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Articolo 25
(Patto di stabilità interno)

Il punto 5.7 del DPEF 1999-2001 indica due obiettivi al provvedimento collegato che introduce e disciplina il "Patto di stabilità interno":
definire gli strumenti e le procedure attraverso i quali i vincoli e gli obiettivi posti dall’Europa al governo nazionale si impongano anche alle regioni e agli enti locali, per modo che il comportamento di tutti i livelli di governo sia coerente con quelli;
definire i soggetti, gli strumenti e le procedure attraverso i quali i governi locali possano concorrere con lo Stato a definire le politiche di bilancio dirette al raggiungimento di quegli obiettivi e all’osservanza di quei vincoli.

L’articolo 25 (art. 24 nel testo approvato dalla Camera) considera unitariamente questi due obiettivi, con netto privilegio per il primo; il secondo è affidato alle diverse sedi nelle quali la Conferenza Stato-regioni e la Conferenza Stato-città ed autonomie locali partecipano alla definizione degli interventi specifici e delle modalità operative, alla definizione e rilevazione dei dati oggetto delle valutazioni, alla definizione dei criteri per l’applicazione dei parametri di riferimento. L’articolo per altro non si limita a definire il patto di stabilità soltanto per le sue modalità operative ma definisce direttamente le linee di azione rispetto ai due principali parametri di convergenza: la riduzione del disavanzo annuo e la riduzione del rapporto PIL/debito.
Va preliminarmente osservato che nel testo approvato dalla Camera uno dei parametri di riferimento era rappresentato dall'indebitamento netto annuo, calcolato come differenza tra le entrate finali effettivamente riscosse, inclusive dei proventi della dismissione di beni immobiliari , e le uscite finali effettivamente erogate, al netto delle operazioni per partite finanziarie; tra le entrate e le uscite non venivano considerati i trasferimenti tra enti del settore pubblico. Va ricordato, peraltro, che nel testo originario del Governo, la definizione di indebitamento netto era rimessa ad un decreto del Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro dell'interno e sentito l'ISTAT,
La Commissione Bilancio del Senato ha modificato il parametro di riferimento, che è ora costituito dal disavanzo, calcolato come differenza tra le entrate finali effettivamente riscosse, inclusive dei proventi della dismissione di beni immobiliari, e le uscite finali di parte corrente al netto degli interessi; tra le entrate non sono considerati i trasferimenti dallo Stato; nella valutazione del parametro si tiene conto, inoltre, delle variazioni del gettito IRAP e delle addizionali al gettito dei tributi erariali.

Per quanto concerne le disposizioni dell'articolo in esame, in estrema sintesi:
il comma 1 trasferisce alle regioni e agli enti locali, comprese le comunità montane (come precisato dalla Commissione Bilancio del Senato), i vincoli e gli obblighi che derivano dalla adesione "del Paese" al Patto di stabilità e crescita; su questo ‘trasferimento’ si radica l’articolazione del Patto di stabilità interno definito ai commi successivi;
il comma 4 elenca i soggetti ai quali si applicano gli obblighi derivanti dal Patto di stabilità interno;
il comma 2 definisce parametri, soggetti e procedure per le azioni dirette al contenimento del disavanzo annuo; alla definizione del contesto operativo la seconda parte del comma 2 aggiunge l’indicazione delle cinque azioni-obiettivo attraverso le quali perseguire la riduzione disavanzo annuo.
il comma 3 introduce un programma premiale per gli enti che adotteranno un piano di riduzione ‘accelerata’ del rapporto debito/Pil;
il comma 5, il comma 6 ed il comma 7 disciplinano il monitoraggio degli andamenti dei due parametri per gli enti posti sotto osservazione continua, determinano le modalità con le quali sono imposte misure correttive e stabiliscono il trasferimento delle eventuali sanzioni europee in capo agli enti responsabili;
i successivi commi da 8 a 13 introducono nuove linee di intervento per la definitiva emersione e riduzione dei debiti pregressi degli enti sanitari e il controllo delle cause e delle condizioni che determinano il formarsi di nuovi debiti;
il comma 8 consente a tutte le regioni di ridefinire - sulla base di una metodologia comune - l’intero stock dei debiti pregressi determinatisi sino al 31 dicembre 1997;
il comma 9 stabilisce una procedura ed i criteri attraverso i quali governo e regioni addivengano alla definizione di parametri comuni per valutare le componenti organizzative e finanziarie del servizio sanitario reso da ciascuna regione e provincia autonoma;
il comma 10 dispone che la nuova rilevazione dei disavanzi e la determinazione delle cause di squilibrio finanziario siano riferiti al Parlamento insieme alla definizione di azioni positive che consentano la progressiva eliminazione dei deficit;
il comma 11 prevede che, per ridurre progressivamente il proprio deficit, le regioni possano stipulare accordi che definiscano un piano di rientro al quale è connessa la possibilità di alienare il patrimonio delle aziende sanitarie quando non è destinato ad attività assistenziali, ed un premio finanziario assicurato - secondo quanto dispone il comma 13 - da un apposita quota (1,5%) rilevata dal fondo sanitario nazionale;
il comma 12 prevede - senza destinarvi nuove risorse - un adeguamento e potenziamento del sistema informativo sanitario;
il comma 14 - introdotto da un emendamento approvato dalla Commissione Bilancio - esclude le regioni a statuto speciale e le province autonome dalla disciplina ordinaria prevista dai commi 2, 3, 5-7 per la definizione e applicazione del patto di stabilità e dalla applicazione dei commi successivi che disciplinano la riduzione dei debiti pregressi.

Il comma 1 impegna le regioni, le province autonome le province ed i comuni a conformare le proprie politiche di bilancio agli obiettivi di finanza pubblica attraverso i quali si realizzano gli obiettivi posti dal Patto di stabilità e di crescita approvato il 16 e il 17 giugno 1997 dal Consiglio europeo di Amsterdam. L’adesione al Patto ed il programma di stabilità e di convergenza presentato dall’Italia al Consiglio dell’Unione europea impegnano "il Paese" ad adottare politiche che riducono progressivamente il ricorso all’indebitamento (formazione di nuovo debito) e il rapporto debito/Pil (riduzione dello stock del debito). Questi due vincoli - ed i rispettivi parametri di convergenza - obbligano anche gli altri livelli di governo in forza del patto di stabilità interno disciplinato complessivamente ai successivi commi 2-7. Nel corso dell’esame alla Camera, è stato approvato un emendamento che inserisce le azioni e le misure derivanti dal patto di stabilità "nel quadro del federalismo fiscale" e della nuova disciplina della finanza regionale. L’emendamento consegue allo stralcio dell’articolo 21 del testo originario, articolo che, a partire dal 1° gennaio 1999, assegna alle regioni a statuto ordinario nuove entrate di natura tributaria e sopprime corrispondentemente altrettanti trasferimenti erariali. Conseguentemente, al comma 2 di questo articolo è stato soppresso il riferimento ai termini previsti dall’originario articolo 21.
Inoltre, la Camera ha precisato che l'obiettivo di riduzione del rapporto debito/Pil deve essere inteso come riduzione del proprio (delle regioni, delle province autonome, delle province e comuni) ammontare di debito e il prodotto interno lordo.
La disciplina del federalismo fiscale - e quindi la riforma del finanziamento delle regioni a statuto ordinario - viene ora rimessa ad una apposita legge che dovrà introdurla "sulla base dei principi contenuti nel documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 1999-2001. Il riferimento è al disegno di legge "Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale", presentato dal Governo al Senato (A.S. n. 3599) come collegato esterno alla manovra di bilancio. L’articolo 10 di quel testo reca appunto la delega al Governo per l’emanazione di "uno o più decreti legislativi aventi per oggetto il finanziamento delle regioni e l'adozione di meccanismi perequativi interregionali". Il riferimento alla futura disciplina del federalismo fiscale ha per altro natura programmatica. Dovrebbe condizionare la definizione dei termini e delle modalità concrete con le quali il patto di stabilità agirà nei confronti delle regioni a statuto ordinario. In proposito si può osservare che il patto di stabilità obbliga tutte le regioni e gli enti locali mentre la disciplina che sarà introdotta dalla delega prevista nel ddl A.S. n. 3599 riguarda soltanto la finanza delle regioni a statuto ordinario. Per le regioni a statuto speciale e le province autonome la delega prevede solo norme di coordinamento; la finanza locale non è affatto considerata.

Il comma 2 trasferisce alle regioni ed agli enti locali il parametro-obiettivo della riduzione dell’indebitamento netto posto dal DPEF per il triennio 1999-2001, i soggetti e le procedure per la sua determinazione, le politiche finanziarie e di bilancio attraverso le quali regioni ed enti locali devono perseguire la progressiva riduzione del finanziamento in disavanzo delle proprie spese.
Il parametro di convergenza per la riduzione dell’indebitamento netto previsto dal DPEF per la finanza pubblica si applica anche alle regioni e agli enti locali: nell’anno 1999 il disavanzo deve ridursi di almeno di una misura pari a 0,1 punto percentuale del prodotto interno lordo; nei due anni successivi il disavanzo di ciascuno dei due esercizi deve almeno stabilizzarsi a quel livello e non può superare il rapporto stabilito dalla riduzione attuata nel 1999.
Va osservato che il successivo comma 7, introdotto dalla Commissione Bilancio del Senato, precisa che nella riduzione del disavanzo annuo deve essere mantenuta la corrispondenza tra le funzioni e le risorse, al fine di assicurare l'efficienza e l'efficacia dell'attività amministrativa.
Nella determinazione del disavanzo delle regioni e delle province autonome le devoluzioni e le compartecipazioni erariali costituiscono entrate proprie; la disposizione include fra le entrate proprie della regione somme che costituiscono trasferimenti erariali sino all’esercizio 1998. Si deve ricordare in proposito che l’articolo 10 della legge n. 281/1970 fissa al 20% delle entrate tributarie della regione il limite delle annualità di ammortamento per capitale e interessi dei mutui e dei prestiti in estinzione.
Il comma 2 stabilisce inoltre cinque politiche di bilancio attraverso le quali regioni ed enti locali dovranno perseguire la riduzione del disavanzo. Le prime due sono dirette a ridurre la spesa, le tre successive ad aumentare le entrate:
sul lato della spesa sono indicate, in primo luogo, azioni dirette alla riduzione generalizzata della spesa di ciascun ente fissando un tasso di crescita annuale inferiore a quello degli anni precedenti (lettera b); le azioni specifiche dovranno essere dirette in primo luogo ad aumentare l’efficienza e la produttività dei servizi pubblici che ciascun ente fornisce e, in generale, a ridurne i costi di gestione (lettera a);
sul versante delle entrate le azioni dovranno essere dirette ad aumentare le entrate tributarie proprie ampliando la base imponibile attraverso la riduzione dell’evasione (lettera c); regioni ed enti locali possono agire sulle aliquote solo entro margini molto ristretti; più ampie sono le azioni possibili nel campo delle tariffe e dei prezzi dei servizi; un secondo obiettivo è infatti quello di tendere a coprire interamente con prezzi e tariffe i costi dei servizi pubblici a domanda individuale (lettera d); viene infine indicata anche in questo contesto la dismissione dei beni immobili non funzionali allo svolgimento dell’attività istituzionale (lettera e), per quanto essa sia già una politica ripetutamente perseguita (e talvolta imposta) ad enti locali e aziende sanitarie quando si è messo mano al ripiano dei consistenti deficit di bilancio.

Il comma 3 definisce un procedimento premiale diretto in modo particolare agli enti locali con l’obiettivo di accelerare la riduzione del loro ammontare di debito. A differenza di quanto fa il comma 2 per il parametro del disavanzo, per la riduzione del rapporto debito/Pil non viene fissato un parametro-obiettivo. Il Protocollo n. 5 sui criteri di convergenza fissa il parametro debito/Pil al 60%; tuttavia il Patto di stabilità (cd. Piano Weigel) stabilisce che il parametro non si applica nei termini definiti dall’articolo 109J del Trattato ma che gli "Stati membri ammessi alla moneta unica che presentano un alto rapporto debito/Pil" - il riferimento è al Belgio e all’Italia - "dovranno intensificare gli sforzi per ridurre tale rapporto nel più breve tempo possibile". Il DPEF - paragrafo 5.9 - indica come obiettivo una riduzione di tre punti percentuali all’anno e il raggiungimento della soglia del 100% nell’anno 2003. Come si è detto, il comma 2 non traduce questi obiettivi in un parametro quantitativo per le regioni e gli enti locali. La riduzione del rapporto debito/Pil discenderà dalla riduzione del disavanzo secondo quanto stabilito al precedente comma e sarà perseguita un programma speciale di dismissioni immobiliari dirette al rimborso anticipato dei prestiti che gli enti (locali) hanno contratto con la Cassa depositi e prestiti.
Questi possono presentare al Ministero del tesoro, Dipartimento del tesoro, che, come precisato dalla Camera, si avvale della Cassa depositi e prestiti per lo svolgimento dell'attività, uno o più piani finanziari di riduzione - progressiva e continuativa - del proprio stock di debito e tali da ridurre il rapporto debito/Pil. I piani di riduzione dovranno avere una durata almeno quinquennale. Agli enti che conseguono i risultati previsti dai piani di riduzione del rapporto debito/Pil è consentito di estinguere anticipatamente il residuo debito con la Cassa depositi e prestiti senza corrispondere oneri aggiuntivi e l’indennizzo previsto per le estinzioni anticipate dei mutui. Il D.M. Tesoro 7 gennaio 1998, "Regole relative alla concessione, garanzia ed erogazione dei mutui concessi dalla cassa depositi e prestiti" (pubbl. in G.U. 23 gennaio 1998, n. 18) dispone che per la estinzione anticipata del mutuo assunto è dovuto alla Cassa un indennizzo. Nel testo originario si prevedeva, per gli enti che non avessero raggiunto gli obiettivi di riduzione posti dai piani, l'applicazione delle normali condizioni di rimborso anticipato dei prestiti. La Camera ha stabilito che la mancata realizzazione degli obiettivi del piano finanziario comporterà il pagamento della penale calcolata in base alle vigenti disposizioni, da effettuarsi in tre anni, anche mediante riduzione dei trasferimenti erariali.
Si osserva che il successivo articolo 56, comma 3, inserito dalla Commissione Bilancio del Senato, prevede ora particolari modalità di trasformazione dei mutui in essere in nuovi mutui da ammortizzare al tasso vigente al momento della definizione dell’operazione.

Il comma 4 elenca i soggetti tra i quali si stabilisce il "Patto di stabilità interno" e ai quali si applicano gli obblighi che ne discendono: regioni a statuto ordinario, regioni a statuto speciale e province autonome, province, comuni. Per le regioni la disposizione specifica che tutta la loro attività e, dunque, la loro finanza, è sottoposta alle regole e agli obiettivi del Patto. La norma è intesa a dissipare ogni dubbio circa l’applicabilità del patto alla spesa sanitaria. Quanto alle regioni a statuto speciale e alle province autonome si deve ritenere che il Patto, come principio di grande riforma economico-sociale, si impone anche in deroga ad eventuali disposizioni delle norme di attuazione che limitino l’operatività delle norme discendenti dal patto stesso. Sembra per altro opportuno che il comma contenga una disposizione espressa che specifichi il rapporto con le norme di attuazione degli statuti speciali.

I commi 5, 6 e 7 disciplinano le procedure di verifica e le eventuali sanzioni per il mancato rispetto degli obiettivi posti dal patto.
Il comma 5 stabilisce in primo luogo il criterio generale secondo il quale sono valutati, per la verifica dei risultati, i parametri della spesa e del disavanzo per tutti gli enti indicati dal comma 4: i valori rilevati nei dodici mesi precedenti sono confrontati con quelli dell’analogo periodo dell’anno precedente. Non vengono definite le circostanze di verifica per gli enti non sottoposti a monitoraggio.
Sono sottoposti invece a monitoraggio mensile da parte del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica le regioni, le province autonome, le province con popolazione superiore a 400.000 abitanti ed i comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti. Oggetto del monitoraggio sono l’andamento della spesa (valori di spesa) e il disavanzo. Le modalità di rilevazione, acquisizione e valutazione dei dati necessari a verificare l’andamento dei due indicatori sono stabilite dal Ministero del Tesoro, d’intesa con il Ministero dell’interno e con il Ministero degli affari regionali. In proposito si può osservare che la decisione e l’intesa sulle modalità di rilevazione dovrebbero essere imputate più opportunamente ai ministri dei dicasteri coinvolti; si versa infatti in una materia suscettibile di determinare conflitto di attribuzione. Le regioni, per altro non sono coinvolte - nemmeno tramite la Conferenza stato-regioni, - nella individuazione dei criteri in base ai quali sono valutate le loro azioni.
In particolare per gli enti del Servizio sanitario nazionale il comma 5 prevede che il monitoraggio mensile delle spese verifichi la coerenza dei dati di spesa con le indicazioni finanziarie del piano sanitario nazionale. Il Ministro del tesoro, bilancio e programmazione, d’intesa con il Ministro della sanità, deve individuare le modalità di rilevazione, acquisizione e valutazione dei dati.

Il comma 6 riproduce in questo contesto la procedura per la determinazione delle indicazioni e dei provvedimenti correttivi in caso di scostamento già istituita dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449, art. 48, commi 2, 3 e 4, per il monitoraggio del fabbisogno generato dalla spesa di regioni ed enti locali. La procedura è intesa ad indicare a far si che gli enti che si sono discostati dai parametri avviano le azioni correttive in grado di riportare in linea i loro conti finanziari. Al termine di ciascun semestre, la Conferenza stato regioni e, per gli enti locali, la Conferenza Stato-città ed autonomie locali comunica agli enti che si sono discostati le misure che essi sono tenuti ad attivare. Le misure - definite fra quelle indicate dal comma 2 dell’articolo - sono stabilite dalle due conferenze su proposta del Ministro del tesoro, del Ministro dell’interno e del Ministro per gli affari regionali.

Come già ricordato, il comma 7, introdotto dalla Commissione Bilancio del Senato, precisa che nella riduzione del disavanzo annuo deve essere mantenuta la corrispondenza tra le funzioni e le risorse, al fine di assicurare l'efficienza e l'efficacia dell'attività amministrativa. Le regioni, le province autonome, le provincie e i comuni (non vengono citate le comunità montane) verificano tale corrispondenza attraverso le procedure del controllo economico di gestione.

Il comma 8 trasferisce a carico delle regioni e degli enti locali l’eventuale sanzione comminata dagli organi europei in caso di scostamento eccessivo del deficit dal parametro di convergenza. La sanzione è posta a carico degli enti che non hanno realizzato gli obiettivi "per la quota ad essi imputabile". I criteri per definire le quote di responsabilità da imputare alle regioni e agli enti locali sono stabiliti, rispettivamente, dalle due conferenze.

A completare la disciplina del patto di stabilità relativamente alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano, la Camera ha introdotto nell’articolo una disposizione - collocata come comma 15 - che prevede per questi enti una diversa e differenziata procedura per determinare l’applicazione e gli effetti del patto di stabilità interno. Il comma 15 conferma che regioni a statuto speciale e province autonome sono anch’esse soggetti tenuti alla "realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica previsti da presente articolo" ma li esclude dalle procedure ordinarie perché dispone che per esse "si provvede con le modalità stabilite dall’articolo 48, comma 2, secondo periodo, della legge 27 dicembre 1997, n. 449". Quest’ultima disposizione è anch’essa una norma di esclusione e insieme di rinvio. Perché esclude le regioni a statuto speciale e le province autonome dalle procedure di monitoraggio per la limitazione del fabbisogno di tesoreria generato dalla spesa delle regioni e degli enti locali (quelle cui si fa cenno al precedente comma 6) e perché per le modalità con le quali devono essere raggiunti gli obiettivi rinvia a "criteri e procedure stabiliti d'intesa tra il Governo e i presidenti delle giunte regionali e provinciali nell'ambito delle procedure previste negli statuti e nelle relative norme di attuazione". Anche per il patto di stabilità il rinvio è dunque alle intese che saranno definite singolarmente fra il Governo e ciascun presidente di regione speciale e provincia autonoma. Per l’intesa non è prescritto alcun atto formale. Gli statuti e le norme di attuazione non contengono per altro norme specifiche che disciplinano questi aspetti: il richiamo può intendersi alle norme che regolano la finanza di ciascuna regione e provincia autonoma e a quelle che dispongono - espressamente solo per alcune - le modalità di accredito alle regioni delle entrate da compartecipazione ai tributi erariali e altre speciali norme di tesoreria.

I commi da 9 a 14 dettano disposizioni in merito al ripiano definitivo dei debiti del Servizio sanitario presentati dalle regioni per gli esercizi finanziari anteriori al 1997.

Il comma 9 prevede infatti che ogni regione e provincia autonoma trasmetta al Ministero della sanità, entro il 20 febbraio 1999:
la relazione sullo stato di attuazione dei provvedimenti tesi a ripianare la maggiore spesa sanitaria di competenza regionale sino al 31 dicembre 1994, elaborata sulla scorta di una metodologia concertata entro il 30 gennaio 1999 in sede di Conferenza Stato-regioni;
i dati riepilogativi regionali dei consuntivi delle aziende sanitarie per ciascuno degli esercizi finanziari 1995, 1996 e 1997;

l’illustrazione dell’andamento della spesa, con particolare riferimento a quella per il personale, per beni e servizi, per l’assistenza farmaceutica e per l’assistenza convenzionata.
La Conferenza Stato-regioni deve inoltre individuare per ogni regione ed entro il 31 marzo 1999, su proposta del Ministro della sanità, la quota di maggiore spesa per il 1997 attribuibile a provvedimenti di carattere nazionale e quella attribuibile a provvedimenti regionali, tenendo anche conto di quanto previsto dall’articolo 1, comma 34 della legge 662/96.

Il comma 10 prevede che, al fine di individuare le cause degli eventuali disavanzi, distinguendone la porzione derivante da provvedimenti nazionali da quella attribuibile a provvedimenti assunti in sede regionale, ma anche al fine di verificare i livelli di assistenza assicurati in ciascuna regione e provincia autonoma e valutare i risultati economico-gestionali, il Ministro della sanità, di concerto con il Ministro del tesoro, bilancio e programmazione economica e sentita la Conferenza Stato-regioni, definisca entro il 28 febbraio 1999 degli indicatori e dei parametri concernenti gli aspetti strutturali e organizzativi dei sistemi sanitari regionali e i livelli di spesa, con particolare riferimento allo stato di attuazione del provvedimento di riordino del Servizio sanitario nazionale e delle norme statali volte a garantire il corretto impiego delle risorse e un’appropriata utilizzazione dei servizi sanitari.
Con analoga procedura devono essere determinati i tempi e le modalità di raccolta e trasmissione delle informazioni aggiuntive rispetto ai flussi previsti dal vigente ordinamento.

Ai sensi del comma 11 la Conferenza Stato-regioni deve effettuare su proposta del Ministro della sanità – che a sua volta si avvale dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali - entro il 30 giugno 1999, la valutazione delle singole situazioni regionali, individuare le regioni deficitarie e definire gli interventi generali di rientro e di ripiano.
Il Ministro della sanità, sentita la Conferenza, deve presentare una relazione al Parlamento in ordine:
ai dati e alle informazioni desumibili dagli atti e dalle attività svolti ai sensi dei precedenti commi;
agli esiti della concertazione avuta con le regioni;
alle indicazioni per le azioni di rientro dai debiti;
al Piano di monitoraggio per il perseguimento dei livelli di assistenza.


Il comma 12 dispone che entro il 30 settembre 1999 il Ministro della sanità, il Ministro del tesoro, bilancio e programmazione e le singole regioni stipulino accordi in cui si individuino gli interventi necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico-gestionale nel rispetto dei livelli di assistenza, tenendo conto di quanto previsto dal Piano sanitario nazionale 1998-2000 e dalla normativa vigente. Per le regioni che avessero una situazione deficitaria gli accordi prevedono un programma di interventi per il rientro dai disavanzi con le relative modalità attuative, distinguendo sempre la quota attribuibile a provvedimenti di carattere nazionale da quella attribuibile a provvedimenti regionali. È data inoltre facoltà alle regioni che presentino un disavanzo nel proprio bilancio di alienare parte del patrimonio delle aziende sanitarie, non destinato ad attività di carattere assistenziale.
Al fine di assicurare il rientro dal deficit nel settore sanitario, il Ministro della sanità adotta, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, apposite linee di indirizzo per le regioni assicurando supporti tecnici, nel rispetto dell’autonomia regionale.

Con il comma 13 si impegna il Ministro della sanità, sentita la Conferenza Stato-regioni e con la collaborazione dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali, ad adeguare il sistema informativo sanitario, in coerenza con il disposto del Piano sanitario nazionale 1998-2000, per garantire il monitoraggio del grado di perseguimento:
dei livelli di assistenza da parte dei soggetti del Servizio sanitario nazionale;
dell’andamento della spesa;
dell’attuazione degli accordi tra ministri interessati e regioni di cui al comma precedente.

Il comma 14 stabilisce che entro il 31 gennaio 1999 il Ministro del tesoro, bilancio e programmazione economica, di concerto con il Ministro della sanità, previa intesa in sede di
Conferenza Stato-regioni ripartisca le disponibilità finanziarie per l’anno 1999. Di tali disponibilità l’1,5% è ripartito, in occasione del riparto delle risorse per il SSN iscritte nel bilancio dello Stato per l’anno 2000, a favore di quelle regioni che hanno sottoscritto l’accordo di cui al comma 11 e ne hanno dato esecuzione, in ragione del grado di attuazione del programma stesso. In caso di inerzia da parte delle amministrazioni regionali rispetto all’esecuzione degli accordi o del permanere di una situazione deficitaria, il Governo può adottare le penalizzazioni e le forme di intervento sostitutivo previste dalla normativa vigente.
Per quanto riguarda il ripiano dei disavanzi del SSN, si rammenta che la normativa vigente prevede, in generale, che a partire dall'esercizio 1990 una quota dei disavanzi rimanga a carico delle regioni.
In particolare l'art. 13, comma 1, del D.Lgs. n. 502/92 (Riordino in materia sanitaria) stabilisce che le regioni provvedano con proprie risorse:
- agli effetti finanziari conseguenti all'erogazione di livelli di assistenza sanitaria superiori a quelli uniformi fissati dal Piano sanitario nazionale
- all'adozione di modelli organizzativi diversi da quelli assunti come base per la determinazione della quota capitaria di finanziamento
- ai disavanzi di gestione delle Aziende sanitarie con conseguente esonero di interventi finanziari da parte dello Stato
Successivamente l'art. 10, co. 1, della L. 724/1994 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica - provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1995) ha previsto l'obbligo del pareggio di bilancio (già previsto dall'art. 4 comma 8 del D.Lgs 502/92 citato) per le Aziende sanitarie nonché quello a carico delle regioni a provvedere al ripiano dei loro eventuali disavanzi.
In seguito il D.L. 509/95, convertito, con modificazioni, dalla L. 34/96, recante Disposizioni urgenti in materia di strutture e di spesa del SSN, ha autorizzato (art. 1, comma 1) la Cassa depositi e prestiti a concedere alle regioni mutui, con oneri a carico del bilancio dello Stato, entro il limite massimo di 3.480 miliardi, per fronteggiare le maggiori occorrenze finanziarie di parte corrente del Servizio sanitario nazionale per gli anni 1993 e 1994.
Al fine di agevolare gli interventi regionali in relazione alle gestioni stralcio (previste dall'art. 6 della L. 724/94 citata), l'articolo 2, comma 1, del D.L: 509/95 ha previsto la possibilità da parte delle regioni di utilizzare le eventuali disponibilità derivanti dai mutui per i ripiani dei disavanzi per gli anni dal 1985 al 1992 e la possibilità di destinare le eventuali residue liquidità al ripiano dei disavanzi per gli anni 1993 e 1994.
Infine, sempre l'articolo 2 del D.L. n. 509/95, ha previsto la possibilità per le regioni di assumere integralmente i mutui a copertura dei disavanzi per gli anni dal 1987 al 1991 anche nelle more del completamento degli adempimenti di cui all'art. 19, comma 1, della legge 155/89 previsti dalle leggi di ripiano dei disavanzi di detti anni al fine dell'ottenimento dell'autorizzazione a contrarre i mutui a saldo.
Il D.L. n. 630/96, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 21/97, all'articolo 1, comma 1, autorizza il Ministro del tesoro a contrarre mutui fino a 5.000 miliardi di lire a totale carico del bilancio dello Stato per la copertura dei disavanzi di parte corrente registrati dal Servizio sanitario nazionale fino al 31.12.1994.
La ripartizione delle somme avviene sulla base di criteri che tengono conto degli adempimenti svolti dalle regioni relativamente all'accertamento dei disavanzi:
- alle regioni che abbiano completato le operazioni di ricognizione dei debiti e dei crediti al 31 dicembre 1994 e che abbiano inviato tutti gli atti ricognitivi approvati dai direttori generali e verificati dai collegi dei revisori entro la data di entrata in vigore del D.L. è assegnata da parte del Ministero del tesoro una quota in misura percentuale massima del 50% del disavanzo complessivo (comma 3);
- alle regioni che abbiano completato le operazioni di ricognizione e che abbiano inviato i dati relativi agli atti ricognitivi approvati dai direttori generali, ma con verifica parziale dei collegi dei revisori è assegnata da parte del Ministero del tesoro una quota pari al 30% dei disavanzi verificati dai collegi dei revisori delle USL (comma 4);
- alle regioni che invece completino le operazioni di ricognizione entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del D.L. in esame, il Ministro del tesoro eroga una quota correlata alle risorse finanziarie residue e comunque in misura non superiore al 20% del disavanzo verificato (comma 5).
Il comma 7 autorizza il Ministro del tesoro, in attesa della definizione delle operazioni di mutuo da parte del Ministero medesimo e degli adempimenti amministrativo-contabili necessari per il trasferimento delle risorse, a concedere anticipazioni in misura pari al 40% delle somme effettivamente spettanti (così come determinate ai sensi dei commi 3, 4 e 5). E' prevista inoltre dal comma 8 la facoltà per il Ministero del tesoro di non tenere vincolate le liquidità derivanti dai mutui contratti in attesa dell'erogazione delle stesse alle regioni ma di disporne liberamente a condizione che le relative modalità vengano predeterminate con apposito decreto del Ministro medesimo.
L'articolo 1-bis del D.L. n. 630/96, al fine di utilizzare da subito le disponibilità complessive del fondo speciale di parte corrente della nuova legge finanziaria per il 1997 (legge n. 663/96) relativamente alle finalizzazioni di competenza del Ministero della sanità, dispone inoltre l'utilizzo di ulteriori 450 mld di lire per ciascuno degli anni 1998 e 1999 per la copertura ulteriori mutui per il ripiano dei disavanzi di parte corrente del SSN a tutto il 1994;
L'impiego delle risorse derivanti dall'accensione dei mutui contratti ai sensi dell'art. 1-bis per la copertura dei disavanzi degli enti del SSN avviene nel modo seguente:
- il 90% con le medesime modalità previste dal precedente articolo 1;
- il 10% vengono assegnate alle regioni dopo gli adempimenti concernenti la ricognizione dei disavanzi e la loro verificazione secondo quanto previsto dall'art. 19, comma 1, del DL. n. 65/89, convertito con modificazioni, dalla legge n. 155/89.
Sulla questione del finanziamento dei disavanzi delle aziende sanitarie è da segnalare che l'art.54, comma 13, della legge 449/97 (collegato per il 1998) abroga in via generale le norme che autorizzano la contrazione di mutui da parte del Tesoro. Le spese pluriennali sono pertanto finanziate nei limiti risultanti dalla Tabella F della legge finanziaria. Per quanto qui interessa pertanto le somme stanziate per l'accensione dei mutui dal D.L. n. 630/96 sono state "riclassificate" come spesa corrente e riportate nella Tabella F - settore di intervento n. 26 (su cui vedi oltre).
Si rileva inoltre che nel disegno di legge finanziaria per il 1999 (A.S. 3661) nella tabella A, Ministero della sanità è previsto per il 1999 uno stanziamento per il ripiano dei disavanzi delle aziende sanitarie pari a 4.500 miliardi.

Il comma 15 - inserito dalla Camera - specifica che per la realizzazione degli obbiettivi della finanza pubblica previsti dal presente articolo nelle regioni a statuto speciale e nelle provincie autonome, si provvede con le modalità stabilite dall’art. 48, comma 2, secondo periodo, della L. 449/1997, cioè secondo criteri e procedure stabiliti di intesa tra il Governo e i Presidenti delle giunte regionali e provinciali, nell’ambito delle procedure previste negli statuti e nelle relative norme di attuazione.

Inoltre, con l'introduzione del comma 16, la Camera ha stabilito che nella determinazione delle spettanze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, per l'anno 1999, si debba tener conto del minor gettito IRPEF derivante dalla restituzione del contributo straordinario per l'Europa. Va infatti considerato che i meccanismi di compensazione previsti per la restituzione del contributo sono tali da produrre effetti di riduzione del gettito IRPEF nel 1999.

NOTE

1 Il Patto di stabilità e la dichiarazione del Consiglio del 2 maggio 1998 sul proseguimento degli sforzi per ridurre il debito e potenziare la convergenza (cosiddetto "dichiarazione Weigel")
(Questa nota, e quella successiva sui parametri di convergenza, sono tratte, con alcune abbreviazioni, dal dossier "L’Unione economica e monetaria", redatto dal Servizio Rapporti comunitari e internazionali della Camera; in particolare il punto 8.2., pag. 18 e seguenti ed il punto 3., pag. 6 e seguenti)

Il Patto di stabilità
Il Patto di stabilità, volto a disciplinare gli obblighi economici e di bilancio degli Stati membri che partecipano all’Euro, ha l’obiettivo di evitare che delle situazioni di deficit eccessivo possano prodursi dopo il passaggio alla terza fase dell’unione economica e monetaria.
Il Trattato di Maastricht ha in realtà già previsto una procedura ad hoc, volta a garantire la sorveglianza da parte del Consiglio dell’Unione europea sulle posizioni di bilancio dei singoli Stati membri: la cosiddetta procedura per i disavanzi eccessivi. Tale procedura prevede in sostanza che - a partire dalla terza fase dell’Unione economica e monetaria - il Consiglio possa infliggere delle sanzioni di carattere pecuniario, nel caso in cui un disavanzo sia stato ufficialmente sanzionato e lo Stato membro in questione non ottemperi alle richiesta di riduzione di tale disavanzo.
La proposta di un Patto di stabilità è nata da una valutazione politica, da parte di alcuni Stati membri (in particolare la Germania), circa l’insufficienza della procedura sui disavanzi eccessivi prevista dal Trattato. In particolare, è emersa la necessità da un lato, di trasformare il valore di riferimento del 3% del rapporto disavanzo/PIL in un tetto massimo, non valicabile se non in circostanze eccezionali, e dall’altro, di un meccanismo sanzionatorio semi-automatico che sottraesse la decisione di comminare eventuali sanzioni alla valutazione discrezionale del Consiglio dell’Unione europea.
Il patto di stabilità è ora definito da una risoluzione relativa la patto di stabilità che il Consiglio europeo di Amsterdam ha approvato il 16 e 17 giugno 1997 e da due distinti regolamenti: uno per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche (Reg.(CE)1466/97) e l’altro per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi (Reg. (CE) 1467/97).
Il regolamento (CE) 1466/97 è volto a rafforzare la procedura di sorveglianza e di coordinamento delle posizioni di bilancio già in parte delineata dall’articolo 103 del Trattato. Tale regolamento prevede che:
i paesi ammessi alla moneta unica dovranno adottare dei Programmi di stabilità, nei quali dovranno precisare l’obiettivo a medio termine di una situazione di bilancio della pubblica amministrazione con un saldo prossimo al pareggio o in attivo, i particolari delle misure destinate a conseguire tali obiettivi e le previsioni su base annuale dell’andamento delle rispettive economie e l’analisi delle ripercussioni sulla posizione di bilancio e sul debito di eventuali modifiche delle ipotesi economiche;
i paesi non ammessi alla moneta unica saranno tenuti a presentare dei Programmi di convergenza che conterranno informazioni analoghe a quelle dei Programmi di Stabilità;
tutti gli Stati membri, a prescindere dalla loro partecipazione alla moneta unica dovranno indicare nel programma di stabilità o nel programma di convergenza un obiettivo a medio termine delle loro posizioni di bilancio in avanzo o vicino al pareggio (fermo restando il valore di riferimento del 3% come tetto che sarà consentito superare solo in circostanze eccezionali e temporanee, superamento per la cui disciplina si rinvia al regolamento (CE) 1467/97 e alla risoluzione del Consiglio europeo sul patto di stabilità);
i programmi di stabilità e i programmi di convergenza dovranno essere presentati prima del 1° marzo 1999 e aggiornati ogni anno. Essi verranno resi pubblici.
sia i programmi di stabilità che i programmi convergenza dovranno essere presentati al Consiglio dell’Unione europea che, previa valutazione da parte della Commissione e del Comitato monetario (che a partire dalla terza fase dell’UEM sarà sostituito dal Comitato economico e finanziario), li esaminerà, formulando un parere con il quale potrà eventualmente invitare lo Stato membro ad adeguare il proprio programma.
il Consiglio, nell’ambito della sorveglianza multilaterale attribuitagli dall’articolo 103 del Trattato CE, verificherà l’applicazione dei programmi di stabilità e dei programmi di convergenza allo scopo di individuare scostamenti sensibili, in atto o prevedibili, della posizione di bilancio rispetto all’obiettivo a medio termine o al percorso di avvicinamento a tale obiettivo. Nel caso si verifichi tale scostamento sensibile, il Consiglio potrà rivolgere allo Stato membro interessato una raccomandazione affinché siano adottate le necessarie misure di aggiustamento del bilancio. Nel caso in cui tale scostamento persista o si aggravi il Consiglio potrà, oltre a raccomandare l’adozione delle opportune misure correttive, anche rendere pubblica la propria raccomandazione;
Il regolamento (CE) 1467/97 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi, allo scopo di dissuadere l’emergere di disavanzi pubblici eccessivi e di correggere prontamente i disavanzi che si sono tuttavia determinati, accelera e chiarisce la procedura per i disavanzi eccessivi istituita dall’articolo 104C del Trattato, fissando un calendario chiaro e un sistema di sanzioni esplicito.
Esso prevede:
la costituzione di un sistema di allarme preventivo in caso di difficoltà di bilancio da parte dei singoli stati per il quale trascorrono al massimo dieci mesi dall’avvio della procedura al momento in cui il Consiglio deciderebbe le sanzioni da applicare;
le sanzioni assumono inizialmente la forma di un deposito infruttifero costituito presso la Commissione. Lo Stato membro in questione ha due anni di tempo per ridurre il disavanzo e vedere restituito il deposito infruttifero (senza gli interessi). Trascorsi due anni senza che il deficit sia stato ridotto entro il valore di riferimento del 3% il deposito (come peraltro gli interessi maturati dai depositi) sarà trasformato in ammenda definitiva da ripartirsi tra gli Stati facenti parte dell’area dell’Euro che non hanno un deficit eccessivo;
le sanzioni - che riguarderanno solo gli Stati membri ammessi all’Euro - saranno composte da una parte fissa pari allo 0,2% del PIL del paese inadempiente e da una parte variabile pari ad un decimo della differenza tra il disavanzo espresso in percentuale del PIL nell’anno precedente ed il 3% del valore di riferimento del PIL. Nel caso che il superamento del valore di riferimento del 3% continui l’anno successivo lo Stato membro in questione non dovrà più depositare la quota fissa, ma solo quella variabile pari ad un decimo della differenza tra il disavanzo espresso in percentuale del PIL nell’anno precedente ed il 3% del valore di riferimento del PIL. I depositi aggiuntivi, effettuati in conseguenza degli eventuali successivi anni di deficit eccessivi, si convertiranno in ammende definitive solo trascorsi due anni.
sarà consentito superare il tetto massimo del 3% del deficit rispetto al PIL, senza incorrere in sanzioni, solo in "circostanze eccezionali e temporanee". Il superamento del valore del 3% per il disavanzo pubblico è considerato eccezionale e temporaneo "qualora sia determinato da un evento inconsueto non soggetto al controllo dello Stato membro interessato ed abbia rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione oppure nel caso sia determinato da una grave recessione economica". La grave recessione economica viene quantificata in un declino annuo del PIL, in termini reali pari almeno al 2%. In pratica vi è una esenzione automatica dalle sanzioni nel caso in cui il superamento del valore di riferimento del 3% del rapporto deficit/PIL avvenga in presenza di una recessione economica superiore al 2% su base annua (evento peraltro rivelatosi assai raro in Europa dal dopoguerra a oggi);
in caso di caduta del PIL reale inferiore al 2%, potranno comunque essere decise delle deroghe dal Consiglio. Ciò nella previsione di un’economia che abbia fatto registrare nel suo recente passato elevati tassi di crescita del PIL e per la quale una caduta del PIL anche inferiore al 2% rappresenterebbe una severa recessione. Lo Stato membro potrà dunque evitare le sanzioni nel caso in cui - anche se in presenza di una recessione economica inferiore al 2% del PIL - riuscirà a dimostrare innanzi al Consiglio il carattere eccezionale del proprio deficit eccessivo; nella risoluzione del Consiglio europeo di Amsterdam sul patto di stabilità, oltre ad impegnare gli Stati membri, il Consiglio e la Commissione a una stretta applicazioni del trattato e delle disposizioni di diritto derivato concernenti la stabilità di bilancio, si è sancito l’impegno formale degli Stati membri a non invocare comunque la procedura con cui ottenere dal Consiglio una deroga per un deficit eccessivo nel caso tale deficit si verifichi in presenza di una caduta del PIL reale inferiore allo 0,75%. In pratica, in presenza di una recessione superiore al 2% lo Stato membro viene automaticamente esentato da sanzioni in caso di deficit superiore al valore di riferimento del 3% del rapporto deficit/PIL; in presenza invece di una flessione del PIL tra lo 0,75% e il 2% vi sarà la possibilità per uno Stato membro di difendere di fronte al Consiglio dell’Unione europea un eventuale deficit eccessivo; mentre al di sotto dello 0,75% lo Stato membro sarà automaticamente soggetto a delle sanzioni economiche.

Il "Piano Weigel"
In occasione del Consiglio informale Ecofin che si è svolto a York, in Gran Bretagna lo scorso 20 e 21 marzo 1998, al quale hanno partecipato anche i Governatori delle Banche centrali era stata avanzata da parte del Ministro delle finanze della Germania Theo Waigel la proposta che tutti gli Stati membri ammessi all’euro esprimessero il loro impegno e la loro volontà nel proseguire il consolidamento del bilancio. In occasione della decisione sul passaggio alla terza fase dell'Unione economica e monetaria adottata dal Consiglio riuniti a livello dei capi di Stato e di Governo, il Consiglio Ecofin ha quindi adottato il 2 maggio 1998 una dichiarazione del Consiglio del sul proseguimento degli sforzi per ridurre il debito e potenziare la convergenza (cosiddetto "Piano Weigel"). Questa dichiarazione comporta i seguenti elementi:
un più stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri;
rispetto delle norme relative al regolamento per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche (Reg.(CE)1466/97), che concorre a definire il cosiddetto "Patto di stabilità" a partire dal 1° luglio 1998. In particolare gli Stati membri si impegnano a:
assicurare che gli obiettivi di bilancio nazionale fissati per il 1998 siano pienamente rispettati, con l'impegno da parte degli Stati membri ad adottare tempestivamente le eventuali misure correttive;
rafforzare, nel caso di un miglioramento delle condizioni economiche, il processo di consolidamento dei bilanci per raggiungere a medio termine l'obiettivo di posizioni finanziarie vicine al pareggio o in surplus. Questo significa formalizzare un impegno da parte dei paesi che aderiranno all'euro a destinare alla riduzione del debito tutti i margini positivi che eventualmente si producessero in seguito ad un miglioramento della congiuntura economica;
gli Stati membri ammessi alla moneta unica che presentano un alto rapporto debito/Pil (Belgio e Italia ndr.) dovranno intensificare gli sforzi per ridurre tale rapporto nel più breve tempo possibile. A tale proposito si dovranno mantenere degli appropriati livelli di surplus primari e gli Stato dovranno adottare misure volte a ridurre il debito lordo. I bilanci, inoltre, dovranno essere resi meno vulnerabili tramite appropriate strategie di gestione del debito;
i ministri competenti per gli affari economici e finanziari degli Stati membri si impegnano a sottomettere al Consiglio entro la fine del 1998 programmi nazionali di stabilità o di convergenza che rispecchino tali elementi.
si ribadisce che la responsabilità per il consolidamento dei bilanci è e rimane dei singoli Stati membri e che la Comunità, secondo quanto previsto dall'articolo 104 B del trattato, non può essere ritenuta responsabile per gli impegni assunti dagli Stati membri. L'Unione economica e monetaria non potrà essere chiamata in causa per giustificare specifici trasferimenti finanziari
il processo di consolidamento dei bilanci dovrà essere integrato da misure volte a migliorare l'efficienza complessiva delle economie, potenziare le occasioni di crescita economica e le condizioni favorevoli all'aumento dell'occupazione e della coesione economica e sociale; Il Consiglio si è impegnato in particolar modo a adottare le iniziative necessarie per combattere la disoccupazione, in particolare quella giovanile, quella a lungo termine e quella dei lavoratori non specializzati. I Ministri si non impegnati a mettere in atto quanto prima i piani d'azione nazionali per l'occupazione redatti alla luce delle linee guida della politica per l'occupazione. Tali piano saranno inoltre presi in considerazione da parte del Consiglio nella preparazione del Consiglio europeo di Cardiff e dei Consigli europeo successivi;
al fine di una più piena traduzione delle dinamiche di crescita economica in risultati positivi nei confronti della lotta contro la disoccupazione i ministri delle finanze degli Stati membri si sono accordati sull'opportunità delle seguenti riforme strutturali.
rendere più efficienti i mercati dei prodotti, del lavoro e dei capitali;
migliorare l'adattabilità dei mercati del lavoro al fine di riflettere meglio gli sviluppi salariali e produttivi,
rendere i sistemi nazionali di educazione e formazione efficaci ai fine dell'occupazione;
promuovere l'imprenditorialità, anche semplificando gli ostacoli di ordine amministrativo;
facilitare, in particolare per le piccole e medie imprese, l'accesso ai mercati dei capitali ed ai fondi di "venture capital";
aumentare l'efficienza del sistema fiscale evitando fenomeni di concorrenza fiscale,
considerare l'impatto dell'invecchiamento della popolazione sui sistemi di sicurezza sociale.
2 L'articolo 109J del Trattato richiede il rispetto del criterio della "sostenibilità della situazione della finanza pubblica; questa risulterà dal conseguimento di una situazione di bilancio pubblico non caratterizzata da un disavanzo eccessivo secondo la definizione di cui all'articolo 104C, paragrafo 6".
Secondo quanto precisato dall'articolo 2 del protocollo n. 6 sui criteri di convergenza, uno Stato membro è convergente in termini di finanza pubblica se "non è oggetto di una decisione del Consiglio di cui all'articolo 104C, paragrafo 6, del Trattato, circa l'esistenza di un disavanzo eccessivo".
Spetta quindi al Consiglio, a maggioranza qualificata, su raccomandazione della Commissione e considerate le osservazioni dello Stato membro interessato, adottare la decisione circa l'esistenza di un deficit eccessivo.
Ai fini di questa decisione, la Commissione sorveglia l'evoluzione della situazione di bilancio e dell'entità del debito pubblico, ed in particolare la conformità ai seguenti criteri (articolo 104C, paragrafo 2):
1) se il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che il rapporto non sia diminuito in modo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un valore prossimo al valore di riferimento; oppure che il superamento di tale soglia sia eccezionale e temporaneo e il rapporto resti comunque vicino al valore di riferimento;
2) se il rapporto debito pubblico/PIL superi un valore di riferimento, a meno che non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato.
I suddetti valori di riferimento sono stati fissati dal protocollo n. 5 nelle seguenti percentuali: 3% per il rapporto disavanzo/PIL e 60% per il rapporto debito/PIL.
Se uno Stato membro non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i criteri menzionati, la Commissione prepara una relazione. La relazione della Commissione tiene conto anche dell'eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa per gli investimenti e di tutti gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro (paragrafo 3).
Le fasi seguenti della procedura includono la formulazione di un parere in merito alla relazione della Commissione da parte del comitato monetario (paragrafo 4); la trasmissione al Consiglio di un parere da parte della Commissione, se essa ritiene che esista un disavanzo eccessivo (paragrafo 5); quindi una decisione del Consiglio, dopo una valutazione globale, in merito all'esistenza di un disavanzo eccessivo (paragrafo 6). Il Consiglio formula infine raccomandazioni, che non vengono rese pubbliche, allo Stato membro nel quale è stata riscontrata l'esistenza di un disavanzo eccessivo, al fine di far cessare tale situazione entro un determinato periodo (paragrafo 7). Successivamente, il Consiglio, qualora determini che nel periodo stabilito non sia stato dato seguito effettivo alle sue raccomandazioni può rendere pubbliche dette raccomandazioni (paragrafo 8). Qualora ritenga che il disavanzo eccessivo negli Stati membri in questione sia stato corretto, il Consiglio abroga la sua decisione (paragrafo 12). Le disposizioni dell'articolo 104 C, paragrafo 9 e paragrafo 11 non sono applicabili durante la seconda fase dell'UEM.
3 L’indennizzo da corrispondere per l’estinzione anticipata del mutuo è pari alla differenza fra il valore attuale delle rate residue calcolato utilizzando, quale tasso di sconto, il tasso vigente al momento della domanda per la concessione di nuovi mutui e il residuo debito, intendendosi per tale il residuo capitale da ammortizzare al 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui si commina l’estinzione, desumibile dal piano di ammortamento, così la circolare della Cassa depositi e prestiti 13 marzo 1998, n. 1227, "Istruzioni generali per l’accesso al credito della Cassa depositi e prestiti".
4 Le disposizioni dei commi da 1 a 5 dell'articolo 48 della legge n. 449/1997 introducono il monitoraggio del fabbisogno di tesoreria generato dalla spesa (dai prelevamenti) delle regioni e degli enti locali.

Limiti al fabbisogno
Il comma 1 definisce i limiti entro i quali possono espandersi i prelevamenti di tesoreria delle regioni e province autonome e degli enti locali per il triennio 1998-2000. Il parametro di riferimento è costituito dal fabbisogno determinato dagli accrediti e dai prelevamenti effettuati sull’insieme dei conti di ciascun ente nell’anno precedente a quello considerato. Questo contenimento del fabbisogno generato dalla spesa di regioni ed enti locali è qualificato nel testo come "il concorso" di quegli enti "alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica".
Le limitazioni imposte alla crescita del fabbisogno fanno riferimento alle entrate di bilancio delle regioni ed enti locali le cui disponibilità sono depositate su conti correnti della tesoreria unica. Questi conti sono soggetti ai limiti di accredito (per le somme provenienti dal bilancio dello Stato) e di prelievo stabiliti dalle disposizioni sulla Tesoreria unica. Sui conti loro intestati regioni ed enti locali emettono mandati di prelievo (in favore del proprio tesoriere) e di pagamento per le spese di bilancio. Il saldo negativo del complesso delle operazioni sui conti di tesoreria determina il fabbisogno dell’aggregato regioni e dell’aggregato enti locali. Il comma 1 dell’articolo 48 pone un limite alla crescita di queste due componenti del fabbisogno di tesoreria: la disposizione agisce come divieto ad effettuare prelievi che aumentino il fabbisogno generato in ciascuno degli anni 1998–2000 oltre le seguenti misure:
- per l’esercizio 1988 il fabbisogno generato "dal sistema delle autonomie regionali e locali" non dovrà essere superiore a quello determinatosi – a consuntivo – per l’esercizio 1997;
- per gli anni successivi (1999 e 2000) quel fabbisogno non dovrà essere superiore a quello dell’esercizio precedente maggiorato del tasso programmato di inflazione.
Dal computo per la determinazione del limite sono escluse:
- la spesa sanitaria;
- le spesa relativa a nuove funzioni acquisite a seguito di trasferimento o delega di funzioni statali nel corso degli anni 1997 e seguenti. Il riferimento è, in primo luogo, al processo di decentramento operato sulla base della legge n. 59 del 1997; l’esclusione riguarda anche il completamento delle norme di attuazione degli statuti speciali.
L’ultimo periodo del comma 1 disciplina il monitoraggio dei pagamenti relativi alla spesa sanitaria. In questo caso il parametro assunto non è quello degli esborsi di tesoreria ma quello dei pagamenti a terzi disposti da regioni ed aziende sanitarie. La disposizione stabilisce che i pagamenti di ciascun anno non eccedano quelli degli anni precedenti incrementati del tasso programmato di inflazione. Si deve ritenere che il limite così posto sia relativo a ciascuno degli anni 1998-2000. Il monitoraggio è effettuato dal Ministro del tesoro e del bilancio, d'intesa con il Ministro della sanità. Dell'esito del monitoraggio viene data informazione alla conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
Il contenimento ed il controllo del fabbisogno si aggiunge agli altri vincoli di tesoreria unica e, in particolare, al limite agli accrediti dei pagamenti del bilancio dello Stato sui conti di tesoreria di regioni ed enti locali (art. 3, comma 214, della legge n. 662/1996 Quanto al monitoraggio dei flussi di cassa delle regioni e degli enti locali, si deve ricordare che l’articolo 8, comma 5, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito con modificazioni nella legge 28 febbraio 1997, n. 30, aveva già disposto "il monitoraggio degli andamenti dei pagamenti delle regioni e degli enti locali … allo scopo di verificare che (nel 1997, n.d.r.) essi non eccedano mensilmente, in modo cumulato, quelli effettuati nel 1996, incrementati del tasso d'inflazione programmato". Per verificare gli andamenti e gli eventuali scostamenti dai limiti posti, quella disposizione ha previsto che nell’ambito della Conferenza Stato-regioni doveva essere effettuato un apposito monitoraggio dei pagamenti per l’esercizio 1997. In questa attività la Conferenza Stato-regioni, non essendo stata ancora istituita la Conferenza Stato-città e autonomie locali doveva procedere d’intesa con le organizzazioni rappresentative degli enti locali. Il monitoraggio dei pagamenti, che per altro non risulta essere stato avviato se non in forma di monitoraggio dei prelievi di tesoreria, non viene prorogato.

Criteri operativi per il computo e monitoraggio (regioni)
Il comma 2 demanda alla Conferenza Stato-regioni il compito di definire "i criteri operativi" attraverso i quali addivenire - per le regioni a statuto ordinario - alla definizione del fabbisogno di riferimento.
Il secondo periodo del comma sottrae alla Conferenza Stato-regioni le decisioni relative al fabbisogno generato da regioni a statuto speciale e province autonome. Per esse viene introdotta una procedura di concertazione e di intesa tra il Governo ed i singoli presidenti di regione e provincia autonoma che fa riferimento a quelle già previste dagli statuti speciali e relative norme di attuazione. I criteri e le procedure del monitoraggio così stabiliti dovranno garantire i medesimi obiettivi di contenimento fissati al comma 1.
Per le regioni a statuto ordinario la Conferenza definisce anche le procedure attraverso le quali si realizza – con cadenza mensile - il monitoraggio dell’andamento del fabbisogno relativo ai conti di quegli enti.

Criteri operativi per il computo e monitoraggio (province e comuni)
Analogamente a quanto stabilito per le regioni e le province autonome, il comma 3 attribuisce alla Conferenza Stato-città e autonomie locali il compito di definire i criteri operativi per determinare (per ciascun ente interessato) il fabbisogno di riferimento sul quale si applicano il monitoraggio e le eventuali limitazioni. Il monitoraggio dovrà essere effettuato sistematicamente e con cadenza mensile sui flussi di cassa di tutte le province con popolazione superiore a quattrocentomila abitanti e dei comuni con popolazione superiore a sessantamila abitanti. Per gli altri enti (con popolazione inferiore) la disposizione in esame rimette alla Conferenza Stato-città il compito di individuare "criteri e tempi di monitoraggio coerenti con la diversa dimensione demografica". Pur ponendo l’obbligo di monitorare i flussi di cassa degli enti con dimensione demografica minore, la disposizione consente che essi possano essere saltuari e limitati ad alcuni enti individuati secondo criteri definiti dalla Conferenza.
Il regime di Tesoreria unica cui sono sottoposte le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano è (stato sempre) disciplinato da alcune disposizioni di eccezione rispetto alle norme generali. Queste riguardano in primo luogo le condizioni di accredito delle somme provenienti dal bilancio dello Stato. Regioni a statuto speciale e province autonome sono escluse dall’obbligo posto per tutti gli altri enti dall’articolo 40, comma 4, secondo il quale tutte "le assegnazioni, i contributi e quant’altro proveniente dal bilancio dello Stato" non sono messi direttamente a disposizione degli enti destinatari ma "affluiscono nei conti ad essi intestati presso le tesorerie dello Stato". Per regioni a statuto speciale e province autonome questo obbligo non sussiste per tutte le somme che, pur provenienti dal bilancio dello Stato. costituiscono le entrate proprie previste dallo Statuto. La gran parte di queste somme è rappresentata dalle entrate per compartecipazioni ai tributi erariali. Ad esse il quarto comma dell’articolo 40 aggiunge espressamente le somme dovute alla Regione Sicilia a titolo di solidarietà nazionale (art. 38 dello statuto). Eccezione ulteriore è quella disposta dalla legge 7 agosto 1982, n. 526, articolo 38, in favore della regione Sicilia, della regione Trentino-Alto Adige e delle province autonome di Trento e Bolzano. Questo articolo dispone che alle somme provenienti dalle entrate statutarie di questi enti (compreso ancora il fondo di solidarietà nazionale per la regione Sicilia) non concorrono al computo del limite delle disponibilità che possono essere detenute presso la propria tesoreria. Questo regime di eccezione - che non comprende quindi le regioni Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta - è stata espressamente richiamata dall’articolo 2 della legge n720/1984. Per le tre regioni non considerate da questa disposizione permane l’obbligo di riversare in conto presso la tesoreria centrale anche le somme provenienti da risorsa statutaria, qualora queste dovessero concorrere a superare il limite del 3% presso il proprio tesoriere.
Si applicano invece indistintamente alle regioni a statuto speciale e province autonome gli obblighi e i vincoli di prelievo relativi al cosiddetto "tiraggio di tesoreria". Per la Regione Trentino-Alto Adige e per le province autonome il D.Lgs. n. 268/1992. art. 8, comma 4-bis dispone che "la regione e le province autonome possono disporre fino a tre prelevamenti mensili dai rispettivi conti e per ciascun conto, salvo disposizioni più favorevoli previste dalla normativa vigente in materia di tesoreria unica".

5 Si ricorda che l’articolo 1, comma 34 della legge 662/96 (collegato per il 1997) ha previsto il CIPE, ai fini della determinazione della quota capitaria per la ripartizione del Fondo sanitario nazionale alle regioni debba anche stabilire, su proposta del Ministro della sanità, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, l'incidenza da attribuire ai seguenti elementi: popolazione residente; frequenza dei consumi sanitari per età e sesso; tassi di mortalità della popolazione; indicatori relativi a particolari condizioni territoriali ritenuti utili in relazione ai bisogni sanitari delle diverse regioni; indicatori epidemiologici territoriali. Il comma ha previsto altresì la possibilità per il CIPE, su proposta del Ministro della sanità, d'intesa con la Conferenza Stato- regioni, di vincolare quote del Fondo ripartite alle regioni per specifici obiettivi contenuti all'interno del Piano sanitario nazionale, con priorità per i progetti sulla tutela della salute materno-infantile e degli anziani nonché sui progetti sulla salute mentale e per quelli finalizzati alla prevenzione. Nell'ambito dei progetti finalizzati alla prevenzione, dovranno essere attribuite quote specifiche del FSN a favore di quelli tendenti a ridurre l'incidenza delle malattie ereditarie. Il comma prevede inoltre l'obbligo delle regioni di concedere gratuitamente i vaccini per alcune vaccinazioni non obbligatorie, nei limiti delle rispettive disponibilità finanziarie.
6 L'Agenzia per i servizi sanitari regionali è stata istituita con il D.Lgs. 30 giugno 1993, n. 266 di riordino del Ministero della sanità il quale ha previsto l'istituzione di tale organismo sovraregionale dotato di personalità giuridica e sottoposto alla vigilanza del Ministero della sanità. I compiti dell'Agenzia sono di supporto all'attività regionale, di valutazione comparativa dei costi e dei rendimenti dei servizi, di segnalazione di disfunzioni e sprechi nella gestione delle risorse umane e materiali, di trasferimento delle innovazioni e delle sperimentazioni in materia sanitaria. La disciplina dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali è stata più dettagliatamente disciplinata dal regolamento approvato con il D.M. 22 febbraio 1994.
Sulla base della delega contenuta nell'articolo 6 della legge 59/97, il Governo ha emanato il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 115, recante Completamento del riordino dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, che attribuisce all'Agenzia, oltre ai compiti già previsti, anche l'espressione di un parere obbligatorio sui provvedimenti di sostituzione delle amministrazioni regionali e delle province autonome adottati dal Consiglio dei Ministri in caso di loro inadempienza relativamente alle misure loro attribuite in tema di legislazione sanitaria e il monitoraggio delle modalità di accreditamento delle strutture e dell'attuazione dei protocolli d'intesa tra università e regioni.
Si ricorda inoltre che nel disegno di legge 4230-B, recante Delega al Governo per il riordino del SSN, approvato dal Senato ed ora nuovamente in discussione presso la XII Commissione Affari sociali della Camera, all’articolo 2, la lettera nn) specifica le attribuzioni dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali in relazione alla funzione di monitoraggio del sistema periferico e di verifica del rispetto, da parte delle strutture locali, degli obiettivi della programmazione. L'Agenzia per i servizi regionali deve individuare, in collaborazione con le regioni interessate, gli interventi volti al recupero dell'efficienza, dell’economicità e della funzionalità nella gestione dei servizi sanitari, fornendo loro un necessario supporto tecnico per la redazione di programmi tesi alla realizzazione di condizioni ottimali; svolge infine un compito di verifica dell'attuazione e riferisce al Ministro della sanità.
La successiva lettera oo) prevede che il Ministro della sanità, valutate le situazioni locali e sulla base delle segnalazioni trasmesse dall'Agenzia per il servizi sanitari regionali, sostiene i programmi previsti dalla lett. nn); applica, sentita l’Agenzia, le penalizzazioni finanziarie previste dalle diverse leggi (adeguate, e secondo meccanismi automatici di riduzioni e dilazioni dei flussi finanziari) in caso di inerzia o di ritardo da parte delle regioni nell'attuazione di tali programmi; individua inoltre, su parere dell'Agenzia e previa consultazione anche della Conferenza Stato-regioni, forme di intervento del Governo volte a far fronte ai casi più gravi all’eventuale inerzia delle amministrazioni.
7 Il piano sanitario nazionale 1998-2000 ha fissato dei nuovi livelli di assistenza da garantire in condizione di uniformità alla popolazione, rispetto a quelli definiti nell’ambito del precedente piano sanitario nazionale 1994-96. Vengono definite tre grandi macro aree di offerta, divise a loro volta in sotto-livelli:
1. assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro
1.1 Profilassi delle malattie infettive e diffusive
1.2 Tutela dei rischi connessi con l’inquinamento ambientale
1.3 Tutela dei rischi connessi con gli ambienti di vita e di lavoro
1.4 Sanità pubblica veterinaria
1.5 Tutela igienico-sanitaria degli alimenti
2. assistenza distrettuale
2.1 Assistenza sanitaria di base Assistenza farmaceutica
2.1 Assistenza specialistica ambulatoriale
2.3 Assistenza territoriale e semiresidenziale
2.4 Assistenza residenziale sanitaria
3. assistenza ospedaliera
3.1 Assistenza per acuti
3.2 Assistenza post-acuzie

8 Si ricorda che il Piano sanitario nazionale 1998-2000 ha previsto che fosse ridisegnato il sistema informativo sanitario, per renderlo più efficace rispetto alle esigenze degli operatori e dei cittadini; il piano indica inoltre le azioni attraverso cui perseguire tale obiettivo:
• definizione dei bisogni di informazione in capo ai diversi utilizzatori del sistema;
• sviluppo di sistemi di informazione che rendano conto del risultato finale del servizio sanitario, in termini di stato di salute, qualità della vita, soddisfazione dei pazienti;
• integrazione dei sistemi informativi sanitari tra loro e con gli altri sistemi informativi della pubblica amministrazione (anagrafi, INPS, INAIL, ecc.);
• potenziamento dei sistemi informativi locali e sviluppo delle connessioni in rete;
• sviluppo del sistema di garanzia e tutela;
• adozione di protocolli per la raccolta e l’elaborazione di dati;
• valorizzazione e diffusione del patrimonio informativo del Sistema informativo sanitario.
Si ricorda inoltre che nella sezione dedicata alla definizione dei livelli di assistenza da garantire, il Piano, in considerazione del fatto che il monitoraggio e la verifica dei livelli di assistenza garantiti alla popolazione e dei relativi livelli di spesa richiedono costanza e tempestività nei flussi informativi, ha di nuovo richiamato l’adeguamento del sistema informativo e ha previsto l’emanazione di apposite linee-guida al fine di favorire il raccordo dei flussi informativi esistenti con il monitoraggio e la verifica dei livelli nuovi di assistenza.


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14/12/1998
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