L'UMANITÀ

Dal prossimo anno il Comune di New York
rinuncia a certificare il genere dei propri cittadini

Gender X: l'utopia del neutro
si diffonde attraverso l'anagrafe

Secondo questa teoria il dato naturale è "marginale",
le differenze sessuali sono inessenziali e mutevoli e possono essere modellate sulla base della dell'autodeterminazione individuale

di Tino Bedin

Gli uffici anagrafici di New York stanno preparando in queste settimane moduli e procedure per la rivoluzione che scatterà il primo gennaio 2019: sui certificati di nascita delle persone nate nella Grande Mela le caselle per l'indicazione del genere non saranno più due ma tre: maschile, femminile e X (neutral). Questa terza casella sarà barrata da chi non si riconosce né nel genere maschile né in quello femminile. La novità è prevista da una delibera che al City Council di New York è stata votata all'inizio di settembre da un'ampia maggioranza: quindi non solo dai democratici del sindaco Bill de Blasio ma anche dai repubblicani.

Il certificato non certifica. Dal prossimo anno dunque il Comune di New York rinuncia a certificare il genere dei propri cittadini. Forzando il concetto stesso di "certificato", saranno le persone singole a scegliere il genere cui appartengono, non contando l'evidenza (sesso) e non essendo più necessaria la documentazione di un medico per cambiare il genere finora scritto sul certificato: gli adulti che lo desiderano potranno far cambiare il certificato di nascita a semplice richiesta. Anche per i nuovi nati a New York la certificazione sarà meno certa: i genitori che registreranno il figlio all'anagrafe potranno rinunciare all'evidenza fisiologica del neonato (femmina o maschio) e scegliere il "genere x", mettendo in capo al figlio quando sarà maggiorenne la decisione se essere uomo o donna o neutral.
Visto che per quanto riguarda il genere il certificato di nascita non certifica più nulla, l'innovazione più corretta burocraticamente sarebbe stata e sarebbe eventualmente quella di eliminare la voce "genere" dal certificato. È la conclusione cui è arrivata nel giugno scorso un'alta corte di giustizia nel Regno Unito. Il giudice Jeremy Baker ha dato torto ad un ricorso che richiedeva l'introduzione della categoria "gender x" sui passaporti britannici, però ha annotato nella sentenza che il legislatore è chiamato a valutare "fino a che punto oggi registrare il genere di un individuo sia giustificato". Non è la conclusione antropologicamente più augurabile, ma avrebbe almeno la correttezza di non utilizzare strumenti pubblici, come l'anagrafe, per diffondere ed applicare ideologie sociali e teorie culturali.

Una nuova questione antropologica. La delibera del City Council di New York è infatti prima di un atto amministrativo è l'applicazione della teoria del gender a strumenti di vita collettiva (sia normativi che operativi), dando per condivise correnti culturali e intellettuali, che al contrario sono discusse e non prive di rischi. Il professor Vincenzo Turchi, docente di diritto canonico, ha così recentemente riassunto la questione dal punto di vista culturale: la teoria del gender si basa su concetti molto diffusi in ambito filosofico e antropologico, come il primato della cultura sulla natura; secondo questa teoria il dato naturale è "marginale", le differenze sessuali sono inessenziali e mutevoli e possono essere modellate sulla base della dell'autodeterminazione individuale. Viene così erosa l'idea che l'identità e l'orientamento sessuali siano dati dalla natura e si diffonde la convinzione che l'orientamento sessuale e i conseguenti comportamenti non abbiamo a fondamento norme morali oggettive, ma siano il risultato di scelte storiche e culturali mutevoli e soggettive. Essere maschio o femmina non è qualcosa di siamo, ma qualcosa che facciamo, teorizza fin dall'inizio degli anni Novanta la filosofa statunitense Judith Butler: insomma le parole "sesso" e "genere" non sono dei sostantivi, ma dei verbi.
Non parliamo dunque di una procedura di anagrafe comunale, ma di una nuova questione antropologica, che riguarda l'accettazione dell'auto-evidenza della dicotomia maschio/femmina, presente dall'origine dell'umanità nelle culture più diverse e coniugata nella lingua, nella politica, nella religione, nell'organizzazione sociale.

Dalla parità di genere all'indifferenza di genere. Questa auto-evidenza "naturale" è stata originariamente messa in discussione da correnti femministe americane, che si rifiutavano di considerare "naturale" la subordinazione femminile nella società patriarcale.
Papa Francesco ci sta da tempo accompagnando nella riflessione su questo tema. Nell'udienza generale del 22 aprile 2015 ammette che il rapporto fra l'uomo e la donna è "insidiato da mille forme di prevaricazione e di assoggettamento, di seduzione ingannevole e di prepotenza umiliante, fino a quelle più drammatiche e violente. La storia ne porta le tracce. Pensiamo, ad esempio, agli eccessi negativi delle culture patriarcali. Pensiamo alle molteplici forme di maschilismo dove la donna era considerata di seconda classe. Pensiamo alla strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell'attuale cultura mediatica. Ma pensiamo anche alla recente epidemia di sfiducia, di scetticismo, e persino di ostilità che si diffonde nella nostra cultura - in particolare a partire da una comprensibile diffidenza delle donne - riguardo ad un'alleanza fra uomo e donna che sia capace, al tempo stesso, di affinare l'intimità della comunione e di custodire la dignità della differenza".
La giusta esasperazione per la mancanza di dignità del femminile, mancanza ancora drammatica in molte situazioni, ha prodotto dunque un'altra esasperazione, questa volta culturale, con la pretesa di cancellare la differenza sessuale.
Semplifico eccessivamente: dalla parità di genere si è passati all'indifferenza di genere. È un'esasperazione antropologica: la sessualità non è infatti codificata solo negli organi genitali; dal capello di una persona attraverso il Dna sappiamo se è maschile o femminile. È un'esasperazione culturale: nell'indifferenza di genere si perdono parole (e i loro contenuti) come padre e madre, sposa e sposo che accompagnano l'umanità nel suo cammino da che mondo è mondo.
Quando c'è esasperazione lo scontro è quasi invitabile e spesso fuorviante. Succede allora che chi apre la discussione sul "genere neutro" venga contestato non sull'argomento ma con l'accusa di discriminazione nei confronti delle persone Lgbt: accusa quasi sempre infondata perché chi è alla ricerca di senso per l'umanità del nostro tempo comincia dal rispetto della persona.
C'è rispetto, ad esempio, nel Sinodo dei Vescovi sui giovani, che si sofferma anche sul gender perché è un tema sul quale i giovani "già discutono con libertà e senza tabù" e lo fa nella consapevolezza che "le società e le culture del nostro tempo, anche se in forme diverse, sono segnate da alcuni snodi: (…) Un primo snodo riguarda la corporeità nelle sue molteplici sfaccettature. Da sempre il corpo, frontiera e intersezione tra natura e cultura, segnala e custodisce il senso del limite creaturale ed è dono da accogliere con gioia e gratitudine. Gli sviluppi della ricerca e delle tecnologie biomediche generano una diversa concezione del corpo. (…) Al di là delle valutazioni squisitamente etiche, queste novità non possono non impattare sulla concezione del corpo e della sua indisponibilità. Alcuni segnalano una fatica delle giovani generazioni a riconciliarsi con la dimensione della propria creaturalità" (Instrumentum laboris).
La questione antropologica è dunque stata posta e per le risposte è necessaria una ricerca multidisciplinare.

16 settembre 2018


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5 ottobre 2018
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Tino Bedin