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Articolo 17
(Beni immobili statali)

L'articolo 17 (articolo 16 nel testo approvato dalla Camera) contiene l’ennesima disposizione in materia di beni immobili dello Stato, da un lato, prevedendo una diversa modalità per la loro privatizzazione e comunque per la loro gestione in forme privatistiche (commi da 1 a 4 e 6) e, dall’altro, disponendo, come si è incidentalmente accennato nel "quadro normativo", l’eliminazione di una serie di termini fissati dalla vigente normativa in materia, che ne circoscrivono temporalmente l'efficacia (comma 5).
In materia di alienazione di beni immobili appartenenti al demanio dello Stato sono stati adottati, successivamente all'entrata in vigore del codice civile e del codice della navigazione, numerosissimi provvedimenti, larga parte dei quali riguardanti specifiche situazioni di alienazioni di beni ad enti locali. Si è quindi determinata una stratificazione di norme con le quali si sono indicate procedure e modalità per l'alienazione dei singoli beni spesso contraddittorie. A partire dalla XI legislatura si è posta l'esigenza di riformare la normativa vigente mediante l'adozione di misure di carattere generale che individuassero criteri omogenei. A tale finalità doveva corrispondere in particolare la legge n. 579/1993, recante "Norme per il trasferimento agli enti locali e alle regioni di beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato". Tale legge si articola in due parti: con la prima si introduce una disciplina generale diretta ad agevolare il trasferimento agli enti locali dei beni immobili dello Stato, demaniali o patrimoniali, non utilizzati in conformità alla propria destinazione pubblicistica; con la seconda si dispone in ordine all'alienazione di singoli beni immobili dello Stato, sulla base di specifiche indicazioni contenute in alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare.
L'articolo 1 autorizza il Ministro delle finanze, fino alla data di entrata in vigore di una disciplina organica e unitaria sulla gestione economica dei beni demaniali e patrimoniali indisponibili dello Stato, a disporre con propri decreti il trasferimento agli enti locali territoriali dei beni del demanio pubblico e del patrimonio indisponibile dello Stato. La condizione per richiedere tale trasferimento è che tali beni non risultino utilizzati in conformità al soddisfacimento degli interessi pubblici cui sono destinati. Per tali beni gli enti locali possono quindi fare richiesta di trasferimento al proprio patrimonio, finalizzandoli alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di interesse pubblico di propria competenza.
L'articolo 2 dispone che la cessione dei beni possa essere effettuata a trattativa privata; il primo atto per l'attivazione della procedura è la richiesta dell'ente territoriale che deve indicare la destinazione finale del bene e fornire indicazioni essenziali sui tempi e le modalità di realizzazione e gestione delle opere o di svolgimento dell'attività progettata.
Questi elementi sono valutati, insieme ai presupposti generali previsti dalla legge stessa ed alla compatibilità con gli altri vincoli urbanistici, ambientali, paesaggistici nonché storici ed artistici, dal Ministro delle finanze, come previsto dall'articolo 3, comma 1, il quale autorizza con decreto la cessione. Con lo stesso decreto il Ministro, tenendo conto degli aspetti tecnici, fissa il termine e le condizioni per la realizzazione dell'opera o per l'inizio di svolgimento dell'attività, incaricando altresì l'Ufficio tecnico erariale della valutazione del prezzo di cessione.
Sempre con riferimento al prezzo di cessione, l'articolo 3, comma 3 stabilisce che esso non possa essere inferiore alla metà del valore determinato dall'UTE e che tale valore debba semplicemente essere calcolato tenendo conto delle condizioni stabilite dal suddetto decreto del Ministro delle finanze e delle destinazioni di piano, senza alcun riferimento alla corrispondenza col valore di mercato.
In conformità alle disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241/1990, l'articolo 3, comma 2, stabilisce il termine per la conclusione del procedimento, cioè per l'emanazione del decreto di autorizzazione alla cessione a trattativa privata, in sei mesi, a meno che l'Amministrazione finanziaria non chieda chiarimenti o integrazioni, nel qual caso lo stesso è prorogato di 4 mesi.
Successivamente al decreto di autorizzazione inizia la procedura di trattativa privata e la stipula dell'atto di cessione, il quale deve prevedere la risoluzione espressa del contratto nel caso di mancata utilizzazione dei beni (in questo caso si considerano espressamente i soli beni immobili, ciò che potrebbe essere interpretato come previsione di non obbligatorietà della clausola di risoluzione per i beni mobili) nei termini indicati dal progetto di massima - il quale oltre ad essere conforme al decreto di autorizzazione, deve essere allegato all'atto di cessione - ovvero nel caso di utilizzo difforme degli stessi rispetto alle finalità indicate nella richiesta. (articolo 4). La procedura si conclude con l'emanazione di un secondo decreto da parte del Ministro delle finanze, di approvazione dell'atto di cessione. Il decreto deve essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale entro 15 giorni dalla stipulazione del contratto (articolo 4, comma 3).
L'articolo 5 stabilisce altresì che i beni demaniali e patrimoniali così trasferiti restano assoggettati ai vincoli (urbanistici, ambientali, paesaggistici, storici ed artistici) a cui erano assoggettati prima della cessione ed entrano a far parte del demanio o del patrimonio indisponibile dell'ente cessionario, come stabilito nel decreto di approvazione del contratto di cessione sopra citato.
Gli articoli da 6 a 9 dettavano invece norme che in sede di prima applicazione della legge autorizzavano il Ministro delle finanze a procedere alla cessione di taluni beni immobili agli enti locali interessati.
Successivamente, in materia di trasferimento agli enti locali di beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato sono intervenute le disposizioni di cui all'articolo 2, commi 37 e 38, della legge n. 549/1995 (collegato per il 1996).
In particolare, il comma 37 prevede che su richiesta di comuni e di altri enti locali (dovrebbe trattarsi, benché ciò non venga esplicitato, degli enti locali territoriali, i quali in base alla lettera della legge n. 142/1990 sono, oltre ai comuni, le province, le comunità montane, i consorzi e le unioni di comuni) siano trasferiti in proprietà agli enti medesimi i beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato che risultino non utilizzati alla data del 30 giugno 1995 o che, anche successivamente a tale data, risultino non più utili ai fini istituzionali delle Amministrazioni dello Stato.
Il trasferimento degli immobili deve essere disposto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sentiti i Ministri competenti ed il prezzo di cessione viene fissato in misura pari ai due terzi del valore determinato dall'Ufficio tecnico erariale competente per territorio. Si ricorda a tale proposito che in seguito alla legge n. 358/91 di riforma dell'Amministrazione del Ministero delle finanze, le competenze proprie degli Uffici tecnici erariali sono state trasferite agli Uffici del territorio, i quali sono al momento stati attivati solo in alcune province.
La norma prevede che il trasferimento sia effettuato prioritariamente nei confronti dei comuni ed in via subordinata nei confronti degli altri enti locali che ne abbiano fatto richiesta.
I beni così trasferiti restano assoggettati, secondo la disposizione del comma 38, ai vincoli urbanistici e a quelli a tutela di interessi ambientali, paesaggistici e storici. Per il perfezionamento dell'atto di cessione è stabilito il termine di un anno dalla data di richiesta.
La norma in esame disciplina quindi, pur con alcune differenze, un procedimento analogo a quello di cui alla L. n. 579/1993, in precedenza illustrata. Infatti:
- mentre l'ambito soggettivo ed oggettivo è lo stesso, trattandosi in entrambi i casi di beni immobili demaniali e patrimoniali e del loro trasferimento agli enti locali che ne facciano richiesta, nella norma in esame non è però prevista alcuna condizione circa la finalità cui devono essere successivamente destinati gli immobili una volta trasferiti nel patrimonio degli enti locali. Nella L. n. 579/1993, invece, la richiesta di trasferimento è subordinata alla finalizzazione degli immobili trasferiti alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di interesse pubblico di competenza dell'ente locale;
- il trasferimento di cui alla norma in esame va disposto con DPCM, anziché con decreto del Ministro delle finanze come previsto nella L. n. 579;
- per quanto riguarda i beni oggetto del trasferimento, esso è previsto per gli immobili del demanio pubblico e per i beni immobili del patrimonio disponibile ed indisponibile dello Stato; la L. n. 579 consente invece il trasferimento dei beni del patrimonio disponibile solo nel caso in cui siano inutilizzati, mentre nella norma in esame è sufficiente anche che i beni risultino non più utili ai fini istituzionali delle amministrazioni statali. Il trasferimento viene quindi reso possibile per i beni del patrimonio indisponibile, i quali come già detto hanno un carattere di utilità pubblica immediata e non possono senza un'espressa norma essere sottratti alla loro destinazione.
Si segnala che allo scopo di evitare le possibili incertezze che sul piano attuativo potrebbero derivare dalla successione di provvedimenti legislativi differenti, nel decreto legge n. 79/97, convertito dalla legge n. 140/97, il Governo ha introdotto una disposizione esplicitamente diretta a chiarire l'ambito di applicazione delle disposizioni adottate in materia dalle citate leggi n. 579/93 e 549/95.
Va inoltre ricordato che ulteriori disposizioni in merito all'alienazione di beni immobili dello Stato sono contenute ai commi 86-105 dell'articolo 3 della citata legge n. 662/96 (collegata alla legge finanziaria per il 1997). Peraltro, mentre le disposizioni di cui ai commi 86-96 riguardano specificamente la dismissione di beni appartenenti al patrimonio dello Stato mediante il loro conferimento a fondi immobiliari da istituire ai sensi della legge n. 86/94, i commi 99-105 si riferiscono genericamente a beni immobili e a diritti reali su immobili appartenenti allo Stato e, quindi, presumibilmente, anche ai beni demaniali oltre che a quelli del patrimonio statale. Le disposizioni richiamate prevedono che i beni immobili dello Stato non conferiti in fondi immobiliari possono essere alienati direttamente mediante asta pubblica e, qualora quest'ultima vada deserta, mediante trattativa privata, sulla base del miglior prezzo di mercato. Al fine di accelerare le procedure di dismissione è inoltre stabilito che i relativi procedimenti, qualunque sia il valore dei beni da alienare, siano curati dagli uffici dell'amministrazione finanziaria della provincia ove i beni stessi sono situati. Inoltre, vengono decuplicati i limiti di valore vigenti ai fini della richiesta del parere del Consiglio di Stato. E' poi stabilito che i contratti siano approvati e resi esecutivi, a secondo del relativo valore, dal direttore generale del dipartimento del territorio del Ministero delle finanze ovvero dal direttore centrale del demanio, ovvero dai direttori delle direzioni compartimentali del territorio. Infine, il prezzo di vendita deve essere determinato, entro e non oltre 60 giorni dalla richiesta di apposita perizia, a seguito di documentate indagini di mercato eseguite a livello locale e tenuto conto dei valori rilevati dall'osservatorio del mercato dei valori immobiliari istituito presso il dipartimento del territorio. La normativa da ultimo richiamata è stata parzialmente modificata dalle disposizioni di cui al comma 12 dell’articolo 14, della legge n. 449/97 (collegata alla manovra di finanza pubblica per il 1998), che, tra le altre cose, ha stabilito che l’alienazione dei beni a trattativa privata da parte dell’amministrazione finanziaria può essere effettuata soltanto qualora il valore di mercato degli stessi non superi i 300 milioni. Inoltre, allo scopo di favorire il diritto di prelazione degli enti locali territoriali previsto al comma 113 della citata legge n. 662/96 in caso di alienazione dei beni già conferiti ai fondi immobiliari da istituire ai sensi della medesima legge, si prevede l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di informare della determinazione di vendere e delle relative condizioni il comune ove il bene è situato.
Da ultimo, nella legge n. 127/97, la cosiddetta legge Bassanini sullo snellimento delle procedure amministrative, è stata introdotta, al comma 65 dell'art. 17, nel corso dell'esame parlamentare, un'altra norma in materia che rimanda ad un regolamento, da adottare ai sensi della legge n. 400/88, ai fini dell'individuazione dei casi e delle modalità con le quali beni immobili dello Stato possono essere ceduti a titolo gratuito agli enti locali e alle regioni. I beni interessati devono essere iscritti in catasto del demanio civile e militare ed essere inutilizzati da almeno dieci anni. Tale ultima disposizione trae origine dalla intenzione, largamente condivisa, di semplificare le procedure di alienazione anche mediante una parziale delegificazione della materia.
Sulla base delle disposizioni richiamate, si possono svolgere le seguenti considerazioni:
a) rispetto alla normativa preesistente e in particolare alle citate leggi n. 579/93 e n. 549/95, le disposizioni contenute nella legge n. 662/96 sembrano avere una portata più ampia laddove si possono applicare a tutti i beni demaniali e non solo a quelli che non risultino utilizzati;
b) a differenza dei precedenti provvedimenti, non viene indicata una procedura specifica per favorire l'acquisto dei beni da parte degli enti locali;
c) si introduce una sorta di decentramento di competenze in ordine alla stipula dei contratti di compravendita evidentemente allo scopo di velocizzare la procedura di alienazione;
d) si individuano nuove modalità per la definizione del prezzo di alienazione dei beni che non viene più affidato all'ufficio tecnico erariale.
Resta tuttavia da verificare in che misura le disposizioni di cui alla legge n. 662 si sovrappongano a quelle precedenti, di cui peraltro non è prevista l'abrogazione né la riformulazione. Analoghe considerazioni valgono anche per quanto concerne la citata legge n. 127/97, soprattutto laddove essa prevede una parziale delegificazione.

Più in particolare, il comma 1 consente al Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro delle finanze e, nel caso di immobili vincolati, del Ministro per i beni e le attività culturali, non solo di vendere, ma anche di conferire a società per azioni compendi, singoli beni immobili (non destinati ad usi governativi) o diritti reali su di essi anche se posti nella disponibilità di soggetti diversi dallo Stato - in virtù di leggi, atti amministrativi o a qualunque altro titolo -, ciò al fine di assicurarne una più proficua gestione.
Si tratta, com’è evidente, di una ulteriore modalità di privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico realizzata attraverso il semplice conferimento dei beni a società per azioni al cui capitale possono partecipare sia amministrazioni pubbliche che privati (comma 4) e il cui precipuo scopo sociale, come chiarito dalla relazione illustrativa, sia quello di "vendere o gestire in senso più razionale ed economicamente produttivo i beni stessi, fermo restando i vincoli su di essi gravanti".

Quanto agli utili di tali società, nonché ai proventi derivanti dalla alienazione dei beni, il comma 2 rinvia al citato comma 95, lettera b) dell’articolo 3 della legge n. 447 del 1996, per il quale gli utili spettanti all’erario (in relazioni agli utili derivanti dalle quote nei fondi immobiliari chiusi), nonché i proventi delle vendite, confluiscono al bilancio dello Stato per essere successivamente riassegnati, entro certi limiti (in misura non inferiore al 5 e non superiore al 15 per cento del loro valore) ai comuni nel cui territorio i beni ricadono. Occorre a quest’ultimo riguardo segnalare come nella relazione illustrativa la quota da riassegnare ai comuni sia individuata in una misura tra il 10 ed il 25 per cento, mentre, come accennato, la lettera b dell’articolo 3 della legge n. 447 cui il comma 2 in esame prevede una riassegnazione "in misura non inferiore al 5 per cento e non superiore al 15 per cento del valore" del conferimento.
In alternativa, sempre il comma 2 prevede che, ove i beni ricadano nella circoscrizione di un solo comune, venga attribuita ad esso una partecipazione alla società cui il bene viene venduto o riferito, sempre però nei limiti fissati dalla norma richiamata.

Il successivo comma 3 detta una particolare disciplina per i beni "che non possono essere alienati" (in questa nozione potrebbero essere ricompresi i beni demaniali e quelli del patrimonio indisponibile), prevedendo che questi possano essere conferiti a società che ne curano l’esercizio e la valorizzazione, corrispondendo un compenso annuo allo Stato a titolo di corrispettivo per la loro utilizzazione. In proposito va rilevato come appaia poco chiaro, dal tenore letterale della disposizione in esame, a che titolo vengano trasferiti a società beni qualificati come indisponibili. Parrebbe quindi trattarsi più che di un conferimento in senso proprio del bene della società - che è un vero e proprio atto traslativo, irrealizzabile nel caso di beni indisponibili - della conclusione di un contratto relativo al godimento del bene. Ciò sembra confermato dalla previsione di un corrispettivo, da versarsi annualmente da parte della società allo Stato, a titolo di corrispettivo per la utilizzazione dei beni in esame.
In proposito, si può rilevare che non appare chiaro il motivo per cui la valorizzazioni di beni inalienabili debba risultare più proficua qualora se ne disponga il conferimento piuttosto che mediante l’affidamento del loro utilizzo attraverso un atto di concessione.

Finalizzato ad una più efficiente gestione del patrimonio immobiliare statale è anche il comma 6, ove si prevede che gli immobili non più utilizzati dall’Amministrazione e dagli enti locali (specificazione introdotta dalla Camera) possano essere affidati, in concessione o sulla base di semplici contratti, a privati o ad altre amministrazioni pubbliche che si impegnino a ristrutturarli o, se necessario, a ricostruirli al fine di una proficua utilizzazione degli stessi. Il prezzo da corrispondere all’Amministrazione statale e agli enti locali per l’utilizzazione di tali beni è fissato tenendo conto dell’impegno finanziario derivante dalla realizzazione del progetto di ristrutturazione. Si prevede poi che la concessione del bene possa essere revocata – o il contratto, con cui il bene viene affidato possa essere risolto - nel caso di mancato adempimento, da parte del concessionario o del contraente privato, delle obbligazioni contratte da questi soggetti con i terzi finanziatori, e ciò parrebbe essere una misura volta a rafforzare la garanzia della serietà dell’impegno assunto dai concessionari

Il comma 7, infine, rinvia ad un decreto del Presidente del Consiglio la disciplina attuativa della normativa in esame, mentre il comma 5, come si è anticipato, sopprime i termini fissati dall’articolo 3 della legge n. 662 del 1996 per la redazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dell’elenco dei beni e diritti reali in funzione dell’apporto iniziale ai fondi immobiliari chiusi previsti dal medesimo articolo 3. Si prevede altresì la soppressione del termine previsto per promuovere la costituzione della società di gestione di tali fondi immobiliari.

Il comma 8, introdotto dalla Camera, stabilisce da ultimo che rimane fermo quanto disposto dall’articolo 3, comma 114, della legge n. 662/1996, il quale stabilisce che i beni immobili e i diritti reali sugli immobili appartenenti allo Stato e situati nei territori delle regioni a statuto speciale possono essere conferiti nei fondi immobiliari di cui alla legge n. 86/1994, sentite le regioni che si pronunciano in conformità dei rispettivi statuti.

La Commissione Bilancio del Senato ha introdotto il comma 9 con il quale viene modificato il termine previsto nel primo periodo del comma 5 dell'articolo 12 della legge n. 127 del 1997.
Tale disposizione stabilisce che le approvazioni e le autorizzazioni ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089, relative ad interventi in materia di edilizia pubblica e privata sui beni di interesse storico e artistico, sono rilasciate entro il termine di novanta giorni dalla presentazione della richiesta alla competente soprintendenza.
Il comma 9 in esame porta il termine a 120 giorni.
Si ricorda che in base allo stesso comma 2 del citato articolo 12, il termine è sospeso, fino a trenta giorni, per una sola volta, se la competente soprintendenza richiede chiarimenti o elementi integrativi di giudizio ovvero procede ad accertamenti di natura tecnica, dandone comunicazione al richiedente. Decorso tale ultimo termine, previa diffida a provvedere nel successivo termine di trenta giorni, le richieste di approvazione e di autorizzazione si intendono accolte (comma 6 dell'articolo 12 della legge n. 127 del 1997).
La Commissione Bilancio del Senato, introducendo il comma 10, ha inoltre stabilito che in merito all'attuazione delle disposizioni previste nell'articolo 17 in commento, all'entità e qualità della valorizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato e all'attività della società di cui al comma 3, venga presentata una relazione annuale al Parlamento, da parte dei Ministri del tesoro e delle finanze.

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16/12/1998
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