SICUREZZA E DIFESA

Il Senato approva la proroga della partecipazione italiana
Deve sempre restare chiara
la legittimità democratica
nelle azioni militari internazionali

Il mandato di istituzioni multilateriali e di governi riconosciuti. La crescente integrazione dell'Europa anche in questo settore

Mercoledì 30 gennaio il Senato ha esaminato ed approvato con alcune modifiche il decreto legge che proroga la partecipazione italiana ad azioni militari internazionali. La posizione del gruppo Margherita-L'Ulivo è stata sostenuta dal senatore Tino Bedin, capogruppo in Commissione Difesa. Pubblichiamo l'intervento di Tino Bedin nella discussione generale.

intervento in Senato di Tino Bedin
capogruppo in Commissione Difesa

La partecipazione italiana ad operazioni internazionali di ristabilimento, mantenimento e, ultimamente, difesa della pace ha ormai assunto negli ultimi anni una dimensione ed una qualità che caratterizzano le nostre Forze armate. Ne abbiamo una conferma da questo decreto-legge, che costituisce la sintesi di un impegno che rappresenta una delle dimensioni più rilevanti delle nostre Forze armate.
Una valutazione positiva riguarda dunque l'impianto del decreto, per la dimensione complessiva dell'impegno che esso offre, costituendo così la base per una definizione generale del quadro giuridico interno ed internazionale nel quale rendere formalmente continuativa questa attività delle nostre Forze armate. Si tratta di un'esigenza che il Parlamento ha spesso espresso e che progressivamente i Governi stanno soddisfacendo.
Proprio questa ultima necessità ci porta tuttavia ad essere particolarmente attenti al contenuto di tale decreto-legge, per evitare che uno strumento di legislazione straordinaria ed urgente sia messo alla base di questa trasformazione. Il rischio c'è perché, contrariamente a quanto dice il titolo del decreto-legge, il disegno di legge di conversione non rappresenta soltanto la proroga, pur attualizzata, di operazioni già decise.
Ed è su questi punti che mi soffermerò, non senza aver prima lamentato l'impossibilità di un'attività di approfondimento ed eventuale miglioramento del decreto in Commissione Difesa. La primaria responsabilità è del Governo che, trovandosi nella condivisa esigenza di un decreto-legge, non si è limitato a decisioni di proroga, pur sapendo che una parte rilevante del tempo a disposizione del Senato per la conversione in legge del decreto coincideva con la pausa natalizia. Il senso di responsabilità che il Senato dimostrerà approvando entro i tempi regolamentari questo provvedimento dovrà indurre il Governo non a proseguire su questa strada, ma a tenere nel debito conto le esigenze del Parlamento. Una parte delle disposizioni di questo decreto, infatti, poteva e può benissimo essere inserita in un altro disegno di legge e favorire così il lavoro parlamentare.
Vengo ora ad alcuni punti specifici del decreto-legge sui quali riteniamo indispensabile una riflessione e una riscrittura.
Il punto politicamente più delicato è al comma 3 dell'articolo 1, ove si stabilisce la proroga dell'operazione "Libertà duratura", aggiungendovi tuttavia "i connessi interventi in base a risoluzioni ONU".
Questa dizione non compare nel decreto-legge base sulla partecipazione italiana a "Libertà duratura", che il Senato ha approvato la scorsa settimana. Non si tratta dunque della proroga della decisione già esaminata dal Parlamento e già assunta. Per questo che fin da ora sostengo con la mia firma l'emendamento che sopprime la frase citata. Questa disposizione, infatti, rende possibile una indeterminata estensione dell'operazione "Libertà duratura", consentendo che le nostre Forze armate siano impiegate in scacchieri diversi dall'Afghanistan. A noi pare che questo sia rischioso, e quindi inaccettabile.
Nel corso del dibattito sul precedente decreto-legge ho sottolineato positivamente il fatto che in tema di partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali il Governo abbia rispettato la volontà espressa dallo scorso Parlamento: lasciare al Governo stesso la decisione sull'intervento, a condizione che essa sia preceduta da un confronto e da un sostanziale consenso del Parlamento stesso.
Non possiamo rinunciare a questo metodo in linea generale. Non lo possiamo fare concretamente oggi per lo scenario che dietro quell'aggiunta potrebbe aprirsi, e probabilmente è già aperto. Mi riferisco alla Somalia, al fatto che sia lì il nuovo fronte del contrasto armato al terrorismo.
Mi pare che la discussione di oggi offra tempestivamente al Governo l'occasione per rispondere in Parlamento agli interrogativi che non possiamo non porci dopo che domenica scorsa il "Sunday Times" di Londra ha scritto che forze speciali inglesi ed americane sono già operative in Somalia, con particolari sui loro movimenti e sulle loro intenzioni, che difficilmente possono essere integralmente frutto di informazione spettacolare. Anche perché all'azione delle truppe anglo-americane si sarebbe già aggiunta l'azione della forza navale tedesca che, secondo fonti giornalistiche, questa volta italiane, costituisce il "più importante movimento di navi da guerra tedesche dalla seconda guerra mondiale e coinvolge 1.800 uomini". Ieri mattina le agenzie di stampa hanno riferito che il ministro Martino ha dichiarato: "Non ne sapevo nulla. Si tratta di notizie che ho appreso dai giornali e non sono certo che l'informazione sia fondata". E' augurabile che ora il Governo italiano sia in grado di dire se questa azione militare inglese, tedesca ed americana è in corso o no.
Noi auspichiamo che si tratti di notizie costruite su ipotesi militari e non su decisioni politiche. Noi ci auguriamo che il Ministro degli esteri e il Ministro della difesa italiani non siano stati tenuti all'oscuro, dopo che non più tardi della settimana scorsa il numero due del Dipartimento di Stato americano, Richard Armitage, alla domanda dell'inviato de "La Stampa": "Se deciderete di attaccare le basi di Al Quaeda in Somalia, quale ruolo avrà l'Italia?", ha così risposto: "L'Italia ha molta esperienza in questa regione del mondo. Vi saranno contatti fra il nostro Governo e quello italiano su come procedere nelle operazioni". Nel caso che l'operazione sia in corso è indispensabile che il Ministro ci assicuri che l'eventuale partecipazione italiana non avverrà se non dopo aver acquisito il consenso del Parlamento.
Certo, la Somalia è un'area attraente per Al Qaeda, per molte ragioni, a cominciare dal fatto che non c'è un Governo che funziona a pieno. E tuttavia un Governo riconosciuto dalle Nazioni Unite c'è in Somalia: dunque un Governo contro la volontà del quale non possono essere impiegate risoluzioni delle Nazioni Unite. La Conferenza di Gibuti che lo scorso anno ha posto le basi per la ricostruzione statuale della Somalia non era una Conferenza islamica, ma un appuntamento al quale sia le Nazioni Unite che numerosi Paesi europei hanno dato il loro sostegno. Ricordo che una delegazione parlamentare e governativa del neonato Stato somalo è stata ricevuta qui, nel nostro Senato, dalla Commissione affari esteri, sul finire della scorsa legislatura.
Come si può vedere, quell'inciso sulla estensione dell'operazione "Libertà duratura" apre numerosi, troppi interrogativi. È opportuno, dunque, procedere alla sua eliminazione. Passo ora a svolgere alcune osservazioni che vengono suggerite dall'articolo 6.
In un'operazione che riteniamo positiva il Governo definisce meglio il quadro normativo entro il quale operano le nostre Forze armate in azioni internazionali, come si è cominciato a fare con il precedente decreto-legge. Naturalmente, molte delle obiezioni e delle diffidenze che la prima versione di quel decreto-legge ha fatto emergere qui in Senato restano anche nell'attuale versione di questo decreto-legge, che va quindi riportata al testo e alla filosofia che a grande maggioranza abbiamo individuato la scorsa settimana. Credo che su questa necessità non possano esserci dubbi e quindi non aggiungo altre motivazioni.
Ma proprio la volontà di ricondurre progressivamente le azioni militari internazionali entro una normativa generale mi fa osservare che in queste disposizioni non c'è neppure un accenno al percorso che, per una parte della problematica cui le norme italiane vogliono dare una risposta, già si è compiuto da parte dell'Unione europea.
Il 10 gennaio scorso, presentando il programma della Presidenza spagnola dell'Unione europea in tema di sicurezza e di difesa, il Ministro spagnolo della difesa ha indicato alcuni obiettivi per garantire l'appoggio delle opinioni pubbliche europee all'azione militare internazionale. Al primo posto fra queste iniziative ha messo la necessità di confermare la validità e l'applicazione del diritto internazionale umanitario nelle operazioni dell'Unione europea. La Presidenza spagnola, ha annunciato il ministro Federico Trillo, convocherà un seminario per verificare l'applicabilità del diritto intenzionale umanitario alle operazioni della PESD.
Essendo indicata tra le priorità di questo semestre, sarebbe stato opportuno che il Governo italiano - ordinando la materia a livello interno - avesse cominciato a portare il suo contributo anche in questa direzione.
Ciò avrebbe potuto costituire un segnale per il complesso delle alleanze alle quali l'Italia oggi partecipa e per il modo in cui intende parteciparvi. Un segnale politico necessario, accanto alla concretezza dell'impegno militare.
Ho già ricordato la scorsa settimana la necessità che, a proposito dei prigionieri dell'operazione in Afghanistan, debba prevalere il nostro diritto rispetto all'assenza di diritti per cui si era qualificato il regime talebano. L'alto rappresentante dell'Unione europea per la politica estera, Javier Solana, si è detto convinto, proprio nei giorni in cui qui si discuteva dei prigionieri di Guantanamo, che "gli Stati Uniti, come l'Unione europea, capiscono che se i nostri valori sono difesi in patria, lo devono essere anche all'estero". Non aggiungerò altro rispetto alla nostra posizione su questo tema.
Questa settimana, richiamandomi alla presenza dei nostri Carabinieri ad Hebron, citati all'articolo 1 di questo decreto-legge, voglio ricordare in particolare quello che sta succedendo in Israele e nei Territori palestinesi: anche qui la prevalenza del diritto internazionale umanitario dovrebbe trovare riaffermazione e soprattutto applicazione. Per quanto riguarda l'articolo 11, condividiamo ovviamente la proroga del sostegno alla compagnia di fanteria rumena. L'articolo, però, contiene una innovazione sul cui contenuto dichiariamo comunque la nostra condivisione: riteniamo, infatti, che una delle condizioni per accelerare - non solo nel settore della sicurezza e della difesa - l'acquis communitaire dei Paesi candidati sia quella di farli partecipare alle nostre istituzioni.
Ma anche qui si apre una finestra nuova su uno scenario che occorre osservare insieme; dico insieme, maggioranza e opposizione, Parlamento e Governo.
Nel caso specifico: ci fermiamo alla Romania? E l'integrazione operativa delle Forze armate dei Paesi confinanti con la Romania è prevista? Sarà possibile che queste forze integrate operino all'interno della politica estera e di sicurezza comune anche prima dell'adesione della Romania all'Unione europea? Questo tipo di integrazione può essere elemento di valutazione nella scheda di adesione dei Paesi candidati? Queste sono solo alcune delle domande che dovremmo poterci porre nel valutare un'iniziativa che - ripeto - consideriamo positiva, ma che lo strumento del decreto-legge fa passare come una normale integrazione.
Le stesse considerazioni, ma ancora più fondate, valgono per l'articolo 14, che è del tutto nuovo, che non riguarda strettamente operazioni militari e non ha obiettivi di ristabilimento, mantenimento e difesa della pace che qualificano i contenuti del decreto-legge. Lo scopo dichiarato è il contrasto della criminalità organizzata con particolare riferimento al commercio di esseri umani attraverso l'immigrazione clandestina. Ribadisco che sui temi che l'articolo affronta la condivisione può essere ampia, ma la soluzione non è necessariamente quella indicata.
Vorrei intanto richiamare l'attenzione della Presidenza su un aspetto procedurale. Probabilmente per le stesse ragioni che hanno impedito un esame puntuale in Commissione difesa, non è stato valutato dalla competente Commissione che questo articolo è di fatto una delega al Governo, delega che non è consentita nei decreti-legge. Spero che la Presidenza possa pronunciare una parola chiara su questo aspetto.
Le disposizioni dell'articolo hanno, infatti, il loro fondamento al comma 1, dove è prevista una autorizzazione al Governo. Che si tratti di una delega di fatto è lo stesso Governo che lo ammette al comma 7. Tale comma, infatti, prevede l'impegno del Governo a riferire al Parlamento sulla sua attuazione.
Oltre a questo, vi è un'indeterminatezza nella scelta dei Paesi eventualmente da coinvolgere oltre l'Albania. Ma l'Albania sarà ancora coinvolta dopo che ieri è rimasta senza Governo e senza maggioranza? Anche in questo caso, comunque, la scelta dei Paesi con cui collaborare non è puramente tecnica e ha risvolti politici evidenti, specie se rapportati al ruolo che l'Albania ricopre nell'area balcanica.
Ribadisco che il nostro dissenso non è sugli obiettivi che il Governo si vuole dare. E' alla necessità di un coinvolgimento del Parlamento, nel momento in cui si ampliano delle prospettive o se ne estendono in maniera qualitativamente rilevante i contorni, che noi ci permettiamo di richiamare il Senato e il Governo.
Ci auguriamo che la discussione che non abbiamo potuto svolgere in Commissione ci porti in quest'Aula ad una soluzione condivisibile. Ciò anche per rafforzare l'impegno delle nostre Forze armate, che ha aspetti militari, affidati principalmente alle persone che vi partecipano e a cui va il nostro saluto riconoscente, ma anche contenuti politici altrettanto rilevanti. Uno di questi è la molteplicità delle fonti di legittimità: le Nazioni Unite, la NATO e l'Unione europea, singolarmente o in collaborazione, assicurano che le ragioni di intervento e le modalità di azione corrispondano ad esigenze condivise. Queste fonti di legittimità devono essere sempre ben presenti, visibili e in grado di controllare l'evolversi degli interventi. Un secondo elemento politico che si legge nel decreto, anche se non vi è scritto, è che queste operazioni contribuiscono anche allo sviluppo di rapporti sempre più stretti all'interno dell'Unione europea.
Si realizza un'integrazione di comandi, di mezzi, di procedure e soprattutto di persone che non può non avere come conseguenza il rafforzamento della ragione originaria dell'Unione europea: la pace sul nostro continente.
Per questo motivo, valutiamo con grande favore la decisione presa al Consiglio europeo di Laeken di rendere operativa la politica europea di difesa e di sicurezza e ci auguriamo che quanto prima missioni italiane già in corso o nuove siano inserite in questo quadro. Ed infine la molteplicità delle fonti di legittimità e la loro crescente integrazione europea raggiungono un terzo obiettivo politico: consolidano nei cittadini del mondo la consapevolezza che l'Europa, pur nell'ambito della solidarietà transatlantica, è già ed è destinata ad essere sempre più un protagonista globale.
Si tratta - come ho detto - di scelte che abbiamo fatto insieme negli ultimi anni. Tranne l'operazione "Libertà duratura", tutte le altre hanno preso origine nel precedente Parlamento e con Governi differenti.
Oltre che le ragioni politiche, che ho appena esposte, anche ragioni di coerente continuità ci portano, dunque, a valutare positivamente la proposta di proroga delle missioni che, attraverso questo decreto, il Governo fa al Parlamento, naturalmente con le modificazioni che mi sono permesso di suggerire e che valuteremo nel corso del dibattito.

30 gennaio 2002



 DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE

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2 febbraio 2002
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