Per la ratifica non è necessario stravolgere la legge 185 È sbagliato e pericoloso
estendere alla Nato le procedure dell'Accordo di Farnborough Gli interventi del senatore Tino Bedin nella Giunta per gli Affari europei
Dal resoconto della seduta del 18 settembre 2002 della Giunta per gli affari europei del Senato, riportiamo gli interventi del senatore Tino Bedin.
Disegno di legge
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro tra la Repubblica francese, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica italiana, il Regno di Spagna, il Regno di Svezia e il Regno Unito della Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività dell'industria europea per la difesa, con allegato, fatto a Farnborough il 27 luglio 2000, nonché modifiche alla legge 9 luglio 1990, n. 185, approvato dalla Camera dei deputati
di Tino Bedin
segretario della Giunta per gli Affari europei del Senato
... Prende quindi la parola il senatore BEDIN che, nel preannunciare una valutazione positiva sull'Accordo la cui ratifica è oggetto dei primi due articoli del provvedimento in titolo, manifesta la netta contrarietà della sua parte politica sulle altre disposizioni del disegno di legge, introdotte nel corso dell'esame del medesimo da parte dell'altro ramo del Parlamento. L'Accordo di Farnborough, la cui definizione è stata oggetto di un'attenta e proficua trattativa di cui sono stati protagonisti i Governi della passata legislatura, mira a favorire il processo di integrazione e ammodernamento dell'industria della difesa in Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Spagna e Svezia. In questi sei paesi è localizzata il 90 per cento della capacità produttiva europea di armamenti convenzionali. Si tratta dunque di un Accordo che è europeo nella sua dimensione politica anticipando molti aspetti di un'auspicata piena comunitarizzazione della politica europea di sicurezza e di difesa.
In proposito l'oratore ricorda l'intensa azione svolta dai Governi di centro-sinistra per l'allargamento e l'approfondimento della politica estera e di difesa comune, ancor prima dei tragici eventi dell'11 settembre. L'Accordo in esame, la cui ratifica è prevista dai primi due articoli del provvedimento, è dunque un tassello essenziale nella definizione di un'Europa capace di svolgere con pienezza un'efficace politica estera e di difesa comune. L'Accordo inoltre completa la legge n. 185 del 1990 prevedendo un livello europeo del controllo democratico sulla politica degli armamenti, prescrivendo in particolare che la lista degli Stati in cui sia possibile esportare produzioni belliche venga approvata per consenso da parte degli Stati parti dell'Accordo medesimo.
L'equilibrato spirito del provvedimento viene rotto dagli articoli successivi ed in particolare dall'articolo 7, che dispone l'estensione delle procedure previste dall'Accordo a tutti i paesi dell'Unione e a quelli della NATO, introducendo un improprio elemento di bilateralismo in una materia in cui va approfondita invece la cooperazione tra i paesi europei. Il Trattato in esame, infatti, va inteso come una non dichiarata e non formale "cooperazione rafforzata" tra i sei paesi che l'hanno sottoscritto, che anticipa e sperimenta soluzioni alle quali altri paesi possono auspicabilmente aderire. Per essere coerenti con questa interpretazione le norme italiane di recepimento avrebbero dovuto prevedere procedure automatiche di estensione dell'Accordo medesimo piuttosto che quanto previsto dall'articolo 7.
Mettere poi sullo stesso piano giuridico Unione europea e Alleanza atlantica appare una scelta non coerente con l'obiettivo, implicito nel Trattato, di sviluppare e approfondire la politica estera e di difesa europea attraverso un'integrazione dell'industria continentale ed il conseguente rafforzamento della sua capacità di competere con l'industria statunitense.
Vi sono inoltre considerazioni che più specificamente attengono alla politica estera europea che motivano un giudizio negativo sull'articolo 7. Un eventuale accordo tra Italia e Stati Uniti nell'ambito della NATO, vigenti le disposizioni contenute in questo articolo, potrebbe di fatto ridurre l'efficacia di procedure di garanzia e di controllo che il Trattato in esame contiene. Il corretto sviluppo di una politica estera e di difesa comune impone l'osservanza stretta di quanto previsto dall'Accordo quanto alla definizione consensuale tra i vari paesi europei delle scelte relative all'esportazione di armi.
Queste preoccupazioni sono state anche espresse dal Parlamento europeo che, dopo aver sottolineato l'importanza di garantire un'adeguata capacità competitiva all'industria europea rispetto a quella statunitense, ha richiamato l'attenzione sul rigoroso rispetto del Codice di condotta dell'Unione europea per l'esportazione di armi le cui prescrizioni dovrebbero acquisire un valore giuridicamente vincolante. Il controllo e la limitazione dell'esportazione di armi secondo il Parlamento europeo dovrebbe essere parte integrante della PESD e della politica commerciale dell'Unione.
In proposito il senatore Bedin rileva il contrasto tra le prescrizioni del Codice e la previsione relativa al segreto sulle transazioni creditizie e finanziarie e sull'uso delle armi che il disegno di legge in titolo prevede.
La Presidenza spagnola ha più volte richiamato la necessità di una politica europea degli armamenti non favorita dagli accordi bilaterali di cui il provvedimento in titolo permette la conclusione relativamente alle licenze globali di progetto. Questo strumento, cui si applicano procedure semplificate, potrebbe essere usato in modo improprio ed elusivo delle regole sul mercato interno, parificando aziende dei paesi dell'Unione ad aziende di paesi non appartenenti all'Unione. In proposito ricorda come il Parlamento europeo abbia più volte sottolineato il ruolo economico che, per il mercato interno, ha l'industria della difesa di cui va promossa una solida integrazione finalizzata allo sviluppo della politica di difesa comune. Questi princìpi sono stati chiaramente enunciati da ultimo nella riunione informale dei Ministri della difesa dell'Unione tenutasi il 23 marzo a Saragozza.
18 settembre 2002 |