VECCHIAIA

Un fronte lasciato ancora troppo scoperto dalle istituzioni regionali e nazionali
Le case di riposo
non sono fatte per la morte

La Regione Veneto deve considerare il sistema socio-sanitario come un insieme unico nella battaglia contro il Covid-19

di Tino Bedin

Continuano a dire che questo è il virus dei vecchi: è più facile che li attacchi; è più frequente che li uccida. È quello che stiamo constatando. Venerdì sera la constatazione è diventata evidenza statistica: alla conferenza stampa serale della Protezione civile per fare il punto della situazione sull'emergenza coronavirus, Roberto Bernabei, docente di Geriatria all'Università Cattolica di Roma e presidente di Italia Longeva, ha spiegato "l'eccesso di mortalità in Italia: noi siamo il Paese più vecchio del mondo insieme al Giappone. Ricordiamo che l'età media di infettati è 63 in Italia e 46 in Cina, quindi è chiaro perché in Cina è stata inferiore la mortalità. Anche in Italia si attesta a meno del 10% la mortalità per chi ha sotto i 60 anni". Il geriatra ha osservato che "solo 3 deceduti (0,8 per cento) non avevano patologie concomitanti. Gli altri avevano una (25 per cento), due (25 per cento) o 3 (48 per cento) patologie. Il fattore di rischio vero non è solo l'età geriatrica, ma anche patologie concomitanti come ipertensione, cardiopatia ischemica, fibrillazione atriale e diabete, che portano a una maggiore aggressività del virus che trova così un terreno fertile". I numeri sono ricavati dall'indagine avviata dall'Istituto superiore di sanità, con l'analisi delle cartelle cliniche dei primi 355 deceduti.
Età avanzata e salute definitivamente instabile: è la fotografia delle persone che vivono nelle case di riposo per anziani.
Continuano anche a dire che "bisogna stare in casa": dalla loro casa di riposo, a volte neppure dalla loro stanza, ci sono almeno 100 mila persone tra Lombardia e Veneto che non si muovono assolutamente e non da quando c'è il corona virus.
Continuano ancora a dire che questo virus è più veloce di noi, che mentre ci mettiamo la mascherina è già corso in un'altra persona e che mentre lo troviamo con un tampone lui s'è già ben nascosto altrove.

Dove cercare il coronavirus. E allora perché questo maledetto Covit-19 non vanno a cercarlo subito là dove ci sono persone avanti con gli anni, con una serie di malanni fisici e già chiuse in casa? Perché il presidente del Veneto Luca Zaia invece di minacciare di mandare a far fare i tamponi a caso davanti ai supermercati non ha subito mandato a fare i tamponi nelle case di riposo della regione? Qui trova non solo oltre 30 mila vecchi malconci, ma anche quasi altrettanti veneti che li assistono: medici, infermieri, operatori sociosanitari, terapisti della riabilitazione, educatori professionali, personale ausiliario, cuochi, autisti, amministrativi e dirigenti. Tutte persone, queste seconde, che ad un certo punto della giornata (non solo di sera, perché quasi tutti sono turnisti) tornano nelle loro case, dopo essere state in un luogo in cui - come ogni giorno dicono tutti - il Covid-19 può svilupparsi.
Infatti c'è. E infatti fa morti, come sta succedendo a Merlara nella casa di riposo "Pietro e Santa Scarmignan".
Sul Mattino di Padova di oggi, Nicola Cesaro racconta: Nel centro anziani di via Roma venerdì sera si è registrato un nuovo decesso. È quello di Lina Cavestro, 91 anni, positiva al Covid-19. Già affetta da anni da Alzheimer, l'anziana era stata trasferita in ospedale a Schiavonia ma poi rimandata in struttura anche se in condizioni gravissime. È l'ottavo lutto che tocca alla "Scarmignan" in una settimana: gli ospiti sono passati da 73 a 59, dato che altri sei anziani sono stati portati nel reparto Covid-19 di Schiavonia. A Merlara risultano contagiati anche 24 lavoratori della struttura, oltre a direttore, vicedirettore e presidente, ma pure sindaco e vice. In queste ultime ore la raccolta fondi dedicata alla "Scarmignan" ha superato i 5. 600 euro, più di qualcuno ha recapitato pacchi di mascherine, ma il vero dramma è la mancanza di personale.
Altri morti seguiranno.
Sempre oggi, ma sul Gazzettino Roberta Meneghetti, presidente della Casa "Scarmignan" (è in isolamento perché anche lei positiva al test del coronavirus), racconta con strazio una tragedia cui finora la Regione Veneto appare non dare il peso necessario e l'informazione non rappresenta con adeguata evidenza: "Siamo consapevoli anche noi che tutti i nostri ospiti non potrebbero essere trasferiti in ospedale ed è per questo che ce li teniamo qui e ce li vogliamo tenere il più possibile perché noi li seguiamo con affetto e devozione. In ospedale invece diventerebbero soltanto dei numeri. Chiediamo il ricovero solo di chi ha qualche speranza di farcela, di chi può essere rimesso in pista afferma amareggiata la presidente i pazienti gravi, per i quali la morte è solo una questione di tempo, li teniamo qui per farli sentire meno soli nel loro ultimo viaggio".
Merlara è per ora il luogo simbolo della tragedia della vecchiaia, ma il Covid-19 corre veloce nelle case di riposo del Veneto: a Monselice, Galzignano Terme, Portogruaro, Zero Branco, Casale sul Sile, Alano di Piave, Puos d'Alpago.
La caccia preventiva al virus però non è ancora partita. I tamponi si fanno dove i casi si sono manifestati, non altrove.
Sempre sul Mattino di Padova di oggi Elena Livieri ha raccolto la testimonianza di Daniele Roncon, direttore delle residenze per anziani di Piove di Sacco, Pontelongo e Strà: Sono stati fatti i tamponi? "La Regione Veneto ha deciso di procedere con i test in tutte le Ipab, ma non sono ancora stati eseguiti. Ritengo si tratti del metodo più efficace per tenere la situazione sotto controllo. Prima si individua l'eventuale contagio, prima lo si isola. Ci vuole una sorveglianza speciale". Siete attrezzati per l'isolamento? "Abbiamo creato stanze dedicate in ogni sede". Il picco dei contagi è previsto per metà aprile, cosa vi aspettate? "Il mese che abbiamo davanti sarà il più duro perché risentirà inevitabilmente del carico di fatica e stress accumulati in queste prime quattro settimane di emergenza: si deve continuare con tutte le dovute cautele e con il razionale timore di ciò che può succedere, attrezzandoci per le risposte più veloci ed efficaci".

Le persone sono indispensabili. La condizione del personale nelle case di riposo è altrettanto decisiva della condizione degli anziani ospiti; anzi la loro condizione dipende dalla condizione dei primi e dalla loro salute. Dipende anche dal loro numero. E il numero sta calando non solo perché molti lavoratori finiscono in quarantena; cala anche per decisioni prese dalle istituzioni competenti, proprio in risposta con la pandemia.
Il reclutamento necessario di nuovo personale nella sanità non ne ha selezionato la provenienza; succede cosi che infermieri e operatori delle case di riposo passino alle Ulss, dove il contratto di lavoro è migliore (nel caso di personale dipendente) e migliore e sicuro (nel caso di personale di servizi dati in appalto). Si tratta di una concorrenza di cui non si può far colpa ai lavoratori: è il decisore pubblico (in questo caso la Regione) che doveva e deve pensarci prima, considerando il sistema socio-sanitario come un insieme unico nella battaglia contro il Covid-19.
Questa unitarietà, spesso proclamata a parole, scompare nelle norme anche a livello nazionale. L'altro giorno l'Associazione veneta dei Centri di Servizio pubblici e privati ha scritto al presidente del Consiglio e a tutte le istituzioni coinvolte segnalando che la nuova organizzazione dei congedi per il personale prevista dal decreto "Cura Italia" subordina la loro concessione alle esigenze organizzative delle strutture sanitarie, non fa altrettanto per le strutture sociosanitarie pubbliche e private accreditate (come sono le case di riposo). "Tali strutture - spiega il presidente Roberto Volpe - già oggi pesantemente provate, a causa delle assenze del personale dovute al diffondersi dal contagio o a provvedimenti di quarantena imposti dalle autorità sanitarie locali non possono essere in grado di reggere organizzativamente laddove la norma non preveda chiaramente la rivisitazione degli articoli citati. Sarebbe paradossale che un testo legislativo finalizzato a fronteggiare l'emergenza sanitaria Covid-19, ne ostacolasse l'adeguata gestione rendendo ancor più rilevante la carenza di personale delle strutture oggi fondamentali per la salute pubblica".

Evitare i lazzaretti. La visione unitaria e la gestione coordinata delle risorse umane disponibili nel contrasto alla pandemia sono oggi una scelta ineludibile della Regione Veneto, sia nei confronti del personale sia nei confronti degli anziani ospiti.
Per quanto riguarda il personale l'intervento più urgente è la sicurezza degli operatori. In una lettera di questa settimana al presidente Luca Zaia le istituzioni del privato-sociale scrivono: "Se viene richiesto ai Centri Servizi di tenere in struttura pazienti Covid-19 positivi, gli operatori dei Centri servizi devono essere dotati di IDENTICHE protezioni degli operatori sanitari presso i reparti ospedalieri".
La dotazione finora non è stata ancora distribuita: sono infatti state messe a disposizione le mascherine non omologate regalate da uno stampatore veneto.
Per quanto riguarda gli anziani è urgente fare chiarezza sulle modalità di assistenza e di cura. Le drammatiche parole della presidente della Casa di riposo di Merlara fanno intravvedere il possibile scenario di tanti "lazzaretti" di piccole e medie dimensioni nelle case di riposo, dove i vecchi colpiti da coronavirus vengono confinati con limitate possibilità di cura e la sola prospettiva della morte. Oltre che rischiosa per il resto delle singole comunità, questa scelta sarebbe disumana.

22 marzo 2020


26 marzo 2020
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