L'UMANITÀ |
Le parole di Papa Francesco sono il grido di un profeta Ai poveri non si perdona neppure la loro povertà "Trattati con retorica e sopportati con fastidio, diventano come trasparenti e la loro voce non ha più forza né consistenza nella società"
di Tino Bedin Sulla povertà Papa Franceso più che una dottrina propone una profezia e conseguentemente le parole diventano il grido di un profeta. Questo grido sta attraversando tutto il suo pontificato, senza affievolirsi; a volte diventa drammatico.
Ascoltiamolo: "Quante volte vediamo i poveri nelle discariche a raccogliere il frutto dello scarto e del superfluo, per trovare qualcosa di cui nutrirsi o vestirsi! Diventati loro stessi parte di una discarica umana sono trattati da rifiuti, senza che alcun senso di colpa investa quanti sono complici di questo scandalo. Giudicati spesso parassiti della società, ai poveri non si perdona neppure la loro povertà. Il giudizio è sempre all'erta. Non possono permettersi di essere timidi o scoraggiati, sono percepiti come minacciosi o incapaci, solo perché poveri. Dramma nel dramma, non è consentito loro di vedere la fine del tunnel della miseria. Si è giunti perfino a teorizzare e realizzare un'architettura ostile in modo da sbarazzarsi della loro presenza anche nelle strade, ultimi luoghi di accoglienza. (…) I poveri sono braccati, presi e resi schiavi. In una condizione come questa il cuore di tanti si chiude, e il desiderio di diventare invisibili prende il sopravvento. Insomma, riconosciamo una moltitudine di poveri spesso trattati con retorica e sopportati con fastidio. Diventano come trasparenti e la loro voce non ha più forza né consistenza nella società".
Come al tempo di sant'Antonio di Padova. Usa "parole molte forti per scuotere le coscienze cadute nell'indifferenza. Parole che fanno tremare tanto sono realistiche nel descrivere quanto avviene sotto gli occhi spesso chiusi di quanti dovrebbero almeno garantire la dignità e la giustizia", ha subito notato mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione. È il realismo che Papa Francesco ha trovato nei Sermones di Sant'Antonio di Padova, del quale un maestro di teologia all'Università di Parigi, suo contemporaneo a metà del 1200, scrive: "Noi non abbiamo udito al nostro tempo un consolatore così dolce dei poveri come Antonio da Lisbona, né un così aspro contestatore dei potenti".
La Chiesa ha bisogno dei poveri. Altri gesti sono seguiti e ripetuti fino a diventare normali: l'abitare al Pensionato di Santa Marta e non in Vaticano, usare i paramenti papali solo nelle liturgie, tenersi cara la sua croce di ferro, telefonare personalmente a persone di cui conosceva solo il bisogno, farsi commensale alle mense dei poveri, usare parole e il linguaggio della quotidianità. La benedizione iniziale richiesta al popolo è però la chiave di lettura dello stile francescano del Papa. Avendo bene a mente la parola del buon samaritano, Papa Francesco non sceglie la domanda del dottore della legge: "Chi è il mio prossimo?", ma la domanda di Gesù: "Chi si è fatto prossimo?" e risponde che tocca a lui vescovo di Roma tralasciare il suo posto, avvicinarsi, condividere, curare, ascoltare, usare il comprensibile linguaggio della testimonianza e dell'esperienza, imparare. Così facendo, prova a realizzare su di sé il sospiro reso pubblico il terzo giorno del suo pontificato davanti ai rappresentanti dei media internazionali: "Come vorrei una Chiesa povera per i poveri!". 20 ottobre 2019 |
um-031 11 febbraio 2020 |
scrivi
al senatore Tino Bedin |