VENETO

La scomparsa di un sacerdote padovano che si era sempre sentito un "delegato"
Don Livio Destro, un prete seminatore
Aveva la buona semente della dottrina sociale della Chiesa; sua era la bravura nel preparare il terreno

di Tino Bedin

Prima a Thiene, città dell'Alto Vicentino, poi a Tombelle, frazione di Vigonovo nella Riviera del Brenta, sabato 26 agosto la Chiesa padovana ha affidato alla misericordia di Dio e alla propria storia Don Livio Destro. In questa duplicazione, che rispetta sicuramente una sua volontà, leggo un messaggio - e non sarà l'ultimo - di don Livio: nel servizio alla comunità (ecclesiale, politica, associativa) non sei mai "titolare" di niente; sei un "inviato". Di lui possiamo dire che era un "delegato", perché questo era il suo titolo nella Chiesa padovana prima di essere inviato a Thiene come arciprete: delegato della Pastorale sociale e del lavoro; prima era stato vice delegato sempre della Pastorale del lavoro, accanto a don Giuseppe Masiero; prima era stato cappellano (quindi un "delegato") al Redentore di Este accanto a don Danilo Serena.

L'arciprete di Thiene. A Thiene l'arciprete era lui; lì era diventato mons. Destro; i suoi confratelli per due mandati lo hanno proposto al vescovo come vicario foraneo. Ci era arrivato nel 2006. Oltre dieci anni sono un tempo lungo: un tempo in cui si misura, si progetta, si costruisce; le conoscenze diventano amicizie; le diffidenze si trasformano in reciproca considerazione. Cominciano storie nuove, che poi vanno - come è giusto - per la loro strada, e non importa che sia ecclesiale, può essere anche politica. Nel 2011 don Livio facilita la nascita a Thiene di una sezione dell'Ucid (l'Unione cattolica imprenditori e dirigenti) in modo da dare stabilità ad un percorso di formazione socio-politica (come aveva ben saputo fare al Centro Toniolo di Padova). Tra i primi allievi di quel corso c'era Giovanni Casarotto, che l'anno dopo viene eletto sindaco, fa la sua strada, viene rieletto proprio quest'anno.
Quando vorranno onorare il loro arciprete, morto ad appena sessant'anni all'ospedale di Santorso, i thienesi andranno però in un cimitero della Riviera del Brenta: là dove era cominciata la vita di don Livio ed era maturata la sua vocazione.
Alle origini del suo sacerdozio si recheranno i molti altri per i quali don Livio è stato un "inviato".

I cattolici impegnati in politica. Della "missione" a Thiene ho citato solo l'Ucid e la formazione socio-politica. Non per mettere in scala queste iniziative pastorali rispetto ad altre (non ne avrei del resto la conoscenza sufficiente); piuttosto per trovare la continuità del don Livio che ho conosciuto, di cui sono stato amico.

Il periodo del suo incarico di delegato vescovile per la Pastorale sociale e del lavoro (1995-2006) si sovrappone quasi esattamente con il periodo del mio mandato parlamentare. Don Livio Destro non era di parte, nemmeno della mia. Eppure era un riferimento per noi cattolici democratici impegnati in politica, perché offriva occasioni e colloqui in cui capire meglio la comunità che volevamo rappresentare, in cui anche noi privilegiare la ricerca e il dialogo sulla propaganda e sul consenso.
Interpretava bene una Chiesa padovana che - spesso a differenza di quella ufficiale romana - manteneva completa la lista dei "principi non negoziabili"; una lista nella quale la democrazia, la dignità del lavoro, la solidarietà, l'uguaglianza delle persone sono principi etici, assieme agli altri che allora sembrava esclusivi e (c'era chi lo sosteneva) ben rappresentati dal berlusconismo. Don Livio come prete ed io come giornalista della "Difesa del Popolo" conoscevamo bene questa Chiesa, nella sua storia, nei suoi pastori: il vescovo delle Leghe Bianche mons. Pellizzo e i "nostri" vescovi: mons. Girolamo Bortignon e mons. Filippo Franceschi; e poi i preti, che ci erano amici, maestri, compagni. Ho ricordato don Giuseppe Masiero e don Danilo Serena, ma la lista è lunga: mons. Pietro Zaramella, mons. Giovanni Nervo, mons. Alfredo Contran, mons. Giuseppe Benvegnù Pasini, mons. Mario Gastaldo, mons. Angelo Zilio.

Gli imprenditori di se stessi. Come loro, don Livio Destro sapeva che "il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro": parole della "Laborem exercens", l'enciclica sociale scritta da papa Giovanni Paolo II nel 1981, l'anno prima dell'ordinazione sacerdotale di don Livio; parole che continuavano a restare molto distanti dalla vita e dall'economia del nostro Veneto a cavallo del Millennio. Destinatari costanti, "istituzionali" della predicazione di don Livio Destro sono non a caso i lavoratori autonomi, gli artigiani, i commercianti, i coltivatori diretti: sia attraverso il Centro Toniolo, sia come consulente ecclesiastico. Sa che questi "imprenditori di se stessi" rischiano molto della loro esistenza nell'impegno totalizzante del lavoro; sa che la maggior parte dei lavoratori veneti è impegnata in piccole e piccolissime aziende, i cui datori di lavoro sono quasi sempre lavoratori loro stessi. È un'attività di formazione e di salvaguardia che don Livio Destro a nome della Chiesa padovana compie con costanza; la sua presenza aiuta a volte prese di coscienza che porteranno ammodernamenti essenziali nelle organizzazioni del lavoro autonomo: si tratterà però di scelte maturate personalmente dai protagonisti, perché don Livio è un seminatore, non un raccoglitore.
Non stupisce quindi quello che aveva raccontato ad un suo confratello: di una notte in cui si è trovato a pensare alla sua esistenza e di averne ricavato benessere e serenità per quello che aveva fatto, per le persone che aveva incontrate, al punto di pensare che questo poteva essere sufficiente, da poter dire "basta così", perché aveva seminato e molti potevano ormai raccogliere.

"Tutto è grazia". Aveva la buona semente della dottrina sociale della Chiesa; sua era la bravura nel preparare il terreno. L'attrezzo di cui si serviva e che molti ricordiamo era il sorriso con cui cominciava e finiva incontri, dialoghi, interventi. A chi non era convinto che la gioia fosse all'inizio e alla fine del credente, non si stancava di ripetere: "Tutto è grazia", come un ritornello della vita.
Devo dire che sulle prime mi stupiva un po' che don Livio avesse scelto come "motto" le ultime parole del Curato di campagna sul suo letto di morte, nel più celebre romanzo dello scrittore francese George Bernanos.
Non era infatti un prete di campagna, né per formazione né per esperienze.
E ora sua morte non è come quella del "Curato di campagna" che muore in solitudine, incompreso, frainteso, compatito, sconfitto, dopo una vita breve, per niente facile e spesso infelice. Ecco infatti come ce l'ha comunicata mercoledì 23 agosto suor Francesca Fiorese, direttrice della Pastorale sociale diocesana: "Carissimi, con sconcerto e dolore vi raggiungo per comunicarvi che questa notte, a causa di un arresto cardiaco, è morto don Livio Destro. La stima, la gratitudine e l'amicizia che ci legano a don Livio non si spegne, così come il suo sorriso su di noi, che ora si fa benedizione. Nella comunione dei santi chiediamo a don Livio, uomo autentico, pastore fedele, testimone appassionato, di accompagnare il nostro servizio nella Chiesa e nel mondo. Uniamo la nostra preghiera ponendo don Livio nelle braccia del Padre".
Quel "Tutto e grazia" per il curato di Bernanos era l'ancora cui legare la barca della vita, per don Livio era il vento che spingeva la barca quando non bastavano… i remi suoi e le braccia di chi viaggiava con lui.
Ecco perché anche con la sua morte il viaggio insieme non finisce.

27 agosto 2017


6 settembre 2017
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