Nel corso dell'esame del disegno di legge 1547 "Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro tra la Repubblica francese, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica italiana, il Regno di Spagna, il Regno di Svezia e il Regno Unito della Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività dell'industria europea per la difesa, con allegato, fatto a Farnborough il 27 luglio 2000, nonché modifiche alla legge 9 luglio 1990, n. 185" nelle commissioni riunite Esteri e Difesa del Senato, il senatore Tino Bedin, capogruppo Margherita-L'Ulivo, ha in una serie di interventi analizzato l'articolo 1 del provvedimento.
Art. 1.
1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare l'Accordo quadro tra la Repubblica francese, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica italiana, il Regno di Spagna, il Regno di Svezia e il Regno Unito della Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività dell'industria europea per la difesa, con allegato, fatto a Farnborough il 27 luglio 2000.
In questa nota il senatore Bedin riassume le posizioni che ha illustrate.
L'articolo 1 consente di ratificare l'intero accordo di Farnborough, che è essenziale per mettere ordine e fornire trasparenza ad un'attività strategicamente rilevante per la sicurezza globale, quale è l'industria della Difesa.
Con questo accordo si controlla di più ed in maniera più qualificata il settore della produzione degli armamenti. Il settore ci sta a cuore come persone che considerano la pace una condizione da costruire con tutti gli strumenti che la riguardano. L'industria europea della Difesa ci sta a cuore poi come parlamentari che sono convinti che, se un fenomeno esiste, è preferibile gestirlo che cercare di fare in modo che non esista più.
Il secondo sistema produttivo mondiale
La firma dell'accordo di Farnborough pone le premesse per il coordinamento nell'attività dell'industria europea per la Difesa, fornisce un indirizzo comune per la politica di pace e sicurezza ed assicura trasparenza nella concezione e progettazione di nuovi sistemi.
I sei paesi firmatari dell'accordo sono assolutamente competitivi con gli Stati Uniti. Gli altri paesi significativamente produttori - la Russia, la Cina, il Canada, Israele, la Repubblica Ceca, il Brasile - hanno produzioni comunque non rilevanti. Certo gli Usa detengono il primato in termini quantitativi per la produzione; hanno anche il primato per le risorse destinate alla ricerca e per il fatturato globale: primato nella qualità e nel numero di addetti (più di 250 mila in Europa, tutto personale di alta specializzazione, senza contare gli addetti alla produzione del materiale dual use).
Ad ogni modo i sei paesi di Farnborough rappresentano la seconda linea produttiva mondiale dopo gli Stati Uniti. Essi hanno finora agito in maniera autonoma, tranne che per alcune cooperazioni su specifici sistemi d'arma, contendendosi i mercati senza esclusione di colpi. Questa, per un continente che si avvia ad unificarsi, è una situazione che non dovrebbe prolungarsi più a lungo. Per questo l'Italia ha propugnato la necessità di dar corso alla standardizzazione dei sistemi per favorire la costituzione di quelle forze armate di cui non solo l'Unione europea, ma l'intera comunità internazionale ha bisogno.
Più rigore da regole comuni
L'accordo siglato a Farnborough il 27 luglio 2000 fa seguito al codice di condotta europeo sul commercio delle armi e al trattato dell'OCCAR sulla collaborazione tra le industrie europee di Difesa in programmi comuni con l'obiettivo di dar vita ad un'unica agenzia dell'Unione europea in materia.
L'Italia si è prodigata con determinazione per la realizzazione dell'accordo, convinta che la leale cooperazione a livello dei principali Stati toglierà spazio al mercato clandestino delle armi e favorirà la diffusione dello spirito che anima la legislazione italiana nel campo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento (mi riferisco alla legge n. 185 del 1990).
Siamo cioè convinti che definire regole comuni nei paesi europei nel merito del commercio degli armamenti abbia come conseguenza un maggiore rigore in questo delicatissimo settore e che l'accordo di Farnborough, sostanzialmente, mira a ciò.
La positiva esperienza italiana della legge 185
In questa materia l'Italia, con la legge n. 185 del 1990, ha di certo una delle normative tra le più rigorose in senso assoluto ed ha certamente influenzato i comportamenti di altri paesi europei. Ciò non ha tuttavia impedito che, nell'ambito dell'Unione europea, vi siano state e vi siano tuttora posizioni che finiscono per rendere indefinito il quadro normativo che regola un settore in cui gli interessi sono rilevanti sia politicamente sia economicamente. Può accadere, infatti, che, nell'ambito della stessa Unione europea, l'Italia interrompa correttamente la vendita verso un'area o un paese in cui si registrano violazioni dei diritti umani e che, nel contempo, un altro paese europeo la sostituisca, vendendo le armi che il nostro paese non ha esportato, pur in presenza di quelle violazioni dei diritti umani. Questo, con l'accordo che intendiamo ratificare, sarà sempre meno possibile.
L'accordo, infatti, risponde all'esigenza di rendere la normativa maggiormente efficace, estendendola verso altri paesi.
Dunque, bisogna ratificare l'accordo di Farnborough per consentire all'Unione europea di darsi regole comuni nel settore, portando in esso le sensibilità del nostro paese e della legge n. 185 del 1990.
Utile anche al futuro dell'Unione europea
L'accordo siglato tra i sei paesi più importanti in Europa per quanto riguarda la produzione e l'esportazione di armi ha una sua specifica importanza se proiettato negli anni futuri. Bisogna dare all'Unione europea un'effettiva politica comune, in quanto è la politica estera a costituire uno dei punti nevralgici e fondamentali per il futuro stesso dell'Unione. Anche questo accordo a sei può costituire un contributo importante nella costruzione di una comune politica di difesa nell'ambito dell'Europa.
Il Consiglio europeo di Nizza rappresenta la cornice di questo processo con la designazione di organismi preposti, con la costituzione di una forza d'intervento europeo e con la definizione di un meccanismo volto a monitorare il rispetto degli impegni raggiunti, inclusi i requisiti di interoperabilità.
Tuttavia, se l'Europa deve sempre più caratterizzarsi per la sua unitarietà in tutti i settori, è vero che, con questo Governo, l'Italia si è allontanata da tale prospettiva, facendo prevalere spesso posizioni che non hanno nulla di contrattuale, ma rispondono solo a un protagonismo fine a se stesso. Appare, infatti, poco coerente con i solenni proclami del Governo il disimpegno dell'Italia dai progetti Airbus A400M.