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2° GOVERNO AMATO

DICHIARAZIONI PROGRAMMATICHE
ALLA CAMERA DEI DEPUTATI
E AL SENATO DELLA REPUBBLICA

27 APRILE 2000

Signor Presidente, onorevoli deputati, il Governo che nasce ha la responsabilità di portare a compimento la legislatura. Ciò consentirà lo svolgimento dei referendum e l’adozione dei provvedimenti legislativi che il loro esito, quale che sia, potrà richiedere e consentirà, inoltre, l’adozione degli interventi legislativi e delle azioni di governo più urgenti per consentire all’Italia di partecipare nelle condizioni migliori alla fase di ripresa economica in atto in Europa, dalla cui intensità e dalla cui durata dipendono la creazione dei posti di lavoro e le condizioni di vita dignitosa che tutti gli italiani hanno diritto di conseguire.
Il Governo che intende dialogare con l’intero Parlamento perché questo è il suo intento e queste sono, comunque, le buone regole della democrazia è espressione della maggioranza di centrosinistra e ad essa si rivolge per il voto di fiducia, nella convinzione di poter concorrere a rafforzarne l’immagine e la stessa identità.
Serve a tal fine che essa si ricomponga pienamente in tutte le sue componenti. C’è un travaglio in corso nel gruppo dei Verdi, che rispetto e che è politicamente di grande rilievo e che, tuttavia, sta mantenendo i gruppi politici dei Verdi in rapporto di leale collaborazione con il Governo al quale partecipano: di questo li ringrazio.
Il Partito repubblicano è in una fase di osservazione, che spero si risolva positivamente, perché la ricomposizione della maggioranza di centrosinistra è possibile, ce ne sono tutte le premesse perché sono forti e convincenti i valori e i fini politici in cui al fondo le diverse, forse anche troppe, parti politiche del centrosinistra si riconoscono: sono i valori e i fini che accomunano il riformismo nelle sue diverse ispirazioni.

E’ proprio dei riformisti essere consapevoli che nella storia nessun sistema economico si è dimostrato capace di generare sviluppo e, quindi, lavoro quanto l’economia di mercato, ma non lo è di meno la consapevolezza che il mercato produce i suoi frutti se è terreno di libertà concorrenziali, non di potere privato, perché il potere privato è lesivo della libertà e dannoso dello sviluppo non meno di quanto lo siano l’abuso e l’eccesso del potere pubblico e non minore è la consapevolezza che la forza su cui esso conta, la sua distruzione creatrice, come fu autorevolmente chiamata, ha bisogno di forze bilancianti che garantiscano la tutela di beni collettivi irrinunciabili, la sostenibilità dello sviluppo (perché siamo in una fase della storia in cui lo sviluppo rischia di diventare insostenibile), la prevenzione e il rimedio contro i rischi e le realtà di esclusione sociale che il mercato tende a generare.
Ciò è tanto più vero oggi, nella fase di profonda trasformazione che stiamo attraversando e che cambia con velocità mai vista nella storia i confini dei mercati, i connotati della produzione del lavoro, le certezze e le aspettative su cui si fonda la vita di ciascuno.
C’è, quindi, bisogno di eliminare le rigidità che possono intralciare il cambiamento, ma c’è anche bisogno di nuove forme di promozione e di tutela sociale coerenti con il cambiamento.
C’è bisogno di proteggere con più severa e costante fermezza la sicurezza dei cittadini dalla grande e dalla piccola criminalità, agevolate da un mondo senza confini, ma c’è anche bisogno di distinguere e di far distinguere fra la criminalità, che è sempre un male da combattere, e l’immigrazione, che è molto spesso un bisogno dettato dalla necessità e dalla ricerca di una vita migliore.

E’ in questo equilibrio, è nella tensione verso una società più dinamica e più giusta, l’anima, il denominatore comune del centrosinistra. Per questo esso ha bisogno, come è stato detto, di saper essere più di centro e più di sinistra, il che non è affatto una contraddizione e a questo il Governo cercherà di contribuire. Cercherà di farlo con un programma che in ragione del ristretto orizzonte temporale sarà realisticamente limitato alle più essenziali e prioritarie iniziative legislative, tentando, per il resto, di rendere operativi e concreti i tanti impegni di riforma che già hanno trovato in questi anni traduzione legislativa. Per i cittadini – e giustamente – l’approvazione di una legge o di un regolamento è l’annuncio della riforma, non è la riforma.
Poca legislazione, insomma, e tanta azione, organizzazione, risultati: questo è ciò che vorremmo fare, il che non significa che mancherà il lavoro per il Parlamento, tutt’altro. La prima scadenza che abbiamo davanti è schiettamente istituzionale, è, come dicevo, quella referendaria, scadenza da rispettare, ma alla quale sarà bene arrivare nel rispetto dei principi di legalità e delle regole democratiche. Questo comporta di sicuro che dovrebbe muoversi la macchina amministrativa, che è necessaria per garantire che tutti i cittadini italiani che hanno diritto a votare votino, che coloro che non lo sono in assoluto, o che non sono cittadini italiani o che non abbiano la possibilità di esserlo, non vengano conteggiati nelle liste elettorali.
Il Governo, d’intesa con la maggioranza, è pronto ad adottare le iniziative, anche le più urgenti, che possano rendere possibile questo risultato.
Il Governo non ha poteri sul modo in cui può essere organizzata sui mezzi di comunicazione di massa la necessaria campagna di informazione dei cittadini sui quesiti referendari e sulle diverse posizioni che su di essi ci sono e possono essere prese. Il Governo può solo auspicare – ed io da cittadino, se posso dirlo, lo auspico – che i mezzi di comunicazione diffondano i dibattiti e le necessarie informazioni in ore che siano tali da non privare gli italiani che ne sono interessati del sonno cui hanno diritto. Mi è difficile capire come mai trasmissioni di elevatissimo interesse civile ed anche politico cadano spesso nelle ore in cui soltanto gli italiani privi di sonno sono in condizioni di seguirli.
Sempre in materia istituzionale, al di là della vicenda referendaria, saranno necessari i provvedimenti che i referendum potranno richiedere. Tra questi, presumibilmente, una legge elettorale, che potrà avere le caratteristiche che dovrà avere a seguito dei referendum, ma con la quale ed in connessione alla quale – permettetemi, se volete, anche un’opinione, oltre che un orientamento – consentire al prossimo Presidente del Consiglio, dopo le prossime elezioni, di svolgere il proprio ruolo sulla base di una diretta o indiretta legittimazione popolare. Questo è essenziale per i cittadini; è essenziale per il buon funzionamento delle istituzioni. Io pongo questa istanza alla maggioranza; la pongo all’intero Parlamento.
Non c’è soltanto questo; c’è dell’altro che il Parlamento può fare in materia istituzionale. La riforma istituzionale è già in atto, per quanto riguarda la trasformazione della stessa forma di Stato in Italia, per le tante cose che sono state fatte in questi anni.
Le regioni sono già molto diverse da ciò che erano alcuni anni fa. Abbiamo trasferito loro funzioni che in precedenza spettavano allo Stato; abbiamo adottato nuovi congegni finanziari che assicurano loro non più trasferimenti vincolati, ma – è stato chiamato federalismo fiscale, forse con una formula "elevata" –, di sicuro, quote significative di proventi erariali sui quali e sulla cui dinamica possono contare. Inoltre, esse hanno un ruolo preminente nell’utilizzazione dei fondi comunitari.
Anni fa, nel Mezzogiorno era l’intervento straordinario gestito centralisticamente dallo Stato ciò che alimentava finanziariamente gli interventi; oggi, i 12 mila miliardi disponibili dell’esercizio in corso e i tanti degli anni successivi, largamente provenienti dal bilancio comunitario, saranno gestiti ed utilizzati, in larghissima maggioranza (oltre il 70 per cento), dalle regioni e dai piani regionali.
Abbiamo fatto una riforma sanitaria che mantiene allo Stato un ruolo di coordinamento e di definizione dei livelli essenziali di assistenza; tocca ora alle regioni garantire l’efficienza di questo sistema, la concorrenzialità interna al sistema pubblico ed un trattamento adeguato dei pazienti. E' cambiato il ministro della sanità. E' subentrato un ministro di alto profilo tecnico, del quale una cosa ritengo giusto dire: entra nel Governo lasciando la funzione di direttore di un istituto di ricerca e di cura di altissimo valore nel quale tutti i medici e tutti i ricercatori operano a tempo pieno. Questo è il professore che prende il posto del precedente ministro della sanità.
Questo è un processo di trasformazione dello Stato che riguarda le regioni ed anche i comuni; infatti, pure nei loro confronti la trasformazione sta intervenendo e dovrà esservi a breve, con un provvedimento delegato sul quale il Governo stava già lavorando, quello stesso tipo di trasformazione finanziaria già intervenuta per le regioni. In tale prospettiva, la riforma federale che ebbi l’onore di presentare per il Governo, insieme con il Presidente del Consiglio D’Alema, è un provvedimento che, non necessariamente nel testo che presentammo, ma in un testo che rispecchi i necessari consensi parlamentari, ha tutte le premesse e tutte le ragioni per essere approvato nel corso di questa legislatura.
Si tratta di una trasformazione profonda e del coronamento del processo che i due Governi precedenti hanno meritoriamente avviato; essa dà solidità costituzionale ad una Repubblica profondamente trasformata, assai più ricca di responsabilità e di autonomie e con meno centralismo di quanto ve ne fosse in precedenza. Per tale ragione, detta trasformazione non può non essere una priorità, sia pure in questo scorcio di legislatura; si tratta del coronamento di un disegno già largamente attuato.
Nell’ambito di tale disegno, il Parlamento non dovrebbe dimenticare le misure di interesse delle regioni a statuto speciale, delle minoranze linguistiche; l’adeguamento degli statuti speciali alla grande trasformazione intervenuta per le regioni a statuto ordinario è davanti al Senato. Tocca al Governo portare a compimento le norme di attuazione che ha davanti.
So che è alla Camera (credo sia stata già approvato dal Senato) uno scambio di note tra l’Italia e l’Austria sui titoli di studio. Mi permetto di dire fin d’ora che quali che siano le vicende politiche che caratterizzano il Governo austriaco, ciò nulla ha a che vedere con i rapporti tra le università italiane e le università austriache e il riconoscimento dei rispettivi titoli di studio interessa gli studenti e i giovani non deve risentire di conseguenze politiche.
L’Italia ha molti problemi irrisolti, ma ha anche grandi opportunità davanti.

E passiamo ai temi cruciali della politica economica, finanziaria, delle politiche sociali. Il risanamento finanziario è largamente intervenuto. Per ricordare soltanto un numero: nel 1951 ogni 100 lire di prelievo tributario 25-30 andavano al pagamento di interessi; oggi, ogni 100 lire di prelievo tributario non più di 14-15 vanno ad interessi. Questo significa che l’Italia ha ancora un alto debito pubblico (e lo ha!), ma significa che nel corso di tutti questi anni tutti i Governi che si sono succeduti da allora hanno contribuito progressivamente ad ottenere un risultato che è largamente soddisfacente ed ha cambiato l’immagine e il prestigio dell’Italia, oltre che la stabilità interna.
Otto anni fa l’IRI era un ente pubblico con elevatissime perdite; è diventato società per azioni: il 30 giugno l’IRI sarà liquidato e porterà attraverso la sua liquidazione migliaia di miliardi, non di passività, ma di risorse che ridurranno il debito dello Stato! Grande merito di tutto questo, oltre che ai Governi, va alla politica di concertazione e al ruolo responsabile che in questi anni hanno esercitato le parti sociali. Io sono rimasto legato alla concertazione che praticai in anni passati, che continuo a ritenere un metodo appropriato per affrontare grandi questioni economiche e sociali. Giorni fa mi venne chiesto se era un dogma: ho risposto che nulla di ciò che gli esseri umani fanno nella loro vita terrena è dogma; certo in talune occasioni essa può essere stata portata al di là delle aree in cui è utile, ma sui temi cruciali che riguardano le grandi linee della ripartizione del reddito, le politiche sociali, le politiche del lavoro, l’Italia si è giovata della concertazione e l’Italia farà bene a continuare a giovarsene.
In questo clima di risanamento ci è possibile – e già è stato fatto in quest’ultimo anno con il Governo D’Alema – riprendere un percorso di riduzione tributaria e contributiva, che è un obiettivo prioritario della politica di bilancio.
Anche nei primi mesi del 2000 l’andamento del gettito tributario risulta positivo, evidenziando una crescita superiore alle attese, anche se lo si depura dagli effetti delle plusvalenze di borsa registrate nell’anno precedente.
Vi è quindi una dinamica delle entrate che consente di proseguire in una politica che il Governo D’Alema ha avviato. Naturalmente, questo va fatto con attenzione e con prudenza: attenzione e prudenza in relazione al rispetto del patto di stabilità; attenzione e prudenza in relazione alla necessità di accertare l’entità effettiva delle entrate disponibili. E questo sarà possibile farlo con esattezza nel corso dell’estate, appena saranno note le risultanze dell’autoliquidazione delle imposte sui redditi e dell’IRAP. Entro luglio si potranno quindi avere anche valutazioni degli effetti della riforma introdotta nel 1998. Nel momento in cui lascia il dicastero delle Finanze, devo dare atto al mio collega ed amico Visco di aver svolto uno straordinario lavoro non solo di impianto del sistema tributario, ma anche di trasformazione della macchina. Se oggi gli italiani ci danno un gettito maggiore ad aliquote più basse è perché l’evasione fiscale è stata largamente ridotta dalla maggiore efficienza del sistema tributario.
Nel merito di ciò che potrà essere fatto, la politica di cui parlavo potrà interessare sia le famiglie che le imprese, sulla falsariga di quanto si è già fatto con la finanziaria per il 2000.
Per quanto riguarda le imprese, particolare attenzione verrà dedicata a quelle minori, attraverso ulteriori semplificazioni e sgravi che terranno anche conto dell’esigenza di favorire i loro investimenti ambientali.
Alle società di persone dovrà essere consentita di optare per la tassazione IRPEG, come previsto già da una norma di delega approvata con la finanziaria per il 2000 che il Governo intende riproporre. Altri interventi prioritari non potranno non essere quelli a favore della nuova occupazione e dei nuovi investimenti nelle aree meno sviluppate del paese, nel rispetto delle norme comunitarie sugli aiuti di Stato.
Il Governo intende rifinanziare e prorogare i crediti d’imposta per i nuovi assunti già concessi due anni fa e ora in scadenza; prevede di incentivare nuovi investimenti sulla falsariga del provvedimento di rilancio congiunturale del 1999 e del 2000, semplificandone la gestione e limitandolo alle aree che possono avere aiuti di Stato. Il processo di riforma dovrà continuare.
Nella politica di bilancio dovrà trovare posto il completamento di tre importanti azioni iniziate dai precedenti Governi: il decentramento di funzioni statali ai governi regionali e ad enti locali - di cui già parlavo - che ha significative implicazioni finanziarie; il potenziamento dei servizi di sicurezza; il sostegno dei servizi di istruzione e formazione a tutti i livelli – scuola e università – su cui tornerò.
Gli spazi finanziari esistono, ma non sono particolarmente elevati. Qui viene richiesta l’azione al Governo: una parte degli interventi innovativi dovrà essere finanziata nei settori della scuola e della sicurezza, con regole di gestione che consentano (perché ci possono essere regole di gestione che lo consentano) significativi risparmi.
Il potenziale maggiore per una politica di bilancio e fiscale, non più dettata dalle sole ragioni del risanamento e tuttavia rispettosa del patto di stabilità, può venire soltanto da una maggiore crescita. Per essa, che è anche matrice del bene più prezioso di cui troppi italiani mancano, che è il lavoro, vi sono azioni essenziali: bisogna garantire la stabilità.
L’andamento dell’euro non ci sta aiutando, con riferimento all’andamento del tasso di inflazione (vi è stata l’impennata dei prezzi petroliferi che ha determinato un ciclo più alto che già di per sé è in discesa in queste settimane); l’andamento dell’euro mantiene una situazione che esige una grande attenzione. In ogni caso, vedrò le parti sociali (se il Parlamento vorrà concedere a questo Governo la fiducia) e insieme verificheremo le misure che già erano state determinate e quant’altro si potrà fare.
L’euro è destinato a crescere. L’euro è oggi sottovalutato e ci sono una serie di ragioni che portano l’attuale sottovalutazione: l’incompiuto quadro politico e istituzionale dell’Europa; forse l’eccesso di aspettative che ha accompagnato l’esordio della nuova moneta; forse la difficoltà di impianto di una nuova istituzione che ha l’elevatissimo compito di svolgere il ruolo di banca centrale per l’intera Europa; di sicuro, l’attenzione che hanno i mercati al procedere nel continente europeo di quelle riforme strutturali che rendano più efficienti le economie dei paesi continentali e garantiscano per ciò stesso una maggiore durata della loro crescita. Di ciò i mercati ancora non sono interamente convinti.

A Lisbona si è tenuto un Consiglio europeo dei Capi di Governo, che ha segnato un punto di svolta negli impegni che i diversi paesi hanno preso per l’eliminazione di rigidità e strozzature, e tuttavia anche questo, al momento, è per i mercati un annuncio, non ancora un fatto. Resto convinto, come è convinzione comune dei Governi europei, che via via che le riforme strutturali procederanno sul nostro continente e la crescita risulterà più credibile nel lungo periodo, l’euro non potrà non risentirne.
Occorre allora impegnarsi - ed anche a questo serve un Governo che continui nella legislatura - per la rimozione delle strozzature che rendono la nostra crescita meno potente e meno stabile di come potrebbe essere.
Mi diceva in questi giorni un intelligente interlocutore che rappresenta il mondo artigiano: abbiamo potenzialità enormi nella nostra economia, voi ci dovete togliere il freno a mano. L’economia italiana è una macchina potente, che in questo momento è handicappata da un freno a mano che ne riduce la velocità.
Ora, il freno a mano discende da più fattori, non è mai un unico freno: insufficiente competitività su diversi mercati, a partire dai mercati finanziari; rigidità burocratiche e costi burocratici che le imprese ormai sentono non meno di altri costi; mancanza perdurante di infrastrutture essenziali; insufficienze della formazione e quindi strozzature gravi nell’offerta di quel lavoro a cui può corrispondere un effettivo lavoro.
Il Parlamento ed il Governo in questi pochi mesi possono fare qualcosa per ridurre una parte almeno di tali rigidità, poiché questa è un’azione di lungo periodo. Tre punti richiedono l’intervento legislativo: in primo luogo, la riduzione dei tempi e dei costi che oggi sono necessari per far partire una nuova impresa.
Anche i documenti comunitari indicano nell’Italia, dopo la Francia, uno dei paesi europei in cui l’avvio di una nuova impresa costa più denaro, più tempo, più pratiche: occorre ridurre il denaro, il tempo e le pratiche. A questo largamente concorre la riforma del diritto societario che il ministro della giustizia aveva da poco licenziato e che, eliminando l’omologazione del tribunale per alcune imprese, dà già un grosso contributo a questo fine, ma altre misure possono esservi accompagnate, introducendole in quel disegno di legge, o nella legge annuale di semplificazione.
Il diritto fallimentare deve cambiare, ed anche questo deve trovare spazio nella riforma del diritto societario con un apposito principio di delega: non si può chiedere agli imprenditori di rischiare in una fase di profonda innovazione, se il rischio industriale che vada male fino al fallimento è accompagnato dalla degradazione civile del fallito, anche quando non vi è bancarotta fraudolenta o dolo nei confronti dei terzi. Deve essere possibile affrontare il rischio e poter poi affrontare una nuova esperienza imprenditoriale senza penalizzazioni che appaiano ingiustificate. Ma il diritto societario è non meno importante per dare un quadro giuridico alle nostre imprese, soprattutto minori, che consenta loro di aggregarsi, di crescere di dimensioni, di arrivare ai livelli necessari per affrontare la sfida di una tecnologia che è loro necessaria ma che troppo spesso è al di sopra delle loro piccolissime dimensioni.
A queste condizioni, e mettendo le imprese in questa prospettiva, si può innestare proficuamente in un circolo virtuoso l’allargamento del ricorso al capitale di rischio da parte delle nostre imprese. Questo è già oggetto di un’azione comune europea: se ne occuperanno la Comunità e la Banca europea per gli investimenti; occorre che l’Italia si trovi pronta a recepire questa prospettiva.
Naturalmente il mercato finanziario italiano esige anche altro. A me è capitato di dire più volte: "abbiamo fatto le azioni, dobbiamo fare gli azionisti". Il primo degli azionisti che dobbiamo rafforzare, la prima ragione se volete se non paritaria, per cui dobbiamo creare un forte pilastro previdenziale, al fianco della previdenza pubblica, è avere investitori istituzionali forti sul nostro mercato; mi riferisco ai fondi pensione che ancora non riescono a decollare come potrebbero. Il rafforzamento della previdenza integrativa ha questo significato, tra gli altri, e di questo significato dobbiamo farci carico come uno dei pilastri di cambiamento del nostro sistema futuro.
Ma non c’è solo la maggiore competitività dei mercati finanziari, vi è la competitività dei mercati locali. Dobbiamo approvare il collegato alla finanziaria per il 2000, che riguarda i servizi pubblici locali. Dobbiamo approvarlo: è una di quelle riforme strutturali dal cui perdurare in Parlamento si traggono alcuni degli auspici sull’euro e sul suo valore. Non è solo questo, perché la Germania, la Francia, l’Austria non sono meno importanti, tuttavia quando si constata che le riforme strutturali segnano il passo nei paesi europei e l’euro ne risente, tra i vari elementi vi è anche questo e tocca a noi rimuoverlo.
Toccherà al Governo chiudere la vicenda degli ordini professionali, chiuderla in sede di Governo, e arrivare ad una legge equilibrata, ma tale comunque da rimuovere le strozzature non compatibili con l’ordinamento comunitario e con il fatto che chiusure autarchiche del nostro mercato delle professioni sono comunque escluse dalla libertà di stabilimento che chiunque ha in qualsiasi paese europeo e, in questi termini, qualcosa dovrà essere fatto.
Dovrà proseguire il lavoro avviato sul gas e sull’elettricità. Dovrà proseguire, perché necessario, il rafforzamento della concorrenza nel settore delle telecomunicazioni, che è il settore più avanzato, ma anche i segni che arrivano da Bruxelles fanno capire che ancora non è il mondo perfetto della concorrenza. Molto c’è da fare.
In tale ambito, il Governo si accinge ad avviare in fase operativa la gara per il cosiddetto UMTS, il telefono mobile di ulteriore generazione, che potrà servire a conseguire risorse utili ad altre azioni importanti per il miglioramento della nostra economia e per il rafforzamento della nostra politica occupazionale. Non credo che sia ipotizzabile che una gara per cinque licenze dell’UMTS, in un paese europeo, possa portare allo Stato meno di 25 mila miliardi: è giusto che sia così in un mercato in espansione ed è giusto che tali risorse, poi, vengano da noi utilizzate per finalità prioritarie a cui potremmo provvedere solo in parte con i nostri risparmi di bilancio.
Misure fiscali, quali quelle di cui parlavo prima, potranno trovare qui una parte delle risorse necessarie e sarebbe intendimento del Governo utilizzarle ampiamente per la misura più importante al fine di rendere flessibile il mercato del lavoro: la formazione. Il mercato del lavoro, infatti, diventa flessibile nel momento in cui la forza contrattuale delle parti è comparabile, nel momento in cui chi cerca lavoro incontra un bisogno di lavoro e, quindi, è nella negoziabilità delle due posizioni che si trova la prima ragione della flessibilità.

Noi dobbiamo fare moltissimo per la formazione: lo dobbiamo fare nella scuola e attraverso i processi che riguardano la formazione in senso stretto. Abbiamo varato una poderosa riforma della scuola, che finalmente, dopo decine e decine di anni, ha riportato il sistema scolastico alle esigenze del mondo moderno.
A questo punto, su questa base, dovremo dare concretamente agli insegnanti, in primo luogo, quella formazione di cui hanno bisogno rispetto alle tecnologie e alle ragioni del nuovo mondo. Dobbiamo rendere la scuola – primaria e secondaria – e il sistema universitario capaci di dare all’Italia quelle competenze che permettono di coprire posti di lavoro che non possiamo coprire perché non abbiamo le persone. E’ una cosa terribile, in un paese con tanta disoccupazione intellettuale dover andare a cercare tecnici in paesi diversi dall’Italia perché noi ancora non li abbiamo preparati con la nostra formazione superiore. Ma naturalmente ciò non riguarda soltanto i posti relativi alle mansioni superiori, ma anche le migliaia e migliaia di posti di lavoro possibile per coloro che non saranno mai ingegneri hi-tech o addetti al software. Vi sono tanti posti di lavoro a cui si può formare: vi sono nella logistica, vi sono nella distribuzione, vi sono nell’ambiente e in quel gigantesco patrimonio che è il nostro patrimonio culturale, che ha avuto in questi anni una profonda valorizzazione: io sono grato al ministro Melandri per quello che ha fatto quando ero suo collega ministro e per quello che potrà continuare a fare. In quel settore vi è un patrimonio artistico, ma che è anche sociale, perché è un potenziale di posti di lavoro.

Che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo trasformare la formazione in un impegno che si vede. Anni fa, agli albori del grande ciclo di sviluppo americano, rimasi impressionato nel vedere con i miei occhi, in diverse città americane, centri di formazione che lavoravano di notte al servizio di chi ne aveva bisogno: infermieri che usavano il tempo notturno per formarsi a qualificazioni superiori e lavoratori dequalificati che facevano altrettanto. Allora, possiamo noi essere in grado di dar vita a centri di formazione con le risorse pubbliche, avvalendoci dell’associazionismo.
Si può, in altre parole, ipotizzare, con le risorse che potremmo acquisire nel modo che prima dicevo, un grande sforzo pubblico e privato di formazione ed educazione, che – ripeto – non deve essere soltanto pubblico. Una formula che dobbiamo irrobustire è quella del cofinanziamento anche per soggetti privati e del non profit che realizzino centri aperti al pubblico per la formazione- non di elevatissimo livello, che spetta alle università - e del cofinanziamento per i comuni che realizzino analoghi centri e programmi. Si tratta di iniziative che possiamo e dobbiamo adottare: sono le prime – ripeto – necessarie per rendere flessibile un mercato del lavoro il cui principale problema è l’ottimizzazione nell’impiego del capitale umano e la cui principale necessità è avere lavori flessibili che non siano caratterizzati da un dislivello tale tra offerta e domanda da trasformare la flessibilità in precarietà, in insicurezza, in illegalità. Migliore informazione sul mercato, migliore formazione sul mercato, al di là del ruolo – su cui verrò tra breve – delle politiche sociali in senso stretto.

La sburocratizzazione è un capitolo essenziale del nostro lavoro e di quello già svolto, grazie principalmente a ciò che ha fatto il collega Bassanini negli anni precedenti, con i Governi precedenti. Si tratta ora di garantirci sul fatto che le riforme legislative e regolamentari diventino realtà per i cittadini.
Il Governo organizzerà strutture di coordinamento tecnico-operativo per aiutare i comuni a trasformare gli sportelli unici in sportelli davvero unici. Lo sportello unico non potrà essere interpretato in modo riduttivo, come un unico ufficio al quale si presenta la domanda o la richiesta della licenza, dietro il quale però continuino a svolgersi autonomamente i diversi procedimenti amministrativi che portano alla decisione finale. Occorre che si tratti davvero di uno sportello dal quale si arriva ad un responsabile che in un tempo comunque certo adotta il provvedimento, quali che siano le competenze implicate dal provvedimento.

Tra le strozzature ci sono quelle che riguardano le infrastrutture ed un sistema efficiente dei trasporti. Anche qui il Governo può porsi soltanto obiettivi concreti, può portare a compimento opere già avviate, rendere cantierabili entro i prossimi undici mesi opere significative, affrontare il sistema degli aeroporti meridionali (che è un anello essenziale per lo sviluppo del Mezzogiorno), procedere con il risanamento delle Ferrovie dello Stato, che è un’opera di lunga lena, ricordarsi che i lavori pubblici non significano soltanto infrastrutture da fare ma anche riqualificazione urbana, lotta all’abusivismo (peraltro già efficacemente iniziata), salvaguardia del territorio, sicurezza di edifici della quale troppo spesso ci accorgiamo troppo tardi.
Il tema del Mezzogiorno in tutto questo ha una sua specificità relativa, nel senso che io sono convinto (e non sono il solo a pensarlo) che ciò che è bene per l’Italia è bene anche per il Mezzogiorno, che più concorrenza significa maggiore sviluppo anche per il Mezzogiorno, che più formazione vuol dire più posti di lavoro per il Mezzogiorno, che meno burocrazia significa più imprese anche per il Mezzogiorno.
Tuttavia sappiamo le ragioni per le quali i ritardi di diverse zone hanno bisogno di interventi specifici. Ebbene, questo tipo di interventi hanno ripreso ad essere sviluppati dopo anni di difficoltà; le erogazioni per investimenti pubblici nel Mezzogiorno sono cresciute del 15 per cento nel 1998, rispetto al 1997, e del 20 per cento nel 1999, rispetto al 1998.
Sono stati sbloccati – come sapete – i fondi per i patti territoriali, di cui riconosco la relativa insufficienza ma di cui va anche riconosciuto che hanno cominciato a dare posti di lavoro: oltre tra Lecce, Siracusa, Brindisi, il Sangro ed altri ancora.
Altre iniziative stanno ora maturando e potranno avere risultati significativi. Il Governo si deve impegnare per sfruttare al massimo ciò che esiste per dare il più possibile senza ulteriori innovazioni.
Sviluppo Italia, ad esempio può rendersi regista dell’acquisizione e dell’approntamento delle tante aree dismesse nel Mezzogiorno, nelle quali migliaia e migliaia di imprese artigiane possono trovare collocazione. Questa è una cosa che si può fare - e che intendiamo fare - nei prossimi mesi. Non è stata inventata da qualche burocrate del tesoro, ma da organizzazioni che suscitano l’interesse dell’intero Parlamento e dell’intero sistema politico, quando si arriva al momento del voto. E’ da lì che ci viene l’idea; consiglio di accoglierla con rispetto, per ragioni anche elettorali. L’idea è che migliaia e migliaia di artigiani, nel Mezzogiorno, sono in condizioni di sommersione, non tanto per ragioni fiscali od altro, quanto perché allocate in locali inidonei e inadeguati rispetto ai regimi legislativi per l’igiene e la sicurezza. Dare loro la possibilità di collocarsi in locali più idonei significa farli emergere e metterli nella condizione di assumere nuovo lavoro: se diecimila imprese artigiane assumono ciascuna una persona, si creano diecimila nuovi posti di lavoro per il Mezzogiorno

Un’economia competitiva esige adeguate ed aggiornate politiche di protezione sociale. Al riguardo, in termini di principio una cosa è chiara e credo debba far parte di quell’anima, di quel denominatore comune su cui si può rinsaldare e identificare una maggioranza di centrosinistra; non è solo questione di assegni, non è solo questione di ammortizzatori sociali e di contributi, anche se questi ne sono capitoli centrali: prima dei capitoli centrali, che curano le situazioni di bisogno, ci sono quelli degli interventi che prevengono il bisogno e l’esclusione. Non so quanto un Governo di un anno, perché tra un anno ci saranno le elezioni, può fare su tutto questo, so, però, che ci muoviamo nella consapevolezza che, tra le prime politiche sociali, il primo capitolo è il rinnovamento urbano e l’eliminazione di quel degrado in cui l’esclusione sociale matura, prima ancora di produrre i suoi frutti perfidi. Le prime politiche cui mi riferisco sono le politiche di integrazione sociale, volte a garantire l’adempimento dell’obbligo scolastico; sono le politiche di assistenza che prevengono e curano l’emarginazione (al riguardo, una delle poche priorità legislative del Governo sarà l’approvazione della legge sull’assistenza); sono le politiche della famiglia, per aiutare la famiglia che non ce la fa da sola a restare unita, coesa e ad esprimere affettività, valori e sensibilità.

La famiglia è un caposaldo fondamentale della società. Ne sono sempre stato convinto e quando dico ciò non esprimo un sentimento retorico, ma è una mia profonda convinzione personale. La vita ci insegna che la sua tenuta dipende largamente dalla responsabilità e dall’impegno dei suoi componenti: tenere unita una famiglia è importante, perché il futuro dei figli spesso dipende dalla coesione della famiglia e tenerla unita è a volte difficile; tuttavia, in molte situazioni tutto questo dipende da ciò che sta intorno alla famiglia, dall’ambiente in cui essa si trova, dalle condizioni economiche, dal tessuto urbano, dalle condizioni di sicurezza in cui madri e figli crescono, dall’ambiente che hanno intorno.
Questo è il primo fondamentale capitolo delle politiche sociali, al di là di ciò che un Governo che non ha un orizzonte lungo può fare.
Poi ci sono le politiche in senso stretto, che debbono adeguarsi ad un cambiamento che sta intervenendo e che debbono mettere a carico della collettività ciò che è giusto mettere a carico di quest’ultima, al fine di prevenire o correggere situazioni di esclusione altrimenti non rimediabili.
La riforma degli ammortizzatori sociali è un capitolo importante: questo Governo lo eredita ed intende portarlo a compimento. Gli incentivi da offrire al lavoro fanno parte di questo capitolo ed esso sottolinea l’importanza delle misure rivolte a consentire l’occupazione di chi ha minori qualifiche e più rischia di essere escluso dal mercato del lavoro: misure per l’emersione del lavoro nero, misure per contrastare la situazione degli infortuni sul lavoro, una disciplina del lavoro atipico, che non deve essere irrigidito - e nessuno ha intenzione di farlo -, ma che pur tuttavia deve rispondere ad alcune figure che evitino da un lato una forma di giungla e dall’altro gli abusi che consentono l’assunzione con la disciplina del lavoro atipico di chi è in realtà utilizzato come un vero e proprio lavoratore dipendente per il quale non si pagano i contributi.

Della materia previdenziale, in fondo, ho già parlato. Il capitolo determinante che abbiamo davanti è quello del rafforzamento della previdenza integrativa. Il sistema previdenziale va verso una prospettiva che vedrà tra non tanti anni molti meno giovani e molti più anziani. Questi giovani avranno per sé pensioni inferiori a quelle che il vecchio sistema a ripartizione garantiva, perché in ogni caso si va verso un sistema contributivo, in base alle riforme già adottate.
Occorre fare in modo che coloro che diventeranno anziani accantonino risorse per equilibrare ciò che avranno in meno dalla previdenza obbligatoria e che siano allo stesso tempo in condizione di non gravare su quelli che a loro volta saranno giovani e che, con una situazione demografica che si appesantirà sempre di più, potrebbero avere un carico intollerabile sui propri salari.
Questi sono il senso e la direzione di marcia indicati dal disegno di legge già presentato dal Governo. Tale disegno di legge fu presentato con una posizione di apertura che ora confermo, a nome di questo Governo, ribadendo anche, tuttavia, la necessità che esso sia rapidamente approvato.

La sicurezza è un altro grande capitolo che abbiamo davanti, è uno dei problemi più avvertiti dalla popolazione. L’assenza di sicurezza è un attentato ai diritti fondamentali della persona, è un attentato alla sopravvivenza della famiglia che vive in condizioni di degrado e nel Mezzogiorno coinvolge anche le prospettive dello sviluppo economico, perché l’agibilità del Mezzogiorno, che per certi versi è largamente migliorata, continua ad essere fortemente handicappata dal rischio sicurezza. Anche per questo settore il Governo intende privilegiare un approccio pragmatico. C’è molto da fare attraverso azioni amministrative ed organizzative.
Noi confidiamo nel lavoro del Parlamento sul pacchetto sicurezza, ma non riteniamo che il nostro compito di governo sia esaurito dall’attenzione con la quale seguiamo in Parlamento questo provvedimento. Sappiamo che esistono già, con la legislazione vigente, margini per avere più forze di polizia sul territorio, per averle più visibili sul territorio stesso e per utilizzarle con maggiore coordinamento. Ci sono direttive su quest’ultima materia già approvate dal Parlamento nel 1998 e queste direttive debbono trovare attuazione.
Non c’è ragione che il paese che ha uno dei numeri più elevati di uomini e donne nelle forze di polizia, per la sola ragione che questi sono in forze di polizia diverse e diversamente organizzate, debba lasciare scoperto il territorio. Si può lavorare sul coordinamento; non debbono esistere tabù ai fini della coordinabilità di una forza di polizia con un’altra; tutti sono al servizio della nazione e dei cittadini e tutti debbono organizzarsi nel migliore dei modi per servire la nazione ed i cittadini: questo è un puro problema di coordinamento.
L’articolo 18 del cosiddetto pacchetto sicurezza contempla una norma affinché questo accada: alla fin fine, affinché questo accada non è necessaria una norma, come non è necessaria una norma affinché persone che abbiamo preparato per stare sul territorio, lavorando alla loro formazione con una specificità che è anche gratificante, debbano essere utilizzate per svolgere mansioni amministrative che, in fondo, le sacrificano.
Continuo a pensare che non abbia senso preparare a svolgere il lavoro di polizia – lavoro fortemente qualificato e specializzato – tanti giovani e tante giovani, come bene fa il Ministero dell’interno, i quali successivamente, dopo essere stati formati, vengono messi a convalidare passaporti nelle questure: questa è una mansione alla quale può provvedere qualcun altro, forse i comuni, che oggi sono stati largamente sgravati, con l’autocertificazione, da compiti che prima svolgevano.

Più sicurezza e anche più giustizia. Anche in questo settore il lavoro è stato rilevante ed efficace. È già stato approvato, nel corso della legislatura, un complesso di riforme mirate. Per rendere più efficiente il "servizio giustizia" è stato modificato un sistema penale pervasivo, seguendo il sano principio – finalmente ritrovato – in base al quale la sanzione penale va riservata alle condotte trasgressive che destano maggiore allarme sociale e di maggiore pericolosità sociale (anche in materia tributaria è stato seguito questo criterio per limitare l’area dei reati fiscali). Tutto questo potrà portare ad uno sveltimento insieme alla riforma del giudice unico e alle attribuzioni di competenze ai giudici di pace: ora la giustizia è una macchina organizzativa che può funzionare meglio e che deve essere messa in condizione di funzionare meglio.
A volte grandi questioni sorgono da piccole ragioni organizzative. Da ministro del tesoro mi sono trovato più volte davanti al presidente Caselli, come a precedenti direttori degli istituti di prevenzione e pena, che mi hanno chiesto come potevano operare le tradotte dei detenuti, anche pericolosi, con blindati che hanno percorso 150 mila chilometri e che si possono fermare per strada.
Quando lo Stato risparmia, lo fa anche su questo. Vi è un problema di qualità della spesa pubblica che siamo finalmente in grado di affrontare. Questo problema delle tradotte dei detenuti lo avevo già risolto in qualità di ministro del tesoro.

L’azione di politica internazionale è oggi una variabile essenziale della capacità di proiezione del nostro sistema, quindi dobbiamo cercare di guardare alla politica europea soltanto come ad un vincolo esterno. L’Italia sarà tanto più in grado di tutelare e promuovere i propri interessi, quanto più si affermeranno regole di valori democratici intorno a noi.
Oggi parliamo di un paese – l’Italia – che ha un prestigio internazionale rilevante, costruito sulla solidità economica del paese e sulla sua partecipazione responsabile alla gestione delle principali crisi internazionali degli ultimi anni. Il Presidente D’Alema, nel darmi ieri le consegne – cosa di cui gli sono stato grato -, mi ha lasciato un piccolo indicatore che segnala come l’Italia sia il terzo paese al mondo nel sostenere lo sforzo di missioni militari di pace fuori dal proprio territorio, in termini di quantità di persone e di militari inviati in missione ed è attualmente il quinto contributore al bilancio delle Nazioni Unite. Questo ce lo dovremmo ricordare perché l’Italia, in questi anni, è cresciuta. Naturalmente noi cresciamo insieme all’Europa e quindi il rafforzamento politico dell’Unione europea è un obiettivo per noi primario. Per questo l’Italia segue con particolare pressione il lavoro in corso per la conferenza intergovernativa che si prevede si concluderà alla fine del corrente anno, proprio perché questa sia in condizioni di predisporre un assetto in grado di consentire anche passi di migliore integrazione politica, in futuro.
L’allargamento è un passaggio che abbiamo davanti, che è tanto inevitabile quanto giusto; ma l’allargamento senza una più forte anima e macchina politica dell’Europa può rappresentare un abbassamento nel livello dell’integrazione, che non possiamo permetterci.
La crescita dell’Unione europea è anche condizione di un rapporto solido tra le due sponde dell’Atlantico. Gli Stati Uniti, la superpotenza solitaria, hanno bisogno di un partner competitivo nel ruolo di responsabilità che essi esercitano nel mondo. L’Europa può essere e deve essere questo partner! L’Europa non può lamentarsi della leadership solitaria degli Stati Uniti se non rafforza se stessa nella sua capacità di avere una voce unica ed un ruolo unico. I passi fatti in questi mesi per dare una identità di sicurezza e di difesa comune all’Europa sono passi cruciali in questa direzione, che dovranno essere portati avanti. Da questo punto di vista la riforma della leva si aggiunge alle poche priorità legislative che questo Governo indica.
Stiamo affrontando – l’ho fatto io come ministro del tesoro e ben più di me l’ha fatto l’onorevole D’Alema come Presidente del Consiglio – una delle questioni più gravi e più serie per il futuro del mondo: la questione del debito, che non è solo questione del debito ma della riduzione dei livelli di povertà in una parte, in particolare, del mondo, la quale rischia l’abbandono: l’abbandono alla miseria, l’abbandono alla malattia, l’abbandono alla civiltà.
L’Italia è uno dei paesi guida nella riduzione del debito rispetto a ciò che stanno facendo gli altri e che accade nelle istituzioni multinazionali. Ma l’Italia deve essere uno dei paesi guida nella collaborazione necessaria per ridurre la povertà, per modificare gli assetti locali, per far crescere una dirigenza locale in tanti paesi, che lavori per lo sviluppo di quei paesi. Non è che risorse siano necessariamente mancate o anche che risorse non siano state appropriatamente utilizzate!
C’è un problema generale che riguarda il mondo intero perché si tratta di miliardi di persone. Guardate nel futuro dei nostri figli: è impensabile che possano vivere in un mondo sereno se facendo parte – i nostri figli – di quella ristretta area di un miliardo di esseri umani che vive in condizioni di benessere, avranno intorno a sé cinque miliardi di poveri che non raggiungono livelli di vita sufficienti Non sarà una vita possibile né per gli uni né per gli altri!
Questo è un grande impegno che ci permetterà di affrontare in condizioni migliori un tema che tanto sta a cuore agli italiani e che è quello dell’immigrazione. Portare sviluppo, ridurre la povertà crea equilibri nel mondo e nel nostro paese perché quella dell’immigrazione è una pressione che è direttamente proporzionale alla miseria che lasciamo intorno a noi.

L’immigrazione – l’ho detto sin dall’inizio – è cosa diversa dalla criminalità e non vi sarà ricerca di voto in nessuna area del paese che mi farà cambiare opinione. Quando l’immigrato è qui perché cerca lavoro è come mio zio che andò a cercare lavoro in America e non accetterò che venga trattato come un criminale! So però che attraverso i canali che servono all’immigrazione entra anche criminalità e la criminalità va fermata. La criminalità dobbiamo essere in grado di combatterla, dobbiamo rendere visibile la lotta che facciamo! Troppe volte si viene a sapere di un delitto o di un crimine commesso magari da un immigrato clandestino, che io chiamerei un delinquente clandestino, e non immigrato clandestino. Troppo poco si sa - e io chiederò al ministro Bianco di farlo sapere di più – che nel 1999 hanno lasciato il territorio nazionale oltre 72 mila clandestini e non l’hanno lasciato spontaneamente, è stata l’azione di polizia che li ha portati fuori, 17 mila dei quali nel primo trimestre del 2000. Questi sono fatti che sono accaduti e che possono spiacere soltanto a chi non desidera che questo accada.

Occuparsi di queste cose è importante anche in vista, e sto finendo, della prossima Assemblea delle Nazioni Unite e pensando alla riforma delle Nazioni Unite.
Circolano molte idee sulla riforma delle Nazioni Unite; io, da Presidente del Consiglio del Governo italiano, se avrò la vostra fiducia, su questo tema sono in grado di fare un’unica constatazione: esiste il G7 e l’Italia ne fa parte; esiste il G10 e l’Italia ne fa parte; esiste il gruppo dei 20 e l’Italia ne fa parte.
Non può esistere un Consiglio di sicurezza di 24 paesi senza che l’Italia ne faccia parte. Questo non ha senso comune! Può non farne parte ad un’unica condizione che io sono pronto ad auspicare e ad assecondare: che ne faccia parte l’Europa, anche perché può essere ritenuto singolare che in un Consiglio chiamato di sicurezza non entri come tale un’Europa che si sta dando una politica di difesa e di sicurezza comune, ma questa è l’alternativa unica che io posso vedere.

Un’ultima considerazione: se è vero che i confini tra politica interna e politica estera sono sempre più labili, la politica, neppure essa, è più concepibile come dominio riservato dei Governi e, quindi, del nostro Governo.
In un mondo nel quale la coesione è un valore difficilissimo da realizzare, la prevenzione e la riduzione dei conflitti sono un’esigenza prioritaria alla quale tanti danno il contributo essenziale del loro lavoro e non soltanto i Governi. Penso alle religioni, penso al valore fondamentale che ha per il futuro della pace nel mondo il fatto che tante religioni diverse, anziché essere, come furono nei secoli fonte di guerra in nome di esclusivismi e di verità, cerchino oggi il terreno comune che unisce gli uomini e le donne di fede e lo cerchino nella pace e nella conciliazione.
Quello che ha fatto Sua Santità il Pontefice della Chiesa cattolica in questa grande prospettiva è il segno di quella mano in quel muro che ha pacificato duemila anni di storia difficile, questo è parte del tessuto che tiene il mondo internazionale!
Nel suo piccolo, il Governo della Repubblica può soltanto aprire i canali della politica estera ai tanti soggetti privati che con grande volontà di volontariato concorrono con la loro voce e con la loro opera a dare vita a rapporti internazionali migliori. L’Italia è dunque un paese che merita fiducia e che oggi ha bisogno di fiducia per affrontare un futuro largamente nuovo, dal quale avremo grandi benefici se avremo coraggio e se sapremo dispiegare al meglio le nostre energie.
Sono stati tanti i passaggi difficili della storia dai quali gli italiani sono usciti grazie all’impegno delle loro grandi qualità civili, al loro lavoro, alla loro intelligenza; lo hanno fatto quando il senso di una missione comune, di una prospettiva comune, ha prevalso sulle divisioni e sui particolarismi che sono il nostro mai rimosso peccato originale. Mi auguro con la vostra fiducia che sarà così anche questa volta.


2 maggio  2000
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