L'UMANITÀ

Paolo VI è riconosciuto beato dalla Chiesa
Un Papa precorreva i giovani
sulle strade del mondo nuovo

Il suo Pontificato è tutto un pellegrinaggio di riconciliazione per rendere possibile un umanesimo planetario

di Tino Bedin

Aveva educato i nostri maestri di politica, ma quando fu eletto Papa passammo spontaneamente a prendere direttamente lezione da lui. Paolo VI era un nostro contemporaneo: di noi generazione di giovani cattolici, che come gli altri nostri coetanei ritenevamo che il mondo dovesse essere cambiato e ci ritrovammo un Papa che ci precorreva sulle strade del mondo nuovo. Non ci sentivamo spiazzati. Piuttosto, un po' alla volta capimmo perché Giovanni Battista Montini aveva assunto per sé il nome di Paolo: poco consueto nella storia del Papato e quindi ancor più programmatico. San Paolo nella sua Lettera ai Romani aveva citato l'antica profezia ebraica: "Per tutta la terra è corsa la loro voce e fino agli estremi confini del mondo le loro parole". Papa Paolo VI passo dopo passo realizzava quella profezia: i suoi viaggi, le sue encicliche, la Chiesa sua conciliare rendevano visibile, includendola, un'umanità che davvero si allargava fino agli "estremi confini del mondo", anzi non aveva più confini, era planetaria e soprattutto aveva bisogno di eliminare i confini al proprio interno.
Era quello che noi, quella generazione di giovani, immaginavamo: un mondo senza confini, la cui unità non fosse frutto della guerra ma della pace e della giustizia.
Per arrivarci Paolo VI ha percorso molta strada; così ce l'ha insegnata e si è fatto nostro compagno di cammino.

Nell'acciaieria trasformata in basilica. Domenica 19 ottobre Papa Paolo VI viene proclamato beato da Papa Francesco in Piazza San Pietro. Giovanni Battista Montini si "affaccia" nuovamente dalla loggia della basilica di San Pietro, come fece per la prima volta il 21 giugno 1963, preannunciato dalla fumata bianca dal comignolo della Cappella Sistina.
Con questo riconoscimento la Chiesa non propone solo una devozione; propone un modello, soprattutto a se stessa.
Il modello di Paolo VI è la "riconciliazione", che nasce dal reciproco riconoscimento dell'umanità di ciascuno come fattore di unità. La riconciliazione non è una dimensione solo religiosa; è condizione per rendere possibile un "umanesimo plenario".
Il Pontificato di Paolo VI è tutto un pellegrinaggio di riconciliazione; pellegrinaggi: non viaggi, non visite.
Nel Natale del 1968 l'Italsider di Taranto diventa una basilica. Papa Paolo VI celebra lì la Messa di Mezzanotte.
Sostituire San Pietro con l'Italsider nel Sessantotto è un atto rivoluzionario. La Chiesa non è solo "mater et magistra", è soprattutto sorella; ti viene a trovare se stai male. "Abbiamo visto anche cartelli che esprimono un gemito… La Chiesa capisce e soffre e dice una parola di speranza", proclama dall'altare all'omelia, aggiungendo: "Quando lavorate in questa officina è, in certo senso, come foste in chiesa". Viene anche a chiederti perdono. Nella festa dell'Immacolata di tre anni prima, nel Messaggio ai Lavoratori a conclusione del Concilio Vaticano II, Paolo VI aveva scritto: "Alcuni tristi malintesi, nel passato, hanno troppo a lungo alimentato tra noi la diffidenza e l'incomprensione; la Chiesa e la classe operaia ne hanno entrambe sofferto. Oggi è suonata l'ora della riconciliazione".
All'Italsider per la prima volta un Papa entra in una grande fabbrica. Il lungo percorso cominciato dai preti operai francesi negli anni Quaranta porta fino a questa tappa e Paolo VI si incarica di rendere essenziale e duraturo il rapporto la tra Chiesa e la classe operaia.

La tiara venduta, il ricavato ai poveri. In quella Notte di Natale del Sessantotto Paolo VI mostra visivamente alla sua Chiesa e all'umanità chi sono i pastori contemporanei che si radunano attorno al presepio; chi sono i primi destinatari della beatitudine annunciata "agli uomini di buona volontà". Annuncio di drammatica attualità anche a quasi mezzo secolo di distanza e ancora per gli operai delle acciaierie di Taranto e anche di altre acciaierie italiane, come quelle di Terni.
L'immagine del Papa con il casco da operaio metallurgico non è fra quelle che immediatamente richiamano Paolo VI, ma per la generazione che iniziava allora il proprio impegno sociale e politico essa ci portava direttamente nel cuore della società e ci mostrava come starci: con il caschetto e non con la tiara da pontefice.
Del resto questo nostro Papa la tiara non ce l'aveva più già dal 1964. L'aveva letteralmente venduta e il ricavato l'aveva destinato ai poveri. All'asta parteciparono i cattolici americani che attraverso il cardinale Spellman, arcivescovo di New York, la pagarono un milione di dollari.
Nel 1964 non c'era ancora la contestazione, non c'era il Sessantotto. Niente - se non l'attenta sequela del Vangelo - aveva motivato quel gesto di Paolo VI: anche in questa occasione capace di precedere noi giovani nel mondo nuovo che avevamo l'ambizione di inventare. Paolo VI non si limitava ad indicarci la strada, la percorreva.

Lo sviluppo è il nome nuovo della pace. Quante volte l'abbiamo, ad esempio, incontrato sulla strada della pace, che assieme alla classe operaia e quindi alla giustizia, era la fede della nostra generazione.
Anzi di questa aspirazione della generazione del dopoguerra Paolo VI ha fatto una sintesi rivoluzionaria nell'enciclica "Populorum Progressio" del 1967, nella quale il Papa afferma che "lo sviluppo è il nome nuovo della pace", continuando ed ampliando le indicazioni sulla vita economico-sociale riassunte dal Concilio nella "Gaudium et spes". In sintesi: lo sviluppo a vantaggio di tutti risponde all'esigenza di una giustizia su scala mondiale che garantisca una pace planetaria.
E per sottolineare che la pace si costruisce con costanza e partecipazione dal 1° gennaio successivo alla pubblicazione dell'enciclica Papa Paolo VI fa diventare ogni Capodanno la Giornata mondiale della Pace.
Anche nel caso della pace si trattava di un lungo pellegrinaggio.
Papa da pochi mesi, nel gennaio del 1964, Paolo VI va là da dove era partito San Pietro e nessun altro Papa era tornato: la Palestina. Ci va a dire che la pace bisogna costruirla in casa prima di reclamarla agli altri e la casa della Chiesa è nella terra di Gesù. A dicembre dello stesso anno Paolo VI è in India - nella coscienza di allora uno dei paesi-simbolo della povertà e del sottosviluppo - e con un "grido angosciato" chiede alle singole nazioni di investire meno in armamenti e di più in alimentazione. Nell'ottobre dell'anno successivo, per la prima volta un Papa parla all'assemblea generale delle Nazioni Unite a New York: "Lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Le armi ancor prima di produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli".
La pace insomma non è solo assenza di conflitto: è disarmo, quello degli eserciti e quello dei cuori. Il Papa è ben oltre il pacifismo, che pure era un'avanguardia in quel tempo.

Guida della nuova Chiesa del Concilio. Non ci sorprendeva, allora, la sua contemporaneità. Ci sembrava naturale quello che Paolo VI faceva e pregava, perché era appunto contemporaneo alle speranze degli uomini. Sentivamo la Chiesa camminare con noi, con passo spedito. Non ci stupivano neppure le resistenze che sperimentavamo nella Chiesa e in coloro che pur si dicevano "fedeli": sapevamo che c'erano, ma non ci preoccupavano perché sapevano che il Papa avrebbe tenuta ferma la linea conciliare. Andavamo fieri di stare con il nostro Papa.
Don Alfredo Contran, direttore della "Difesa del Popolo", dalla conclusione del concilio per almeno un quinquennio aveva affidato ad un manipolo di giovani giornalisti uno spazio del settimanale diocesano di Padova dedicato alla "diocesi del dopo-concilio". Fu un'operazione giornalistica ed ecclesiale di grande significato perché settimana dopo settimana noi giovani cronisti abbiamo raccontano come il Concilio si realizzava: dalla liturgia all'architettura religiosa, dall'associazionismo alla formazione dei preti, dalla militanza politica alla vita consacrata delle suore. I documenti del Concilio diventavano mano a mano vita e il raccontarla era un modo per diffondere questa vita più velocemente.
Noi lo facevamo nel nostro piccolo. A Roma Paolo VI lo ha fatto per tutto il suo pontificato: apostolo delle genti, come il santo cui aveva chiesto il nome da papa, in quanto testimone del Vangelo all'umanità. Fino all'ultimo: fino a quella tragica invocazione agli "uomini delle Brigate Rosse" per la vita di Aldo Moro.
Era il 1978. Pochi mesi dopo, il 5 agosto, a Castel Gandolfo egli moriva.
Venne subito, al secondo giorno di conclave, Giovanni Paolo: i due nomi di un Papa con i quali il patriarca Albino Luciani si presentava nel segno del concilio e della contemporaneità. Ma la Provvidenza ci incamminò presto per strade nuove.

12 ottobre 2014


um-002
7 novembre 2014
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Tino Bedin