogazione della disposizione di delega di cui al n. 2 della lettera e) del comma 143 dell’articolo 3 della legge n. 662/1996, nonché la relativa disposizione di attuazione, contenuta alla lettera a) del comma 2 dell’articolo 51 del D.Lgs. n. 446/1997. Si tratta delle norme che stabilivano che, contestualmente all’introduzione dell’IRAP, nell’ambito del riordino della disciplina dei tributi locali, dal 1° gennaio 1999 dovessero essere aboliti alcune tasse ed imposte, tra le quali era inclusa anche la TOSAP.
Stante la permanenza della TOSAP, il comma 20 prevede la riformulazione del comma 1 dell’articolo 63 del citato D. Lgs. che nell’attuale formulazione già consente a province e comuni di disporre, con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 52 dello stesso D. Lgs., che l’occupazione, anche temporanea, di strade, aree e relativi spazi sovrastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, sia assoggettata, in sostituzione della TOSAP, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione.
Va peraltro rilevato che l’articolo 63 è diretto ad attuare le disposizioni di delega di cui alla lettera h) del comma 149 dell’articolo 3 della legge n. 662 che prevede l’attribuzione alle province e ai comuni della facoltà di stabilire, per l’occupazione di aree del rispettivo demanio o patrimonio indisponibile, di cui agli articoli 824 e 826 del codice civile, il pagamento di un canone determinato sulla base di una tariffa che tenga conto, oltre che delle esigenze di bilancio, del valore economico della disponibilità dell’area in relazione al tipo di attività, del sacrificio imposto alla collettività con la rinuncia all’uso pubblico dell’area stessa, e dell’aggravamento degli oneri di manutenzione derivanti dall’occupazione del suolo e del sottosuolo. Si prospetta, in sostanza, una revisione dei canoni di concessione sulla base di numerose parametri e non esclusivamente in relazione al valore economico dell’area.
Rispetto all’attuale formulazione del comma 1 dell’articolo 63, il testo approvato dalla Camera contiene una modifica consistente nell’introduzione di un periodo iniziale in base al quale comuni e province possono escludere l’applicazione della TOSAP nel proprio territorio. Restano invece immutate - dopo le precisazioni introdotte dalla Commissione Bilancio del Senato - le restanti disposizioni, in particolare per quanto concerne l’individuazione degli immobili per i quali può essere disposto il pagamento del canone.
Al riguardo, si può rilevare che la modifica prospettata sembra riprodurre la soluzione adottata, nell’ambito del medesimo D. Lgs. n. 446, per quanto concerne l’imposta comunale sulla pubblicità. Infatti, l’articolo 62 consente ai comuni di stabilire che nel proprio territorio tale imposta non si applichi e, contemporaneamente, di prevedere, con regolamento, che alcune iniziative pubblicitarie possono essere sottoposte al pagamento di un canone. Si tratterebbe, quindi, di un rafforzamento dell’autonomia regolamentare di comuni e province.
Sempre in tema di TOSAP, il comma 25 dell’art. 28 in esame sostituisce interamente la lettera g) del comma 2 del medesimo articolo 63, che riguarda i casi occupazioni abusive. Nel nuovo testo della lettera g), si distingue anzi tutto tra occupazioni abusive permanenti, che sarebbero quelle "realizzate con impianti e manufatti di carattere stabile", ed occupazioni abusive temporanee. Inoltre, si differenzia l’entità dell’indennità dovuta, fermo restando che, comunque, rispetto alla formulazione vigente, viene disposta una attenuazione dell’onere a carico dei soggetti interessati. Infatti, mentre nel testo vigente si prevede che per le occupazioni abusive debba applicarsi una sanzione pecuniaria di importo compreso tra l’ammontare del canone e il doppio dello stesso, in aggiunta a quelle previste dal codice della strada, nel nuovo testo si prevede una maggiorazione del canone fino al 50%, per quelle permanenti, mentre per quelle temporanee si stabilisce una presunzione in forza della quale esse sarebbero da considerare come effettuate "dal trentesimo giorno antecedente la data del verbale di accertamento".
Sempre in tema di sanzioni, il comma 26 dell’art. 28 prevede l’inserimento, al medesimo articolo 63, di una lettera g-bis), in base alla quale i regolamenti che comuni e province potranno adottare dovranno definire anche le sanzioni pecuniarie da applicare in presenza di violazioni delle disposizioni recate dai medesimi regolamenti, a tal fine stabilendosi che l’importo delle sanzioni non possa essere inferiore a quello previsto alla precedente lettera né superiore al doppio dello stesso, ferme restando quelle previste dal codice della strada.

Il comma 27 consente ai comuni e alle province di applicare, per i "rapporti non ancora conclusi", le agevolazioni previste, per quanto concerne la TOSAP, al comma 63 dell’articolo 17 della legge n. 127/1997, che includono anche la possibilità di disporre la completa esenzione, per quanto riguarda le superfici e gli spazi gravati da canoni concessori non ricognitori.

La Commissione Bilancio del Senato ha soppresso il comma 22 del testo approvato dalla Camera che, sostituendo, nell’articolo 64, comma 2, del D.Lgs. n. 446/97 - istitutivo dell’IRAP - al termine del 31 dicembre 1998 quello del 31 dicembre 1999, posticipava di un anno i termini inerenti la facoltà dei comuni di prorogare i contratti per la gestione dei servizi - aventi scadenza anteriore alla data citata - di accertamento e riscossione dell’imposta sulle pubblicità e sulla TARSU, di cui rispettivamente agli articoli 25 e 52 del D.Lgs. n. 507/93.


Comma 15
(Disposizioni in materia di imposta provinciale di trascrizione)

Il comma 15, introdotto dalla Camera, interviene in materia di imposta provinciale di trascrizione. La norma in esame non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.

Si ricorda che la lettera d) del comma 149 dell'articolo 3 della legge n. 662 del 1996, ha previsto la possibilità per le province di istituire un'imposta provinciale di trascrizione, iscrizione e annotazione dei veicoli al pubblico registro automobilistico. A tal fine nelle norme deleganti si stabilisce che debba essere preventivamente determinata una tariffa base nazionale per tipo e potenza dei veicoli (numero 1), che successivamente le province possono aumentare fino ad un massimo del 20 per cento (numero 2). Peraltro, la tariffa base dovrebbe garantire il gettito dell'imposta erariale di trascrizione, iscrizione e annotazione dei veicoli al PRA e della relativa addizionale provinciale di cui ai punti 4) e 5) della lettera d) del comma 143 si prevede la soppressione. Al numero 3) della lettera d) è stato altresì stabilito che al concessionario della riscossione delle tasse automobilistiche si debba attribuire anche il compito di provvedere alla liquidazione, alla riscossione e alla contabilizzazione dell'imposta provinciale di cui si prevede l'istituzione, nonché l'obbligo di riversare alla tesoreria di ciascuna provincia le somme riscosse.

Il citato articolo 56 del D.Lgs. n. 446 del 1997, dando attuazione ai criteri di delega sopra richiamati, consente alle province di istituire, a decorrere dal 1° gennaio 1999, un'imposta provinciale di trascrizione, iscrizione e annotazione dei veicoli al pubblico registro automobilistico, destinata a sostituire:
- l'imposta erariale di trascrizione, iscrizione e annotazione dei veicoli al pubblico registro automobilistico (Iet);
- l'addizionale provinciale alla suddetta imposta (Apiet).
Le disposizioni dell'articolo 56 vanno collegate a quelle del successivo articolo 57, dedicato alle modifiche apportate all'imposta di registro, e tendenti a realizzare un sistema di tassazione più semplificato.
Come è noto, la stipula di un atto pubblico che ha come oggetto esclusivo un veicolo comporta la presentazione dell'atto prima all'ufficio del registro, dove deve essere registrato, con versamento della relativa imposta di registro; quindi vi è l'obbligo di registrare il veicolo al pubblico registro automobilistico (Pra), con versamento dell'Apiet.
A decorrere dal 1999, invece, verrà meno l'obbligo di richiedere la registrazione presso l'ufficio del registro competente degli atti pubblici di natura traslativa o dichiarativa aventi per oggetto veicoli a motore, e conseguentemente di effettuare il pagamento dell'imposta di registro.
Sulla base delle disposizioni dell'articolo 57, si deve sottolineare che dal 1° gennaio 1999 anche le donazioni di veicoli non saranno più soggette a imposta, né potranno più essere computati nel valore complessivo dei beni che compongono l'azienda, ai fini dell'imposta di registro, gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse.
Occorre ricordare, inoltre, che il comma 4 dell'articolo 56 del D.Lgs. n. 446 del 1997, dando attuazione al numero 3) della citata lettera d) del comma 149, ha stabilito che, con proprio regolamento, le province disciplinano la liquidazione, la riscossione e la contabilizzazione dell'imposta provinciale di trascrizione e i relativi controlli, nonché l'applicazione delle sanzioni per l'omesso o il ritardato pagamento dell'imposta stessa in misura non inferiore ad una volta né superiore a quattro volte l'imposta dovuta. Detti adempimenti sono affidati allo stesso concessionario della riscossione delle tasse automobilistiche il quale riversa alla tesoreria di ciascuna provincia nel cui territorio sono state eseguite le relative formalità le somme riscosse inviando alla provincia stessa la relativa documentazione. In caso di affidamento in concessione a terzi della riscossione delle tasse automobilistiche e dell'imposta provinciale di trascrizione, deve, comunque, essere assicurata l'esistenza di un archivio nazionale dei dati fiscali relativi ai veicoli iscritti nel pubblico registro automobilistico. L'imposta suppletiva deve essere richiesta dalla provincia entro il termine di tre anni dalla data in cui la formalità è stata eseguita. Ai rimborsi dell'imposta provvede la competente provincia.

Il meccanismo che prevede l'intervento del concessionario per la riscossione delle tasse automobilistiche (introdotto dal richiamato comma 4 dell'articolo 56 del D.Lgs. n. 446/1997, in attuazione del criterio di delega di cui al numero 3) della lettera d), comma 149, dell'articolo 3 della legge n. 662 del 1996), potrebbe risultare inoperante ove le regioni decidessero di riscuotere in proprio le tasse automobilistiche, eliminando così la figura giuridica del concessionario.

Infatti, il comma 10 dell'articolo 17 della legge n. 449 del 1997 (provvedimento collegato alla legge finanziaria per il 1998) prevede l'attribuzione alle regioni a statuto ordinario, a decorrere dal 1° gennaio 1999, delle competenze in materia di accertamento, riscossione, recupero, applicazione delle sanzioni, rimborsi e contenzioso relativamente alle tasse automobilistiche non erariali, con modalità che saranno stabilite con decreto del Ministro delle finanze sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Con lo stesso provvedimento, o con altro decreto, dovrà essere approvato lo schema tipo di convenzione che le regioni potranno utilizzare per affidare a terzi, mediante procedure ad evidenza pubblica, le attività di controllo e riscossione. Quanto alla riscossione coattiva, si rinvia alle disposizioni del D.P.R. n. 43 del 1988 istitutivo del Servizio di riscossione dei tributi.
Il comma 11 dello stesso articolo 17 della legge n. 449 del 1997, inserito nel corso dell’esame al Senato, prevede che i tabaccai possono riscuotere le tasse automobilistiche previa adesione ad apposita convenzione tipo, da approvare con decreto del Ministro delle finanze, sentita la Conferenza permanente Stato-regioni. Tale convenzione dovrà disciplinare le modalità di collegamento telematico con il concessionario della riscossione e di riversamento al concessionario stesso delle somme riscosse. La convenzione dovrà altresì determinare il compenso spettante ai tabaccai per ciascuna operazione di versamento, nonché le garanzie da prestare per lo svolgimento dell'attività.
Il successivo comma 12 stabilisce che entro dieci mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 449 del 1997, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome, è disciplinato il rapporto uniforme tra i tabaccai e le regioni, tenuto conto delle previsioni del comma 10.
Infine, il comma 14 ha prorogato ulteriormente al 31 dicembre 1998 la convenzione tra il Ministero delle finanze e l'Automobile Club Italia, già prorogata al 31 dicembre 1997 dal comma 139 dell'articolo 3 della legge n. 662 del 1996. In relazione alla possibilità di affidare ai tabaccai la riscossione delle tasse automobilistiche, il comma prevede che la proroga operi compatibilmente con le disposizioni di cui ai precedenti commi 11 e 12.

Il comma 15 in esame,
al fine di eliminare i possibili inconvenienti sopra evidenziati, prevede che fino al 31 dicembre 1999 le attività di liquidazione, riscossione e contabilizzazione dell'imposta provinciale di trascrizione, i relativi controlli e l'applicazione delle sanzioni sono affidati al competente ufficio del pubblico registro automobilistico (P.R.A.).

Va rilevato che sulla materia in esame interviene, con diversa impostazione, anche l'articolo 8 del disegno di legge A.S. 3599, all'esame della Commissione finanze e tesoro del Senato,
che sostituisce interamente il numero 3) della lettera d) del comma 149 dell'articolo 3 della legge n. 662 del 1996, attribuendo alle province il compito di provvedere alla liquidazione, riscossione e contabilizzazione dell'imposta. L'articolo 8 stabilisce che a tal fine esse potranno assolverlo direttamente, anche nelle forme associate di cui agli articoli 24, 25 , 26 e 28 della legge 8 giugno 1990, n. 142, (modalità per lo svolgimento coordinato o associato di funzioni proprie degli enti locali) o mediante affidamento a terzi. Occorre, tuttavia, rilevare che mentre il richiamo agli articoli 24 (convenzioni anche tra province) e 25 (consorzi costituiti anche tra province) della legge n. 142 del 1990 appare congruo, non altrettanto si può dire per il richiamo agli articoli 26 (unione di comuni) e 28 (comunità montane) della stessa legge n. 142 del 1990, trattandosi di forme associative riguardanti i soli comuni.


Commi 16 e 18
(Termini per l'attribuzione ai comuni di alcune imposte erariali)

Il comma 16 in esame, introdotto dalla Camera, differisce al 1° gennaio 2000 il termine per l'attribuzione ai comuni del gettito derivante dalle imposte di registro, ipotecaria e catastale, riscosse sugli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà o di diritti reali sui beni immobili ubicati nel comune.
La norma in esame, come quella recata dal comma 18, non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.

L'articolo 60 del D.Lgs. n. 446 del 1997 prevede, a decorrere dal 1° gennaio 1999 (comma 5), l’attribuzione alle province e ai comuni del gettito di alcune imposte erariali.
Alle province viene attribuito (comma 1) il gettito dell’imposta sulle assicurazioni, di cui all'articolo 1, primo comma, lettera b), della legge n. 1216/1961, contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, al netto del contributo previsto sui premi assicurativi a favore del fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive (art. 6, comma 1, lettera a), del DL n. 419/1991, convertito dalla legge n. 172/1992). Ai comuni viene invece attribuito (comma 2) il gettito derivante dalle imposte di registro, ipotecaria e catastale, riscosse sugli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà o di diritti reali sui beni immobili ubicati nel comune. Con decreti ministeriali saranno stabilite le modalità per l’assegnazione alle province e ai comuni delle imposte spettanti; mentre le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano provvedono all’attuazione delle disposizioni predette in conformità dei rispettivi statuti.
Il comma 5 dell'articolo 60, oltre a prevedere la decorrenza delle disposizioni con effetto dal 1 gennaio 1999, prevede che la norma di cui comma 2 si applica con riferimento alle imposte riscosse sugli atti pubblici formati, sulle scritture private autenticate e sugli atti giudiziari pubblicati o emanati, nonché sulle scritture private non autenticate presentate per la registrazione, a decorrere dalla medesima data del 1° gennaio 1999.

Con il comma 16 in esame il termine del 1° gennaio 1999, con riferimento alla sola attribuzione ai comuni del gettito di imposte erariali, di cui al comma 2 dell'articolo 60 del D.Lgs. n. 446 del 1997, viene differito al 1° gennaio 2000.

Conseguentemente vengono differiti di un anno (comma 18) tutti i riferimenti temporali contenuti nell'articolo 61 dello stesso D.Lgs. n. 446 del 1997, limitatamente all'attribuzione ai comuni delle citate imposte di registro, ipotecarie e catastali.

Il citato articolo 61 stabilisce le misure finanziarie necessarie a compensare le minori entrate erariali derivanti dalla soppressione dell’imposta erariale di trascrizione e dalla devoluzione, rispettivamente, alle province del gettito dell’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile proveniente dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, e ai comuni delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, secondo quanto stabilito dal precedente articolo 60, attraverso la corrispondente riduzione dei trasferimenti statali agli enti locali a decorrere dal 1999.
Tale disposizione risulta necessaria al fine di assicurare che non si producano oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato o effetti negativi per la finanza locale quale conseguenza del generale riordino del sistema dei tributi locali, in ottemperanza a quanto previsto dal comma 151 dell'articolo 3 della legge n. 662/96.
Il comma 1 dell'articolo 61 dispone che, a decorrere dall'anno 1999, il fondo ordinario spettante alle provincie e quello spettante ai comuni vengono ridotti, rispettivamente, di un importo pari ai gettiti complessivamente riscossi nell'anno 1998 derivanti dall'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile proveniente dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, ai sensi del comma 1 del precedente articolo 60, e dalle imposte di registro, ipotecaria e catastale, di cui al comma 2 del medesimo articolo 60, in concomitanza con il trasferimento del gettito stesso di dette imposte rispettivamente alle province e ai comuni.
La riduzione dei predetti fondi per il 1999 viene parametrata ai gettiti stimati dall’amministrazione finanziaria per l’anno 1998 dei due tributi. La stima del gettito annuo dei tributi, ai fini dell’assegnazione dei contributi ordinari, è effettuata dal Ministero delle finanze, per singola provincia e singolo comune, e comunicata al Ministero del tesoro e al Ministero dell'interno, non oltre il 31 luglio 1998.
Le riduzioni definitive del fondo ordinario per le province ed i comuni sono determinate sulla base dei dati finali comunicati dal Ministero delle finanze ai detti Ministeri entro il 31 marzo 1999. Sulla base di tali dati sono introdotte le eventuali variazioni di bilancio.
Successivamente, il Ministro dell'interno provvede, con la seconda e la terza rata dei contributi ordinari relativi al 1999, ad operare i conguagli e a determinare in via definitiva l'importo annuo del contributo ridotto spettante ad ogni provincia e ad ogni comune a decorrere dal 1999.
Il comma 3 stabilisce che la riduzione dei trasferimenti statali viene effettuata in primo luogo sui trasferimenti ordinari; ove questi si rivelassero insufficienti a coprire le minori entrate derivanti dal trasferimento del gettito dei tributi le somme non recuperate possono essere decurtate dagli altri contribuire di parte corrente dovuti al singolo ente locale dal Ministero dell'interno, oppure, in ultima analisi, dai contributi in conto capitale.
Il comma 4 dispone infine che il meccanismo di riduzione dei trasferimenti statali previsto dall’articolo 61 in esame interessa gli enti locali delle sole regioni a statuto ordinario. Per le regioni a statuto speciale si prevede che le operazioni di riequilibrio dei contributi ordinari previste dall'articolo 3 del D.Lgs. n. 244/1997, trovino applicazione solo dopo il recepimento nei rispettivi statuti delle disposizioni di cui al presente articolo e di quelle di cui al precedente articolo 60, concernente l'attribuzione alle provincie ed ai comuni del gettito delle imposte erariali sopra citate.


Comma 17
(Finanziamento della mobilità ciclistica)

Il comma 17 in esame, introdotto dalla Commissione Bilancio del Senato, abroga il comma 3 dell’articolo 10 della legge 19 ottobre 1998, n. 366, recante norme per il finanziamento della mobilità ciclistica.
In particolare, il citato comma 3 dell’articolo 10 ha modificato il primo periodo del comma 4 dell’articolo 208 del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, (nuovo codice della strada) prevedendo che i proventi spettanti alle regioni, province e comuni per il pagamento delle sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni delle disposizioni del codice della strada (allorquando le violazioni sono accertate da funzionari, ufficiali ed agenti, rispettivamente, delle regioni, province e comuni) vengano devoluti, in misura non inferiore al 20 per cento, alla realizzazione di interventi in favore della mobilità ciclistica.
Il comma 17 in esame, abrogando il comma 3 dell’articolo 10, e quindi il vincolo di destinazione delle risorse agli interventi per la mobilità ciclistica, dispone affiché riacquisti efficacia il primo periodo del comma 4 dell’articolo 208 del D.Lgs. n. 285 del 1992, nel testo previgente alla data di entrata in vigore della citata legge n. 366 del 1998.
Conseguentemente, i proventi agli enti territoriali sono devoluti alle finalità di cui al comma 2 dello stesso articolo 208 (per studi, ricerche e propaganda ai fini della sicurezza stradale; redazione dei piani urbani di traffico, per finalità di educazione stradale, ecc.) nonché al miglioramento della circolazione sulle strade, al potenziamento e miglioramento della segnaletica stradale, alla redazione dei piani di cui all'articolo 36 del D.Lgs. n. 285 del 1992 (ancora i ricordati piani di traffico urbano ed i piani del traffico per la viabilità extraurbana), e alla fornitura di mezzi tecnici necessari per i servizi di polizia stradale di loro competenza.


Comma 19
(Indicazione del codice fiscale nei ruoli)

Il comma 19 in esame, introdotto dalla Camera, differisce dal settembre 1998 al luglio 1999 il termine a partire dal quale non possono essere formati e resi esecutivi ruoli privi dell'indicazione del codice fiscale del contribuente. La norma in esame non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.

Il comma 1 dell'articolo 24 della legge n. 449 del 1997 ha reso obbligatoria l'utilizzazione del codice fiscale nel rapporto intercorrente fra gli enti impositori ed i concessionari del servizio di riscossione.
A tale scopo si è provveduto in primo luogo al integrare il terzo comma dell'articolo 12 del D.P.R. n. 602 del 1973, che stabilisce che il ruolo deve contenere i nomi dei contribuenti per ordine alfabetico e indicare, per ciascuno di essi, le generalità, il domicilio fiscale, il periodo d'imposta, l'imponibile, l'aliquota applicata, l'ammontare della relativa imposta, l'ammontare dei versamenti diretti, l'ammontare dell'imposta dovuta nonché quello degli interessi, delle soprattasse e delle pene pecuniarie, inserendo anche il codice fiscale. La lettera b) dello stesso comma 1 dell'articolo 24 ha inserito poi un ulteriore comma al medesimo articolo 12 del D.P.R. n. 602, stabilendo che non possono essere formati e resi esecutivi ruoli privi dell'indicazione del codice fiscale del contribuente. Si è previsto inoltre che i concessionari del servizio di riscossione dei tributi sono tenuti a far riferimento al codice fiscale del soggetto iscritto a ruolo allorché gli enti impositori richiedano informazioni sullo stato delle procedure poste in essere a carico dello stesso. Le disposizioni del comma di cui è stato previsto l’inserimento nel citato articolo 12 del D.P.R. n. 602 del 1973 si applicano ai ruoli emessi a partire dal mese di settembre 1998.


Commi 21 e 22
(Porzioni di terreno utilizzate ad uso pubblico)

Il comma 21, inserito dalla Camera, stabilisce che, in sede di revisione catastale, gli enti locali possono disporre, con proprio provvedimento, l'accorpamento al demanio stradale delle porzioni di terreno utilizzate ad uso pubblico, ininterrottamente da oltre venti anni, previa acquisizione del consenso da parte dei proprietari.
La norma in esame, come quella recata dal successivo comma 22, non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.

La disposizione, seppur chiara nel suo intento, opera un riferimento improprio alla revisione catastale, che sarà operata con il coinvolgimento degli enti locali e che riguarderà il catasto fabbricati. Probabilmente, il riferimento alla revisione catastale vuole individuare un contesto temporale nel quale inquadrare anche il trasferimento di cui si tratta, che incide su problematiche civilistiche e non fiscali.
Si ricorda che ai sensi dell'articolo 822, secondo comma, del codice civile fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico. Inoltre, ai sensi del successivo articolo 824 del codice civile, i beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell'articolo 822, se appartengono alle province o ai comuni, sono soggetti al regime del demanio pubblico.

Per quanto riguarda invece la revisione catastale, si osserva che il comma 154 dell'articolo 3 della legge n. 662 del 1996 ha previsto che con uno o più regolamenti, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine dell'aggiornamento del catasto e della sua gestione unitaria con province e comuni, anche per favorire il recupero dell'evasione, venga disposta la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d'estimo, della qualificazione, classificazione e classamento delle unità immobiliari e dei relativi criteri nonché delle commissioni censuarie, secondo i seguenti principi:
a) attribuzione ai comuni di competenze in ordine alla articolazione del territorio comunale in microzone omogenee, secondo criteri generali uniformi;
b) individuazione delle tariffe d'estimo di reddito facendo riferimento, al fine di determinare la redditività media ordinariamente ritraibile dalla unità immobiliare, ai valori e ai redditi medi espressi dal mercato immobiliare con esclusione di regimi legali di determinazione dei canoni;
c) intervento dei comuni nel procedimento di determinazione delle tariffe d'estimo. A tal fine sono indette conferenze di servizi in applicazione dell'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Nel caso di dissenso, la determinazione delle stesse è devoluta agli organi di cui alla lettera d);
d) revisione della disciplina in materia di commissioni censuarie. La composizione delle commissioni e i procedimenti di nomina dei componenti sono ispirati a criteri di semplificazione e di rappresentatività tecnica anche delle regioni, delle province e dei comuni;
e) attribuzione della rendita catastale alle unità appartenenti alle varie categorie ordinarie con criteri che tengono conto dei caratteri specifici dell'unita` immobiliare, del fabbricato e della microzona ove l'unità è sita.

A tali disposizioni è stata data attuazione con il D.P.R. n. 138 del 1998.
In particolare, per quanto concerne l'articolazione del territorio comunale in microzone, il comma 1 dell'articolo 2 ha precisato che per microzona si intende una porzione del territorio comunale o, nel caso di zone costituite da gruppi di comuni, un intero territorio comunale che presenta omogeneità nei caratteri di posizione, urbanistici, storicoambientali, socioeconomici, nonché nella dotazione dei servizi ed infrastrutture urbane. In ciascuna microzona le unità immobiliari sono uniformi per caratteristiche tipologiche, epoca di costruzione e destinazione prevalenti; essa individua ambiti territoriali di mercato omogeneo sul piano dei redditi e dei valori, ed in particolare per l'incidenza su tali entità delle caratteristiche estrinseche delle unità immobiliari.
Ai sensi del comma 2 del citato D.P.R. n. 138, i comuni provvedono a delimitare nell'ambito del proprio territorio, le microzone, in base ai criteri definiti nell'articolo 2 in parola e nelle norme tecniche allegate allo stesso regolamento, con la lettera A.
In sede di prima applicazione, le deliberazioni del consiglio comunale sono adottate, sentito il competente ufficio provinciale del dipartimento del territorio, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore del D.P.R. n. 138 del 1998. Una copia degli atti deliberativi, con i relativi allegati grafici e descrittivi, viene trasmessa al suddetto ufficio a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, entro quindici giorni dalla data di deliberazione (comma 3 dell'articolo 2 del D.P.R. n. 138/1998).
Qualora il comune non abbia adottato le deliberazioni entro il termine ivi previsto, provvede il competente ufficio del dipartimento del territorio, entro i successivi centoventi giorni. Nello stesso termine la relativa determinazione è trasmessa al comune a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
Infine, il comma 5 dello stesso articolo 2, stabilisce che qualora siano intervenute significative variazioni nel tessuto edilizio-urbanistico, ovvero nella dotazione di servizi ed infrastrutture, i comuni, sentiti i competenti uffici del dipartimento del territorio ovvero su richiesta dei suddetti uffici, possono procedere ad una nuova delimitazione delle microzone, con deliberazione del consiglio comunale, da comunicare al competente ufficio provinciale del dipartimento del territorio nei termini e con le modalità di cui al comma 3 del medesimo articolo 2 . La deliberazione ha effetto dal 1 gennaio dell'anno successivo.
Nei confronti delle deliberazioni e le determinazioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell'articolo 2 in discorso, il comune o l'ufficio provinciale del dipartimento del territorio, entro trenta giorni dalla ricezione dei relativi atti, possono formulare osservazioni alla commissione censuaria provinciale, deducendo la violazione dei criteri definiti nel presente articolo e nelle norme tecniche di cui all'allegato A. Entro i successivi sessanta giorni la commissione definisce in via definitiva l'articolazione in microzone.

Per quanto invece concerne l'intervento dei comuni nel procedimento di determinazione delle tariffe d'estimo, l'articolo 6 del D.P.R. n. 138 del 1998 stabilisce che gli uffici periferici del dipartimento del territorio, entro trenta giorni dal completamento delle operazioni di revisione delle tariffe d'estimo delle unità immobiliari urbane, indicono, ai sensi dell'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, conferenze di servizi a livello di singola zona censuaria, alle quali sono invitati i comuni compresi nella zona medesima (comma 1).
La determinazione delle tariffe d'estimo, nel caso di dissenso espresso del comune, è effettuata dalla competente commissione censuaria provinciale (comma 2).
Entro quindici giorni dalla conclusione del procedimento di cui al comma 1 dell'articolo 6 in parola, i quadri di qualificazione e classificazione ed i prospetti delle tariffe d'estimo di ciascuna zona censuaria, sono trasmessi per la loro approvazione alle commissioni censuarie, ai sensi degli articoli 30, 31 e 32 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 650, e successive modificazioni ed integrazioni; in tale sede la commissione provvede altresì alla definizione delle tariffe d'estimo che, ai sensi del comma 2, abbiano formato oggetto di dissenso da parte dei comuni.

Il successivo comma 22 stabilisce che la registrazione e la trascrizione del provvedimento di accorpamento avvengono a titolo gratuito: ciò comporta la non applicabilità dei tributi relativi al trasferimento, ai sensi dell'articolo 55, comma 2, del D.Lgs. n. 346 del 1990 (testo unico delle imposte sulle successioni e donazioni) e dell'articolo 1, comma 2, del D.Lgs 347 del 1990 (testo unico delle imposte ipotecaria e catastale).


Commi 23 e 24
(Disposizioni in materia di Tarsu)

I commi 23 e 24 dell’articolo 28 - introdotti dalla Camera - dettano disposizioni in materia di tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu).
Le norme in esame non sono state modificate dalla Commissione Bilancio del Senato.

La tassa per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (c.d. TARSU) è disciplinata dal capo III (artt. 58-81) del D.Lgs. n. 507/1993, e successive modifiche. La nuova disciplina ha abrogato la previgente normativa contenuta negli articoli da 268 a 271 del Testo Unico della finanza locale.
La tassa è dovuta per il servizio di smaltimento, raccolta, cernita, trasporto, trattamento, ammasso, deposito e discarica sul suolo e nel suolo dei rifiuti solidi urbani interni, e dei rifiuti ad essi equiparati, effettuato nell'ambito di tutto il territorio comunale, eventualmente anche nelle zone con insediamenti sparsi. Le tariffe sono commisurate al servizio ottenuto ed ai rifiuti prodotti attraverso un sistema che, pur riferendosi al parametro della superficie imponibile, collega lo stesso alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti. Sono equiparati ai rifiuti urbani quelli derivanti da attività artigianali, commerciali e di servizi dichiarati assimilabili con il regolamento comunale del servizio di nettezza urbana.
In base a quanto stabilito dall'articolo 61 del D.Lgs. n. 507/1993, il gettito complessivo della tassa, che non può comunque essere superiore al costo di esercizio del servizio, non deve risultare inferiore al 70% dello stesso costo per gli enti locali con gravi ed incontrovertibili condizioni di squilibrio economico risultanti dal conto consuntivo (art. 45, co. 2, lett. b, del D.Lgs. n. 504/1992) e al 50% per gli altri enti. Il costo di esercizio comprende le spese inerenti al servizio e comunque gli oneri diretti e indiretti, nonché le quote di ammortamento dei mutui e gli oneri finanziari dovuti agli enti proprietari.
In particolare, il citato comma 3-bis dell'articolo 61, introdotto dalla lettera b) del comma 68 dell'articolo 3 della legge n. 549/1995, stabilisce a regime i criteri di determinazione del costo di esercizio dei servizi di nettezza urbana, nel senso di prevedere una deduzione dal costo complessivo dei servizi di nettezza urbana (che il gettito complessivo della tassa non può mai superare) di un importo non inferiore al 5% e non superiore al 15%, a titolo di costo dello spazzamento dei rifiuti. L'eventuale eccedenza di gettito derivante dalla deduzione è computata in diminuzione del tributo iscritto a ruolo per l'anno successivo.
Il soggetto passivo obbligato alla corresponsione della tassa è, ai sensi dell'art. 63 del D.Lgs. n. 507/1993, colui che occupa oppure detiene i locali o le aree scoperte interessate al tributo.
La tassa è commisurata (art. 65, D.Lgs. n. 507/1993) alle quantità e qualità medie ordinarie dei rifiuti che possono essere prodotti nei locali, in base all'uso cui gli stessi locali o aree sono destinati oppure, per i comuni con popolazione inferiore a 35.000 abitanti, in base alla qualità, alla quantità effettivamente prodotta, dei rifiuti solidi urbani e al costo dello smaltimento.
Esclusioni dal tributo sono disposte dall'art. 62 mentre l'articolo 66 detta disposizioni in materia di riduzioni; l'art. 67 consente ai comuni di prevedere nel regolamento di attuazione della tassa (di cui al successivo art. 68) delle agevolazioni sotto forma di riduzioni e, in via eccezionale, di esenzioni.
Si ricorda peraltro che il D.Lgs. n. 22/1997 (c.d. decreto Ronchi), di riordino della normativa in materia di rifiuti, prevede l'abrogazione della TARSU e l'istituzione di una tariffa a copertura dei costi di gestione dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, a decorrere dal 1° gennaio 1999 (tale termine è peraltro differito al 1° gennaio 2000 dal comma 6 dell’articolo 24 in esame).

Il comma 23
prevede che, in deroga alle disposizioni del comma 3-bis dell'articolo 61, i comuni, ai fini della determinazione del costo di esercizio dei servizi di nettezza urbana gestiti in regime di privativa, possono considerare l'intero costo dello spazzamento dei rifiuti solidi urbani di cui all'articolo 7 del cit. D.Lgs. n. 22/1997.

Il comma 24 interviene in materia di riscossione della TARSU, di cui all’articolo 72 del D.Lgs. n. 507/1993.
Tale articolo fissava, al comma 1, il termine per la formazione e consegna dei ruoli all’intendenza di finanza per il visto di esecutorietà al 15 dicembre dell'anno in corso, a pena di decadenza.
Il suddetto comma, come modificato dal comma 24 in esame - oltre a specificare che la consegna avviene non più all’intendenza di finanza bensì al concessionario della riscossione - fissa il termine all'anno successivo a quello per il quale il tributo è dovuto ovvero, in caso di liquidazione in base a denuncia tardiva o ad accertamento, all'anno successivo a quello nel corso del quale è prodotta la denuncia o è notificato l'avviso di accertamento. Relativamente alla formazione e all'apposizione del visto dei ruoli principali e suppletivi riguardanti gli anni 1995, 1996 e 1997, il termine viene fissato al 31 dicembre 1999.


Commi 28-30
(Corrispettivi dei servizi di depurazione e fognatura)

Le disposizioni in esame - inserite dalla Camera - prevedono che, con decorrenza 1° gennaio 1999, il corrispettivo dovuto per i servizi di depurazione e di fognatura costituiscano una quota di tariffa del servizio idrico integrato, ai sensi dell’art. 13 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 "Disposizioni in materia di risorse idriche" (mentre ad esempio l’art. 2, comma 3-bis, del D.L. 79/95 definisce transitoriamente tali corrispettivi come canoni o diritti).
Le norme in esame non sono state modificate dalla Commissione Bilancio del Senato.

Gli articoli da 13 a 15 della legge n. 36/1994 stabiliscono i criteri di determinazione delle tariffe del servizio idrico.
In base a tale normativa, la tariffa, definita come corrispettivo per la prestazione del servizio idrico integrato (il quale comprende captazione, adduzione, distribuzione, fognatura e depurazione) viene determinata dagli enti locali ed applicata dai soggetti gestori. La determinazione della tariffa deve tener conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.

Si menziona che con il Decreto del Ministro dei lavori pubblici 1° agosto 1996 è stato approvato il metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato, e con il successivo D. M. 8 gennaio 1997, n. 99 è stato emanato il regolamento sui criteri e sul metodo in base ai quali valutare le perdite degli acquedotti e delle fognature.
Altri interventi legislativi hanno via via introdotto normative di carattere transitorio applicabili nel periodo che precede la completa attuazione delle disposizioni della legge n. 36/1994.
In particolare, per consentire la definizione delle tariffe ed assicurare la regolare riscossione dei relativi canoni o diritti anche in mancanza dei provvedimenti di attuazione, è stata introdotta una disciplina provvisoria con due successivi atti legislativi. Il primo di tali interventi è stato realizzato con il decreto-legge 17 marzo 1995, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 172/1995, recante la nuova disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli scarichi civili non recapitanti in pubbliche fognature.
L'articolo 2, comma 3, del provvedimento, riformulando il secondo comma dell'articolo 17 della legge n. 319/1976, disponeva che, in caso di mancata elaborazione, entro il 31 luglio 1995, del metodo normalizzato di cui all'articolo 13, della legge n. 36/1994 e sino all'elaborazione dello stesso, alla definizione dei criteri, dei parametri e dei limiti per la determinazione e l'adeguamento delle tariffe del servizio idrico avrebbe dovuto provvedere il CIPE, con particolare riferimento alle quote di tariffe riferite al servizio di fognatura e di depurazione.
In conformità ai predetti criteri, si è consentito agli enti gestori del servizio di elevare, con deliberazioni da adottare entro il 30 ottobre di ciascun anno, le tariffe per le acque provenienti da insediamenti civili e produttivi per adeguarle ai maggiori costi di esercizio e di investimento, al fine di migliorare il controllo e la depurazione degli scarichi e la tutela dei corpi idrici ricettori, tenendo conto, per le utenze industriali, della qualità e della quantità delle acque reflue scaricate.
La mancata adozione del provvedimento nel termine indicato ed i ritardi complessivamente registrati nell'attuazione del nuovo regime tariffario, previsto dalla legge n. 36, hanno indotto ad elaborare una nuova disciplina di carattere transitorio, inserita nell'art. 3, commi 42-47, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.
Tali disposizioni - destinate a trovare applicazione fino all'entrata in vigore della tariffa del servizio idrico integrato prevista dall'art. 13 della legge n. 36/1994 - definivano le modalità di determinazione e riscossione della quota della tariffa riferita al servizio di depurazione.
In particolare, per le utenze civili, si provvedeva a fissare in via legislativa la predetta quota tariffaria, che veniva determinata, per ogni metro cubo d'acqua, nella misura di lire 400 per l'anno 1996 e di lire 500 a decorrere dal 1997.
Per le utenze industriali, la norma si limitava a definire i criteri per la determinazione della tariffa da parte dei comuni o loro consorzi. La tariffa è riscossa dai comuni e dai loro consorzi "secondo le procedure fiscali vigenti". Sono escluse dall'applicazione delle tariffe le acque termali qualora non siano assoggettate all'obbligo di utilizzare il servizio di depurazione.
In particolare, per quanto attiene alla riscossione della quota tariffaria da parte dei comuni e dei loro consorzi, il comma 42 della legge n. 549/1995 rinvia alle "procedure fiscali vigenti in materia di canoni di fognatura e di depurazione", come da ultimo disciplinate dal citato D.L. n. 79/1995, che all'articolo 2, comma 3-bis, stabilisce che fino alla data di entrata in vigore della tariffa del servizio idrico integrato, per l'accertamento del canone o del diritto dovuto dagli utenti ai soggetti gestori, continuano ad applicarsi, in quanto compatibili, le disposizioni del testo unico per la finanza locale (approvato con R.D. n. 1175/1931), mentre la riscossione è effettuata, previa notificazione dell'avviso di liquidazione o di accertamento, ai sensi degli artt. 68 e 69 del DPR n. 43/1988 che prevedono la riscossione coattiva delle somme dovute da eseguirsi mediante ruolo compilato a cura dell'ente interessato. Per quanto riguarda il contenzioso trovano infine applicazione le disposizioni dell'art. 20 del DPR n. 638/1972.
Recentemente, con la deliberazione 18 dicembre 1997 il Cipe ha approvato le "Direttive per la determinazione, in via transitoria, delle tariffe degli acquedotti e del canone di fognatura per l’anno 1998".

Il comma 28 provvede quindi ad abrogare le disposizioni transitorie in materia di riscossione dei canoni sopra richiamate, conseguentemente alla ridefinizione come "quota di tariffa" dei corrispettivi.

Il successivo comma 29 introduce nuove disposizioni transitorie, confermando sostanzialmente la competenza del CIPE - fino all’entrata in vigore del metodo normalizzato - per quanto concerne la fissazione dei criteri per la determinazione e l’adeguamento delle tariffe. Per il 1999 la deliberazione del CIPE deve essere adottata entro il 28 febbraio 1999, con la possibilità per i comuni interessati di assumere le relative delibere di adeguamento entro il 15 maggio 1999.

Con il comma 30 si provvede ad assoggettare al regime IVA, con aliquota fissata in misura pari al 10%, le operazioni relative ai servizi di fognatura e depurazione, nonché le prestazioni riguardanti la gestione di impianti di fognatura e depurazione.


Commi 31-33
(Disponibilità delle somme ricavate dai mutui
contratti dagli enti locali)

I commi 31 e 32 - introdotti dalla Camera - consentono agli enti locali di poter effettuare, secondo una procedura più rapida ed aderente all’andamento dei lavori, i pagamenti per le opere pubbliche in corso di realizzazione. Le due disposizioni modificano il criterio secondo il quale possono essere utilizzate le disponibilità di tesoreria provenienti dai mutui appositamente contratti. Il comma 33 introduce una norma interpretativa del regime di tesoreria delle somme ricavate dai mutui contratti dagli enti locali con enti diversi dalla Cassa depositi e prestiti e dagli altri istituti di credito speciale.
Le norme in esame non sono state modificate dalla Commissione Bilancio del Senato.

Il comma 31 abroga la lettera f) del comma 2 dell’articolo 46 del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77 (e successive modificazioni ed integrazioni) " Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali". L’articolo 46 disciplina le modalità ed i limiti per l'assunzione di mutui da parte degli enti locali, nonché la disponibilità delle somme ricavate. In particolare la lettera f) del comma 2 dispone che nella stipulazione del mutuo per la realizzazione di un’opera pubblica il contratto di mutuo debba prevedere che l’utilizzo delle somme debba avvenire in base ai documenti giustificativi della spesa, ovvero sulla base di stati di avanzamento dei lavori. Questa disposizione definisce preventivamente il piano di utilizzazione delle somme e rende difficile adattare i successivi ordini di pagamento all’andamento effettivo dei lavori. La disposizione trova applicazione sia ai mutui contratti con gli enti di credito speciale, sia ai mutui contratti presso il circuito finanziario ordinario.

Questa disposizione viene ora sostituita da un nuovo criterio che fa riferimento agli ordini di pagamento emessi dall’ente mutuatario e non alla fase di stipulazione del mutuo. Il comma 32 in esame aggiunge infatti la nuova disciplina con il comma 2-bis inserito all’articolo 49 del decreto legislativo n. 77/1995. Le modalità di utilizzazione del ricavato del mutuo sono decise direttamente - ed in fase di realizzazione dell’opera - dall’ente mutuatario stesso il quale, secondo le esigenze che si presentano, emette i titoli di spesa ai quali da esecuzione il tesoriere. L’utilizzazione può avvenire sulla base dei documenti giustificativi della spesa (acquisti, forniture, esecuzione di prestazioni, eccetera) o anche in base al completamento di stati di avanzamento dei lavori. Per evitare che il controllo preventivo sulla rispondenza del titolo di spesa ai documenti giustificativi sui quali si fonda possa dar luogo a ritardi nella esecuzione e nei pagamenti, l’ente mutuatario deve accompagnare i titoli con una dichiarazione nella quale attesta il rispetto delle modalità di utilizzo. Il tesoriere non può dare esecuzione al titolo se questo non è accompagnato dalla relativa dichiarazione.

Il comma 33 introduce una norma interpretativa della disposizione di cui all’articolo 51, comma 3, del decreto legislativo n. 77/1995. Quell’articolo pone le norme quadro che definiscono l’oggetto del servizio di tesoreria prestato agli enti locali. Questo viene successivamente determinato dai regolamenti dell’ente e dalle norme contrattuali che intercorrono con l’istituto di credito che assume il servizio. Il comma 3 dell’articolo introduce il principio per il quale "ogni deposito, comunque costituito, è intestato all'ente locale e viene gestito dal tesoriere". Da questa norma deriva l’obbligo che l’ente locale detenga presso il proprio tesoriere tutte le somme che non sono obbligate alla tesoreria unica. Nella interpretazione di quest’obbligo si è inteso tuttavia che quando l’ente contrae un mutuo con istituti di credito ordinario e il soggetto erogatore non sia anche il proprio tesoriere, non vi fosse l’obbligo di trasferire presso il proprio tesoriere l’intero ricavato del mutuo. Questo resta nella disponibilità dell’Istituto erogatore e viene utilizzato dall’ente secondo l’occorrenza delle opere da realizzare, tramite ordini di pagamento al proprio tesoriere. La disposizione interpretativa precisa invece che le somme rinvenienti dai mutui concessi dalle banche e che non sono soggette al regime di tesoreria unica, devono essere erogate dalla banca mutuante e depositate presso l’ente gestore della tesoreria dell’ente. Quelle soggette al regime di tesoreria unica devono essere erogate e depositate sul relativo conto infruttifero.
Per evitare che questa disposizione interpretativa incida su condizioni contrattuali già stipulate ed in corso per mutui già concessi dalle banche agli enti locali e per i quali era previsto che le somme restassero depositate presso l’ente mutuante, la disposizione prevede che per i mutui stipulati prima della data in vigore della presente legge è consentito conservare quelle somme in deposito presso l’istituto mutuante.


Comma 34
(Modificazioni all’articolo 38 del D.Lgs. n. 77/1995,
relativo all’utilizzo delle entrate a specifica destinazione)

Il comma 34 dell’articolo 28 - aggiunto dalla Camera - modifica l’articolo 38, del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77 e successive modificazioni e integrazioni, recante "Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali", in materia di utilizzo da parte degli enti locali delle entrate a specifica destinazione.
La norma in esame non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.

In particolare l’articolo 38 del D.Lgs. stabilisce, al comma 1, che gli enti locali, ad eccezione degli enti in stato di dissesto finanziario sino all'emanazione del decreto di approvazione dell'ipotesi di bilancio di previsione riequilibrato previsto dall'articolo 92, comma 3, e di quelli che non hanno ricostituito i fondi vincolati utilizzati in precedenza, possono disporre l'utilizzo, in termini di cassa, di entrate aventi specifica destinazione per il finanziamento di spese correnti, anche se provenienti dall'assunzione di mutui con istituti diversi dalla Cassa depositi e prestiti, per un importo non superiore all'anticipazione di tesoreria disponibile ai sensi dell'articolo 68 (limite massimo dei tre dodicesimi delle entrate accertate nel penultimo anno precedente).
Il comma 2 prevede che l'utilizzo di somme a specifica destinazione viene deliberato in termini generali all'inizio di ciascun esercizio ed è attivato dal tesoriere su specifiche richieste del servizio finanziario dell'ente.
Ai sensi del comma 3 il ricorso all'utilizzo delle somme a specifica destinazione, secondo le modalità di cui ai commi 1 e 2, vincola una quota corrispondente dell'anticipazione di tesoreria. Con i primi introiti non soggetti a vincolo di destinazione viene ricostituita la consistenza delle somme vincolate che sono state utilizzate per il pagamento di spese correnti.
Infine il comma 4 stabilisce che gli enti locali che hanno deliberato alienazioni del patrimonio ai sensi dell'articolo 36 possono, nelle more del perfezionamento di tali atti, utilizzare in termini di cassa le somme a specifica destinazione, fatta eccezione per i trasferimenti di enti del settore pubblico allargato e del ricavato dei mutui e dei prestiti, con obbligo di reintegrare le somme vincolate con il ricavato delle alienazioni.

Il comma in esame, alla lettera a), relativamente al primo comma dell’articolo 38, sopprime l’esclusione degli enti che non hanno ricostituito i fondi vincolati utilizzati in precedenza, tra quelli ai quali attualmente non è prevista la possibilità di utilizzare, in termini di cassa, le entrate aventi specifica destinazione per il finanziamento di spese correnti, anche se provenienti dall'assunzione di mutui con istituti diversi dalla Cassa depositi e prestiti, per un importo non superiore all'anticipazione di tesoreria disponibile.

Alla lettera b), modifica il secondo comma dell’articolo 38, stabilendo che l'utilizzo di somme a specifica destinazione - che viene deliberato in termini generali all'inizio di ciascun esercizio ed è attivato dal tesoriere su specifiche richieste del servizio finanziario dell'ente – presuppone l’adozione della deliberazione della giunta relativa all’anticipazione di tesoreria prevista dall’articolo 68 del D.Lgs. n. 77/1995.


Comma 35
Responsabilità per sanzioni amministrative e civili
degli amministratori di enti locali e di assistenza e beneficenza

Il comma 35 - introdotto nel corso dell'esame in sede referente presso la Commissione bilancio del Senato - contiene una clausola di esclusione della responsabilità per sanzioni amministrative e civili che riguardano l'assunzione di lavoratori, le assicurazioni obbligatorie e gli ulteriori adempimenti ad essi connessi. I beneficiari della previsione - che si riferisce letteralmente a tutte le assunzioni avvenute con contratto d'opera successivamente riconosciuto come contratto di lavoro subordinato - sono i comuni, le province, le comunità montane ed i loro consorzi, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB), gli enti non commerciali senza scopo di lucro che svolgono attività socio-assistenziale e le istituzioni sanitarie operanti nel Servizio sanitario nazionale, nonché i loro amministratori.
L'esclusione della responsabilità - la cui previsione andrebbe valutata alla luce dell'articolo 3 della Costituzione - è subordinata alla ricorrenza di una duplice condizione:
che l'assunzione di lavoratori, le assicurazioni obbligatorie e gli ulteriori adempimenti siano relativi a prestazioni lavorative stipulate nella forma del contratto d'opera e siano state successivamente riconosciute come rapporti di lavoro subordinato;
che le prestazioni lavorative siano esaurite alla data del 31 dicembre 1997.

Dal punto di vista sistematico, la disposizione all'esame è collocata nella Sezione prima del Capo primo della legge n. 689 del 1981 (contenente i "principi generali" in materia di sanzioni amministrative), quale ultimo comma dell'articolo 4, che contiene il regime generale delle "cause di esclusione della responsabilità". Si tratta di cause scriminanti tassativamente individuate e rappresentate - sul modello del regime penalistico - dall'adempimento di un dovere, dall'esercizio di una legittima facoltà, dallo stato di necessità, dalla legittima difesa e dall'adempimento di un ordine dell'autorità (per il quale risponde il pubblico ufficiale che ha dato l'ordine).
In tale contesto, la disposizione all'esame non sembra introdurre una scriminante in senso proprio, ma una clausola di esclusione della responsabilità per specifiche violazioni amministrative - il comma in esame recita "non rispondono delle sanzioni", laddove l'art. 4 della legge n. 689 del 1981 dispone "non rispondono delle violazioni - riferite ad una serie di condotte, tenute da taluni soggetti predeterminati, che non pare essere ancorata ad alcuna delle cause di esclusione della responsabilità elencate dall'art. 4 della legge n. 689 del 1981, valide in presenza di ogni altra ipotesi di violazione amministrativa. Il comma fa, inoltre, riferimento anche all'esclusione, relativamente alle medesime condotte, delle sanzioni civili, riferibili, tra l'altro, all'omissione di obblighi contributivi.

La disposizione all'esame va, infine, coordinata con quanto stabilisce l'articolo 67 del disegno di legge all'esame (cfr. la relativa scheda), non modificato dalla Commissione bilancio del Senato, che contiene una previsione (avente natura interpretativa) di esclusione, in favore dei medesimi enti sopra elencati, del regime degli obblighi previdenziali ed assistenziali - nonché del divieto di intermediazione e di interposizione nelle prestazioni di lavoro subordinato - relativamente ai contratti d'opera o per prestazioni professionali a carattere individuale da essi stipulati. Le due disposizioni, tuttavia, differiscono, tra gli altri, per i seguenti aspetti:
solo la disposizione qui in esame riguarda anche gli amministratori (e non solo gli enti);
la disposizione qui in esame non concerne i contratti per prestazioni individuali a carattere professionale e si riferisce a rapporti derivanti da contratti d'opera successivamente riconosciuti come di lavoro subordinato, mentre l'art. 67 concerne contratti per prestazioni professionali a carattere individuale e contratti d'opera, in relazione ai quali esso stesso esclude la natura di lavoro subordinato.


Commi 36 e 37
(Proventi della casa da gioco di Campione d’Italia)

I commi 36 e 37 dell’articolo 28 in esame - inseriti dalla Camera - introducono disposizioni che mettono a regime - a partire dall’anno 1999 - le modalità di ripartizione dei proventi della casa da gioco di Campione d'Italia, destinando la parte esuberante di tali proventi, secondo percentuali diverse, al finanziamento del Fondo nazionale speciale per gli investimenti e alle province di Como e di Lecco (comma 36), prevedendo altresì una nuova disciplina per la gestione della casa da gioco attraverso la costituzione di una apposita società per azioni (comma 37).
Le norme in esame non sono state modificate dalla Commissione Bilancio del Senato.

Si ricorda che la disciplina previgente in materia è dettata dalla legge 31 ottobre 1973, n. 637 "Destinazione dei proventi della casa da gioco di Campione d’Italia" e dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 recante il "Riordino della finanza degli enti territoriali".
Da ultimo è intervenuto il comma 14 dell’articolo 49 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (provvedimento collegato alla finanziaria per il 1998), che ha dettato la disciplina relativa agli anni 1997 e 1998.

La legge 31 ottobre 1973, n. 637, recante "Destinazione dei proventi della casa da gioco di Campione d’Italia", all'articolo unico, stabilisce che a decorrere dal 1972, i proventi derivanti dalla casa da gioco, al netto dei prelievi fiscali, del canone dovuto al gestore o delle spese di gestione nel caso di conduzione diretta, nonché delle somme spettanti al comune per il pareggio del proprio bilancio - tenute inoltre presenti le particolari condizioni geo-politiche e le esigenze di sviluppo di quel comune - sono versati in un apposito capitolo dello stato di previsione dell'entrata del bilancio dello Stato. Con decreto del Ministro del tesoro le somme relative sono assegnate al Ministero dell'Interno per essere poi erogate a favore di comuni e province per la realizzazione di opere pubbliche, nonché ad altri enti pubblici operanti nell'ambito degli enti locali per il conseguimento di fini istituzionali.
Di tali somme, il comma 3 disponeva che una quota da stabilirsi annualmente con decreto del Ministro dell'interno veniva riservata alla provincia di Como e ai comuni di quella provincia per la realizzazione di opere pubbliche. La disposizione prevista al comma 3 è stata abrogata dall'articolo 3, comma 18-bis, del D.L. n. 444/1995, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 539/1995.
Successivamente è intervenuto il D.Lgs. n. 504/1992, che all'articolo 34, comma 2, prevede l'istituzione del Fondo nazionale speciale per gli investimenti.
Il successivo articolo 42, che disciplina tale fondo stabilendo la sua ripartizione sulla base di criteri perequativi, ha previsto che ad esso affluisca la quota dei proventi prevista dalla legge n. 637/1973 di competenza dello Stato. L'entità del fondo è dunque definita solo dopo l'acquisizione effettiva del provento stesso.
Come disposto dall'articolo 42, il fondo è destinato prioritariamente alla realizzazione di opere pubbliche degli enti in condizioni di degrado ovvero di quegli enti i cui organi siano stati disciolti in attuazione dell'articolo 15-bis della legge 55/1990, e successive modificazioni ed integrazioni, relativo alla prevenzione della delinquenza di tipo mafioso.

Il D.L. 25 novembre 1996, n. 599, recante "Misure urgenti per assicurare i flussi finanziari agli enti locali nel quadro dei trasferimenti erariali per l’anno 1996", convertito, con modificazioni, dalla legge 24 gennaio 1997, n. 5, ha introdotto, all’articolo 2, comma 1, delle disposizioni che stabiliscono, per l'anno 1996, le modalità di ripartizione dei proventi della casa da gioco di Campione d'Italia, in particolare destinando la parte esuberante di tali proventi, secondo percentuali diverse, al finanziamento delle province di Como e di Lecco. Più precisamente, per il 6,5% alla provincia di Como e per il 3% alla provincia di Lecco.
Per gli anni 1997 e 1998, la disciplina di ripartizione dei proventi della casa da gioco di Campione d'Italia è stata dettata dal comma 14 dell'articolo 49 della legge n. 449/1997 (provvedimento collegato alla finanziaria 1998) che stabilisce che tali proventi siano destinati, in attesa dell’approvazione di una nuova organica normativa sulla ripartizione dei proventi, in via prioritaria al pagamento del canone al gestore della casa da gioco, ai prelievi fiscali, e al finanziamento del bilancio del comune di Campione d'Italia, secondo una quota che sarà determinata annualmente con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e con il Ministro della funzione pubblica.
Con il medesimo decreto saranno altresì determinate, nel caso di conduzione diretta, le spese di gestione della casa da gioco.
Per l’anno 1998 le spese di funzionamento del Comune di Campione d’Italia sono calcolate secondo le previsioni di spesa definite con l’approvazione del bilancio preventivo per il 1997.
Le somme eccedenti tali destinazioni prioritarie vengono ripartite:
- per il 50 per cento allo Stato per il finanziamento del fondo nazionale speciale per gli investimenti, ai sensi dell'articolo 42 del D.Lgs. n. 504/1992;
- per il 34 per cento alla provincia di Como;
- per il 16 per cento alla provincia di Lecco.
E’ inoltre stabilito che le somme assegnate alle province di Como e di Lecco possono essere utilizzate d’intesa con i comuni, per la realizzazione di opere pubbliche in ambito comunale e per contributi da assegnare ai comuni per opere pubbliche.

Si ricorda peraltro che l'articolo 3, comma 2, della legge n. 59/1997 (c.d. Bassanini 1) dispone che, nell'ambito dei decreti legislativi che il governo è chiamato ad adottare nell'esercizio della delega conferitagli per l’assegnazione alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti amministrativi, nel rispetto dei principi della legge suddetta ai sensi degli articoli 5, 118 e 128 della Costituzione, si prevede l'emanazione di una "speciale normativa" per il comune di Campione d'Italia, in considerazione della sua collocazione territoriale separata e della conseguente peculiare realtà istituzionale, socio-economica, valutaria, doganale, fiscale e finanziaria.

Il comma 36 dell’articolo 28 in esame introduce una disciplina a regime delle modalità di ripartizione dei proventi della casa da gioco di Campione d'Italia, stabilendo che a decorrere dal 1999 tali proventi – al netto delle spese di gestione e del contributo per il bilancio del comune di Campione d'Italia, calcolato in misura non superiore a quanto previsto per gli esercizi finanziari 1997-1998 ai sensi del comma 14 dell’articolo 49 della legge n. 449 del 1997 - siano così ripartiti:
- per il 50 per cento allo Stato per il finanziamento del "
Fondo nazionale speciale per gli investimenti", ai sensi dell'articolo 42 del D.Lgs. n. 504/1992;
- per il 34 per cento alla provincia di Como;
- per il 16 per cento alla provincia di Lecco.
Le somme assegnate alle province di Como e di Lecco possono essere utilizzate, d’intesa con i comuni interessati, per la realizzazione di opere pubbliche ed interventi di salvaguardia ambientale anche in ambito comunale e per contributi da assegnare ai comuni.
La quota parte spettante allo Stato viene versata nell’apposita unità previsionale di base dello stato di previsione dell'entrata del bilancio per essere poi riassegnata, con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, alla pertinente unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dell'interno.
E’ inoltre stabilito che a decorrere dall’anno 2000, il contributo per il bilancio del comune di Campione d’Italia sia pari a quello assegnato per il 1999, incrementato del tasso di inflazione programmato.

Per quanto riguarda la gestione della casa da gioco di Campione d'Italia il comma 37 dell’articolo 28 in esame prevede l’autorizzazione da parte del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero del tesoro alla costituzione di una apposita società per azioni, soggetta a certificazione di bilancio e sottoposta alla vigilanza dei medesimi Ministeri.
Con quote massime che saranno stabilite nel decreto autorizzativo, possono partecipare al capitale societario:
il comune di Campione d’Italia;
la provincia di Como;
la provincia di Lecco;
la camera di commercio di Como;
la camera di commercio di Lecco.
La disposizione in esame esclude la partecipazione al capitale societario da parte di altri comuni.
Con apposita convenzione stipulata tra il comune di Campione d’Italia e la società di gestione così costituita, verranno disciplinati l’utilizzo dello stabile sede della casa da gioco, nonché il rapporto di lavoro dei dipendenti comunali che, alla data del 30 settembre 1998, vi operano con funzioni di vigilanza e di controllo.
Il casinò è stato gestito, fino al commissariamento tuttora in corso, dalla società per azioni Campione d'Italia Iniziative, controllata da provincia e camera di commercio di Como, insieme con la regione Lombardia.
Rispetto alla configurazione societaria prospettata dal comma in esame, una delle differenze principali consiste nel venir meno della partecipazione della regione Lombardia, che già dal 1993 aveva avviato una complessiva razionalizzazione delle proprie partecipazioni azionarie.
Va ricordato che manca nel nostro ordinamento una legislazione organica che razionalizzi l'intero settore, come ha del resto sottolineato anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 152 del 1985. In questa legislatura sono state presentate numerose proposte di legge riguardanti l'istituzione di nuove case da gioco e, più in generale, la disciplina della materia. Attualmente, è in corso l'esame in sede referente, presso le commissioni riunite Affari costituzionali e Finanze del Senato, di alcune proposte di legge in materia (AS 232 e abbinate). Il 24 luglio 1997 è stato costituito un comitato ristretto per l’esame dei vari testi. Il comitato ristretto non ha ancora concluso i propri lavori.

NOTE
1 Sulla materia è intervenuto il D.Lgs. 30 giugno 1997, n. 244 recante il "Riordino del sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali", emanato in attuazione della norma di delega contenuta nel comma 175 dell'articolo 1 della legge n. 662/1996, che all’articolo 7 determina le finalità e le modalità di attribuzione del Fondo nazionale speciale per gli investimenti il cui finanziamento, come definito all'articolo 1, comma 7, del decreto medesimo, deriva dalla quota di competenza statale dei proventi della casa da gioco di Campione d'Italia, confermando dunque la disposizione prevista dall'art. 42 del D.Lgs. n. 504/1992. Ai sensi dell'articolo 7, il Fondo, è destinato prioritariamente agli investimenti per la realizzazione di opere pubbliche negli enti locali i cui organi sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose (articolo 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55) e negli enti locali in gravissime condizioni di degrado. La dotazione del fondo è ripartita annualmente con decreto del Ministro dell'interno, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
Tale nuovo sistema, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 9 del medesimo decreto n. 244, entrerà in funzione contestualmente all’applicazione della nuova disciplina dei tributi locali, di cui all’articolo 3, comma 143, della legge n. 662/1996. A decorrere dalla stessa data cessano di avere efficacia le disposizioni di cui agli articoli da 34 a 43 del D.Lgs. n. 504/1992.
In attuazione della delega di cui all’art. 3, comma 143, della legge n. 662 del 1996 è stato emanato il decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.


Comma 38
(Disposizioni fiscali relative all'esercizio delle case da gioco)

Il comma 38 in esame, introdotto dalla Camera, modifica, innanzitutto, la nota 1 dell'articolo 6 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972, in materia di tassa di concessione governativa dovuta per l'esercizio delle case da gioco. La norma in esame non è stata modificata dalla Commissione Bilancio del Senato.

La tassa, si ricorda, è dovuta nell'ammontare di lire 800.000.000 come tassa di rilascio e per ogni anno di validità della concessione.
Con la modifica introdotta dal comma 38 in esame la tassa non è più dovuta, genericamente, dall'ente titolare della casa da gioco, anche quando non la gestisce direttamente, ma è dovuta dalle regioni, dalle province e dai comuni titolari della casa da gioco, anche quando non la gestiscono direttamente.
La seconda parte del comma 38 in esame precisa i criteri di computo della base imponibile dell'imposta sugli spettacoli, di cui all'articolo 3 del D.P.R. n. 640 del 1972.
Il settimo comma del citato articolo 3 prevede che per le case da gioco la base imponibile dell'imposta sugli spettacoli è costituita giornalmente dalla differenza attiva tra le somme introitate per i giuochi e quelle pagate ai giocatori per le vincite e da qualsiasi altro introito connesso all'esercizio del giuoco.
Il comma ottavo dello stesso articolo stabilisce che sono escluse dal computo dell'ammontare della base imponibile le somme dovute a titolo di rivalsa dell'imposta sugli spettacoli e di quanto è dovuto agli enti pubblici concedenti, a cui è riservato per legge l'esercizio delle case da gioco.
Con riferimento a quest'ultima disposizione, il comma 38 in esame stabilisce che l'esclusione dal computo dell'ammontare della base imponibile deve intendersi applicabile anche:
quando l'esercizio della casa da gioco è delegato ad un soggetto istituito dall'ente pubblico a cui è riservato per legge l'esercizio del gioco, purché l'ente esercente, oltre ad essere obbligato al versamento dei proventi del gioco, abbia personalità giuridica di diritto privato con autonomia gestionale e sia soggetto passivo delle imposte sui redditi;
in caso di gestione commissariale delle case da gioco con autonomia amministrativa e contabile rispetto all'ente titolare delle case medesime.

La norma contenuta nel comma 38 in esame sembra avere valenza interpretativa e quindi poter incidere con riferimento a rapporti non esauriti. A tale proposito occorre ricordare che fino al 3 settembre 1998 ha trovato applicazione una disposizione inserita nello stesso articolo 3 del D.P.R. n. 640 del 1972 dall'articolo 10-ter, ultimo comma, del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30: in base ad essa, a decorrere dall'1 gennaio 1997, l'imponibile è stato assoggettato ad imposta nella misura del cinquanta per cento, nel caso in cui gli enti pubblici avessero gestito direttamente le case da gioco.
Con riferimento a tale disposizione, la circolare ministeriale 2 giugno 1997, n. 151/E ha precisato che "ricorre una gestione diretta non soltanto quando l'ente pubblico (di regola, ente pubblico territoriale) esplica la relativa attività di gestione mediante gli ordinari organi di amministrazione, ma anche in tutte le ipotesi di sostituzione (previste dall'ordinamento) degli stessi da parte di altri organi pubblici (commissari prefettizi, commissari straordinari, commissari ad acta) chiamati, dall'autorità cui spetta la funzione di vigilanza sugli enti medesimi, a far fronte a situazioni di emergenza, di carenza, di inadempienza od anche di semplice vacanza della concessione delle case da gioco per il periodo necessario ad un nuovo affidamento della stessa, non rilevando, in tal caso, la personalità giuridica di diritto privato e/o l'autonomia amministrativa e contabile eventualmente attribuire alla sopravveniente gestione straordinaria".


Comma 39
(Proroga del termine di applicazione del D.Lgs n. 244 del 1997)

Il comma 39 dell’articolo 28 in esame - introdotto dalla Camera - dispone la proroga al 1° gennaio 2000 dell’applicazione delle disposizioni previste dal decreto legislativo 30 giugno 1997, n. 244, recante il "Riordino del sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali", emanato in attuazione della delega prevista dall’articolo 1, comma 175, della legge n. 662/1996 (provvedimento collegato alla finanziaria per il 1997).

Il riordino del sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali rientra nel più vasto e generale piano di revisione dell'ordinamento delle autonomie locali ormai in atto. In particolare la delega di cui all’art. 1, comma 175, della legge n. 662/1996 risultava strumentale all'attuazione del decentramento fiscale a favore delle regioni, ai sensi dei commi 143-157 dell'articolo 3 della legge n. 662/1996.
Il D.Lgs. 30 giugno 1997, n. 244 delinea il nuovo assetto generale della contribuzione erariale agli enti locali che si articola nei seguenti fondi:
- fondo ordinario per le province ed i comuni;
- fondo ordinario per le comunità montane;
- fondo consolidato;
- fondo per la perequazione e per gli incentivi;
- fondo nazionale ordinario per gli investimenti;
- fondo nazionale speciale per gli investimenti;
- fondo per lo sviluppo degli investimenti degli enti locali.

In particolare:
- il fondo ordinario per province e comuni presenta una diversa composizione (rispetto all’analogo fondo ordinario previsto ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. n. 504/1992) con l'esclusione delle comunità montane e l'integrazione di una parte del fondo consolidato. Per il 1998 dalla dotazione del fondo ordinario si sarebbe dovuto altresì detrarre la quota parte relativa alle riduzioni previste dall'art. 3 del D.L. n. 41/1995, che precedentemente veniva computata nel fondo.
- il fondo ordinario per le comunità montane sarà autonomo rispetto al fondo ordinario e al fondo consolidato. Il nuovo fondo sarà composto dalla quota dell'attuale fondo ordinario spettante alle comunità montane, integrata dalla parte dell'attuale fondo consolidato destinato alle comunità montane, nonché della quota fissa di 10 miliardi prevista dall'art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 244/1997.
- il fondo consolidato per province, comuni e comunità montane avrà quale caratteristica la specificità dell'attribuzione; esso rimane attribuito ai singoli enti beneficiari, sino a successive modifiche, per scadenza di eventuali termini o altro. A tale scopo vengono trasferite su tale fondo alcune voci precedentemente allocate sul fondo ordinario.
- il fondo per la perequazione e per gli incentivi è destinato soltanto alle province e ai comuni ed ha quali finalità: la perequazione delle basi imponibili degli enti locali; gli incentivi per lo sforzo tariffario e fiscale degli enti; gli incentivi per l'esercizio associato di funzioni.
- per il fondo nazionale ordinario per gli investimenti di province, comuni e comunità montane viene confermata la disposizione che prevede la quantificazione annuale dotazione del fondo da parte della tabella C della legge finanziaria;
- il fondo nazionale speciale per gli investimenti, che continua ad essere alimentato dalla quota di competenza statale dei proventi della casa da gioco di Campione d’Italia, è destinato prioritariamente al finanziamento degli investimenti finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche nei territorio degli enti locali i cui organi sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose e negli enti locali in gravissime condizioni di degrado;
- nel fondo per lo sviluppo degli investimenti degli enti locali confluiscono le disponibilità di bilancio degli analoghi attuali fondi riferiti ai comuni, alle province e alle comunità montane relative agli oneri residui a carico dello Stato sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dagli enti locali.
Si segnala inoltre l’articolo 3 del D.Lgs. n. 244/1997, che disciplina le disposizioni circa il riequilibrio dei contributi ordinari per province e comuni: tale operazione di riequilibrio avrà una durata di dodici anni a decorrere dall’entrata in vigore del decreto legislativo stesso. Il Ministero dell’interno provvederà a fissare un fabbisogno standardizzato, prendendo a base i servizi indispensabili ed i servizi maggiormente diffusi. Il fabbisogno standardizzato (aggiornato triennalmente) viene calcolato con la somma dei prodotti delle "unità di determinante" per i parametri monetari di ciascun servizio. A tale somma vanno aggiunti i correttivi per le condizioni di degrado, per la presenza di militari, per l’incremento della domanda di servizi negli enti di maggiore dimensione demografica e per la rigidità dei costi degli enti di minore dimensione demografica. La norma provvede ad individuare gli aggregati di enti entro i quali sono definiti i parametri, i "determinanti di spesa" e gli indicatori di correzione per il degrado delle condizioni socioeconomiche.
L’articolo 5 infine dispone circa la perequazione delle basi imponibili e gli incentivi per lo sforzo tariffario e fiscale e per lo svolgimento di funzioni associate.

A decorrere dal momento in cui entrano in funzione le disposizioni di riordino di cui al D.Lgs. n. 244/1997, cessano automaticamente di avere efficacia le disposizioni contenute negli articoli da 34 a 43 del decreto legislativo n. 504/1992, che attualmente disciplina il sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali, nonché le disposizioni in materia di riparto dei trasferimenti tra le nuove province, istituite ai sensi dell'articolo 63 della legge 8 giugno 1990, n. 142, e quelle originarie.

A tale proposito, occorre ricordare che in base al disposto dell’articolo 9, comma 1, del D.Lgs. n. 244/1997, il nuovo sistema dei trasferimenti erariali dettato dal D.Lgs. n. 244 medesimo sarebbe dovuto entrare in funzione nel 1999, e cioè contestualmente all'applicazione della nuova disciplina dei tributi locali, contenuta nel decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 "Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali" (articolo 51 e seguenti), emanato in attuazione della delega contenuta all’articolo 3, comma 143, della legge n. 662/1996.
Tuttavia, le disposizioni del decreto legislativo n. 244/1997 non sono state prese in considerazione ai fini della determinazione dei contributi erariali per gli enti locali per il 1999, in quanto, come evidenziato nella Nota preliminare allo stato di previsione del Ministero dell’interno (A.C. 5188 – Tab. 8), non è stato ancora emanato il decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro del tesoro e del bilancio, che, a norma dell’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo n. 244/1997 stesso deve provvedere all’aggiornamento dei dati inerenti alla determinazione e quantificazione dei fondi e relative assegnazioni agli enti locali con riferimento all’ultimo esercizio precedente.

Contestualmente alla proroga stabilita dal comma 39 in esame, viene differito al 30 settembre 1999 il termine di cui al comma 5 dell'articolo 49 della legge n. 449 del 1997 (provvedimento collegato alla legge finanziaria per il 1998) che ha già prorogato al 31 luglio 1999 il termine stabilito dall'articolo 1, comma 177, della legge n. 662/1996, relativo alla possibilità di emanazione di decreti legislativi recanti disposizioni correttive e integrative, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, del più volte ricordato decreto legislativo 30 giugno 1997, n. 244.


Comma 40
(Disposizioni particolari in materia di part-time)

Il comma 40, aggiunto durante l’esame dell’assemblea della Camera, prevede che la contrattazione collettiva possa applicare gli istituti del lavoro part-time in modo differenziato rispetto alla generalità delle previsioni. Il comma non specifica in quali circostanze, limitandosi a prevedere che tale differenziata applicazione può riguardare una riduzione "delle percentuali previste" e "l’esclusione di determinate figure" particolarmente necessarie per la funzionalità dei servizi. L’area dell’applicazione del comma non è specificata. Da una parte esso è inserito in un articolo relativo agli enti locali, dall’altra fa indiretto riferimento – come specificato nel paragrafo successivo – anche alle Regioni.
Il comma fa infatti salvo il comma 27 dell’art. 39 del "collegato" dell’anno scorso (legge 449/97). Il comma 27 prescrive l’applicazione dell’articolo 1, commi 58 e 59 della legge n. 662/1996 al personale dipendente delle regioni e degli enti locali finché non diversamente disposto da ciascun ente con proprio atto normativo. Il comma 58 richiamato – a sua volta - determina la procedura di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time, disciplinando la presentazione ed il contenuto della relativa domanda, l’automatica trasformazione decorso il termine di 60 giorni, le ipotesi di diniego e di differimento della trasformazione, e così via; il comma 59 disciplina le destinazioni dei risparmi di spesa derivanti dalle trasformazioni stesse.
La disciplina del lavoro a tempo parziale nelle pubbliche amministrazioni è stata recentemente innovata dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662 che ha ridisegnato l’assetto complessivo della materia, precedentemente dettato dall’art. 7 della legge n. 554/1988 e dal D.P.C.M. n. 117/1989.


Comma 41
(Disposizioni in materia di cessione in proprietà
delle aree assegnate in diritto di superficie)

Il comma 41 in esame, introdotto dalla Commissione Bilancio del Senato, modifica il comma 78 dell'articolo 3 della legge n. 549 del 1995, con riferimento alle disposizioni ( commi da 75 a 81 dello stesso articolo 3) che hanno autorizzato i Comuni a cedere in proprietà le aree già assegnate in diritto di superficie ai sensi delle leggi sull'edilizia abitativa.

Le disposizioni recate dai commi da 75 a 81 dell'articolo 3 della legge n. 549 del 1995 sono state in più parti modificate dai commi 60, 61, e 62 dell'articolo 3 della legge n. 662 del 1996. In particolare, il comma 62 ha esteso l'applicazione della normativa di cui ai commi da 75 a 81 dell'articolo 3 della legge n. 549/1995 alle concessioni in diritto di superficie stipulate in attuazione dei piani delle aree da destinare ad insediamenti produttivi previsti dalla legge n. 865/1971.

Con il combinato disposto dei commi 75 e 76 della predetta legge n. 549/1995 i Comuni sono stati autorizzati a cedere in proprietà le aree già assegnate in diritto di superficie ai sensi delle leggi sull'edilizia abitativa. La legge n. 549/1995 dispone che a seguito della cessione, i titolari del diritto di superficie acquistino la piena proprietà delle aree. L'individuazione delle aree da cedere in proprietà è stabilita con delibera del consiglio comunale, da approvarsi entro sei mesi dall'entrata in vigore della citata legge n. 549/1995 e pertanto entro il 12 luglio 1996. Tale termine è stato prorogato al 31 dicembre 1997, dalla lettera a) del comma 60 dell'articolo 3 della legge n. 662 del 1996.

La legge 18 aprile 1962, n. 167, recante "Disposizioni per favorire l'acquisto di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare" ha introdotto e disciplinato i cosiddetti piani di zona per l'edilizia economica e popolare, diretti alla costruzione di quartieri coordinati di case economiche e relative attrezzature per le classi meno abbienti. Tale disciplina è vincolante per i Comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti e per i Comuni capoluoghi di provincia; gli altri comuni sono tenuti alla formazione del piano qualora ricorrano determinate condizioni ovvero qualora la Regione ne ravvisi l'opportunità.
Il piano di zona si configura come un piano urbanistico speciale, con natura attuativa degli strumenti generali (piano regolatore generale o programma di fabbricazione). Ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 167/1962, le aree comprese nel piano sono di norma scelte nelle zone destinate dai piani regolatori vigenti ad edilizia residenziale, con preferenza per quelle di espansione dell'aggregato urbano. Il piano può peraltro introdurre varianti alle previsioni degli strumenti urbanistici generali. La durata degli effetti del piano è stata stabilita in diciotto anni dall'articolo 51 della legge n. 457/1978.
Per i Comuni che non dispongono dei piani di zona, la legge n.22 ottobre 1971, n. 865, all'articolo 51, ha disposto che alla localizzazione dei programmi costruttivi si provveda con deliberazione del Consiglio comunale nell'ambito delle zone residenziali previste dai piani regolatori e dai programmi di fabbricazione, sempre che questi ultimi risultino approvati, adottati o trasmessi alla Regione per l'approvazione. La deliberazione è adottata dal Consiglio comunale entro trenta giorni dalla richiesta formulata dalla Regione o dall'ente costruttore e diventa esecutiva dopo l'approvazione dell'organo di controllo. Qualora il comune non provveda nei termini prescritti, la scelta dell'area è effettuata dal Presidente della Giunta regionale. Per l'attuazione della deliberazione comunale o del decreto del Presidente della Giunta regionale, si applicano le medesime disposizioni che disciplinano l'attuazione dei piani di zona.
Le aree individuate dai comuni per la realizzazione degli interventi di edilizia residenziale pubblica, secondo le modalità previste dalle sopra citate leggi, sono soggette a procedura espropriativa ai fini dell'acquisizione al patrimonio del comune.
La legge n. 865/1971 ha disposto che le aree così acquisite sono concesse in diritto di superficie agli enti che intendano realizzare la costruzione di case di tipo economico o popolare ed i relativi servizi di urbanizzazione. Il comune resta titolare del diritto di proprietà sulle aree espropriate, che entrano a far parte del patrimonio indisponibile dell'ente, ad eccezione di una quota residua - non inferiore al 20 per cento e non superiore al 40 per cento delle zone comprese nei piani - che può essere ceduta in proprietà a cooperative edilizie o a singoli soggetti acquirenti, in possesso dei requisiti prescritti per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, con preferenza per i proprietari di aree espropriate.

Con la legge n. 865/1971, il diritto di superficie è stato utilizzato per rispondere alle esigenze abitative di talune categorie sociali: l'istituto consente ai privati di realizzare gli alloggi e di acquistarne la proprietà superficiaria, senza privare definitivamente i Comuni della disponibilità delle aree edificate. La costituzione del diritto di superficie avviene infatti a tempo indeterminato soltanto nel caso di attribuzione delle aree ad enti pubblici per la realizzazione di impianti e servizi pubblici, mentre, in tutti gli altri casi, il diritto è costituito per un periodo compreso tra i 60 e i 99 anni.
Il diritto di superficie può essere concesso sia a privati, singoli o riuniti in cooperative, che ad enti pubblici istituzionalmente operanti nel settore dell'edilizia residenziale pubblica. E' stabilito un criterio di preferenza per questi ultimi e per le cooperative a proprietà indivisa. Il diritto è attribuito mediante concessione amministrativa, deliberata dal Consiglio comunale, e previa stipula di apposita convenzione tra il Comune e i soggetti concessionari, che indica, tra l'altro :
  il corrispettivo della concessione, che è determinato in misura pari al costo di acquisizione delle aree nonché al costo delle opere di urbanizzazione, se già realizzate;
  il corrispettivo delle opere di urbanizzazione da realizzare a cura del comune ovvero, qualora ad esse provvedano direttamente i soggetti concessionari, le relative garanzie finanziarie, i criteri progettuali, le modalità di trasferimento ai comuni;
  le caratteristiche tipologiche delle costruzioni, i termini di inizio ed ultimazione degli edifici e delle opere di urbanizzazione;
  i criteri per la determinazione e la revisione periodica dei canoni di locazione.

Il comma 77 dell'articolo 3 della legge . 549 del 1995 dispone che, per le aree già concesse in superficie e cedute ai sensi del comma 75, il prezzo di cessione sia determinato dall'Ufficio Tecnico Erariale, al netto degli oneri di concessione del diritto di superficie. Questi ultimi sono peraltro rivalutati sulla base della variazione, accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo verificatasi nel periodo compreso tra il mese nel quale sono stati versati i predetti oneri ed il mese di stipula dell'atto di cessione delle aree. Peraltro, il comma 61 dell'articolo 3 della legge n. 662 del 1996 ha fornito un'interpretazione estensiva del disposto del comma 77, in quanto ha esplicitato i riferimenti normativi cui deve attenersi l'Ufficio tecnico erariale per la determinazione del prezzo delle aree trasformate disponendo, però, nel contempo, la non applicazione della prevista riduzione del 40% sul prezzo fissato.

La norma richiamata dal predetto comma 61 é contenuta nel comma 1 dell'art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, così come convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359: tale norma, che regola in via provvisoria la materia, in attesa della emanazione di una disciplina organica dell'istituto della espropriazione per pubblica utilità, stabilisce che la determinazione dell'indennità debba essere calcolata a norma dell'art. 13, comma 3, della legge 15 gennaio 1885, n. 2892 (legge sul risanamento della città di Napoli). In base a tale legge, l'indennità è calcolata sulla media del valore venale e dei fitti coacervati dell'ultimo decennio, purché aventi data certa corrispondente al rispettivo anno di locazione.
Peraltro, l'articolo 5-bis, al comma 1, pur richiamando le modalità di determinazione dell'indennità fissate dalla citata legge n. 2892, introduce sensibili modifiche, stabilendo, in primo luogo, che il parametro dei fitti coacervati dell'ultimo decennio sia sostituito con il parametro del reddito dominicale rivalutato, di cui agli artt. 24 e seguenti del T.U. delle imposte sui redditi approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Esso prevede inoltre che all'indennità così determinata sia applicata una riduzione del 40%, fatti salvi i casi in cui il soggetto espropriato, in qualunque fase del procedimento espropriativo, si determini alla cessione volontaria del bene.

Il comma 78, che viene modificato dal comma 41 in esame, consente di modificare le convenzioni stipulate - precedentemente all'entrata in vigore della citata legge n. 179/1992 - ai sensi della normativa dianzi illustrata, per la cessione del diritto di proprietà delle aree. Le modifiche potranno consistere nella soppressione dei limiti di godimento decennali e ventennali previste nelle convenzioni medesime. A tal fine, dovrà essere versato un corrispettivo che sarà calcolato, per ogni alloggio edificato, ai sensi del comma 77 dello stesso articolo 3 della legge n. 549 del 1995.
Si ricorda, infine, che il comma 60, lett. b) dell'articolo 3 della legge n. 662 del 1996 ha introdotto il nuovo comma 78-bis al citato articolo 3 della legge n. 549/1995, che prevede l'applicazione delle norme dettate dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, in materia di convenzioni per la concessione relativa ad interventi di edilizia abitativa, alle fattispecie disciplinate dai commi da 75 a 78 dell'articolo 3 della legge n. 549/1995.
Il comma 78-bis prevede un regime trentennale della nuova convenzione contemporaneamente però alla introduzione di una forma di recupero dei tempi di vigenza di precedenti accordi. La durata sarà infatti pari alla differenza tra trenta anni fissati come limite massimo dalla richiamata legge n. 70/1977 e il tempo intercorso tra la convenzione di cessione in proprietà o in superficie e la data di stipula della nuova convenzione.

Il comma 41 in esame, riformulando il comma 78 dell'articolo 3 della legge n. 549 del 1995, precisa che le convenzioni stipulate - precedentemente all'entrata in vigore della citata legge n. 179/1992 - ai sensi della normativa dianzi illustrata, per la cessione del diritto di proprietà delle aree, possono essere sostituite con la convenzione di cui al successivo comma 78-bis, in cambio del corrispettivo calcolato, per ogni alloggio, ai sensi del comma 77 dello stesso articolo 3 della legge n. 549 del 1995.

NOTE

1 La legge n. 865/1971, all'articolo 27 disciplina l'espropriazione di aree da destinare ad insediamenti produttivi. I comuni abilitati ad effettuare procedure di espropriazione sono quelli dotati di un piano regolatore generale o di un programma di fabbricazione già approvati secondo le disposizioni vigenti e di uno specifico piano delle aree da destinare ad insediamenti produttivi, previamente autorizzato dalla Regione. Il piano ha durata decennale ed ha valore di piano particolareggiato di esecuzione ai sensi della legge n. 1150/1942 e successive modificazioni e per quanto non regolato é disposto un esplicito rinvio alla legge n. 167/1962. Il comune é tenuto ad utilizzare le aree espropriate per la realizzazione di impianti produttivi di carattere industriale, artigianale, commerciale e turistico, in misura non superiore al 50% mediante la cessione in proprietà e per la rimanente parte mediante la concessione del diritto di superficie. La concessione del diritto di superficie ad enti pubblici per la realizzazione di impianti e servizi pubblici, occorrenti nella zona delimitata dal piano, é a tempo indeterminato; in tutti gli altri casi ha una durata non inferiore a sessanta anni e non superiore a novantanove anni.
2 La proposta formulata dal Comune per la trasformazione del titolo di godimento delle aree si intende accolta e diventa vincolante per ciascun assegnatario allorquando sia approvata a maggioranza di due terzi dall'assemblea di condominio o della cooperativa interessata, alla quale partecipi almeno il 51% dei condomini o dei soci. Il prezzo di cessione è determinato dall'Ufficio Tecnico Erariale, al netto degli oneri di concessione del diritto di superficie. Questi ultimi sono peraltro rivalutati sulla base della variazione, accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo verificatasi nel periodo compreso tra il mese nel quale sono stati versati i predetti oneri ed il mese di stipula dell'atto di cessione delle aree.
Le somme introitate dovranno essere utilizzate dai comuni, in via prioritaria, per la realizzazione di programmi concernenti la disponibilità di alloggi, di proprietà sia pubblica che privata, da destinare in locazione a soggetti sottoposti a sfratto esecutivo.
3 L'adozione del piano di zona ovvero la delibera di localizzazione ai sensi dell'art. 51 della legge n. 865/1971 comportano infatti dichiarazione di pubblica utilità delle opere in esso previste ed equivalgono a dichiarazione di indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori.
4 La legge n. 10/1977, all'art. 8, commi 1, 4 e 5, prevede che la concessione relativa agli interventi di edilizia abitativa debba essere regolata da una convenzione-tipo approvata dalla regione nella quale sono definiti criteri e parametri ai quali debbono essere uniformate le convenzioni stipulate dai comuni.
In particolare, la convenzione deve contenere essenzialmente: l'indicazione delle caratteristiche tipologiche e costruttive degli alloggi; la determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi, in relazione al costo delle aree, della costruzione e delle opere di urbanizzazione; la determinazione dei canoni di locazione; la durata della stessa. Nella convenzione deve essere esplicitato che i prezzi di cessione e i canoni di locazione sono suscettibili di variazioni periodiche con riferimento agli indici ISTAT dei costi di costruzione intervenuti dopo la stipula della convenzione.


Comma 42
(Tutela dei manufatti industriali
particolarmente significativi siti nell’area di Bagnoli)

Il comma 42 in esame, inserito dalla V Commissione, mira alla tutela dei manufatti industriali particolarmente significativi siti nell’area di Bagnoli oggetto di un piano di risanamento ai sensi del decreto legge n. 486 del 1996 convertito dalla legge n. 582 dello stesso anno.

L’articolo 1 di tale decreto-legge, contiene disposizioni in merito al risanamento ambientale dei siti industriali dismessi nell’area di Bagnoli (Napoli) dove, a seguito delle decisioni 89/218/CECA e 94/259/CECA, sono cessate l’attività siderurgica dell’ILVA e quella dello stabilimento ex-ETERNIT.
Con il comma 1 di tale articolo, in particolare, viene individuato nell’IRI il soggetto responsabile della realizzazione degli interventi previsti per il risanamento dell’area industriale di Bagnoli. L’IRI, vi provvederà sia direttamente, sia tramite società ad esso partecipate o, eventualmente, società specializzate, sulla base del progetto indicato nelle delibere del CIPE (approvate in data 13.4.1994 e 20.121.1994), delle prescrizioni tecniche stabilite nel Piano stralcio di risanamento ambientale (approvato con D.P.R. 8.6.1995) e sulla base del piano di risanamento approvato con decreto del Ministro dell’ambiente in data 21.12.1995.
In particolare si precisa che, con Delibera CIPE del 13 aprile 1994, il programma triennale di interventi 1994-1996 previsto dall’art. 4 della legge 18 aprile 1984, n. 80, è stato articolato in azioni di sviluppo, nel cui ambito sono stati individuati e coordinati interventi attuativi valutabili specificatamente sotto i profili tecnico, economico e finanziario.
In base a tale programma triennale, la ILVA S.p.A. è stata incaricata di provvedere al "progetto delle operazioni tecniche di bonifica dei siti industriali dismessi nella zona ad elevato rischio di crisi ambientale dell’area di crisi produttiva ed occupazionale di Bagnoli, comprensivo delle attività da svolgere, della fattibilità e dei costi degli interventi". Tale progetto è stato approvato con successiva Deliberazione CIPE in data 20 dicembre 1994, su proposta conforme del Ministro del bilancio e della programmazione economica d’intesa con Ministro dell’ambiente, ed è stato affidato per l’esecuzione alla ILVA S.p.A. in liquidazione. Esso è diretto al risanamento delle aree dismesse degli impianti siderurgici della stessa ILVA e della ETERNIT, al fine di predisporle per possibili iniziative di riuso.
Successivamente, in considerazione della grave situazione di degrado ambientale dell’area industriale di Bagnoli, è stato deciso di procedere all’immediata formalizzazione del piano di risanamento ambientale "quale anticipazione a stralcio" del complessivo. Piano di disinquinamento dell’area ad elevato rischio di crisi ambientale della Provincia di Napoli", e pertanto con D.P.R. 8 giugno 1995 è stato approvato il "Piano stralcio di risanamento ambientale" sopra menzionato.
In particolare con tale Piano – che ha valore di atto di indirizzo e di coordinamento per le amministrazioni statali, per la regione Campania, per gli enti locali e quelli pubblici, nonché per i soggetti privati operanti nella zona – sono state stabilite le prescrizioni tecniche, predisposte dal Ministero dell’ambiente ai sensi dell’art. 6 della legge n. 305/1989, per l’attuazione del progetto delle operazioni tecniche di bonifica dei siti industriali dismessi nell’area.
Sempre il comma 1 dell’articolo del citato decreto legge n. 486 del 1996, precisa che queste attività di risanamento comprendono le operazioni di smantellamento e di rimozione, le demolizioni e le rottamazioni nonché la bonifica delle aree dalla presenza di inquinanti fino alla profondità interessata dalla contaminazione.
Il successivo comma 4 prevede la istituzione di un Comitato di coordinamento e di alta vigilanza su queste attività di bonifica e di risanamento, composto da sette funzionari responsabili del settore, due dei quali designati dai Ministri del tesoro e del bilancio, mentre gli altri sono designati, rispettivamente, dai Ministri dell’ambiente e della sanità, dai presidenti della regione Campania e della provincia di Napoli, nonché dal Sindaco di Napoli. Questo Comitato svolge anche funzioni di "conferenza di servizi" ai sensi della legge n. 241 del 1990, e provvede a nominare una commissione, formata da sette esperti, per il controllo dell’attività di risanamento ambientale.

Il comma 47 in esame, integra quanto disposto dal citato comma 1 dell’articolo 1 del decreto legge n. 486 del 1996, prevedendo che il Comitato di coordinamento ed alta vigilanza previsto dal successivo comma 4 (a tal fine integrato dal Sovrintendente ai beni architettonici ed ambientali di Napoli o da un suo delegato) debba individuare – sentito il responsabile del Servizio urbanistico del comune di Napoli – i manufatti industriali particolarmente significativi dal punto di vista storico e testimoniale che, a salvaguardia della memoria storica del sito, non dovranno essere demoliti.
La destinazione di questi manufatti verrà poi decisa dal Consiglio comunale di Napoli nell’ambito della pianificazione urbanistica esecutiva.
NOTE
1 L’art. 4 della legge n. 80/1984, di conversione del D.L. n. 19/1984, recante "Proroga dei termini ed accelerazione delle procedure per l’applicazione della legge n. 219/1981 e successive modificazioni", ha stabilito che i Piani regionali di sviluppo della Campania e della Basilicata devono prevedere programmi pluriennali di intervento nel cui ambito devono essere individuati:
i piani da realizzare;
i soggetti pubblici e privati responsabili della loro realizzazione;
le modalità sostitutive dei soggetti inadempienti;
le quote finanziarie da assegnare ai singoli settori ed ai singoli progetti;
i progetti e le opere per la cui realizzazione si adottano procedure straordinarie.

 

 


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13/12/1998
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