I contenuti sui quali l'Ulivo può proporre un suo progetto sociale e politico unitario e le modalità attraverso le quali questa proposta unitaria può essere costruita rappresentano probabilmente il tema di maggiore attualità nella politica italiana; non solo per gli ulivisti.
L'inadeguatezza della Destra non solo ad organizzare il futuro della società italiana ma più immediatamente a governare gli avvenimenti è ormai chiara anche a chi nel maggio di due anni fa ha ritenuto di tentare la sorte. Il "silenzio" dell'Italia nella tragedia della guerra e nella reazione del dopoguerra è la fotografia nitida di questa inadeguatezza. L'ammissione da parte della maggioranza dell'aumento dell'imposizione fiscale e del deficit pubblico (per cui si invocano ragioni di guerra a cui chiaramente nessuno crede) è la dichiarazione di resa del tremontismo e dei suoi invoca "spiriti vitali" da liberare.
A questo punto chi ha investito su Berlusconi è pronto a vendere le "azioni di Destra". Non si fida però a comprare "azioni dell'Ulivo". E non perché non creda al "prodotto" (la legislatura dell'Ulivo resta un buon riferimento), ma perché non si fida di un "consiglio di amministrazione" senza amministratore delegato e soprattutto con troppo proposte.
È un problema di comunicazione? Sì. Ma la comunicazione, nella società della comunicazione, è parte integrante della proposta politica. Non dico che è la politica: continuo infatti a sperare che il mezzo non sia tutto il messaggio. Tuttavia i comportamenti, le proposte, le decisioni cambiano sostanza politica a seconda di come vengono percepiti.
Perché molti sono sicuri che la presenza diretta di Romano Prodi darebbe all'Ulivo credibilità? Solo perché Prodi è bravo? O è perché la "comunicazione" innovativa dell'Ulivo nel 1995-96 fu di un soggetto unitario? L'Ulivo non creò entusiasmo o disponibilità perché comunicò qualcosa che l'Italia non aveva mai conosciuto, cioè l'unità delle sue culture più popolari?
È solo un problema di comunicazione? No. Anche se si riuscisse a convincere l'elettorato fluttuante che le diversità sono una risorsa, il problema resterebbe. Le troppe voci nell'Ulivo sono un problema per la tenuta della base dell'Ulivo. Un movimento che si fonda sul volontariato politico non può passare troppo tempo a giustificarsi al proprio interno e a giustificare i comportamenti comuni, pena il venir meno della speranza.
Le ragioni per cui l'Ulivo non ha vinto le elezioni del 2001 sono molte. Ne ricordo una, senza pretendere che sia stata quella determinante: è vero o no che se si fosse fatta un'alleanza vasta oggi non avremmo Berlusconi a capo del governo? e l'esasperazione per cinque anni positivi nell'azione ma quotidianamente intrisi di ostacoli interni non è stata forse determinante nel rassegnarsi a non dover ricercare a tutti i costi l'alleanza elettorale più vasta possibile?
L'esasperato confronto nell'Ulivo non solo non consente di essere appetibili per chi "investe" nella politica, ma rende insicuri i militanti e questo è ancora più dannoso: per le risorse umane di cui l'Ulivo potrebbe disporre e per il radicamento dell'Ulivo nella società.
Le radici dell'Ulivo non possono che essere le idee, visto che non sono né i soldi né un capo. Invece la convinzione - nei vari luoghi della politica, non solo a Roma - che la conflittualità sia una risorsa fa spesso dimenticare che il conflitto è positivo non in sé ma se crea un risultato che prima non c'era. Gli sforzi dovrebbero dunque essere spesi non nel conflitto ma nella sintesi. Quante volte questo avviene? Dove avviene?
Prendiamo il tema politico radicale della nostra vita: la pace, la guerra, la ragion di stato. L'Ulivo è uscito dalla guerra in Iraq esattamente come ci era entrato, con le stesse divisioni, ma soprattutto con le idee che ciascuno aveva prima. Eppure momenti di sintesi c'era stati; la tragedia aveva dato ragioni nuove e condivise sulla pace, sulla guerra, sull'Onu, sull'Europa. Quelle ragioni non sono diventate un patrimonio stabile dell'Ulivo. "Liberato" l'Iraq, non abbiamo così più niente da dire a Tony Blair. Anzi a qualcuno nell'Ulivo pare di aver bisogno proprio di Tony Blair...
Prendiamo il tema sociale radicale della nostra democrazia: la scuola, la formazione, la pari opportunità di tutti i giovani cittadini della nostra Repubblica. In Veneto l'Ulivo si è diviso su un referendum che riguardava la scuola. Lo scontro è servito a dire qualcosa di nuovo, a pensare insieme qualcosa di nuovo? Si è costruita una nuova piattaforma di dialogo e di confronto con il sistema formativo pubblico non statale, così radicato nella società veneta?
L'Ulivo ha la ventura di essere all'opposizione. C'è chi la vive come assenza di governo. C'è chi la adopera come libertà per la propria identità. Può essere il tempo in cui nasce il futuro, perché si costruisce un'identità nuova. Per esempio: ad ottant'anni dalla nascita di don Lorenzo Milani vogliamo tentare di andare come Ulivo sui banchi della scuola di Barbiana, che era la scuola del prete ma era democratica?