L'UMANITÀ

L'omosessualità tra le "parole per ferire"
Una condizione esistenziale utilizzata come insulto
Finisce con la condanna di due ministeri la vicenda di una patente di guida sospesa "perché gay"

di Tino Bedin

"Patente sospesa perché è gay. Condannati due ministeri". È notizia del 2018, quest'anno. È una delle notizie che durano un giorno: il tempo di incuriosirsi, di domandarsi come sia possibile e di passare immediatamente alla curiosità successiva. "Come è possibile?" è infatti solo una domanda retorica: la risposta ognuno ce l'ha già. Su un fatto che riguarda persone omosessuali però la risposta non è sicuramente la stessa per tutti; addirittura non è la stessa neppure la domanda retorica: "Come è possibile che l'orientamento sessuale influenzi la capacità di guida?", ci si può chiedere; ma ci si può anche chiedere: "Come è possibile che lo Stato paghi 100 mila euro ad un gay solo per averlo trattato da gay".
Dipende da che idea si ha dell'omosessualità.

Voleva vedere se guariva… C'è un'idea, infatti, all'origine della notizia: l'omosessualità è una malattia. Siamo nel 2001 a Catania: un ragazzo di 19 anni va all'ospedale militare per la visita del servizio di leva (Ministero della Difesa) e informa il medico di essere omosessuale. Due mesi dopo la Motorizzazione civile etnea (Ministero dei Trasporti) gli scrive che non ha le capacità psicofisiche per ottenere la patente, gli impone una visita speciale (come per gli invalidi fisici o psichici) e gli rilascia un documento di guida da rinnovare ogni anno: per vedere se guarisce o peggiora…
Altra epoca il 2001? Il 6 luglio del 2017 ha concluso i suoi lavori la Commissione "Jo Cox" sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio, istituita dalla Camera dei Deputati. Nella relazione finale ci informa che "sebbene la maggioranza della popolazione (74,8%) non consideri l'omosessualità una malattia, un cittadino su quattro continua a fare questa associazione senza fondamento scientifico". Quel funzionario della Motorizzazione civile di Catania che nel 2001 riteneva necessaria la "patente speciale" per un omosessuale sarebbe dunque ancora in numerosa compagnia.

Mai in nome della Repubblica. Comunque motivata, quella "patente speciale" era certamente una discriminazione: una delle tante, certo, che accompagna la vita della popolazione LGBT (acronimo di "lesbiche, gay, bisessuali e trasgender"9 anche in Italia. La più recente indagine Istat disponibile sul tema racconta che il 53,7 per cento delle persone omosessuali è stato discriminato nel corso della propria vita: nella ricerca di lavoro (29,5 per cento), a scuola o all'università (24), sul lavoro (22,1), nei rapporti con il vicinato (14,3), in locali, uffici pubblici e mezzi di trasporto (12,4), nella ricerca di una casa da affittare o da acquistare (10,2), nei rapporti con i servizi socio-sanitari (10,2).
La discriminazione attuata da un medico, un infermiere o altro personale sanitario è fortunatamente in coda alla statistica, ma è tra le più gravi perché perpetrata formalmente a nome dello Stato, mentre "la Costituzione richiede, all'articolo 2, di garantire il pieno rispetto dei diritti fondamentali di ognuno, non solo come singolo ma anche nelle formazioni sociali in cui si realizza la sua personalità. E la Corte costituzionale ci ha ricordato che la realizzazione di questi diritti, non può essere condizionata dall'orientamento sessuale, perché tra i compiti della Repubblica vi è quello di garantire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione". Il promemoria è del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in una sua dichiarazione di due anni fa in occasione della Giornata mondiale contro l'omofobia e la transfobia.
Concetti ben chiari nel giovane destinatario della "patente speciale" di guida, che confida proprio nella Repubblica. Fa ricorso al Tar della Sicilia, che riconosce dopo qualche anno la discriminazione e gli restituisce la patente di guida… normale. Nel 2008 il Tribunale di Catania va oltre: riconosce che l'offesa ricevuta era gravissima proprio perché inferta da organi dello Stato e quindi il risarcimento deve essere grande: almeno 100 mila euro.

Quanto "vale" la discriminazione. Quella sentenza apre una decennale discussione dentro lo Stato (Magistratura e Ministeri coinvolti): discussione che ha come tema il "valore" della discriminazione per omofobia.
Nel 2011 il Tribunale di secondo grado abbassa il risarcimento a un quinto: 20 mila euro. La Corte d'appello di Catania arriva ad una cifra così inferiore perché evidentemente non ha ritenuto di ravvisare omofobia nel comportamento del funzionario della Motorizzazione civile.
È una convinzione nient'affatto isolata nella società. Nell'uso delle parole, ad esempio, la sottovalutazione della componente omofoba è talmente diffusa da apparire quasi la normalità.
Per la Commissione parlamentare "Jo Cox" il professor Tullio De Mauro, scomparso all'inizio dello scorso anno, aveva preparato un vocabolario di "parole per ferire", che ben rappresenta la ricchezza e la fantasia del lessico italiano degli insulti che si riferiscono alla omosessualità, anche perché - ed è questo il segno della sottovalutazione dell'omofobia - "l'attribuzione della omosessualità, specie maschile, o transessualità è utilizzata come forma di insulto, quando si vuole squalificare una persona, a prescindere dal suo orientamento sessuale". "Non meraviglia pertanto - aveva già annotato la stessa Relazione - che la gran parte dei cittadini ammetta che per identificare le persone omosessuali venga utilizzato un linguaggio offensivo".
Una situazione esistenziale utilizzata come insulto, l'omosessualità ridotta ad etichetta: fenomeni così diffusi da essere tollerati o comunque percepiti come non pericolosi, mentre hanno un effetto a cascata su tutte le altre forme di violenza, cui forniscono l'alibi della condivisione sociale.
Ha probabilmente voluto anche togliere questo alibi la Cassazione che nel 2015 annulla con rinvio la sentenza della Corte d'appello di Catania del 2011 sull'entità del risarcimento per la "patente speciale". L'annullamento è motivato dalla "gravità del comportamento" dei due ministeri, in quanto "l'identità sessuale è da ascrivere" al "diritto costituzionale inviolabile della persona" e dal fatto che il giovane catanese è stato vittima di "un vero e proprio e intollerabilmente reiterato comportamento di omofobia". Sulla base di questa sentenza, la Corte d'appello di Palermo ha alla fine stabilito nel 2018 che "una somma inferiore ai 100 mila euro non sarebbe idonea al ristoro dei pregiudizi subiti", concludendo così dopo dieci anni il confronto sul "valore" della discriminazione.
In qualche misura l'entità del risarcimento è commisurata anche alla dimensione sociale del fenomeno, l'omofobia, che la Cassazione ritiene un'aggravante del comportamento.
Ne è ben consapevole il giovane di Catania protagonista della vicenda della patente speciale per omosessuali: "Se al mio posto, che ho una famiglia comprensiva e forte alle spalle, ci fosse stato un altro ragazzino solo e spaurito, non so se avrebbe avuto la forza di metterci la faccia. E se non ce la mettevo, non andava così".
Ora che è un uomo, però, non sta più a Catania e neppure in Sicilia: vive a Los Angeles, California.

4 marzo 2018


um-020
26 settembre 2018
scrivi al senatore
Tino Bedin