TINO BEDIN

Lettera dal Senato. 67 /16 marzo 2003
Il Senato approva definitivamente la delega al governo

Per i ragazzi italiani
la più corta scuola di base
La legge Moratti spezza la formazione unitaria iniziata con Luigi Gui

di Tino Bedin

Strascinandosela una settimana in più del previsto, con una maggioranza che solo a sprazzi aveva i numeri sufficienti in Aula, il Senato ha approvato definitivamente il 12 marzo scorso la delega al governo sulla scuola. Il presidente del Consiglio l'ha definita una riforma fondamentale: "Dopo la riforma Gentile del 1923 è la prima riforma organica della scuola". Evidentemente non si è accorto della scuola che hanno fatto i suoi figli.
Neanche lui ha però nascosto i problemi finanziari e ha detto: "Intendiamo applicare la riforma Moratti gradualmente, a seconda della disponibilità di bilancio. I parametri di Maastricht non ci danno quella capacità di spesa che ci consentirebbe di dar vita alla riforma già dal prossimo anno. Garantisco al ministro Moratti la mia pressione sul ministro dell'Economia per quei fondi che sono stati promessi e che dipendono dall'andamento dell'economia italiana, ma anche europea".
Dunque per Berlusconi è colpa dell'Europa se l'Italia non può applicare subito la riforma della scuola, non del governo italiano che continua a distogliere risorse da questo settore. Ma a questo scarico di responsabilità siamo abituati.

Si ripristina la divisione sociale. La cosa più grave è che voglia far passare come la prima grande riforma dopo quella di Gentile del 1923 questa legge che ripristina la scelta del futuro dei giovani a 13 anni, dando loro due strade: per i più dotati (di testa e di tasca, ma soprattutto di tasca), ben otto licei; per i figli del popolo l'avviamento professionale tipo quello che avevamo nel dopoguerra. Subito dopo la scuola di base, ridotta a otto anni (nessun paese civile ce l'ha così corta), si vuole spezzare la formazione unitaria degli alunni, ripristinando quella divisione in caste culturali ed economiche che tutti i governi di centro sinistra avevano voluto combattere.
La scuola media unica, voluta dal padovano ministro della pubblica istruzione Luigi Gui e varata sotto il governo Fanfani nel 1964, è stata - quella sì - la prima grande riforma dopo il 1923. Aveva creato una scuola uguale per tutti fino a 13 anni, e aveva introdotto via via strumenti di aiuto e sostegno, grazie al contributo delle comunità locali, per gli alunni più svantaggiati. Era una scuola che non aveva fretta di insegnare un lavoro, ma mandava i ragazzi a lavorare con sufficiente cultura per difendere se stessi. Proprio perché era una riforma, fu contrastata, tanto che nel 1967 don Lorenzo Milani e i suoi ragazzi di Barbiana scrissero quella "Lettera ad una professoressa", cui migliaia di insegnanti risposero con il loro lavoro.
I governi successivi hanno spostato più in là l'obbligo, con l'obiettivo di agganciarsi al livello di europeo di dieci anni di istruzione obbligatoria fino al quindicesimo anno di età. Noi adesso avremo un obbligo di otto anni fino al tredicesimo anno di età.

Quell'obbligo della Repubblica. Letizia Moratti ha aggiunto un'altra cosa gravissima: "Abbiamo introdotto il concetto di diritto-dovere all'istruzione per 12 anni e non per 9 anni come era prima. Si tratta di un diritto delle famiglie ed è dovere dello Stato garantire ciò. É un superamento della precedente legge sull'obbligo". Ricordo che la parola "obbligo" sta scritta nella Costituzione e vale non solo per gli individui, ma per lo Stato, le Regioni, i Comuni, tutte le strutture pubbliche, obbligate a corrispondere al diritto-dovere di istruirsi degli individui. Perfino il Sole 24 Ore, che il giorno dopo l'approvazione della legge ha pubblicato uno speciale di quattro pagine intitolato "L'istruzione volta pagina dopo 80 anni", ha riconosciuto che "in un mondo che, come risorsa produttiva, mette ormai al primo posto il sapere, può sembrare masochistico, se non suicida, ridurre anziché estendere l'obbligo". Può essere l'inizio di una "Lettera a una ministra" che alunni e professoresse insieme scriveranno presto.

Tino Bedin

Padova, 16 marzo 2003

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17 marzo 2003
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