Si chiede al governo di attivare strumenti efficaci Verificare l'applicazione
del Codice di condotta europeo sull'industria della Difesa Un ordine del giorno che rilancia una posizione del Parlamento europeo
Nell'ambito del dibattito sulla modifica alla legge 185/1990, in corso alle commissioni riunite Esteri e Difesa, è stato presentato - primo firmatario il senatore Tino Bedin - un ordine del giorno che chiede al governo di darsi strumenti che consentano una verifica del Codice di condotta europeo sul commercio delle armi.
Pubblichiamo il testo dell'ordine del giorno e l'illustrazione del senatore Bedin.
Il Senato, premesso che:
finora l'Italia ha operato per assicurare trasparenza e controllo al finanziamento e all'esportazione di materiali di armamento, applicando quanto previsto dalla legge 9 luglio 1990, n. 185;
il Parlamento si accinge ad approvare il disegno di legge in esame, contenente modifiche alla legge n. 185 del 1990;
i progetti di produzione autorizzati da licenza globale, così come previsti dal disegno di legge in esame, e già esclusi dalla maggior parte delle normative previste dalla legge n. 185 del 1990, devono presentare sufficienti elementi di controllo e trasparenza per lo Stato italiano; da anni nei consessi internazionali si discute sui gravi problemi connessi al commercio delle armi, e in particolare delle armi leggere, e si invitano i Governi a maggiori controlli, con risultati spesso deludenti;
l'Unione europea e gli Stati Uniti sono leader nel settore della produzione di armi leggere: coprono infatti l'ottanta per cento del commercio mondiale;
l'Italia è il terzo esportatore al mondo di armi leggere considerate, a seguito delle successive interpretazioni della legge n. 185 del 1990, non armi a uso "militare" bensì "civile" e, in quanto tali, fuori dai tradizionali controlli previsti dalla legge;
sulla destinazione delle nostre armi Amnesty International ci fornisce un quadro molto eloquente, in particolare sul volume dei nostri commerci con l'ex Jugoslavia, la Turchia e l'Africa;
l'UNICEF ha ampiamente dimostrato come l'uso di queste armi abbia trasformato più di 300.000 bambini in soldati. Inoltre questi sono proprio le prime vittime della guerra: il bilancio è di 2 milioni di bambini uccisi dalle armi leggere, 5 milioni resi invalidi e 12 milioni rimasti senza tetto;
l'Unione europea ha approntato un programma di prevenzione del traffico illegale di armi e ha, altresì, adottato un codice di comportamento per l'esportazione delle armi con la dichiarata intenzione di evitare che finiscano in zone dove diventino un contributo ai conflitti esistenti:
anche l'Italia, in sede ONU, ha mostrato tutto il suo impegno per prevenire e controllare questo traffico;
l'Italia deve continuare a svolgere anche in sede europea un ruolo guida, volto a costruire una regolamentazione europea di trasparenza e controllo del commercio delle armi orientata al mantenimento della pace, come indicato nell'articolo 11 della nostra Costituzione;
l'Italia deve contribuire efficacemente affinché la creazione di uno spazio europeo di Difesa avvenga nel quadro di una politica europea orientata ai principi del diritto internazionale per la prevenzione dei conflitti, alla tutela dei diritti umani e alla cooperazione per lo sviluppo umano;
impegna il Governo
a mettere in atto misure che consentano all'Italia di controllare efficacemente l'applicazione del codice di comportamento europeo sull'export delle armi.
di Tino Bedin
capogruppo in Commissione Difesa al Senato
L'esigenza che il dispositivo di questo ordine del giorno evidenzia, un rafforzamento del Codice di condotta europeo sul commercio delle armi, non è limitata al nostro Parlamento. Verso la fine di gennaio, su proposta del suo presidente Elmar Brok, la commissione degli Sffari esteri e della Difesa del Parlamento europeo, ha adottato una risoluzione sull'industria europea della Difesa, che contiene molti elementi che possono aiutarci nell'attuale dibattito in Senato e che magari citeremo puntualmente. In particolare, a proposito del Codice europeo di condotta, i parlamentari europei reputano che il codice di comportamento in materia di esportazioni di armi dovrebbe essere considerato come "parte integrante della politica industriale europea" e dovrebbe diventare "giuridicamente vincolante".
Lo aveva già affermato il 5 ottobre del 2000 in seduta plenaria e, di nuovo in plenaria, il parlamento europeo lo ha ribadito nell'aprile di quest'anno approvando la risoluzione Brok che ho citata.
Un modo di applicare l'Accordo di Farnborough
Il nostro ordine del giorno è meno ambizioso e comunque, siamo disposti a sottoscrivere anche una stesura che contenga le raccomandazioni che provengono da Strasburgo.
É meno ambizioso, ma forse più concreto. Chiede infatti che l'Italia verifichi l'applicazione di quel Codice: nelle operazioni che la vedono protagonista, ma anche in quelle che coinvolgono gli altri cinque paesi firmatari dell'Accordo di Farnborough.
Del resto il Codice di comportamento è esplicitamente richiamato nell'Accordo per cui questa azione dell'Italia risulterebbe un elemento di applicazione e di monitoraggio sull'accordo stesso.
Il Codice di Condotta approvato dai Ministri degli Esteri il 2 giugno 1998 è stata un'iniziativa importante in quanto ha rappresentato un primo passo verso lo sviluppo di un responsabile approccio comune sull'export di armi da parte degli stati membri dell'Unione Europea.
Ed in effetti, se confrontiamo i criteri su sui il Codice è basato, vediamo che essi sono in buona parte recepiti esplicitamente dall'Accordo di Farnborough. Per quelli che non lo sono, ad esempio quello sulla compatibilità della vendita di armi con le economie dei paesi compratori, ci siamo preoccupati di presentare all'articolo 3 del disegno di legge del governo specifici emendamenti.
Criteri e debolezze del Codice europeo
Sono otto i criteri del Codice:
1) Il rispetto degli impegni internazionali degli Stati membri EU, in particolare delle sanzioni decretate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e di quelle decretate dall'Unione, degli accordi sulla non-proliferazione e su altri punti, così come degli altri obblighi internazionali.
2) Il rispetto dei diritti umani da parte del Paese di destinazione finale.
3) La situazione interna del paese di destinazione finale, in funzione dell'esistenza di tensioni o conflitti armati.
4) Il mantenimento della pace, sicurezza e stabilità regionale.
5) La sicurezza nazionale degli Stati membri e dei territori la cui politica estera dipenda dalla responsabilità di uno Stato membro, così come dei Paesi alleati o amici.
6) L'atteggiamento del Paese acquirente nei confronti della comunità internazionale, con particolare attenzione al suo comportamento nei confronti del terrorismo, alla natura delle sue alleanze e al rispetto del diritto internazionale.
7) L'esistenza del rischio che l'equipaggiamento possa essere deviato all'interno del Paese acquirente o verso destinazioni indesiderate.
8) La compatibilità delle esportazioni d'armi con la capacità tecnica ed economica dello Stato ricevente, tenuto conto del fatto che gli Stati dovrebbero soddisfare le proprie esigenze legittime di sicurezza e di Difesa con un coinvolgimento minimo delle risorse umane ed economiche per gli armamenti.
Tuttavia, in linea teorica non vi sono disposizioni per arginare le attuali lacune nei regimi di controllo sull'export di armi in molti Stati europei, così come mancano stringenti regolamentazioni sulle intermediazioni internazionali e sulle licenze di produzione, o provvedimenti per adottare rigorosi sistemi di certificazione e monitoraggio sull'uso finale.
Inoltre, il Codice non prevede alcuna disposizione per uno scrutinio pubblico e parlamentare sui trasferimenti di armi dall'Europa; risulta così insufficiente lo stimolo per una maggiore trasparenza e affidabilità sul commercio di armi in Europa.
Il monitoraggio che si richiede all'Italia potrebbe aiutare ad assumere comportamenti più adeguati allo spirito oltre che alla lettera del Codice stesso.
18 settembre 2002 |