Della sua terza enciclica Papa Francesco ci ha messo a disposizione testo e video. Dell'uno e dell'altro è l'autore e l'interprete principale; non da solo, però: nel testo e nel video mostra come si può rispondere al "bisogno di costituirci in un 'noi' che abita la Casa comune" (FT 17). E così, con lui, ne siamo interpreti tutti.
Un'unica barca per tutti. Ci ha interpretati come Fratelli tutti il 27 marzo dello scorso anno: l'enciclica non è ancora un testo scritto; diventa già immagine e messaggio.
Papa Francesco entra nella Piazza San Pietro deserta, è ormai sera, è solo, piove a dirotto, non ha l'ombrello; vediamo ciascuno di noi sotto la pandemia inaspettata. Lo guardiamo; lo ascoltiamo: "Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite. (…) Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti".
La colonna sonora mescola lo scroscio della pioggia, lo stridio dei gabbiani, l'urlo delle ambulanze.
È lo scenario iniziale dell'enciclica Fratelli tutti. "Ombre di un mondo chiuso" è il titolo del primo capitolo, che descrive le tempeste nelle quali ci siamo cacciati. Per stare a galla e tentare di avere una rotta abbiamo quell'unica "stessa barca" che abbiamo vista in piazza San Pietro: unica per tutti, precisa il testo scritto, perché se si affonda non servirà il biglietto di prima classe. E il naufragio si evita se si superano le onde "che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale" (FT 9).
La fraternità non placa e non placherà le onde del conflitto, dello scarto mondiale, delle paure seminate per dominare, dell'aggressività senza pudore, dell'informazione senza saggezza; consente però di affrontarle con la perizia collettiva e soprattutto con l'umiltà di "tanti compagni e compagne di viaggio che, nella paura, hanno (…) capito che nessuno si salva da solo" (FT 54).
Lo scenario dentro il quale il Papa ci rappresenta nell'enciclica non è, dunque, quello dell'Apocalisse; è lo scenario della vita: siamo compagni e compagne di viaggio nel tempo dell'umanità.
Guardando il medesimo cielo. "Desidero tanto che, in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un'aspirazione mondiale alla fraternità. Tra tutti" (FT 8). È la possibilità che abbiamo, a cui Papa Francesco dedica le parole dell'enciclica e un altro video.
Ci ha interpretati come Fratelli tutti di nuovo, un anno dopo le immagini di Piazza San Pietro. Il 6 marzo scorso siamo tutti nella piana di Ur dei Caldei, antica città dei Sumeri, oggi è Tell-al-Muquayyat, città dell'Iraq; qui si recita il "Padre nostro" nella lingua con la quale è stata pronunciato per la prima volta da Gesù; siamo proprio tutti: ebrei, cristiani, musulmani; fratelli nel padre genti, il patriarca Abramo; qui nessuno è figlio primogenito.
Il fratello Francesco ci presta la sua voce: "Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio. (…) E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo. (…) Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre Abramo, affermiamo che Dio è misericordioso e che l'offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello".
Fratelli profanati sono molti di quelli che accompagnano il Papa nella piana di Ur dei Caldei. A pochi chilometri da qui c'è anche Nassiriya, la città irachena dove il 12 novembre 2003 anche gli italiani hanno pagato con la vita l'impegno per la pace.
Papa Francesco ci ha condotti qui perché ci sono feriti da curare per provare a vivere da fratelli, perché c'è da chiedere perdono per provare ad abitare la stessa casa; ci ha condotti qui perché la piana di Ur è lo spazio di un sogno, il sogno di Dio; e voleva mostrarcelo.
"Noi, fratelli e sorelle di diverse religioni, ci siamo trovati qui, a casa, e da qui, insieme, vogliamo impegnarci perché si realizzi il sogno di Dio: che la famiglia umana diventi ospitale e accogliente verso tutti i suoi figli; che, guardando il medesimo cielo, cammini in pace sulla stessa terra". Il sogno di Dio è che gli uomini si riapproprino di un destino comune.
Il destino comune, immaginato e progettato in un sogno fatto insieme, è anche il filo con cui Papa Francesco ha cucito Fratelli tutti.
La direzione di marcia e la meta. Fin dal proemio l'enciclica esprime il desiderio che "siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole" (FT 6) e subito dopo invita: "Sogniamo come un'unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!" (FT 8). Il sogno diventa invocazione nella finale "Preghiera al Creatore", che conclude l'enciclica: "Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace".
L'invocazione definisce senza equivoci la natura del sognarci Fratelli tutti: non è utopia, ma progetto; è presa d'atto della necessità di cambiamento della realtà concreta; è visione di una direzione di marcia con l'indicazione della meta (giustizia e pace) e l'individuazione dei mezzi (incontro e dialogo).
Stanno altrove le illusioni. Con durezza profetica Papa Francesco le denuda: "Il mondo - scrive a proposito della pandemia - avanzava implacabilmente verso un'economia che, utilizzando i progressi tecnologici, cercava di ridurre i 'costi umani', e qualcuno pretendeva di farci credere che bastava la libertà di mercato perché tutto si potesse considerare sicuro" (FT 33). E fin dal proemio avverte: "Se qualcuno pensa che si trattasse solo di far funzionare meglio quello che già facevamo, o che l'unico messaggio sia che dobbiamo migliorare i sistemi e le regole già esistenti, sta negando la realtà" (FT 7).
Il sogno sfida l'illusione. "Senza dubbio, si tratta di un'altra logica. Se non ci si sforza di entrare in questa logica, le mie parole suoneranno come fantasie. Ma se si accetta il grande principio dei diritti che promanano dal solo fatto di possedere l'inalienabile dignità umana, è possibile accettare la sfida di sognare e pensare ad un'altra umanità. È possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti" (FT 127).
La globalizzazione è, dunque, il terreno della sfida. È lo stesso terreno scelto dall'economia: "Siamo più soli che mai in questo mondo massificato che privilegia gli interessi individuali e indebolisce la dimensione comunitaria dell'esistenza. Aumentano piuttosto i mercati, dove le persone svolgono il ruolo di consumatori o di spettatori. L'avanzare di questo globalismo favorisce normalmente l'identità dei più forti che proteggono se stessi" (FT 12).
La presa d'atto della realtà e la constatazione dei risultati negativi richiedono un progetto globale: la globalizzazione della fraternità. La definizione non si legge nell'enciclica, ma basta far abitare la "casa comune" dai "fratelli tutti" e il progetto si incontra con chiarezza: la ricomposizione dei legami personali, locali e internazionali sulla base della fraternità. Come abbiamo appena letto, quella che Papa Francesco invita a sognare e a pensare è un'altra umanità, non un'altra economia.
25 aprile 2021