L'UMANITÀ

Lettura sociale e politica dell'enciclica Laudato si' - 3
Che mondo desideriamo trasmettere
ai bambini che stanno crescendo?

Papa Francesco affronta il modello delle società moderne, di cui l'emergenza ambientale è l'ultimo devastante risultato

di Tino Bedin

La struttura e l'inserimento nella dottrina sociale della Chiesa rendono già da soli più facile inquadrare i contenuti che Papa Francesco ha affidato all'Enciclica Laudato si'. Vediamo dunque in dettaglio quale è la struttura di questi contenuti, che si può comunque leggere con le parole dello stesso Pontefice, al paragrafo 15. Mi pare questo il modo più coerente con lo stile dell'enciclica stessa per avvicinarsi alla lettura e per evitare il rischio di richiamare l'attenzione nostra e degli altri su frasi ad effetto.
Questo infatti non è un papa ecologista e la Laudato si' non è l'enciclica ecologista. È invece un documento che affronta la vita dell'uomo contemporaneo, il modello delle società moderne, che si andato consolidando negli ultimi decenni puntando sulla tecnica, sul profitto e sullo sfruttamento, di cui l'emergenza ambientale è l'ultimo devastante risultato. Certo l'enciclica parla di acqua, cibo, alimentazione, Ogm: lo fa in quanto sono i temi di un'umanità in crescita e sempre più interdipendente.

La terra ci precede e ci è stata data. Il percorso inizia da un ascolto spirituale di "quello che sta accadendo alla nostra casa" (è il titolo del capitolo 1) attraverso i migliori risultati scientifici oggi disponibili in materia ambientale, per "lasciarcene toccare in profondità e dare una base di concretezza al percorso etico e spirituale che segue". La scienza è lo strumento privilegiato con cui ascoltare il grido della terra, "trasformare in sofferenza personale quello che accade nel mondo e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare" (19).
"Noi non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data" (65) è una delle incisive affermazioni del secondo capitolo, intitolato "Il Vangelo della creazione". Riprende le ricchezze della tradizione giudeo-cristiana, innanzi tutto nella Bibbia e poi nell'elaborazione che su di essa si fonda. Ne emergono la "tremenda responsabilità" dell'essere umano nei confronti della creazione, l'intimo legame fra tutte le creature e il fatto che "l'ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l'umanità e responsabilità di tutti" (95).

67. Anche se è vero che qualche volta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo non corretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature. 68. Questa responsabilità di fronte ad una terra che è di Dio, implica che l'essere umano, dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo, perché "al suo comando sono stati creati. Li ha resi stabili nei secoli per sempre; ha fissato un decreto che non passerà" (Sal 148,5b-6). Ne consegue il fatto che la legislazione biblica si soffermi a proporre all'essere umano diverse norme, non solo in relazione agli altri esseri umani, ma anche in relazione agli altri esseri viventi: "Se vedi l'asino di tuo fratello o il suo bue caduto lungo la strada, non fingerai di non averli scorti [...]. Quando, cammin facendo, troverai sopra un albero o per terra un nido d'uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando gli uccellini o le uova, non prenderai la madre che è con i figli" (Dt 22,4.6). In questa linea, il riposo del settimo giorno non è proposto solo per l'essere umano, ma anche "perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino" (Es 23,12). Così ci rendiamo conto che la Bibbia non dà adito ad un antropocentrismo dispotico che non si interessi delle altre creature.
Nel capitolo 3 ("La radice umana della crisi ecologica") l'analisi si spinge "alle radici della situazione attuale, in modo da coglierne non solo i sintomi ma anche le cause più profonde". "Mai l'umanità ha avuto tanto potere su se stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta servendo" (104). "Ogni epoca tende a sviluppare una scarsa autocoscienza dei propri limiti. Per tale motivo è possibile che oggi l'umanità non avverta la serietà delle sfide che le si presentano" (105).

Casa comune e bene comune. "Un'ecologia integrale" (titolo del capitolo 4) è il cuore della proposta dell'Enciclica, già anticipato nell'introduzione. L'ecologia integrale è un nuovo paradigma di giustizia; perché "l'ecologia integrale è inseparabile dalla nozione di bene comune, un principio che svolge un ruolo centrale e unificante nell'etica sociale".
Il bene comune è uno dei principi che ricorrono più spesso nella Dottrina sociale della Chiesa.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, definisce il bene comune "l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente".
E Papa Francesco così lo inserisce nella cura della casa comune.

157. Il bene comune presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale, con diritti fondamentali e inalienabili ordinati al suo sviluppo integrale. Esige anche i dispositivi di benessere e sicurezza sociale e lo sviluppo dei diversi gruppi intermedi, applicando il principio di sussidiarietà. Tra questi risalta specialmente la famiglia, come cellula primaria della società. Infine, il bene comune richiede la pace sociale, vale a dire la stabilità e la sicurezza di un determinato ordine, che non si realizza senza un'attenzione particolare alla giustizia distributiva, la cui violazione genera sempre violenza. Tutta la società - e in essa specialmente lo Stato - ha l'obbligo di difendere e promuovere il bene comune.
Con "Alcune linee di orientamento e di azione" (titolo del capitolo 5) Papa Francesco affronta la domanda su cosa possiamo e dobbiamo fare. Indica qui una serie di linee di rinnovamento della politica internazionale, nazionale e locale, dei processi decisionali in ambito pubblico e imprenditoriale, del rapporto tra politica ed economia e di quello tra religioni e scienze. Il metodo per questo rinnovamento è il dialogo trasparente e onesto: "La Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma invito ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune" (188).
Nel sesto e ultimo capitolo ("Educazione e spiritualità ecologica") Papa Francesco si dice convinto che "ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo". Per questo propone "alcune linee di maturazione umana ispirate al tesoro dell'esperienza spirituale cristiana". Esperienza di cui c'è estremo bisogno.

In gioco è la dignità di noi stessi. Sei capitoli, 246 paragrafi: il percorso è lungo, ma unitario; sono tappe, ognuna delle quali è indispensabile per arrivare alla meta, l'ecologia integrale, nella quale tutto è connesso, anche la storia di ciascuna persona.
Assumere la prospettiva proposta dall'enciclica porta inevitabilmente alla domanda sul senso dell'esistenza e sui valori alla base della vita sociale.

160. Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa domanda non riguarda solo l'ambiente in modo isolato, perché non si può porre la questione in maniera parziale. Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. Se non pulsa in esse questa domanda di fondo, non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti. Ma se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi? Pertanto, non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c'è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l'umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra.
La vocazione del custodire è intrecciata in modo indissolubile alla nozione di responsabilità.

3. Continua
29 novembre 2015


um-011
30 dicembre 2015
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Tino Bedin