L'UMANITÀ

L'insistente catechesi di Papa Francesco sui rischi
del clericalismo

Il popolo è insostituibile
nelle celebrazioni religiose

Quel fermo richiamo durante il confinamento: le misure drastiche non sempre sono buone

di Tino Bedin

Il 16 luglio, giorno il cui la Chiesa celebra la festa della Beata Vergine del Monte Carmelo, non ci sarà a Padova l'annuale processione con punto di riferimento la Basilica del Carmine, il santuario mariano per eccellenza della città. La salvaguardia delle persone dalla pandemia di Covid 19 prevale anche in questa occasione rispetto alla tradizione e al bisogno di essere popolo credente. "L'ultima messa delle 18.30 - annota il parroco del Carmine don Alberto Peloso - di solito attirava oltre mille persone, data la devozione dei padovani verso la Madonna del Carmine. Quest'anno non sarà così". Però un "incontro" ci sarà: al termine della messa la statua della Madonna verrà spostata alle porte della chiesa, per la supplica e la benedizione finale, quasi a farla affacciare sulla città. Lì la preghiera si arricchirà di un'intenzione per il sostegno alle difficoltà attuali, agli ammalati e alle persone che sono morte a seguito del Covid.
Non basta infatti essere spettatori. Il santo popolo di Dio non è uno spettatore che sta davanti o dietro le telecamere; è invece un soggetto insostituibile della celebrazione. L'esperienza del confinamento è stata illuminante di questa natura del popolo di Dio. Mi è sembrata appropriata un'osservazione sull'uso di internet fatta proprio nelle settimane della chiusura delle celebrazioni da padre Ermes Ronchi, religioso dei Servi di Maria nel convento di Isola Vicentina: "Non si tratta di mettere online un'ulteriore messa, o ripetere una di quelle celebrazioni che si son sempre fatte, per illuderci che il filo non si spezza. Chissà, magari un rito con queste modalità potrebbe perfino rafforzare l'idea di una separazione tra chi presiede e l'assemblea che celebra, in sostanza che non rafforzi il clericalismo e trasmetta la sensazione che in fondo se ne può benissimo fare a meno".
Leggendola allora, ho pensato che il clericalismo deve essere un virus potentissimo, se riesce anche ad attecchire in internet e a modificare buone intenzioni ed entusiasmi. E internet non era l'unico "focolaio" nei giorni del confinamento.

Le intenzioni erano buone. Quella mattina del 13 marzo 2020 nessuna chiesa di Roma era stata aperta. Dalla domenica precedente già non ci celebravano più le sante messe in tutta Italia. Gli italiani erano pressantemente invitati a non uscire di casa e così al giovedì la Conferenza episcopale italiana aveva suggerito ai vescovi di tenere chiuse le chiese. "Fare del nostro meglio e dare il nostro contributo per la salute di ognuno. Stringersi gli uni agli altri non fisicamente, ma con la solidarietà reciproca, perché gli anziani e i malati, che in questo momento sono i "piccoli" che Gesù mette al centro, possano percepire che c'è una società intera, Chiesa compresa, che non si rassegna alla loro morte": queste le buone intenzioni con la quale il cardinale vicario di Roma. mons. Angelo De Donatis, aveva immediatamente seguito il suggerimento.
Erano buone, come riferisce l'evangelista Marco, anche le intenzioni degli Apostoli quella sera, in riva al lago di Tiberiade: Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: "Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare". Ma egli rispose loro: "Voi stessi date loro da mangiare". Gli dissero: "Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?"(Mc 6,30-44).
Fosse stato per i discepoli, il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci non ci sarebbe mai stato. Di loro Papa Francesco aveva parlato il 9 maggio dell'anno scorso con i partecipanti al Convegno della Diocesi di Roma: Gli Apostoli si sono innervositi quando veniva il tramonto e quella folla - cinquemila solo gli uomini - continuava ad ascoltare Gesù. E hanno cercato la maniera di "risistemare" le cose. (…) Questa è l'illusione dell'equilibrio della gente "di Chiesa" tra virgolette; e io credo (…) che lì è incominciato il clericalismo: "Congeda la gente, che se ne vadano, e noi mangeremo quello che abbiamo". Forse lì c'è l'inizio del clericalismo, che è un bell'"equilibrio", per sistemare le cose.

Andate a vedere quanti pani avete. Il racconto del Vangelo di Marco continua così: Ma egli disse loro: "Quanti pani avete? Andate a vedere". Si informarono e dissero: "Cinque, e due pesci".
Il dialogo si ripete proprio quella mattina del 13 marzo. È il settimo anniversario della sua chiamata a vescovo di Roma e Papa Francesco nella residenza di Santa Marta comincia la celebrazione della santa messa con un'intenzione: Vorrei anche pregare oggi per i pastori, che devono accompagnare il popolo di Dio in questa crisi: che il Signore dia loro la forza e anche la capacità di scegliere i migliori mezzi per aiutare. Le misure drastiche non sempre sono buone. Per questo preghiamo, perché lo Spirito Santo dia ai pastori la capacità e il discernimento pastorale affinché provvedano misure che non lascino da solo il santo popolo fedele di Dio. Che il popolo di Dio si senta accompagnato dai pastori e dal conforto della Parola di Dio, dei Sacramenti e della preghiera.
Il Papa suggerisce ai vescovi di verificare bene che risorse hanno a disposizione.
La preghiera… funziona. Nella stessa giornata il cardinale De Donatis invia ai parroci di Roma un nuovo decreto con l'indicazione che le chiese parrocchiali e quelle "con cura d'anime" restino aperte, perché "un ulteriore confronto con Papa Francesco, questa mattina, ci ha spinto però a prendere in considerazione un'altra esigenza: la chiusura di tutte le nostre chiese può suscitare disorientamento e confusione. Il rischio per le persone è di sentirsi ancora di più isolate". E come gli Apostoli si sono messi a fare i camerieri in riva al lago, distribuendo pane e pesce e raccogliendo gli avanzi, anche i preti stiano - scrive il cardinale vicario - tra la gente: "Siate vicinissimi al popolo di Dio, fate sentire ciascuno amato e accompagnato, aiutate tutti a percepire che la Chiesa non chiude le porte a nessuno, ma che si preoccupa che nessun "piccolo" rischi la vita o venga dimenticato. Portate pure, con tutte le precauzioni necessarie, il conforto dei sacramenti agli ammalati, assicurate l'aiuto per le necessità ai poveri e a chi non ha nessuno su cui contare".
A fare notizia sono state, ovviamente, le parole Le misure drastiche non sempre sono buone, anche perché hanno preceduto un cambiamento delle "misure". Nel corso di quella stessa messa Papa Francesco aveva però proposto, concludendo l'omelia, un'altra preghiera: Chiediamo oggi al Signore la grazia di ricevere il dono come dono e trasmettere il dono come dono, non come proprietà, non in un modo settario, in un modo rigido, in un modo clericalista. È una preghiera ancor più impegnativa dell'altra, innalzata al termine del commento alle Vangelo del giorno: la parabola del padrone di un terreno che prepara ed attrezza con estrema cura la sua vigna per affidarla a dei contadini che poi si trasformeranno in vignaioli omicidi.
In questa parabola - spiega Francesco - succede che, quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, questa gente si era dimenticata che non erano i padroni. (…) Non capire che era un dono e prenderlo come proprietà. (…) Questo è il grande peccato. È il peccato di dimenticare che Dio si è fatto dono Lui stesso per noi, che Dio ci ha dato questo come dono e, dimenticando questo, diventare padroni. (…) Qui, in questo atteggiamento io vedo forse l'inizio, nel Vangelo, del clericalismo, che è una perversione, che rinnega sempre l'elezione gratuita di Dio, l'alleanza gratuita di Dio, la promessa gratuita di Dio.

È una perversione della Chiesa. Prima gli Apostoli, qui gli affidatari della vigna; in una precedente occasione i due figli, che alla richiesta del padre di andare nella sua vigna rispondono: il primo no, ma poi va; il secondo sì, ma poi non va. C'è però una grande differenza - commenta Papa Francesco - tra il primo figlio, che è pigro, e il secondo, che è ipocrita. (…) Questa parabola Gesù la rivolse ad alcuni capi religiosi del tempo, che assomigliavano al figlio dalla vita doppia, mentre la gente comune si comportava spesso come l'altro figlio. Questi capi sapevano e spiegavano tutto, in modo formalmente ineccepibile, da veri intellettuali della religione. Ma non avevano l'umiltà di ascoltare, il coraggio di interrogarsi, la forza di pentirsi. (…) Edizioni rivedute e aggiornate di quel male antico, denunciato da Gesù nella parabola: l'ipocrisia, la doppiezza di vita, il clericalismo che si accompagna al legalismo, il distacco dalla gente (Bologna, 1 ottobre 2017).
L'esegesi evangelica di Papa Francesco illumina insistentemente parole e comportamenti per segnalare che il clericalismo non è una cosa solo di questi giorni, la rigidità non è una cosa di questi giorni, già al tempo di Gesù c'era (13 marzo 2020). E questo male antico continua a colpire la Chiesa: C'è una malattia molto grande, che è il clericalismo, e noi dobbiamo uscire da questa malattia. (…) Dico con tanta umiltà: è una delle malattie più brutte della Chiesa. Il clericalismo. Quando una comunità cerca un sacerdote e non trova un padre, non trova un fratello, trova un dottore, un professore o un principe… E questa è una delle malattie che fanno tanto male alla Chiesa. Io sono preoccupato di questo. Papa Francesco ha fatto questa confessione due anni fa (19 marzo 2018) ai giovani che lo interrogavano nel corso dell'incontro pre-sinodale. La risposta era per Yulian Vendzilovych, seminarista della Chiesa greco-cattolica ucraina.
Proprio per la sua persistenza nell'esperienza della Chiesa, il clericalismo e i suoi pericoli vanno ben segnalati soprattutto nel corso della formazione al ministero sacerdotale e della formazione giovanile in generale, dice Papa Francesco. Ed infatti troviamo una sua "definizione" del clericalismo nel messaggio del 4 marzo di quest'anno al Capitolo generale dei Salesiani, nel quale segnala un'esperienza distorta del ministero e che ci fa tanto male: il clericalismo. E così lo definisce: È la ricerca personale di voler occupare, concentrare e determinare gli spazi minimizzando e annullando l'unzione del Popolo di Dio. Il clericalismo, vivendo la chiamata in modo elitario, confonde l'elezione con il privilegio, il servizio con il servilismo, l'unità con l'uniformità, la discrepanza con l'opposizione, la formazione con l'indottrinamento. Il clericalismo è una perversione che favorisce legami funzionali, paternalistici, possessivi e perfino manipolatori con il resto delle vocazioni nella Chiesa.

12 luglio 2020

um-037
29 settembre 2020
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Tino Bedin