Cinquanta lumini sono stati accesi sul sagrato del duomo di Perugia la vigilia di Pentecoste: un lumino per ciascuno dei cinquanta Stati del mondo nei quali i cristiani sono perseguitati e discriminati. Proprio con il loro numero quelle luci consentono di vedere una situazione che il susseguirsi della cronaca spesso nasconde: l'accanimento a livello mondiale contro i cristiani. La persecuzione è globalizzata, è una componente di quella "terza guerra mondiale combattuta a pezzi, con crimini, massacri, distruzioni", denunciata da Papa Francesco il 13 settembre dell'anno scorso al sacrario militare di Redipuglia, monumento alla vittime della strage della Grande Guerra.
Il martirio è seme del Cristianesimo. Il tempo dei martiri è l'oggi della Chiesa: c'è sempre qualcuno che con la vita testimonia ciò che la sorregge. All'inizio di quest'anno Papa Francesco ha richiamato l'attenzione dei diplomatici accreditati presso la Santa Sede sull'icona della Natività del santo monaco russo Andrej Rublëv: "Il Bambino Gesù non appare adagiato in una culla, bensì deposto in un sepolcro: accanto all'accoglienza gioiosa per la nuova nascita, vi è tutto il dramma di cui Gesù è oggetto, disprezzato e reietto fino alla morte in croce". Ma in quella stessa circostanza, di fronte alla globalizzazione della persecuzione, il Santo Padre ha chiesto subito dopo ai diplomatici "una risposta unanime che, nel quadro del diritto internazionale, fermi il dilagare delle violenze, ristabilisca la concordia e risani le ferite profonde".
Più numerosi che nei primi secoli. Un mese dopo, il dolore di Papa Francesco per la brutale esecuzione di oltre una ventina di cristiani copti è stato tale che per esprimerlo ha abbandonato la lingua italiana ed è ricorso alla "mia lingua madre", lo spagnolo: "Sono stati assassinati per il solo fatto di essere cristiani. Siano cattolici, ortodossi, copti, luterani non importa: sono cristiani! E il sangue è lo stesso. Il sangue confessa Cristo. I martiri sono di tutti i cristiani".
Si tratta - ci ha richiamato qualche settimana dopo ancora Papa Francesco - "dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, perseguitati, esiliati, uccisi, decapitati per il solo fatto di essere cristiani. Loro sono i nostri martiri di oggi, e sono tanti, possiamo dire che sono più numerosi che nei primi secoli".
Dal 1997 "Portes Ouvertes France", un'organizzazione non governativa protestante, pubblica ogni anno l'Indice mondiale della persecuzione dei cristiani. Se ne ricava che negli ultimi due anni il numero dei cristiani uccisi nel mondo è quadruplicato: nel 2014 i cristiani assassinati per la loro fede sono stati 4.344. Nella prima metà del 2015 la carneficina ha continuato a crescere e il timore è che il triste primato del 2014 sia superato.
"Porte Aperte Italia" aggiunge che i cristiani sono attualmente il gruppo religioso maggiormente perseguitato al mondo; più di 100 milioni di credenti subiscono discriminazioni, persecuzioni o atti di violenza a causa della loro fede. Oltre alla vita delle persone, la persecuzione attenta anche ai luoghi di culto: il rapporto riferisce che almeno 1.062 chiese sono state attaccate.
Secondo il rapporto internazionale, la Corea del Nord è lo stato in cui la persecuzione contro i cristiani è assoluta: si stimano tra i 50 e i 70 mila i cristiani internati nei lager nordcoreani. In cima alla lista seguono Somalia e Iraq. Completano le prime dieci posizioni Siria, Afghanistan, Sudan, Iran, Pakistan, Eritrea e Nigeria. Medio Oriente ad Africa Subsahariana sono i due centri in cui l'estremismo islamico colpisce con maggiore durezza.
La maschera del fanatismo religioso. Trovare la Corea del Nord in cima alla lista dei cinquanta paesi nei quali i cristiani sono perseguitati aiuta a capire che le motivazioni dell'attacco ai cristiani non sono prevalentemente di origine religiosa e non è solo l'estremismo islamico a privare i cristiani dei diritti essenziali.
Tra i cinquanta Stati entra per la prima volto il Messico: qui l'intolleranza religiosa è parte di una tragica combinazione fra mala politica, criminalità, violenza di genere, prepotenza dei cartelli della droga; una combinazione nella quale le comunità cristiane sono le più vulnerabili e finiscono per essere espulse dal loro territorio, alimentando l'esplosione del profughi interni, aumentati di 35 volte in cinque anni.
In Turkmenistan è il governo il protagonista delle restrizioni. L'ultimo provvedimento di quest'anno è la chiusura di tutti canali tv sia terrestri che satellitari di proprietà privata: stop dunque a programmi televisivi di ispirazione cristiana, a conferma di una legislazione che vieta la distribuzione di letteratura religiosa cristiana.
Ad entrare nel dettaglio della lista si "legge" che il fanatismo religioso è la maschera indossata dai persecutori (o fatta indossare alla popolazione) per far passare in secondo piano altre motivazioni o altri interessi.
Fra i più tragici attacchi ai cristiani di questo primo semestre 2015 l'assalto all'università di Garissa in Kenya, dove sono stati trucidati 142 studenti "selezionati" perché cristiani. Ma dopo la strage il portavoce degli assalitori, gli islamisti somali shabaab, avverte: "Il Kenya vivrà altri attacchi mortali. Non ci sarà alcun luogo sicuro per i keniani, fintanto che il Paese manterrà le sue truppe in Somalia". Dunque l'obiettivo è politico non religioso e si scelgono i cristiani come vittime sia perché sono una comunità meno rappresentativa a livello locale sia perché si vuole enfatizzare il messaggio a livello internazionale.
Anche il groviglio del Medio Oriente, con le guerre tra musulmani, che si scaricano prevalentemente sulle comunità minoritarie e quindi principalmente sui cristiani, risulta più complesso di quello che viene dipinto, se si ascoltano le voci di chi ci vive assieme al popolo, voci di vescovi, di sacerdoti, di religiosi. Scelgo fra tutti mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo metropolita di Aleppo, la più antica città del mondo, in Siria.
"In Siria si sono concentrati molti, tanti interessi sia delle potenze economiche occidentali (Francia, Inghilterra, America, ecc.) che orientali, quelle legate all'Islam, o almeno ad un modo particolare di intendere l'Islam. Vi sono poi gli interessi di Israele, della Turchia, che vagheggia un ritorno all'impero ottomano seppur in chiave moderna, degli Emirati Arabi per via del gasdotto che dovrebbe passare di lì. Una situazione complessa in cui i cristiani rappresentano una spina nel fianco, perché sono gli unici che hanno un certo tipo di rapporto con l'Occidente e sono in grado di svelare il grande imbroglio che sta sotto a questa guerra e i tanti interessi che si vogliono tutelare. La religione c'entra solo perché alcuni hanno tentato di coprire gli interessi economici con quelli presunti religiosi. Questo non corrisponde alla realtà".
Manca il passaggio dalla pietà alla solidarietà. Le difficoltà e le incertezze della comunità internazionale nell'intervenire si spiegano meglio, se è giusta l'interpretazione dell'arcivescovo Jeanbart.
Indubbiamente oggi i 100 milioni di credenti violentati, perseguitati, discriminati fanno finalmente notizia nell'informazione internazionale e sono entrati nell'agenda politica e diplomatica sia di singoli stati sia degli Organismi sovranazionali. È stato sconfitto quel presunto "diritto all'indifferenza", più volte bollato da Papa Francesco come inammissibile. Manca ancora il passaggio dalla pietà alla solidarietà.
A trattenere la comunità internazionale sono indubbiamente sia gli scarsi risultati ottenuti con gli "interventi umanitari" degli anni Novanta sia i rischi a cui sono andate incontro le forze internazionali di interposizione e protezione nel primo decennio di questo secolo. Non sta funzionando tuttavia neppure l'ultima strategia, quella che punta alla sostituzione di governi e poteri; anzi questa strategia ha fatto deflagrare la persecuzione, come sta avvenendo ad esempio in Libia o in Siria.
Sono difficoltà oggettive, che non giustificano tuttavia l'inazione. L'attacco sistematico, non episodico, nei confronti di preciso gruppo religioso, si va ormai configurando con le dimensioni del crimine che chiamiamo genocidio. Dopo i genocidi del Novecento, l'umanità si è impegnata a far uscire questo crimine dalla propria storia. Rinunciare a questo impegno è un rischio non solo per i cristiani oggi perseguitati ma anche per milioni di altre persone in futuro.
C'è anche una ricchezza da salvaguardare. La non-violenza, il perdono, addirittura il "porgere l'altra guancia" non sono solo segni di una fede, sono una risorsa capace di migliorare l'umanità: anche per questo c'è bisogno che la protezione dei cristiani entri nelle scelte urgenti della comunità internazionale.
Riprendendo l'analisi dell'arcivescovo di Aleppo mons. Jean-Clément Jeanbart, un primo deciso intervento è possibile: bloccare il traffico d'armi che raggiungono i territori in cui i cristiani sono perseguitati e bloccare le vendite di petrolio "in nero" da questi stessi territori. Disseccando questi due canali finanziari si tolgono le fonti del tragico contagio cui stiamo assistendo.
Un intervento di questo tipo è nella disponibilità della comunità internazionale: solo che si voglia partire dal cambiare se stessi per facilitare il cambiamento degli altri.
La bestemmia del terrorismo fondamentalista. La Chiesa, sotto la guida di Papa Francesco, si sforza di farlo in se stessa, riducendo le distanze, sottolineando i risultati positivi, rinunciando anche a simboli apparentemente intoccabili per segnalare valori veri. Mi limito a due citazioni.
La Pasqua è un valore, la data della Pasqua è un simbolo che divide: facciamo dunque unità dei cristiani sulla Pasqua, unificando la data, sta ripetendo Papa Francesco in particolare alle Chiese d'Oriente.
La vigilia di Pentecoste, proprio nel giorno in cui la Chiesa italiana pregava per i martiri contemporanei, a San Salvador è stato proclamano beato mons. Oscar Arnulfo Romeno, l'arcivescovo di San Salvador, ucciso il 24 marzo 1980 sull'altare "in odio alla fede". Mons. Romero era già considerato un martire dalla Chiesa anglicana e dalla Chiesa luterana, che lo celebra il 24 marzo. Da ora in avanti il 24 marzo di ogni anno sarà celebrato anche dai cattolici come martire: "Monsignor Romero - ha scritto il Papa ai cattolici salvadoregni - ha saputo guidare, difendere e proteggere il suo gregge, restando fedele al Vangelo e in comunione con tutta la Chiesa. Il suo ministero si è distinto per una particolare attenzione ai più poveri e agli emarginati".
Il martirio del beato Oscar Romero, così come il martirio dei cristiani contemporanei sta realizzando l'ecumenismo del sangue, secondo una potente immagine di Papa Francesco, che ha spiegato: "Esiste un legame forte che già ci unisce: è la testimonianza dei cristiani, appartenenti a Chiese e tradizioni diverse, vittime di persecuzioni e violenze solo a causa della fede che professano… Il sangue di questi martiri nutrirà una nuova era di impegno ecumenico, una nuova appassionata volontà di adempiere il testamento del Signore: che tutti siano una cosa sola".
Questa è la fede.
Il terrorismo di matrice fondamentalista è invece una bestemmia, "è conseguenza - ha detto il Papa ai diplomatici - della cultura dello scarto applicata a Dio. Il fondamentalismo religioso, infatti, prima ancora di scartare gli esseri umani perpetrando orrendi massacri, rifiuta Dio stesso, relegandolo a mero pretesto ideologico".
14 giugno 2015