TINO BEDIN
I 100 anni della "Difesa del Popolo"
Il popolo e il paese diventano opinione pubblica
Il giornalismo professionale del settimanale diocesano di Padova


Per i cento anni del settimale diocesano, Tino Bedin commenta la svolta professionale della "Difesa del Popolo".

di Tino Bedin

Nel Teatro alle Vigne di Lecco si celebrano i cento anni del Resegone, il settimanale cattolico locale. Tra le iniziative di dialogo previste c'è la presentazione delle prime pagine dei settimanali diocesani italiani: un confronto contenutistico e grafico tra redazioni. Alla proiezione della prima pagina della Difesa del Popolo c'è un applauso spontaneo e prolungato, unico in quel pomeriggio dedicato al lavoro comune e non ai complimenti. Era il 1982. L'applauso era il riconoscimento del giornalismo professionale della Difesa ed insieme l'aspirazione di molti a fare la stessa strada, avendo nel settimanale diocesano di Padova l'indicazione sul percorso.
Noi della Difesa ne potevamo essere fieri, anche nella nostra regione, anche nella nostra città. Dieci anni prima, nel 1973, uno studioso padovano ci aveva dedicato qualche attenzione e molta incomprensione con il libro "Stampa di parrocchia nel Veneto". Non riprendo la polemica di allora con Mario Isnenghi, ricordo solo che quell'analisi era quanto meno datata, non corrispondeva alla realtà giornalistica della Difesa e neppure di altri settimanali cattolici veneti (cito solo la Vita del Popolo di Treviso e l'Amico del Popolo di Belluno), che singolarmente ed insieme avevano iniziato un'autentica rivoluzione prima culturale e poi organizzativa e quindi professionale.

Dallo scrivere al comunicare. La "rivoluzione" consisteva nel considerare il giornalismo nel settimanale diocesano come un lavoro: caratterizzato quindi da formazione, stabilità e retribuzione. "Saper scrivere" non è sufficiente: bisogna saper comunicare; i tempi del giornale non dipendono dalla disponibilità delle persone ma dai fatti: bisogna mettere le persone sui fatti; il volontariato a questo punto diventa aggiuntivo al lavoro retribuito che garantisce professionalità e attualità.
Erano concetti nuovi per la stragrande maggioranza della stampa cattolica italiana di allora. Oggi devono sembrare concetti ancora rivoluzionari alle centinaia di persone che sono utilizzate oggi da tutte le aziende editoriali italiane con una precarietà impensabile anche quarant'anni or sono.
Dalla metà degli anni Sessanta La Difesa del Popolo diretta da don Alfredo Contran aveva cominciato questo cambiamento professionale prima che aziendale.
Nella scelta del direttore non c'era (e non ci sarebbe mai stato neppure più tardi, per carattere e per formazione) un progetto di impresa. C'era e ci sarebbe stata sempre la convinzione che per fare opinione pubblica occorre fare un giornale vero e quindi avere propri giornalisti. Essere parte attiva dell'opinione pubblica rappresentando la realtà e la sua evoluzione era la nuova missione della Difesa; la sua informazione non doveva solo rassicurare e difendere i fedeli della messa domenicale, doveva principalmente arricchire la comunità civile padovana dei pensieri, delle volontà, delle preoccupazioni e delle speranze dei credenti. Davvero "stampa di parrocchia", non nel senso riduttivo utilizzato da Isnenghi, ma nel senso di amplificatore della voce del popolo e dei paesi fino a farla diventare opinione pubblica.

Un direttore conciliare. Don Contran non si era "inventato" questo nuovo indirizzo, anche perché non aveva una precedente esperienza giornalistica cui attingere. Da prete, cui il vescovo aveva chiesto di vivere la vocazione nel giornalismo, provava ad applicare il concilio Vaticano II dopo averlo raccontato, spiegato, riassunto per i suoi lettori. Il decreto conciliare "Inter mirifica", dedicato ai mezzi di informazione e pubblicato il 4 dicembre 1963, aveva chiesto: "Tutti si adoperino, anche mediante l'uso di questi strumenti, alla formazione e diffusione di rette opinioni pubbliche".
A meno di un anno dalla chiusura del Concilio, La Difesa del Popolo è tra i giornali diocesani che il 27 novembre 1966 danno vita alla Fisc, la Federazione italiana settimanali cattolici. All'interno della Fisc, sia a livello triveneto che nazionale, la Difesa è attivissima nel tradurre il concilio nel giornalismo. Frutto di questo impegno è il documento "L'opinione pubblica nella Chiesa", approvato dalla Fisc il 26 ottobre 1969. Il documento considera "elementi essenziali per il settimanale diocesano: il riconoscimento ed il rispetto del valore fondamentale dell'opinione pubblica; il suo attuarsi nella Chiesa locale; l'osservanza delle norme professionali e tecniche del giornalismo".

Il primo giornalista professionista. Nel dibattito regionale e nazionale la Difesa porta non solo le proprie idee, ma anche la propria esperienza appunto di professionalità giornalistica. Don Contran chiama al settimanale un suo ex allievo del liceo Tito Livio e gli propone di lavorare a tempo pieno come giornalista. È l'inizio della svolta: l'informazione è considerata un lavoro, il settimanale diocesano deve strutturarsi in modo da garantire degli stipendi.
La Difesa si dota di personale proprio e diventa una scuola di giornalismo. Altri ex allievi di don Contran sono chiamati ad integrare l'università con l'attività giornalistica continuativa e coordinata: i primi di una lunga serie sono Mariangela Ballo, Vanna Bonivento e Giuseppe Jori. Per tutti la prospettiva è di diventare giornalisti, iscritti all'Ordine professionale. Con loro iniziamo assieme al direttore o da soli a percorrere la diocesi, da Schievenin a Conche, da Barbona a Pianiga in cerca di persone da far diventare notizia.
Il cambiamento determina una qualità professionale tale che qualche anno dopo, l'Ordine dei giornalisti del Veneto in deroga alla legge nazionale sulla professionale giornalistica ammette il giornalista che lavora a tempo pieno alla Difesa all'esame per l'iscrizione all'Elenco dei giornalisti professionisti. Come documentazione della formazione necessaria per legge è ritenuto valido il "prodotto" che settimanalmente esce dalla redazione di via Dietro Duomo. È il primo caso in Italia.
Non è l'unico "primato" della Difesa nel campo della professionalità giornalistica. La prima suora italiana ad essere iscritta all'Ordine dei giornalisti è Paola Galetti, che si forma e scrive al settimanale diocesano di Padova. È un'altra componente dell'evoluzione professionale della Difesa: accanto ai laici, donne e uomini, che vi lavorano e vi scrivono come scelta professionale, sono numerosi i seminaristi, i giovani preti ed infine anche qualche religiosa, appunto come Paola Galetti, che si formano all'utilizzo dei mezzi di informazione come una delle modalità dell'evangelizzazione.
La strutturazione aziendale della Difesa è parallela a questa strutturazione professionale. Il settimanale diocesano la inizia negli anni Settanta e la completa negli anni Ottanta: è un altro capitolo, scritto assieme ad altri protagonisti, di cui qui mi limito a citare il titolo, in quanto legato alla professionalità giornalistica. Questa scelta sarà non solo importante per il settimanale diocesano ma esemplare per il sistema di mezzi di comunicazione sociale che fanno riferimento alla Chiesa padovana.

3 gennaio 2008


3 gennaio 2008
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