SICUREZZA E DIFESA

In contraddizione con lo spirito dell'Accordo di Farnborough
L'Italia non deve
allargare da sola
il mercato delle armi

Netta opposizione all'articolo 7 del disegno di legge sull'industria della Difesa

Riportiamo l'intervento con il quale il senatore Tino Bedin ha motivato nelle commissioni riunite Esteri e Difesa del Senato gli emendamenti del gruppo Margherita-L'Ulivo al disegno di legge 1547 "Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro tra la Repubblica francese, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica italiana, il Regno di Spagna, il Regno di Svezia e il Regno Unito della Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività dell'industria europea per la difesa, con allegato, fatto a Farnborough il 27 luglio 2000, nonché modifiche alla legge 9 luglio 1990, n. 185".

di Tino Bedin
capogruppo in Commissione Difesa al Senato

L'articolo 7 è uno degli articoli chiave del disegno di legge del governo sull'industria della Difesa, non dell'Accordo di Farnborough del 27 luglio 2000. Esso estende le procedure previste dall'accordo a tutti i paesi Ue e ai paesi Nato. Il testo che arriva al Senato è indubbiamente meno pericoloso di quello proposto inizialmente dal governo. L'emendamento dell'Ulivo, primo firmatario Mattarella, che è stato approvato, prevede che eventuali accordi di estensione abbiano i contenuti dell'articolo 13 dell'accordo di Farnborough. É una garanzia minima, indispensabile; il massimo che si poteva ottenere in quella fase del dibattito. Infatti il gruppo Margherita-L'Ulivo non presenta ora emendamenti a questa parte dell'articolo, se non una specificazione aggiuntiva.
Tuttavia quella modifica non è sufficiente. In via preliminare è comunque indispensabile verificare l'estensione stessa. A mio parere essa non è giustificata e da ciò l'emendamento soppressivo dell'articolo che abbiamo presentato.
Vediamone le motivazioni.

Ora l'Italia sceglie accordi bilaterali
Appare singolare che il governo scelga la strada dell'accordo bilaterale. È intanto una procedura scorretta all'interno dell'Unione Europea. La strada sulla quale siamo incamminati è quella della integrazione della Politica di difesa e di sicurezza nel pilastro comunitario e non in quello intergovernativo. Il bisogno di sicurezza dei cittadini; i fatti dell'11 settembre; il terrorismo e le sue nuove capacità offensive richiedono proprio questo all'Unione Europea.
Del resto "l'Europa" è un'argomentazione pretestuosa che a volte il governo ha utilizzato per giustificare la rapida approvazione di questo disegno di legge che modifica la legge 185 con la scusa di recepire un accordo intereuropeo.
Proprio la procedura scelta ci dice quanto sia invece lontana dalle preoccupazioni generali del governo l'integrazione militare europea.
Se questa fosse la preoccupazione, molto più corretto sarebbe stato infatti prevedere che l'Accordo di Farnborough possa essere esteso ad altri paesi membri dell'Unione Europea. Le norme italiane dovrebbero prevedere procedure automatiche, senza bisogno di una ulteriore ratifica da parte del Parlamento Italiano, ove naturalmente questo Accordo non subisca variazioni.
É questo un modo per sottolineare che consideriamo l'accordo a Sei una non dichiarata e non formale "cooperazione rafforzata" tra paesi europei; cooperazione rafforzata che non esclude gli altri, ma che anticipa e sperimenta soluzioni alle quali altri possono auspicabilmente aderire.
Questo è un autentico spirito europeo.

Unione europea e Alleanza atlantica non sono la stessa cosa
Questo è un modo molto concreto per far camminare l'integrazione europea nel settore della Difesa e soprattutto nel settore delicato dell'industria militare, che è delicato sia per le ragioni che abbiamo finora sostenute e che sono alla base della legge 185, ma anche per gli equilibri all'interno della Nato dopo la caduta del Muro di Berlino e dopo l'abbattimento delle Torri Gemelle.
É questo un altro punto molto delicato, che l'articolo 7 affronta sbrigativamente e senza una distinzione tra Ue e Nato, che a mio parere è invece necessaria.
Riparto di nuovo dalla dimensione europea, per mettere in evidenza la prospettiva europea di questo governo e di questa maggioranza.
Collocare sullo stesso piano giuridico Unione Europea ed Alleanza Atlantica è un'operazione che non qualifica l'Unione Europea come un soggetto politico originale, le cui scelte in materia di Difesa, ma anche di politiche industriali e di rapporti internazionali non rispondono ad esigenze di singoli settori, ma rientrano in un progetto politico generale.
Da questo punto di vista, credo che - se non nella forma certo nella sostanza - questa equiparazione sia non solo al di fuori ma anche contraria all'Accordo di Farnborough che questo stesso disegno di legge intende ratificare. Se infatti i paesi firmatari, e il governo dell'Ulivo che ha promosso e sottoscritto l'Accordo, avessero avuto l'ottica che ora il governo di centro-destra manifesta con questo articolo, la ricerca di accordi e di comportamenti comuni avrebbe fin dall'inizio avuto come orizzonte la Nato e non l'Unione Europea, anche in considerazione che in questa maniera l'accordo avrebbe riguardato la quasi totalità dell'industria mondiale della Difesa. Se ciò non è avvenuto, vuol dire che lo spirito con cui è stato prima pensato e poi realizzato l'accordo non è quello di regole comuni e generali per la produzione dell'industria della Difesa, ma piuttosto di un tassello della Pesc-Pesd, in anticipo sulle scelte politiche ma in ritardo sulla situazione di fatto.

Si riduce la competitività industriale
Ed è questo il secondo elemento di grande perplessità che questa equiparazione unilaterale dell'Italia tra Unione Europea Nato provoca. É infatti evidente che una delle ragioni dell'accordo, questa volta esaminando la scelta dal punto di vista industriale e non politico, è di dare all'industria europea della Difesa dimensioni produttive tali che le consentano di competere con gli Stati Uniti: competizione industriale, si badi bene, non politica. Credo sia una convinzione a parole da tutti affermata che una delle condizioni perché l'Europa assuma peso politico da attore globale è quella di mettersi in posizione di non dipendenza dall'alleato Usa in settori rilevanti della Difesa. Gli altri cinque paesi che nel 2000 hanno sottoscritto l'Accordo di Farnborough non potranno certo apprezzare il fatto che l'Italia, mentre partecipa ad un accordo che mira a potenziare l'industria europea della Difesa, si tiene le mani libere per sottoscrivere accordi anche con altri Stati, certo amici, certo alleati, ma anche concorrenti sul piano industriale.
Si tratta di paesi, quelli europei, che hanno già dovuto prendere atto della indisponibilità dell'Italia a partecipare allo sviluppo dell'Airbus europeo e che quindi hanno qualche motivo di insospettirsi di questa ulteriore dimostrazione di incoerenza europea del governo italiano. Questo aspetto di politica industriale europea è fondamentale - a mio avviso - nella valutazione di questo disegno di legge.

Con gli armamenti si fa politica estera
Le ragioni di politica europea sono altrettanto rilevanti.
Oltre agli aspetti di politica interna europea che ho già evidenziati, ci sono anche elementi della politica estera europea che suggeriscono a nostro avviso la soppressione dell'articolo.
Uno ad esempio: dopo l'11 settembre gli aiuti militari degli Stati Uniti sono aumentati fino a 45 milioni di dollari. Si tratta di scelte autonome degli Stati Uniti, sulle quali non è questa la sede per esprimere valutazioni. Esse comunque incidono direttamente nello scambio di sistemi d'arma a livello planetario, per cui un eventuale accordo dell'Italia con gli Usa nell'ambito della Nato potrebbe di fatto ridurre i contenuti di garanzia e di controllo che l'accordo di Farnborough contiene e che ci hanno fin dall'inizio fatto proporre al governo e alla maggioranza: ratifichiamo l'Accordo e discutiamo a parte delle modifiche della legge 185.
Ripeto: si tratta di legittime scelte, in questo caso degli Stati Uniti, ma poiché non è in calendario un soggetto politico che abbia le dimensioni della Nato, risulta improprio trasferire a questo livello un'intesa che abbisogna di scelte politiche concordate.
Ne è una dimostrazione la difficoltà del governo belga, una cui componente in queste settimane si è dissociata dalla maggioranza per un accordo milionario di vendita di armi dalla Herstal al Nepal. Si tratta di 5.500 mitragliatrici destinate ad un paese che proprio ieri è stato teatro di una sanguinosa azione condotta dai ribelli maoisti. É una situazione tipica che - a mio giudizio - evidenzia come indispensabile una valutazione politica concordata, che non può dipendere da accordi di imprese e neppure da scelte di singoli governi.
Ho fatto l'esempio di un paese membro della Nato e membro dell'Unione Europea.
Possiamo anche fare riferimento ad un paese membro della Nato, non membro dell'Unione Europea, quale è la Turchia. Anche in questo caso il testo proposto dal governo introduce elementi di ambiguità in una materia che ha bisogno del massimo di trasparenza e di chiarezza, almeno nella norma. Già abbiamo discusso nelle commissioni riunite Esteri e Difesa del criterio di giudizio sulle violazioni dei diritti umani, come vincolo alla destinazione delle armi prodotte all'interno dell'accordo di Farnborough. Ebbene la questione dei diritti umani è attualmente uno degli ostacoli all'inizio di una trattativa vera e propria di adesione della Turchia all'Unione. Però la Turchia è membro della Nato e quindi in base alla norma di questo articolo l'Italia potrebbe fare accordi anche con la Turchia.
Non voglio essere frainteso. Sono convinto che il processo di allargamento dell'Unione della riguardare anche la Turchia. Sono anche convinto che la Turchia abbia fatto scelte che vanno nella direzione dell'integrazione nel diritto comunitario e che voglia farne altre ancora più decisive. Ma anche in questo caso è un'azione generale, concordata con i paesi sottoscrittori dell'accordo, cioè con una estensione dell'accordo, che si favorisce l'integrazione e non con accordi bilaterali, come consente questo disegno di legge del governo.

Acquisire le ratifiche degli altri Parlamenti
Credo di aver motivato a sufficienza il primo degli emendamenti presentati dal nostro gruppo. L'insieme delle osservazioni che mi sono permesso di sottoporre ai colleghi costituisce anche la motivazione con la quale mi sento di ripetere una richiesta che ho già presentata in discussione generale e che le repliche dei relatori e del governo non hanno adeguatamente - a mio avviso - valutata. Si tratta della esigenza delle nostre commissioni di avere una conoscenza diretta delle procedure che in questa materia sono state seguite dagli altri paesi che hanno sottoscritto con noi l'accordo di Farnborough. L'ambito europeo, nel quale crediamo vada comunque iscritto questo accordo, esige che abbiamo consapevolezza di come fare un passo giusto e condiviso nella materia della Pesd.

Un'estensione rischiosa
Alcuni degli altri emendamenti da noi presentati al primo periodo dell'articolo 7 fanno riferimento ad un altro degli aspetti che hanno fatto discutere e che fanno discutere in particolare le organizzazioni non governative italiane che da un anno stanno aiutando il Parlamento a fare con scrupolo ed attenzione il suo compito in questa materia.
Gli emendamenti 7.7, 7.15, 7.16, 7,18, 7.23 tendono a mantenere la nuova procedura entro i limiti dell'accordo quadro. Secondo il governo infatti la licenza globale di progetto non si applica solo a coproduzioni intergovernative, che possiamo considerare relativamente più sicure in quanto prevedono un accordo preventivo tra governi, ma anche a semplici accordi tra industrie. Sarà quindi sufficiente per una società italiana stringere un accordo con una società turca o ungherese (anche costituita ad hoc) per godere delle procedure semplificate.
La serie di emendamenti tende ad eliminare possibilmente o almeno a circoscrivere le possibilità di utilizzo da parte dei singoli operatori.
In ogni caso queste aziende, come si punta ad introdurre con gli emendamenti 7.25 e 7.26 dovrebbero almeno avere sede legale nei paesi con cui l'Italia facesse accordi: questo per consentire una effettiva applicazione a queste imprese delle norme che fossero stabile dall'accordo stesso. Mi sembra questa una norma di precisazione che la maggioranza dovrebbe comunque inserire per evitare interpretazioni discordanti o scappatoie.
Così come norme di precisazione sono contenute negli emendamenti 7.29, 7.30 e 7.32. Si tratta di tre emendamenti che nel loro insieme puntano a precisare senza ombra di tutto che il riferimento ad ogni attività, decisione e autorizzazione per i casi previsti da questo articolo è comunque la legge che abbiamo al nostro esame e per quello che resta la legge 185 del 1990.

Serve una responsabilità unitaria del governo
Nell'emendamento 7.8 oltre ad elementi che ho richiamato, si propone di utilizzare una sede governativa collegiale, il CIMA (Comitato interministeriale materiali di armamento) per il rilascio delle licenze globali. Si tratta di ripristinare il Comitato interministeriale per gli scambi di materiale di armamento per la Difesa (CISD), che è stato abrogato dalla legge 537/1993.
Il ripristino di questo organismo è importante non solo per gli aspetti interministeriali che l'industria della Difesa ha, ma anche perché aveva l'obbligo di riferire al Parlamento sugli indirizzi e le direttive del Comitato stesso. Come si è visto anche alla Camera, il disegno di legge è certamente carente per quanto riguarda le procedure di informazione parlamentare; la proposta governativa difetta infatti di una approfondita disciplina delle procedure di informazione parlamentare sull'attività autorizzativa.
Abbiamo già visto che l'articolo 4 del disegno di legge che viene dalla Camera prevede che la relazione annuale al Parlamento del Presidente del Consiglio ai sensi della legge 185/90 fornisca informazioni anche sulle licenze globali di progetto; ma si tratta di un'informazione lontana nel tempo e contenuta in un atto di carattere generale.

L'esigenza del controllo parlamentare
Ribadiamo qui il ripristino del Comitato interministeriale sui materiali di armamento per sottolineare i rischi che l'articolo comporta e per creare così comunque uno strumento di confronto continuo fra governo e parlamento sulle materie normate da questo articolo.
Come ho detto, le associazioni e i gruppi sociali che hanno condotto e conducono l'azione di stimolo nei confronti del Parlamento fanno del controllo parlamentare una garanzia anche per la loro possibilità di conoscenza. Bisogna a tutti i costi evitare che il rilascio delle autorizzazioni sulla base di questo articolo né il governo né il parlamento siano informati sulla destinazione del materiale di armamento coprodoto con pezzi e componenti di marca italiana ed assemblato all'estero. Ricordo che l'accordo Debré-Schmidt del 1972 tra Francia e Germania, che non prevedeva questa informazione, è stato recentemente rescisso perché favoriva la tendenza a riallocare la produzione e l'assemblamento di materiali di armamento, nel caso di coproduzione, nei paesi con barriere all'esportazione più basse. La richiesta di adesione ai principi della legge italiana è comunque nel testo attuale un po' troppo generica per garantire omogeneità di valutazioni politiche e di controlli.
Mi auguro che l'accoglimento degli emendamenti costituisca una risposta anche a questa giusta esigenza.
Di questa esigenza credo che le Commissioni potrebbero farsi ascoltatrici. Una volta completata l'illustrazione degli emendamenti; avendo quindi il materiale pronto per le decisioni, io mi permetto di chiedere al Presidente ed ai colleghi di voler dedicare uno spazio anche all'ascolto del coordinamento di queste associazioni con audizioni specifiche. Spero che anche questa richiesta sia accolta.

11 settembre 2002



 INTERVENTO IN DISCUSSIONE GENERALE

VAI ALLA PAGINA PRECEDENTE | STAMPA LA PAGINA | VAI A INIZIO PAGINA


24 settembre 2002
sd-041
home page
scrivi al senatore
Tino Bedin