C'è un obiettivo che il gruppo Margherita-L'Ulivo del Senato si propone nell'esaminare questo disegno di legge: approvare l'Accordo di Farnborough senza modificare in questo contesto la legge 185 del 1990. Continueremo a farlo anche dopo che il governo, attraverso il sottosegretario Berselli, ha negato la disponibilità a questa soluzione. Continueremo a farlo perché l'Ulivo è una forza di governo, anche all'opposizione, e quindi intende dare corso agli impegni internazionali dell'Italia.
È un obiettivo che dobbiamo prima di tutto ai cittadini. Il punto centrale, ormai chiaro anche dall'avvio del dibattito in Senato, è questo: non siamo di fronte solo all'accettazione di un accordo tra alcuni Stati dell'Unione. Con la procedura utilizzata con la "legge sulle rogatorie", il governo parte dall'accordo internazionale per modificare strutturalmente la legislazione nazionale esistente. Lo fa di sua iniziativa, non perché i patti internazionali lo richiedano. Per quest'ultimo aspetto chiedo di acquisire formalmente alla documentazione delle nostre commissioni gli strumenti con i quali gli altri parlamenti nazionali hanno ratificato l'Accordo di Farnborough.
È tuttavia un obiettivo che ci continuiamo a proporre anche a tutto il Senato, nella convinzione che sia l'Accordo di Farnborough che la legge italiana del 1990 sono due buoni strumenti, che funzionano bene se l'uno e l'altra si coniugano per esaltarne i rispettivi valori e non per abbassarne i rispettivi contenuti.
Il Trattato di Farnborough
A Farnborough, il 27 luglio 2000, per facilitare il processo di integrazione e di ammodernamento del settore, i ministri della Difesa di Francia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda del Nord, Italia, Spagna e Svezia hanno firmato un accordo per la modernizzazione dell'industria della Difesa accompagnata dalla armonizzazione delle legislazioni nazionali. Questi sei paesi sono titolari del 90 per cento dell'intera produzione europea degli armamenti convenzionali. Si tratta quindi di un accordo che di fatto è europeo nella sua dimensione politica, al di là che esso non coinvolga tutti gli stati membri dell'Unione e soprattutto al di là del fatto che la Politica europea di sicurezza e di difesa non sia ancora compiutamente una materia comunitaria.
La Pesd e la Pesc hanno avuto in concomitanza con la data della firma dell'accordo di Farnborough - anche se non in conseguenza ad esso - una accelerazione che i consigli europei di Nizza, Gotebobor e Laeken hanno insieme codificato e ulteriormente rilanciato. Anche l'ultimo Consiglio europeo di Siviglia ha confermato il programma di una politica europea comune per la difesa e la sicurezza.
Ho ricordato le date dell'Accordo e i contenuti dei Consigli europei ad esso successivi per evidenziare come anche in queste settore l'Italia, con i Governi dell'Ulivo, abbia svolto un'azione di presenza attiva e di spinta. Non c'è stata solo la realizzazione del "grande euro" (al posto di una moneta riservata al Club del marco), grazie alla consapevolezza e alla assunzione di responsabilità dell'Italia. L'Italia ha contribuito negli stessi anni ad allargare gli orizzonti dell'Unione al settore della Difesa, con una scelta politica e non di necessità: non c'era ancora stata la guerra del Kosovo e il terrorismo internazionale non aveva ancora abbattuto le Torri Gemelle di New York.
Sono stati il presidente del Consiglio Romano Prodi e il ministro della Difesa Nino Andreatta ad iniziare con un primo accordo a quattro quel cammino che ha portato alla Lettera di intenti e quindi all'accordo fra i sei maggiori paesi dell'Europa; accordo sottoscritto a Farnborough dal Governo Amato e dal ministro Mattarella, con una azione che il nostro gruppo condivide l'azione e di cui è grato all'ex ministro della Difesa.
Con quell'accordo si individuava nell'Europa, non solo la scala giusta, ma la sede ineludibile per promuovere un sistema di sicurezza e di difesa moderno, integrato, finalizzato a preservare e ad estendere la pace. L'Italia si è dimostrata consapevole che la stabilità mondiale e l'equilibrio della pace hanno bisogno di un'Europa forte. Era necessario assicurare il protagonismo dell'Europa nel teatro mondiale oggi ancora insufficiente.
Solo un'Europa forte nel mondo può aiutare la pace e l'Europa sarà forte se avrà una sua politica estera e una sua politica di difesa comune. Non solo: una politica di sicurezza e di difesa comune deve poggiarsi su una propria industria militare, capace di ricerca, di innovazione e, dunque, di autonomia. L'aver puntato a questo obiettivo è stato merito, soprattutto, dei governi dell'Ulivo.
Per questo siamo del tutto favorevoli all'Accordo; per questo ci esprimeremo favorevolmente sugli articoli 1 e 2 di questo disegno di legge. La possibilità che l'Unione europea costruisca una propria politica estera e di difesa come base per una politica di pace è da noi non solo pienamente condivisa, ma promossa e sostenuta.
I riflessi interni
La posizione dell'Ulivo e della Margherita nasce non solo da ragioni europee, anche da ragioni italiane.
La scelta strategica di un'Europa certo economica e monetaria, certo sociale e politica, ma anche "attore globale", secondo l'indicazione recente del presidente Romano Prodi, riduce i rischi di un mondo unipolare nel quale le tentazioni del bellicismo locale potrebbero trovare alimento. Questo non solo sarebbe un rischio che comunque si deve evitare, ma andrebbe contro uno dei principi cardine della nostra Costituzione, che ripudia la guerra come strumento di politica internazionale.
Inoltre - sempre sul piano interno - l'Accordo di Farnborough completa la legge 9 luglio 1990, n. 185, rispetto ad uno dei suoi limiti oggettivi e cioè la sua dimensione nazionale e la non previsione delle licenze globali di progetto.
La crescente integrazione dell'industria militare, la nascita di coproduzioni, di società transnazionali e di joint venture favoriscono di per sé la proliferazione orizzontale e rendono sempre più difficile quantificare e identificare la destinazione dei trasferimenti di parti e componenti che appartengono alle stesse società transnazionali. Per questo è importante stabilire, non solo per gli aspetti organizzativi, come ho detto prima, ma anche per gli aspetti di controllo democratico, un livello adeguato; questo livello è oggi certamente europeo.
La legge 185 del 1990
Da questa convinzione nasce la nostra posizione sul disegno di legge del governo: d'accordo sulla ratifica, ma non al ribasso; semmai tutto il contrario.
L'Italia dispone in materia di una legge seria e rigorosa, che pone il nostro paese all'avanguardia in campo internazionale nel controllo del commercio delle armi. È quindi necessario fare eventualmente il percorso inverso rispetto a quello che il governo indica con questo disegno di legge: è l'impianto della legge n. 185 che - se necessario - deve connotare l'Accordo; operazione possibile, perché - proprio sulla base dell'Accordo - i paesi sottoscrittori possono apportare dei ritocchi in sede di ratifica. Del resto la legge italiana è stata una legge-guida anche per l'Europa; ad esempio ha favorito il Codice di condotta europeo in materia.
Il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica, che stiamo esaminando, va invece oltre quell'Accordo, modifica - come si è detto - la legge 185 del 9 luglio 1990 e lo fa al ribasso. Questa buona legge non rappresenta certo un tabù e in alcune parti risulta datata. Ho già detto che l'Accordo di Farnborough è importante anche perché aggiorna operativamente la legge nazionale su aspetti che nel 1990 non potevano essere previsti o non erano maturi.
L'Ulivo del resto aveva presentato una proposta di modifica della legge n. 185, indipendente dall'Accordo e precedente rispetto a questo; quindi, non vi è connessione tra le due questioni. Anche questa iniziativa dell'Ulivo nella passata legislatura dimostra che oggi si può ratificare l'accordo e procedere parallelamente, non contestualmente, all'aggiornamento della legge nazionale.
L'Accordo è nella linea del rigore
Noi ribadiamo la nostra proposta: se proprio si vuole modificare la legge 185, si proceda ad uno stralcio degli articoli che non riguardano la ratifica - e sono la maggioranza - e il Parlamento si dia lo strumento legislativo specifico per una riforma organica, completa, che riguardi settori oggi molto inquietanti, come quello del delle armi leggere che si sta rapidamente espandendo. Con una avvertenza: al centro di ogni modifica ed aggiornamento deve rimanere la consapevolezza che, se non è gestito rigorosamente, il commercio delle armi e dei sistemi d'arma genera i conflitti e non li risolve.
Non siamo solo noi dell'Ulivo e della Margherita, non siamo solo noi italiani a chiedere questa rigorosità. Ribadisco questa annotazione perché sia chiaro che non c'è alcun rapporto tra la deregolamentazione del traffico di armi e dei sistemi d'arma ed l'Accordo di Farnborough di cui stiamo il Senato si sta occupando.
Attraverso questo trattato i sei paesi si sono, ad esempio, impegnati relativamente agli Stati in cui sia possibile esportare produzioni belliche, a concordare una lista di destinazioni lecite e questa lista è approvata per "consenso". Ciò vuol dire che ciascuno stato ha diritto di veto e ciò spingerà quasi naturalmente a trovare il consenso su criteri sempre più sicuri. Con la legge nazionale attuale l'Italia potrebbe svolgere un ruolo di capofila.
Più in generale, non c'è alcun rapporto tra la politica di pace che deve svolgere e che sta svolgendo l'Unione europea ed il segreto sulle transazioni creditizie e finanziarie o sull'uso finale delle armi.
Questi segreti rischiano di ledere la stessa credibilità del trattato; rischiano di rendere meno credibile la politica di interposizione pacifica alla quale l'Unione Europea intende dedicare la gran parte della sua forza militare. Se il Senato accettasse il testo approvato dalla Camera, ratificherebbe infatti la mancata conoscenza del valore del progetto, la mancanza del certificato di uso finale e la mancanza di informazioni sulle transazioni bancarie. La questione delle transazioni bancarie, in materia di commercio di armi e di traffico di armamenti, è uno dei problemi centrali della corruzione internazionale e costituisce la ragione per la quale, molto spesso, paesi non democratici, attraverso la corruzione, acquisiscono queste armi per questioni interne e non sempre per motivi internazionali.
Dopo il dibattito alla Camera
Da questa consapevolezza ha preso avvio il vasto movimento di cittadini italiani che da mesi richiamano l'attenzione del Parlamento su questo disegno di legge ed in particolare sulle modifiche alla legge 185.
Come parlamentari dobbiamo essere grati a quanti ci hanno segnalato pericoli ed errori del testo iniziale del disegno di legge. Dobbiamo essere loro grati perché hanno ancora una volta dimostrato che sempre più non c'è ormai distinzione tra politica estera e politica interna; è un mandato preciso a noi parlamentari; una investitura a non lasciare mai più alla sola diplomazia e al solo governo la gestione della pace.
Il testo che ora è all'esame del Senato è in parte anche il risultato di questa partecipazione civile ad un dibattito che non può essere - neppure al Senato - solo istituzionale perché riguarda contenuti essenziali della vita delle persone e delle comunità. Il testo oggi al nostro esame è modificato rispetto a quello originario. L'opposizione ha avuto durante l'iter parlamentare del disegno di legge, sia nelle commissioni che nell'aula della Camera, un atteggiamento cooperativo. Sono stati presentati diversi emendamenti, alcuni dei quali sono stati accolti.
Ciò vuol dire che le obiezioni proposte erano fondate e che sono state raccolte da una grande parte della Camera dei deputati.
Riconosciamo dunque che il lavoro dell'opposizione, frutto della grande pressione esercitata dalle associazioni, ha portato ad un miglioramento dell'originaria stesura del testo. Miglioramento al quale la maggioranza ed il governo hanno dato un apporto ovviamente determinante; segno che, in particolare, la maggioranza parlamentare ha condiviso perplessità e soprattutto esigenze di approfondimento.
Il compito del Senato
Questo atteggiamento ci fa lavorare perché qui in Senato si possa arrivare alla fine tutti insieme a fare il passo successivo e logico: votare subito a favore dell'Accordo e darci poi con lo stralcio degli altri articoli l'occasione per completare al meglio l'aggiornamento della legge 185.
A questa ulteriore possibilità di lavoro comune si è ispirata la scelta di voto finale del gruppo Margherita-L'Ulivo alla Camera. "Con l'astensione - ha dichiarato il capogruppo on. Pierluigi Castagnetti - intendiamo confermare il nostro consenso all'accordo, il valore dell'unità del paese di fronte ad alcune scelte che hanno rilevanza sotto il profilo internazionale, il nucleo del nostro riformismo che fa perno sull'Europa e, allo stesso tempo, registrare una diversa qualità delle responsabilità di governo e di opposizione che, peraltro, l'esecutivo stesso ho voluto sottolineare non accogliendo tutti gli emendamenti da noi proposti".
Per Margherita-L'Ulivo quella non è dunque la posizione finale, definitiva: serve a valorizzare i contenuti internazionali del disegno di legge, serve a tenere aperta la porta sul piano interno al lavoro successivo qui in Senato. Alcuni degli emendamenti respinti alla Camera sono infatti per noi indispensabili per il voto finale. Saranno quindi da noi riproposti in Senato, perché sono irrinunciabili per conservare alla normativa nazionale sul commercio delle armi l'efficacia e la trasparenza, in particolare sul piano delle transazioni finanziarie.
Sono indispensabili per continuare a conoscere, dalla fase autorizzatoria, i destinatari intermedi e finali delle coproduzioni transnazionali di materiali di armamento, a sapere numero, valore, spese per intermediazione finanziaria e destinazione precisa di ciascun pezzo e componente esportato, a conoscere le banche di appoggio, a garantire adeguati controlli sull'uso finale, ad applicare, anche nel caso di coproduzioni, i divieti di cui all'articolo 1, comma 6, della legge 185, sia sul destinatario intermedio che su quello finale, a mantenere il potere di indirizzo e di controllo parlamentare, di riportare tutti i dati relativi alle coproduzioni nei vari allegati alla relazione che il Governo deve presentare al Parlamento, a mantenere ed affermare, anche in sedi sovranazionali, quale condizione irrinunciabile, il principio che informa tutta la legislazione vigente a partire dall'articolo 11 della Costituzione.
Poiché non è in gioco il coordinamento europeo nel campo della Difesa, ma la volontà del governo di utilizzare questa esigenza al fine di derogare alle regole fisse esistenti sul commercio degli armamenti; poiché la ratifica dell'accordo non comporta necessariamente modifiche della legge n. 185 del 1990 (e soprattutto non comporta le modifiche proposte dal governo), sarà la salvaguardia o meno della trasparenza il criterio della nostra cooperazione legislativa qui in Senato ed anche il criterio per il nostro voto finale.