L'UMANITÀ

La missione nella visione di Papa Francesco / 2
La festa è fuori
"La Chiesa in uscita è la comunità di discepoli missionari
che prendono l'iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano,
che fruttificano e festeggiano"

di Tino Bedin

Il logo, le parole "Battezzati e inviati" e una croce che si trasforma in mondo, rappresenta il contenuto del messaggio: "La Chiesa di Cristo in missione nel mondo". Il motto è stato proposto da Papa Francesco per una sua iniziativa: la celebrazione di un Mese missionario straordinario nel prossimo ottobre, in occasione del centenario della lettera apostolica Maximun Illud dedicata da Papa Benedetto XV alle Missioni.
Il titolo "Battezzati e inviati. La Chiesa di Cristo in missione nel mondo" non è solo uno slogan. È una sintesi efficace della profondità della visione di Papa Francesco: ogni battezzato è missionario e questa missione di tutti genera la Chiesa. Detto meglio e soprattutto con parole di Papa Francesco: "Non è la Chiesa che fa la missione, ma è la missione che fa la Chiesa. Perciò la missione non è lo strumento, ma il punto di partenza e il fine" (Discorso alla Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, 3 dicembre 2015).

Andare nelle periferie. Che Chiesa è quella fatta dalla missione? Il cardinale Jorge Mario Bergoglio l'ha con precisione descritta ai suoi confratelli nell'intervento alla Congregazione generale dei cardinali prima di entrare in Conclave: "Evangelizzare esige nella Chiesa la parresia di uscire da se stessa. La Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa e andare nelle periferie, non solo geografiche, ma anche esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell'ingiustizia, dell'ignoranza e del prescindere dalla religione, del pensiero, di tutte le miserie". La missione realizza la "Chiesa in uscita", che è un'altra delle parole-messaggio di Papa Francesco, ma non è una sua "invenzione": è la Chiesa che il Vangelo ci mostra già nella figura e nel compito del servo nella parabola del Grande Banchetto: Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: "Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi". Il servo disse: "Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto". Il padrone allora disse al servo: "Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia" (Lc 14, 21-23).
Questo servo che non fa obiezioni nel cercare commensali meno… degni di lui, anzi si preoccupa che la sala del Grande Banchetto sia piena, è la fotografia della Chiesa annunciata da Francesco commentando proprio questa parabola: "La bontà di Dio non ha confini e non discrimina nessuno. (…) A tutti è data la possibilità di rispondere al suo invito, alla sua chiamata; nessuno ha il diritto di sentirsi privilegiato o di rivendicare un'esclusiva. (…) Noi dobbiamo aprirci alle periferie, riconoscendo che anche chi sta ai margini, addirittura colui che è rigettato e disprezzato dalla società è oggetto della generosità di Dio. Tutti siamo chiamati a non ridurre il Regno di Dio nei confini della 'chiesetta' - la nostra 'chiesetta piccoletta' - ma a dilatare la Chiesa alle dimensioni del Regno di Dio" (Angelus, 12 ottobre 2014).

Dopo aver preso l'iniziativa. L'esortazione Evangelii Gaudium attualizza il mandato della ricerca con l'invito ad "uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo" (EG 20) e ne annota lo stile: "La Chiesa in uscita è la comunità di discepoli missionari che prendono l'iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano" (EG 24).
La sequenza di verbi che descrivono la Chiesa in uscita si conclude con "festeggiare". Per Papa Francesco la festa è il culmine della missione, tanto che la gioia dà il titolo al documento programmatico del suo pontificato: "Evangelii gaudium", appunto, e non può essere diversamente perché il Vangelo - prima di essere esigenza - è gioia, fortuna, dono (EG 142) e "non c'è niente di meglio da trasmettere agli altri". Infatti aveva già parlato di "gioia dell'evangelizzazione" il suo predecessore San Paolo VI nel 1975, che nell'esortazione Evangelii nuntiandi aveva raccomandato: "Conserviamo la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime", perché non si può ricevere la Buona Novella "da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi". E all'inizio della Chiesa San Paolo ci aveva già assicurato che "Dio ama chi dona con gioia" (2Cor 9, 7).
Suscitata dalla gioia, la missione fruttifica perché attrae altre persone verso la stessa esperienza.

14 aprile 2019


um-028
21 maggio 2019
scrivi al senatore
Tino Bedin