L'UMANITÀ

Le parole di Papa Francesco sono il grido di un profeta
Ai poveri non si perdona
neppure la loro povertà

"Trattati con retorica e sopportati con fastidio, diventano come trasparenti e la loro voce non ha più forza né consistenza nella società"

di Tino Bedin

Sulla povertà Papa Franceso più che una dottrina propone una profezia e conseguentemente le parole diventano il grido di un profeta. Questo grido sta attraversando tutto il suo pontificato, senza affievolirsi; a volte diventa drammatico. Ascoltiamolo: "Quante volte vediamo i poveri nelle discariche a raccogliere il frutto dello scarto e del superfluo, per trovare qualcosa di cui nutrirsi o vestirsi! Diventati loro stessi parte di una discarica umana sono trattati da rifiuti, senza che alcun senso di colpa investa quanti sono complici di questo scandalo. Giudicati spesso parassiti della società, ai poveri non si perdona neppure la loro povertà. Il giudizio è sempre all'erta. Non possono permettersi di essere timidi o scoraggiati, sono percepiti come minacciosi o incapaci, solo perché poveri. Dramma nel dramma, non è consentito loro di vedere la fine del tunnel della miseria. Si è giunti perfino a teorizzare e realizzare un'architettura ostile in modo da sbarazzarsi della loro presenza anche nelle strade, ultimi luoghi di accoglienza. (…) I poveri sono braccati, presi e resi schiavi. In una condizione come questa il cuore di tanti si chiude, e il desiderio di diventare invisibili prende il sopravvento. Insomma, riconosciamo una moltitudine di poveri spesso trattati con retorica e sopportati con fastidio. Diventano come trasparenti e la loro voce non ha più forza né consistenza nella società".
In queste parole c'è la potenza biblica del Salmista da cui Papa Franceso ha preso il titolo: "La speranza dei poveri non sarà mai delusa" (Sal 9, 19) per il suo messaggio per la terza Giornata mondiale dei poveri (17 novembre 2019).

Come al tempo di sant'Antonio di Padova. Usa "parole molte forti per scuotere le coscienze cadute nell'indifferenza. Parole che fanno tremare tanto sono realistiche nel descrivere quanto avviene sotto gli occhi spesso chiusi di quanti dovrebbero almeno garantire la dignità e la giustizia", ha subito notato mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione. È il realismo che Papa Francesco ha trovato nei Sermones di Sant'Antonio di Padova, del quale un maestro di teologia all'Università di Parigi, suo contemporaneo a metà del 1200, scrive: "Noi non abbiamo udito al nostro tempo un consolatore così dolce dei poveri come Antonio da Lisbona, né un così aspro contestatore dei potenti".
Era, quello, un tempo come il nostro: oggi con la globalizzazione, allora con il rifiorire delle città pochi si arricchivano e molti finivano strozzati dalla miseria. Degli arricchiti padovani frate Antonio predicava: "Accumulano lo sterco del denaro, ma quando meno se l'aspettano sarà il diavolo a strangolare la loro anima, consegnando la carne ai vermi e il denaro ai parenti". Ed era altrettanto chiaro sull'origine di quelle ricchezze: "Nessuno consideri sua proprietà ciò che ha sottratto con la violenza al patrimonio comune, convertendo non in uso, ma in lussuose delizie ciò che deve essere nutrimento di molti. Appartiene agli affamati quel pane che riponi nelle dispense, ai nudi quelle vesti che custodisci in guardaroba, rappresenta la parte dei miseri quel denaro che custodisci nascosto. Sappi, dunque, che tu commetti furto contro tutti coloro ai quali neghi la carità…".
Lo stile di questo giovane portoghese che da religioso agostiniano si era fatto frate francescano deve proprio piacere a questo Papa che da gesuita ha preso il nome di Francesco d'Assisi: egli data infatti tutti e tre i suoi messaggi per la Giornata mondiale dei poveri il 13 giugno, memoria di Sant'Antonio di Padova. È da frate Francesco infatti che per l'uno e per l'altro parte l'invito una scelta preferenziale per i poveri.
Una scelta che riguarda prima di tutto di tutto loro due. Antonio, nato ricco a Lisbona, sceglie la povertà per vocazione francescana. Jorge Maria Bergoglio, chiamato dal Conclave a fare il vescovo di Roma, sceglie di chiamarsi Francesco come risposta alla raccomandazione dell'amico cardinale Cláudio Hummes: "Non dimenticarti dei poveri!" e sceglie come primo gesto di farsi benedire presso Dio dal popolo di Piazza San Pietro, prima di essere lui a benedire il popolo.

La Chiesa ha bisogno dei poveri. Altri gesti sono seguiti e ripetuti fino a diventare normali: l'abitare al Pensionato di Santa Marta e non in Vaticano, usare i paramenti papali solo nelle liturgie, tenersi cara la sua croce di ferro, telefonare personalmente a persone di cui conosceva solo il bisogno, farsi commensale alle mense dei poveri, usare parole e il linguaggio della quotidianità. La benedizione iniziale richiesta al popolo è però la chiave di lettura dello stile francescano del Papa. Avendo bene a mente la parola del buon samaritano, Papa Francesco non sceglie la domanda del dottore della legge: "Chi è il mio prossimo?", ma la domanda di Gesù: "Chi si è fatto prossimo?" e risponde che tocca a lui vescovo di Roma tralasciare il suo posto, avvicinarsi, condividere, curare, ascoltare, usare il comprensibile linguaggio della testimonianza e dell'esperienza, imparare. Così facendo, prova a realizzare su di sé il sospiro reso pubblico il terzo giorno del suo pontificato davanti ai rappresentanti dei media internazionali: "Come vorrei una Chiesa povera per i poveri!".
In questo desiderio c'è una consapevolezza: per farsi prossima ai poveri la Chiesa deve essere povera. Dopo averla auspicata il 16 marzo, Papa Francesco l'ha spiegata il 18 maggio del 2013, nella già citata meditazione per sua prima veglia da vescovo di Roma.
Nell'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, il testo programmatico del suo pontificato pubblicato il 26 novembre 2013, Papa Francesco riprende le espressioni di quella veglia, quasi parola per parola, aggiungendo che la Chiesa ha da imparare dai poveri: "I poveri hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare dai poveri. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro".

20 ottobre 2019


um-031
11 febbraio 2020
scrivi al senatore
Tino Bedin