Jorge Mario Bergoglio non ha mai fatto il parroco. Papa Francesco sa bene però qual è la vita dei pastori d'anime: hanno dallo loro la dottrina e la Chiesa, ma non possono non portarsi dietro l'odore delle pecore.
Sembrava solo un'allegoria quell'invito ("Io vi chiedo: siate pastori con l'odore delle pecore, che si senta quello") che - appena due settimane dopo essere stato "preso dalla fine del mondo" - il Papa aveva rivolto ai sacerdoti nella messa crismale del Giovedì santo del 2013. Abbiamo invece via via imparato che la relazione è il modo di essere Chiesa vissuto da Papa Francesco: "Quando siamo in (...) relazione con Dio e con il suo Popolo e la grazia passa attraverso di noi, allora siamo sacerdoti, mediatori tra Dio e gli uomini".
È una relazione cui il Papa si sottrae. Chiamato ad essere "maestro di dottrina", risponde a questa vocazione con la consapevolezza che "la dottrina ha l'unico scopo di servire la vita del Popolo di Dio e intende assicurare alla nostra fede un fondamento certo". Proprio perché ha questi due obiettivi, non si può "intendere la dottrina in un senso ideologico o ridurla ad un insieme di teorie astratte e cristallizzate", ha tenuto a precisare Papa Francesco.
La dottrina ha dunque una finalità pastorale sua propria. Non è certo una novità nella Chiesa. Nuova è semmai la scelta di Papa Francesco di utilizzare questa modalità come prevalente nel suo ministero e nel suo magistero: è il suo modo di caricarsi sulle spalle le pecore che non ce la fanno da sole o che non hanno ovile.
Le "predichette" a Santa Marta. Le omelie del mattino nella cappella di Casa Santa Marta sono insieme fonte e simbolo di questa dottrina che si fa pastorale. Nulla di nuovo: spezzare ogni giorno il pane delle Parola con i fratelli e farne comunione è pratica utilizzata sempre e dovunque nella Chiesa. Le parole della fede (carità, perdono, peccato, misericordia, grazia, salvezza) diventano parte della giornata; quotidiane.
Può il Papa pronunciare parole "quotidiane"?
Il popolo di Dio nemmeno si pone il problema; già gli basta la bella sorpresa di un Papa che non cambia casa e resta ad abitare a Santa Marta. Il problema lo pongono alcuni tra i "sapienti" della Chiesa: il Papa è il Papa, non deve parlare a braccio, non deve fare "predichette" (appunto le omelie a Santa Marta), ma pronunciare discorsi completi e complessi; il Papa deve "insegnare" in ogni momento, fare lezione. Un Papa che fa "ripetizione di Vangelo" perde autorevolezza. E poi nelle "predichette" il Papa può apparire impreciso, non sufficientemente circostanziato; magari incorre in qualche imprudenza. È una delle lamentele che alcuni rivolgono a Papa Francesco; aggiungendo subito che lo dicono per il suo bene, perché non venga manipolato dall'opinione pubblica e dall'informazione.
La Chiesa e il mistero della luna. La dottrina pastorale delle omelie a Santa Marta è tipica del ministero di Papa Francesco e quindi la critica si allarga a molti atti e discorsi del Vescovo di Roma. Viene da persone che hanno bisogno ed esigono certezza e solidità della propria religione; oppure persone preoccupate che questo modo di spezzare la Parola con i fratelli possa "mettere a rischio il munus docendi", cioè il compito di insegnare.
Papa Francesco è consapevole che le sue "parole quotidiane" possono prese da sole essere incomplete. Lo confermano queste brevissime citazioni di una lunga intervista di Papa Francesco al quotidiano di Madrid El País pubblicata il 22 gennaio: "Sì, qui qualcuno non è d'accordo, e ha diritto. (…) Ha diritto di pensare che il cammino è pericoloso, che possono venirne cattive conseguenze. Tutti hanno diritto di discutere. (…) Io predico quello che sento che il Signore mi chiede di predicare. (…) Io non sono santo e non sto facendo nessuna rivoluzione. Sto adoperandomi perché il Vangelo vada avanti. Però lo faccio imperfettamente, perché alle volte prendo cantonate".
Il Papa condivide dunque questa consapevolezza del limite, ma non per ridurre la portata della sua "predica", piuttosto per continuare a segnalare che ogni persona che svolge un servizio nella Chiesa ha dei limiti e, quindi, che la autoreferenzialità, cioè "guardare troppo se stessa, come se credesse di avere luce propria" può essere una "abitudine peccatrice della Chiesa", come ha dettato nell'intervista ad Avvenire, il 17 novembre dello scorso anno, nella quale ha richiamato un'annotazione a lui cara: i Padri della Chiesa che nei primi secoli parlavano di un mysterium lunae, di un mistero della luna, a proposito della Chiesa, perché essa fa luce, ma non brilla di luce propria.
Ancora un'immagine, come quella evocata dall'odore delle pecore, e ancora una verità e un motivo di contrasto.
Critici avveduti ed esperti. Quanti hanno coltivato e praticano l'appartenenza religiosa come fattore di identità (e quindi di diversità e di superiorità) si sentono indeboliti quando sono invitati a guardare al sole di Cristo e a farsi Chiesa per portare la luce del sole (come fa la luna) e non la propria luce. È la dottrina di sempre nella Chiesa, eppure questo "cambio di luce" li spiazza perché modifica i ruoli, riduce il potere, obbliga al riconoscimento reciproco.
L'ecumenismo diventa allora materia di conflitto. Il dialogo interreligioso fonte di accuse. Papa Francesco dà seguito al Concilio, continua sulle strade aperte da Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: ma sotto accusa è solo il "papa argentino", il "papa gesuita", come se il cammino in corso dipendesse dai suoi gusti e non fosse il cammino della Chiesa. Si tratta in gran parte di critici avveduti ed esperti, ben attenti a non contraddirsi nella loro difesa della "centralità" della Chiesa e nella loro proclamata fedeltà al Concilio. Per questo ricorrono spesso a critiche su aspetti simbolo, che possono più facilmente suggestionare il Popolo di Dio.
Il terremoto a Norcia e Martin Lutero. Il 31 ottobre dello scorso anno Papa Francesco è stato in Svezia a Malmö e nella cattedrale luterana di Lund in occasione della commemorazione comune luterano-cattolica della Riforma protestante.
È un cammino iniziato mezzo secolo fa; nel 1999 ha poi portato alla Dichiarazione comune sulla dottrina della Giustificazione; nel 2011 Papa Benedetto XVI lo ha continuato incontrando a Erfurt il Consiglio della Chiesa Evangelica in Germania: "Per me, come Vescovo di Roma, è un momento di profonda emozione incontrarvi qui, nell'antico convento agostiniano di Erfurt. Abbiamo appena sentito che qui Lutero ha studiato teologia. Qui ha celebrato la sua prima Messa. (…) Come posso avere un Dio misericordioso?: questa domanda gli penetrava nel cuore e stava dietro ogni sua ricerca teologica e ogni lotta interiore. (…) Che questa domanda sia stata la forza motrice di tutto il suo cammino mi colpisce sempre nuovamente nel cuore. Chi, infatti, si oggi si preoccupa ancora di questo, anche tra i cristiani? Che cosa significa la questione su Dio nella nostra vita? Nel nostro annuncio? (…) Qual è la posizione di Dio nei miei confronti, come mi trovo io davanti a Dio? - questa scottante domanda di Lutero deve diventare di nuovo, e certamente in forma nuova, anche la nostra domanda, non accademica, ma concreta. Penso che questo sia il primo appello che dovremmo sentire nell'incontro con Martin Lutero". Qualche tempo dopo quel discorso Benedetto XVI aveva accolto l'invito della Federazione luterana mondiale alla celebrazione dei cinque secoli della Riforma, appunto a Lund nel 2016.
Papa Francesco ha dunque onorato l'impegno preso dal suo predecessore, ma il vaticanista Rai Aldo Maria Valli si è chiesto "che cosa ci sia da commemorate per la Chiesa Cattolica". Il giornalista e scrittore Antonio Socci va oltre: "Il terremoto devasta la terra di San Benedetto (e di San Francesco) cuore dell'Europa cristiana. Invece di andare a rendere omaggio a Lutero che ha distrutto la cristianità, Bergoglio dovrebbe consacrare l'Italia mettendola sotto il patrocinio della Madonna", scrive in un post. Ed estrapola una storicamente falsa posizione negativa di Benedetto XVI sulle celebrazioni luterane. Per questo ho riportato la lunga citazione del discorso del Papa emerito ad Erfurt.
Non c'è "primogenitura" nel martirio. L'obiettivo è quello di "sminuire", far apparire senza peso per la vita delle persone e delle comunità le parole e i gesti di Papa Francesco.
Durante il viaggio apostolico in Egitto alla fine dello scorso aprile Francesco, il Papa della Chiesa cattolica, e Tawadros II, il patriarca della Chiesa copta, hanno firmato una dichiarazione congiunta che riconosce un unico battesimo per le due Chiese: fratelli dunque fin dal primo momento dell'esperienza religiosa. I critici di Francesco hanno tralasciato questo evento storico e hanno ammonito il Papa per aver detto all'incontro con i copti cattolici: "Meglio non essere credenti, piuttosto che cristiani ipocriti". Niente di nuovo rispetto ai "sepolcri imbiancati" del Vangelo, anzi un po' più gentile. I critici l'hanno però fatta passare per una noncuranza verso coloro che rischiano la vita per la loro fede, nascondendo che proprio Papa Francesco ha introdotto nel linguaggio e quindi nella consapevolezza dei credenti il concetto di "ecumenismo del sangue", il martirio che affratella cristiani di ogni Chiesa e tradizione in Africa, Medio Oriente, Asia e America latina.
Non c'è una "primogenitura" dei cattolici romani nella persecuzione. E anche questo "inquieta" i sostenitori della superiorità cattolica.
Donald Trump è il nuovo Costantino. L'opposizione al cammino ecumenico, che la Chiesa cattolica continua con Papa Francesco, è quella attualmente più forte ed organizzata, anche se a far rumore giornalistico sembra essere prevalentemente l'opposizione che prende spunto dall'esortazione post-sinodale "Amoris Laetitia". L'opposizione all'ecumenismo si alimenta e si irrobustisce infatti di componenti politiche ed ideologiche che hanno seguito nelle opinioni pubbliche occidentali e che forze politiche al di qua e al di là dell'Atlantico alimentano e cavalcano sia per visione ideologica sia per interessi elettorali.
Se in Italia abbiamo gli "atei devoti" che si preoccupano dei "valori non negoziabili", negli Stati Uniti "si sta sviluppando una strana forma di sorprendente ecumenismo tra fondamentalisti evangelicali e cattolici integralisti, accomunati dalla medesima volontà di un'influenza religiosa diretta sulla dimensione politica" hanno documentato sul numero di luglio di Civiltà Cattolica il direttore della rivista Antonio Spadaro e il responsabile dell'edizione argentina dell'Osservatore Romano Marcelo Figueroa. Lo studio annota, tra l'altro: "Sia gli evangelicali sia i cattolici integralisti condannano l'ecumenismo tradizionale, e tuttavia promuovono un ecumenismo del conflitto che li unisce nel sogno nostalgico di uno Stato dai tratti teocratici". Per capire la pericolosità sia politica sia religiosa di questo ecumenismo del conflitto, basterà ricordare che nel corso delle ultime elezioni presidenziali americane esso ha creato "una precisa analogia tra Donald Trump e Costantino, da una parte, e tra Hillary Clinton e Diocleziano, dall'altra. Le elezioni americane in quest'ottica sono state intese come una guerra spirituale".
In hoc signo vinces, proclama l'ecumenismo del conflitto.
Dio di pace, Dio salam, testimonia Papa Francesco all'Università islamica Al-Azhar del Cairo: "Perciò solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome".
Siamo di fronte ad esperienze contrapposte della fede e a contrapposte visioni del mondo. L'attacco a Papa Francesco in questo campo è drammatico e l'esito non riguarda il Papato di oggi né quello che verrà, quando a Dio piacerà. L'esito riguarda l'umanità ed è per questo che in ogni giorno del suo ministero petrino Francesco si impegna a far cadere i "muri" e a smascherare le false guerre di religione.
Quanto al resto, a chi lo contrasta, Papa Francesco dice con rispetto: "Fanno il loro lavoro e io faccio il mio. Continuo il mio cammino, senza guardare di lato". "Quanto alle opinioni, bisogna sempre distinguere lo spirito con il quale vengono dette. Quando non c'è un cattivo spirito, aiutano anche a camminare".
1 ottobre 2017