La parrocchia italiana è stata storicamente Chiesa di prossimità. Nella seconda metà del secolo scorso ha riempito molti vuoti sociali e comunitari creati dalle trasformazioni economiche, culturali e familiari. Prevalentemente in parrocchia è prima germogliato e poi è stato portato a maturazione - era il 1976 - il primo convegno ecclesiale nazionale, che già nel tema - Evangelizzazione e promozione umana - descriveva un popolo di Dio in cammino verso la meta che Papa Francesco, mezzo secolo dopo, propone per il Sinodo: "Una Chiesa che non si separa dalla vita, ma si fa carico delle fragilità e delle povertà del nostro tempo, curando le ferite e risanando i cuori".
Aprendo nell'ottobre scorso la riflessione sul percorso sinodale della Chiesa italiana, Papa Francesco ha indicato come opportunità del Sinodo "una Chiesa che non solo a parole, ma con la presenza stabilisca maggiori legami di amicizia con la società". Il Sinodo della Chiesa che è in Italia si prefigura dunque come un percorso di ricostruzione del popolo, sollecitato a "camminare insieme", seguendo le tracce dello Spirito nell'unica famiglia umana.
Accompagnare dall'interno questo processo lento, difficile è la proposta che continuamente Papa Francesco fa alla Chiesa. È la prospettiva che indica anche alla politica.
Comunità e persone, un popolo. Per arrivarci la Chiesa (e la parrocchia) deve essere popolo. In un'omelia del 2014 a Santa Marta il Pontefice aveva insistito: "Un cristiano senza popolo, un cristiano senza Chiesa non si può capire. È una cosa di laboratorio, una cosa artificiale, una cosa che non può dare vita".
Essere popolo è anche la chiamata personale alla comune responsabilità che ciascuno ha nei confronti del bene comune; è quindi una chiamata ad essere membri di un popolo.
Una chiamata impegnativa ed attuale per i credenti italiani. In molte parrocchie, in molte comunità le esperienze di fede sono sempre più spesso vissute in maniera isolata, autoreferenziale. Cresciuto nella logica del supermercato, il fedele-consumatore è portato a prendere dallo scaffale della parrocchia o della comunità quello che piace di più a lui, quello che gli serve in quel momento; sempre più frequentemente non "si serve" nemmeno più in parrocchia o in comunità; si trova bene con quello che sceglie da solo. Non vede cosa è buono per gli altri; non vede a cosa serva una Chiesa. Non è popolo.
Questo fedele-consumatore rischia di mettere particolarmente in crisi quella manifestazione della "Chiesa di vicinanza" che è la parrocchia.
Qui le difficoltà generano già fatica. La vita ordinaria della parrocchia spesso porta via tutto il tempo di preti e laici. La fatica della quotidianità affievolisce tensione e passione; la stanchezza aumenta.
La sfida è, per la comunità di fede e per le persone credenti, evitare il rischio di una Chiesa gnostica: "un Dio senza Cristo, un Cristo senza Chiesa, una Chiesa senza popolo", nell'efficace sintesi dello stesso Papa Francesco; rischio richiamato con insistenza nell'esortazione apostolica sulla santità Gaudete et exultate; ultimamente segnalato nell'intervista tv del 6 febbraio. La sfida è, anche, la ricostruzione del rapporto tra credenti e popolo, è la ricerca dell'equilibrio tra libertà personale e legame comunitario, è l'annuncio della comunione intorno ad un'identità comune in una società contemporaneamente individualizzata ed omogeneizzata dai personal media.
Popolo di Dio e popolo della democrazia. Lungo questo cammino il popolo di Dio si troverà ad unirsi ad altri viandanti.
In un post del luglio scorso Sandro Campanini, cattolico-democratico parmense, ricorda quelli che si incontrano quando si riesce a "tenere assieme il radicamento in un popolo, con le sue caratteristiche (il pluralismo di lingue, storie, tradizioni nel mondo è una ricchezza, non un problema; è preziosa "biodiversità"!), l'appartenenza ad unico popolo, l'umanità, nel quale tutti siamo fratelli e sorelle e quella al popolo cristiano, che dovrebbe essere testimonianza e prefigurazione (segno e strumento, dice il Concilio), dell'unità, nella pace, del genere umano, a cui protendiamo. Ma per essere "segno e strumento" anche il popolo cristiano deve riconoscersi come comunità in cammino unita nella diversità, accomunata dalla stessa fede ma ricca di contributi plurali, che certo comportano la fatica del dialogo ma che rendono viva e vitale una comunità e la aprono al futuro". Sandro Campanini ci avverte che si tratta di una sfida proposta da Papa Francesco.
Si incontrano anche le persone e i movimenti che in Italia sono impegnati a "ricostruire un popolo" per rigenerare la democrazia.
La Chiesa può farsi ed essere desiderata come compagna di strada perché resta, comunque, la più ramificata realtà di popolo nella società italiana, spesso antidoto alla paura e alla rabbia che generano il populismo, modello di comunità intermedie (le parrocchie e le associazioni), organizzazione di risposte dalla comunità a domande individuali e collettive.
Nella comunità politica, invece, il popolo sembra scomparso. Chi non sceglie la scorciatoia del populismo ha davanti a sé una domanda ancora senza risposta: come rendere protagonisti una moltitudine di individui isolati, senza più partiti di popolo e con i corpi intermedi (organizzazioni dell'impresa e del lavoro, ad esempio) sempre più esangui. L'unico "corpo collettivo" sembra essere l'opinione pubblica: questa presume di essere soggetto; di fatto è un oggetto, sovrastato da forze tecnologiche, comunicative ed economiche enormi.
Camminando insieme, popolo di Dio e popolo della democrazia affronteranno meglio le difficoltà che in parte sono simili. Eccone una, individuata dallo storico Andrea Riccardi, commentando la riflessione del Santo Padre con i vescovi italiani sull'idea di Sinodo: "Si ha la sensazione che, in questa fase politica, si stia disegnando un'altra società, meno plurale, meno fatta di comunità intermedie, d'iniziative sociali (molto spesso espressione della Chiesa). (…) È evidente che si vuole un'altra società, non quella del legame sociale, quella che il lavoro e la presenza dei cristiani perseguono quotidianamente. Sarà più dominabile dalle emozioni".
Il motto del paternalismo politico. Lungo questo cammino comune Chiesa e società italiana trovano in Papa Francesco un accompagnatore premuroso e puntuale. Ne è un esempio il suo contributo alla conferenza internazionale "Una politica radicata nel popolo", organizzata a Londra nell'aprile dello scorso anno.
In Ritorniamo a sognare questa politica la chiamo "Politica con la P maiuscola", politica come servizio, che apre nuovi cammini affinché il popolo si organizzi e si esprima. È una politica non solo per il popolo ma con il popolo, radicata nelle sue comunità e nei suoi valori. Invece i populismi seguono piuttosto come ispirazione, consapevole e inconsapevole, un altro motto: "Tutto per il popolo, nulla con il popolo", paternalismo politico. Ne consegue che il popolo nella visione populista non è protagonista del suo destino, ma finisce con l'essere debitore di un'ideologia.
Quando il popolo è scartato, viene privato non solo del benessere materiale, ma anche della dignità dell'agire, dell'essere protagonista della sua storia, del suo destino, dell'esprimersi con i suoi valori e la sua cultura, della sua creatività, della sua fecondità. Per questo, per la Chiesa, è impossibile separare la promozione della giustizia sociale dal riconoscimento dei valori e della cultura del popolo, includendo i valori spirituali che sono fonte del suo senso di dignità.
"A me piace usare popolarismo", per esprimere questa idea di politica, aveva premesso Papa Francesco in quell'occasione.
24 aprile 2022