La Fisc, Federazione italiana settimanali cattolici, ha tenuto a Marina di Noto il suo annuale Corso di alta formazione giornalistica. Grazie all'organizzazione di mons. Alfio Inserra, direttore del settimanale diocesano di Siracusa, la Sicilia ha ospitato anche quest'anno oltre un centinaio di direttori, redattori e giornalisti dei settimanali diocesi, che hanno approfondito sia i contenuti dei loro giornali che le tecniche di comunicazione. In particolare, i direttori presenti hanno dibattuto sulle nuove sfide etiche (famiglia, aborto, bioetica, eutanasia. A conclusione della seconda sessione di questa sezione del Corso ha svolto un breve intervento il senatore Tino Bedin, già vicedirettore del settimanale diocesano "La Difesa del Popolo" di Padova e per molti anni docente al Corso siciliano della Fisc.
di Tino Bedin senatore e giornalista
I contenuti e lo stile della stampa diocesana sono elementi essenziali di quella professionalità giornalistica e editoriale che è tra i temi di approfondimento in questo tradizionale Master siciliano della Federazione italiana settimanali cattolici. Contenuti e stile servono a farsi leggere, ad assicurare diffusione ed autorevolezza ai settimanali diocesani. Lo ha ben riassunto il presidente del Giorgio Zucchelli tra le conclusioni della sessione odierna.
Per giornali di popolo, per giornali di parrocchia, i contenuti e lo stile sono anche molto di più: ne identificano la natura. Essere giornali di comunità significa descrivere la vita della comunità e adottarne i linguaggi.
Giornalista e politico: il riferimento nella comunità. In qualche misura questo "metodo" aiuta nelle scelte anche un cristiano laico impegnato in politica, quale sono attualmente. La possibilità di operare cristianamente in politica, non è un tema all'attenzione di questo Master a Noto, anche se in altre occasioni la Fisc vi ha riflettuto e certamente i settimanali diocesani hanno con regolarità occasione di riferirne. Mons. Alfio Inserra me ne ha però chiesto ragione e non mi sottraggo alla domanda, sia perché è posta con affetto e partecipazione, sia perché viene da un autentico personaggio della Fisc.
Il riferimento alla comunità cristiana è lo strumento che consente di tenere fede sia alla rappresentanza democratica di un eletto, sia alle ragioni dell'impegno politico. Cercare la sintonia con quello che pensa, spera e soffre la propria comunità è al tempo stesso un modo per esercitare effettivamente il mandato e dall'altro la condizione per sostenere le proprie ragioni all'interno sia del proprio partito che della coalizione politica cui si appartiene. In un sistema bipolare nessuna delle due coalizioni può permettersi di rifiutare settori di rappresentanza popolare: questo consente spazi di presenza per i cristiani politicamente impegnati.
Il caso più recente - ad esso anche la domanda di mons. Inserra ha fatto implicitamente riferimento - si è avuto con la legge sulla procreazione medicalmente assistita ed il successivo referendum. Pur essendo all'interno di uno schieramento politico che nella sua ampia maggioranza era contrario alla legge, o meglio ad alcune scelte in essa contenute, io sono intervenuto in aula a sostegno della legge, ho votato a favore e l'ho successivamente sostenuta.
Non si è trattato di un caso di "libertà di coscienza", ma di una scelta politica - condivisa con altri parlamentari del mio partito - in quanto ritenevamo di interpretare la nostra comunità di riferimento. In particolare, per quanto mi riguarda, l'univoca, documentata ed ampia informazione messa a disposizione dal settimanali diocesani italiani, non solo da "La Difesa del Popolo" di Padova, mi ha rassicurato che nella scelta politica non ero assolutamente solo. Il risultato del referendum ha confermato che - restando collegato con la comunità - mi era collegato con la maggioranza degli italiani.
La vita è l'opzione politica decisiva. Pur essendo il referendum ormai alle nostre spalle, una delle "materie" di questo master a Marina di Noto è "Le nuove sfide etiche (famiglia, aborto, bioetica, eutanasia). Vi leggo la consapevolezza che il tema della vita è destinato a fare notizia sulla stampa diocesana per molto tempo. Lo è stato anche in passato e quindi non sembra una novità.
La novità è nel ruolo che la vita ha oggi nella società italiana ed in generale nel mondo. La vita non è solo un valore personale, un riferimento etico: è un'opzione politica decisiva.
Questo approccio politico alle condizioni di difficoltà è stato una caratteristica del movimento cattolico italiano, di cui i settimanali diocesani sono stati contemporaneamente protagonisti e diffusori.
Molti dei nostri settimanali sono nati all'inizio del Novecento proprio per fare voce e costituire punto di riferimento nella battaglia dei cattolici per la questione sociale incentrata sulle condizioni economiche in particolare dei braccianti e dei fittavoli agricoli, nel tempo della loro trasformazione in operai. Non è un caso - e la circostanza è già stata ricordata in questa riflessione a Noto - che molti di questi settimanali abbiano il "popolo" come testata e programma: "La vita del popolo", "L'amico del popolo", "La difesa del popolo", "Il popolo", "La domenica del popolo" (che non c'è più) ed altri. Si tratta di giornali nati per rispondere a quella questione sociale.
Un'altra pattuglia dei nostri settimanali diocesi è nata negli anni Cinquanta del secolo scorso, quando il movimento cattolico aveva bisogno di voci e riferimenti per un'altra determinante questione sociale: la partecipazione democratica dei cittadini, la costruzione di istituzioni libere, l'affermarsi di corpi intermedi (l'associazionismo dei produttori, come quello dei lavoratori) in grado di evitare il totalitarismo delle istituzioni.
Credo che se un settimanale diocesano nascesse all'inizio di questo secolo, esso non potrebbe che essere voce e riferimento per la vita.
L'alleanza tra innovazione scientifica e pervasività del mercato. La vita è l'attuale "questione sociale". Come attorno alla questione sociale dell'economia e alla questione sociale della democrazia i cattolici hanno saputo affiancarsi ad altri uomini, di diversa ispirazione, a difesa dei beni primari costituita dal lavoro e dalla libertà, così oggi noi giornalisti cattolici, noi politici cristianamente ispirati abbiamo un ruolo da svolgere nell'affermazione della vita come valore politico. Lavoro e libertà, pace e giustizia, solidarietà e cultura vanno promossi non più come valori in se stessi ma come le condizioni che assicurano pienezza alla vita, a ciascuna vita.
La "questione antropologica" domina l'inizio del ventunesimo secolo ed è generalmente rappresentata come un grande conflitto di fede, di cultura, di civiltà tra la visione cristiana e quella laica dell'uomo e della vita. Questa rappresentazione è tuttavia inadeguata e soprattutto sorpassata.
Da questione etica la vita diventa questione sociale nel momento in cui l'uomo non è più solo padrone della morte (come lo è stato fin dall'inizio, da Caino ed Abele, guerra dopo guerra), ma diventa "padrone della vita". È in grado di costruirla, programmarla, modificarla.
Allo sviluppo potenzialmente illimitato dell'innovazione scientifica, si affianca la pervasività del mercato (e della sua cultura consumistica).
L'alleanza di queste due forze è in grado di "impadronirsi" delle persone e di farlo a livello planetario, come alcune forme di neocolonialismo veicolato dalle biotecnologie stanno dimostrando nel Sud del mondo.
Certo, si tratta solo di "titoli", ma già da soli bastano a definire la nuova questione sociale che è aperta attorno alla vita.
Conseguenze sull'informazione. La consapevolezza di questa sfida ha conseguenze dirette sulla nostra informazione, sull'informazione dei settimanali diocesani.
Mi limito a qualche esempio.
La Chiesa Padovana, la mia Chiesa locale, inaugura proprio in questo stesso fine-settimana "Casa Madre Teresa di Calcutta", un centro destinato ai malati di Alzeimer. La scelta della intitolazione di questa nuova struttura ne sottolinea il carattere di "carità"; così essa verrà probabilmente presentata dall'informazione locale. A me pare che si dovrà prevalentemente sottolineare la motivazione politica: cioè la valorizzazione di persone che hanno consumato alcune capacità, che sono una difficoltà per se stessi e per gli altri: continuano però ad essere persone, con le quali costruire percorsi di assistenza ma anche di condivisione e di ricerca per cercare di superare insieme la difficoltà.
I nostri settimanali sono poi tradizionalmente "aperti" al mondo; le realtà multilaterali, come le Nazioni Unite e l'Unione Europea, sono oggetto di attenzione e di informazione per i loro contenuti di pacificazione e di dialogo. Questa tradizionale attenzione ci pone oggi nella condizione di seguire anche altri aspetti dell'attività di queste istituzioni nelle quali prevale in tema di vita un approccio individualistica e ed economicista che si fonda sulla filosofia dei "diritti riproduttivi", filosofia spesso indiscutibile dell'Onu e dell'Ue in materia di famiglia e di natalità. Si tratta di un approccio che non ha prodotto sviluppo, che ha in alcuni casi impoverito intere società (specialmente là dove questa filosofia è stata poi gestita da enti economici e non politici, come è avvenuto in America latina), che divide l'Occidente dal una parte del mondo impoverito, come l'Africa.
Fornire ai lettori e quindi ai cittadini elementi di conoscenza e di controllo anche su questi aspetti è indispensabile per la stampa diocesana del nostro tempo.
La pace come condizione di vita. Quest'ultimo esempio - quello relativo alla "filosofia della vita" di alcune grandi istituzioni multilaterali - si presta bene ad introdurre un punto sul quale avete riflettuto: vanno bene tutte le alleanze in tema di vita?
Io credo di no. Se ci troviamo a dover mettere in discussione anche l'Onu e l'Europa, tanto più dobbiamo mettere in discussione gli "atei bigotti" che qui in Italia come in altre parti dell'Occidente brandiscono la fede che non hanno per chiamare allo scontro di civiltà.
La tentazione è forte. L'essere consapevolmente minoranza può determinare in noi cattolici una forte soddisfazione quando avvertiamo che altre culture affermano alcuni nostri valori. Ma nella società globalizzata della comunicazione il "messaggero è il messaggio". Se milioni di persone che, qui in Italia o nel mondo, "soffrono la vita" sentiranno senza distinzioni parole uguali sulla vita da chi è per la pace e da chi è per lo scontro, finiranno per non capire e quindi per rifiutare il dialogo che noi proponiamo.
E poi la negazione della guerra come strumento di confronto non è solo una scelta definitiva del cristianesimo; è una scelta politica fatta dagli europei; è una delle precondizioni - come ho già detto - per l'affermazione politica della vita.
23 settembre 2005
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