Dibattito promosso dalla Sinistra Giovanile a Piove di Sacco Identità e patrimonio di un popolo trasformati in "cassa" del governo
I rischi per i beni culturali ed ambientati con il loro trasferimento alla Patrimonio Spa e alla Infrastrutture Spa
La Sinistra Giovanile di Piove di Sacco ha organizzato lunedì 10 febbraio 2003 un incontro pubblico per richiamare l'attenzione sui rischi che corre la salvaguardia del patrimonio culturale ed ambientale italiano con le nuove leggi approvate dalla Destra. Tra il relatori il senatore Tino Bedin, che per l'occasione ha approntato una scheda riassuntiva che pubblichiamo. Il testo riprende analisi e valutazioni di studiosi e commentatori.
scheda a cura di Tino Bedin
C'è una tecnica che il governo Berlusconi applica costantemente, sia che si tratti di guerra che di beni culturali, di pensioni che di giustizia. Fa una cosa, afferma esattamente il contrario; se è proprio smascherato, fa una leggera retromarcia, pochi mesi dopo fa un nuovo passo nella stessa direzione.
In merito al patrimonio pubblico culturale ed ambientale la tecnica di questi mesi è stata esattamente questa. La legge del giugno 2002, che è quella più grave viene sempre ridotta a poca cosa dagli esponenti del governo: "Non vorrete mica che vendiamo il Colosseo!?". Con questa domanda fintamente meravigliata, pensano di aver messo a tacere le domande che non solo in Italia ma nel mondo ci si sta ponendo sul destino dei beni culturali.
E sono domande preoccupate: non tanto per il Colosseo, ma per l'insieme dei beni culturali ed ambientali italiani (che è come dire del volto vero dell'Italia), per i quali la Destra ha costruito una nuova cornice giuridica.
Cambiata la cornice giuridica di salvaguardia. Cesare Romiti non è come vocazione né un ambientalista, né un ulivista; la sua è una storia industriale. Ecco una sua lettera aperta dell'ottobre scorso al presidente del Consiglio, in riferimento alla legge di giugno: "Il provvedimento ha rimosso di fatto la garanzia giuridica, lasciando sul campo soltanto quella politica, per sua natura effimera. Ogni rassicurazione si scontra inoltre con lo spirito stesso della legge, che crea un pragmatico strumento di capitalizzazione con evidenti e dichiarate finalità economiche. Come Lei ben sa, gli obiettivi di generare risorse finanziarie sono tanto più raggiungibili quanto maggiore è il pregio dei beni apportati. Appare perciò legittimo interrogarsi sul destino di quelli culturali e artistici, certamente a più alto valore aggiunto".
Il cambiamento della cornice giuridica di salvaguardia e valorizzazione dei beni culturali è avvenuto progressivamente in meno di due anni di governo della Desta, con la tecnica che ho ricordata all'inizio.
Ecco le date ed i fatti di questa trasformazione.
Settembre 2001: la ricognizione del patrimonio.
Si comincia col decreto legge 351 del 25 settembre 2001 (poi convertito in legge 23 novembre 2001, n. 410), che prescrive la ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico, autorizzando il ministro dell'Economia e delle finanze a costituire una o più società a responsabilità limitata allo scopo di realizzare operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti pubblici.
Sembra un'operazione tecnica. Vedremo più avanti che è la premessa di un disegno ben preciso.
Finanziaria per il 2002: la tutela separata dalla gestione. Poi viene la Finanziaria per il 2002, con la facoltà di concedere in gestione parchi e musei ai privati.
Non è solo per ragioni di etica istituzionale, ma anche per ragioni squisitamente economiche e gestionali che questo divorzio affrettato della gestione dalla tutela può risolversi in un disastro. Separare "tutela" da "gestione", infatti, vuol dire in concreto mettere da una parte le perdite (le spese di tutela), e dall'altra parte i potenziali profitti (la gestione). Ovviamente, lo Stato si farà interamente carico delle perdite, e ogni possibile profitto verrà assegnato ai privati. Eppure, proprio in una logica d'impresa, molto più logico sarebbe generare profitti dove è possibile, e poi spenderli a coprire le perdite: se per esempio il Colosseo è capace di attirare grandi flussi di visitatori, i ricavi potranno esser spesi per la tutela di monumenti meno noti e per renderli visitabili. Si allargherebbero così al tempo stesso sia la conoscenza del patrimonio che le potenzialità del "mercato" ampliando il numero dei monumenti visitabili; si innescherebbe un circolo virtuoso, le cui conseguenze non potrebbero che essere positive. Nulla di tutto ciò accadrà se musei e monumenti verranno dati in gestione a imprese private.
Aprile 2002: il decreto Tremonti.
E si arriva al "decreto Tremonti" del 15 aprile 2002 sulla Patrimonio S.p.a. Il governo annuncia una radicalizzazione delle misure di dismissione del patrimonio statale.
Il decreto prevede (articoli 7 e 8) la possibilità di cedere la totalità del patrimonio dello Stato a due società per azioni create per l'occasione, la "Patrimonio dello Stato spa" e la "Infrastrutture spa". Il patrimonio cedibile include tutti i parchi nazionali, tutte le nostre coste, tutti gli edifici storici di proprietà statale (compresi Palazzo Chigi o Montecitorio), tutti i monumenti, musei, archivi, biblioteche dello Stato, tutte le proprietà demaniali; per un valore complessivo calcolato, secondo una dichiarazione del ministro Tremonti, in 2000 miliardi di euro.
Passare il patrimonio dello Stato a una Spa che si chiama "Patrimonio dello Stato" poteva sembrare un innocuo gioco di parole, o una partita di giro che di fatto lascia le cose come sono. Un'attenta lettura del decreto ha destato subito ben altri allarmi.
Tanto per cominciare, la "Patrimonio dello Stato spa" è istituita "per la valorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio dello Stato" (art. 7). A essa possono essere trasferiti tutti "i beni immobili facenti parte del patrimonio disponibile e indisponibile dello Stato", nonché tutti i beni del demanio.
Tutto ciò può poi essere ulteriormente trasferito in proprietà, con decreto del ministro dell'Economia, all'altra società per azioni, la "Infrastrutture spa", aperta anche al capitale privato. L'interazione fra le due Spa è pensata come un gigantesco fondo immobiliare, che potrà essere controllato mediante pacchetti azionari, ma anche venduto o dato in affitto.
E i beni immobiliari che fanno parte del patrimonio culturale? Sono anch'essi soggetti all'identico regime, con la sola differenza che il trasferimento della proprietà in questo caso avverrebbe "d'intesa con il ministro per i Beni e le attività culturali". Insomma, secondo il dettato del decreto, per vendere il Colosseo occorreranno (magra consolazione) due firme invece di una; ma sempre per decreto e senza alcun altro controllo.
I piccoli ritocchi fatto in Parlamento.
Anche nel caso del decreto Tremonti (come era accaduto pochi mesi prima per la Finanziaria 2002), alle generali proteste sono seguiti alcuni pentimenti dell'ultima ora, che hanno comportato modifiche all'atto della conversione in legge. Le più importanti modifiche sono state tre.
1) Si è aggiunto che l'istituzione della Patrimonio dello Stato spa doveva esser fatta "nel rispetto dei requisiti e delle finalità proprie dei beni pubblici" (art. 7, comma 1).
2) Anziché lasciare l'intero funzionamento della Spa nelle sole mani del ministro dell'Economia, si è aggiunto (art. 7, comma 4) che le sue direttive strategiche devono basarsi su "direttive di massima" elaborate dal Cipe (Comitato interministeriale per la Programmazione economica).
3) Si è aggiunto all'articolo 7 il comma 12?bis col quale si prescrive che il conto consuntivo della "Patrimonio dello Stato spa" deve essere allegato ogni anno al rendiconto generale dello Stato (dunque passare per la Corte dei Conti).
Tutte queste modifiche sono positive, nel senso che richiamano seppur vagamente il carattere di bene pubblico del patrimonio dello Stato (la prima), delimitano l'arbitrio di un solo ministro (la seconda) e legano più strettamente allo Stato una società che potenzialmente allo Stato può togliere tutto il suo patrimonio immobiliare.
La trappola del pagamento dell'affitto.
Gli emendamenti al decreto Tremonti all'atto della conversione in legge non sono stati però tutti migliorativi. Una disposizione, di cui non c'era traccia nella versione iniziale, è particolarmente insidiosa. Si tratta del comma 10 bis dell'articolo 7. Esso dice che per gli immobili demaniali sinora concessi in uso gratuito a tutte le amministrazioni dello Stato il ministro dell'Economia, con suo semplice decreto, può stabilire la misura di un "canone d'uso" (leggi affitto), fissato, sempre dal ministro, sulla base dei "prezzi di mercato dei beni medesimi".
Chi sono le "amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo" che secondo il comma 10 bis dovranno pagare l'affitto? Sono le prefetture, i carabinieri, i tribunali, le università, le scuole, le soprintendenze. Migliaia di scuole, caserme, musei, tribunali, università sono, su tutto il territorio nazionale, ospitati da sempre, a titolo perpetuo e gratuito, in fabbricati di proprietà demaniale. In altri termini, lo Stato funziona mediante le proprie strutture ospitandole in edifici di sua proprietà. Sembrerebbe logico, ma da ora in poi, minaccia la nuova legge, non sarà più così.
Lo Stato si sdoppia, divorzia da se stesso, paga a se stesso l'affitto, naturalmente secondo i prezzi di mercato.
Ma quali sono i prezzi di mercato degli Uffizi, di Brera, del Pantheon? Si calcoleranno in base al loro uso presente, o a potenziali trasformazioni in condomini, discoteche, garages?
E come faranno le amministrazioni a pagare gli affitti? Se dovessero farlo sul loro bilancio attuale, il loro tracollo (cioè il tracollo dello Stato) sarebbe dietro l'angolo; ma il quadro di riferimento di questa nuova norma (e cioè la Finanziaria 2000) prevede che le amministrazioni pubbliche a cui fosse richiesto l'affitto dovranno previamente ricevere in bilancio le cifre corrispondenti. Si tratta dunque di una semplice partita di giro? Soldi dello Stato che lo Stato riversa a se stesso? Ma allora, con che scopo?
E che cosa accadrà fra cinque, dieci, vent'anni? I canoni verranno certo aggiornati sui prezzi di mercato, ma che garanzia c'è che lo siano anche le entrate delle amministrazioni dello Stato? E se non lo saranno, si andrà allo sfratto?
Di più: se dovessero esserci nel futuro sensibili tagli di bilancio, visto che gli affitti dovranno seguire i prezzi di mercato e che musei e biblioteche non possono certo privarsi delle proprie sedi, è ovvio che ogni taglio andrebbe a pesare sulle altre attività delle singole amministrazioni, paralizzandole.
In questo caso come in altri, la nuova norma innesca un meccanismo a orologeria, le cui conseguenze più devastanti non sono di oggi, ma di domani o dopodomani. Perciò pochi protestano: ma davvero non c'è nessuno in questo Paese che sappia responsabilmente preoccuparsi di ciò che l'applicazione delle leggi di oggi può provocare fra due, cinque, otto anni?
Soldi freschi dai beni culturali alla Infrastrutture spa.
Ma non bisognerà aspettare anni per vedere i danni. Se gli affitti sono dovuti al demanio, in base allo stesso articolo 7 il patrimonio demaniale può essere trasferito alla "Patrimonio spa.", e da questa alle "Infrastrutture spa.", aperta al capitale privato. È chiaro che gli affitti pagati da caserme, tribunali, scuole e musei seguiranno gradualmente la stessa strada: lo Stato li pagherà dapprima al proprio demanio, poi alla "Patrimonio spa.", e infine alla "Infrastrutture spa", che a sua volta potrebbe vendere gli immobili relativi e/o usarli a garanzia di obbligazioni bancarie con la tecnica della cartolarizzazione.
L'effetto ultimo del nuovo marchingegno legislativo, lasciato interamente all'arbitrio del ministro dell'Economia e sottratto a ogni ulteriore controllo, sarà dunque di dirottare cospicui fondi dal bilancio dello Stato all'apparato societario delle due nuove Spa, ed eventualmente a banche e privati; insomma, di sottrarre risorse al bilancio pubblico per trasferirle in modo più o meno graduale a strutture di tipo privatistico meglio private.
Sul fronte dei beni culturali, questo spostamento di risorse comporterà fatalmente una spinta perversa a monetizzare il "valore d'uso" di musei e gallerie confrontando le spese d'affitto ai magri ricavi. Facilissima previsione, si dirà sempre più spesso non solo "sgombriamo i magazzini" (magari per affittarli?), ma anche "chiudiamo i piccoli musei" (magari per venderli), come i rami secchi di una ferrovia minore. Non mancherà poi chi con aria efficiente verrà a dirci: il tale museo costa due milioni di curo, ne rende mezzo, dunque è ovvio che va chiuso, ridimensionato.
Come funziona la cartolarizzazione.
Ma che cosa accadrà se la legge verrà sistematicamente applicata? La "cartolarizzazione" funziona così: la Infrastrutture spa emette obbligazioni e le colloca presso il sistema bancario, garantendone il valore mediante beni pubblici posti in vendita a prezzi inferiori (fino al 50 per cento) ai prezzi di mercato. Il termine di rimborso di questi titoli varia da uno a tre anni; in caso di mancata vendita entro quel termine, gli immobili dati in garanzia passano in proprietà delle banche.
Mentre la Patrimonio spa ha, almeno in apparenza, il compito di una miglior gestione degli immobili di proprietà dello Stato, la Infrastrutture spa, a cui tutto il patrimonio, lo ricordiamo, può essere trasferito con decreto del ministro dell'Economia, ha l'obiettivo di vendere i beni pubblici allo scopo di finanziare le opere pubbliche. Fra il patrimonio che può essere oggetto di questa serie di passaggi di mano, fino all'acquirente o alle banche, sono esplicitamente inseriti i beni culturali: cioè, essi non passano solo alla Patrimonio spa, ma di qui possono passare alla Infrastrutture spa, ricadendo nel meccanismo di vendite e garanzie bancarie.
Discorso di cortissimo respiro, perché se pure dovesse produrre, fra guasti e disastri irreparabili, un qualche introito per lo spazio di pochi anni, deprezzerebbe il nostro patrimonio culturale nel suo complesso, togliendogli attrattiva e competitività anche (per esempio) rispetto ai turisti italiani e stranieri.
La preoccupazione del presidente Ciampi.
Il patrimonio culturale italiano non è mai stato tanto minacciato quanto oggi, nemmeno durante guerre e invasioni: perché oggi la minaccia viene dall'interno dello Stato, le cannonate dalle pagine della Gazzetta Ufficiale.
Al punto che il fatto più rilevante, dopo l'approvazione della legge, è stata la lettera che il Capo dello Stato ha scritto al Presidente del Consiglio lo stesso giorno della promulgazione della legge (15 giugno 2002): una lettera che è un severo richiamo, carico di senso istituzionale, alla necessità che la valorizzazione affidata alla Patrimonio spa sia coerente non solo con principi di economicità e di redditività, ma anche con il rigoroso rispetto dei valori che attengono alle finalità dei beni pubblici, intese alla luce dei principi costituzionali che riguardano la tutela dei predetti beni, e in primo luogo di quelli culturali e ambientali, che costituiscono identità e patrimonio comune di tutto il Paese.
Ciampi continua auspicando che il governo "traduca tempestivamente in disposizioni operative" l'ordine del giorno Vizzini, approvato dal Senato e accolto dal governo, con cui "si impegna l'esecutivo ad assicurare particolari garanzie per la gestione di tutti i beni di interesse culturale e ambientale"; aggiunge infine che i beni da trasferirsi alla Infrastrutture spa non possono che essere beni alienabili, "il che porta implicitamente ad escludere tutti i principali beni pubblici, ei quali appare necessario preservare l'indisponibilità".
Berlusconi tredici giorni dopo (il 28 giugno) ha scritto in risposta una lettera, anch'essa ampiamente riportata dai media, nella quale dichiara di condividere tutte le osservazioni del presidente della Repubblica, e assicura "che la nuova normativa postula il mantenimento di tutte le garanzie che la legislazione vigente prevede per il demanio e per il patrimonio indisponibile", che "il ruolo del ministero per i Beni e le attività culturali rimane integro e intangibile", e così via. Insomma, tutto a posto e niente da cambiare, anzi è da " escludere ogni ulteriore intervento normativo".
Una nota giuridica in appendice alla lettera precisa che la Patrimonio spa si occuperà di "crediti, concessioni, beni immateriali, terreni e immobili di non particolare pregio". Curiosa affermazione che ha tutto l'aspetto di una bugia, visto che dice esattamente il rovescio di quello che è scritto nella legge che dovrebbe commentare, e cioè, lo ripetiamo, che "il trasferimento di beni di particolare valore artistico e storico è effettuato d'intesa col Ministro per i Beni e le Attività Culturali" (art. 7, comma 10).
Nel Dpef per il 2003 il finto modello tedesco.
Torniamo a seguire il calendario dell'attacco al patrimonio culturale. Secondo il Dpef per il 2003, il meccanismo per il finanziamento delle infrastrutture immaginato da Tremonti sarebbe analogo a quello della KfW (Kreditanstaltfur Wiederanibau) di Francoforte, ma gli amministratori della società tedesca hanno fatto sapere che non c'e nulla in comune fra il suo funzionamento e quello delle Spa introdotte in Italia; un ampio articolo sulla "Frankfurter Allgemeine Zeitung" dimostra l'equivoco, e sostiene fin dal titolo che "Tremonti prende la tedesca KfW come scusa per aumentare il deficit italiano".
In effetti il governo Berlusconi sta danneggiando fortemente il bilancio pubblico. C'è comunque bisogno dei soldi dle patrimonio pubblico per realizzare le infrastrutture? Dipende dalle priorità: se - come è successo - prima si fanno leggi che comportano esborsi e mancati introiti per soddisfare le esigenze di pochi, è chiaro che poi i soldi non bastano. Ma siccome le promesse elettorali, compresa la lezione alla lavagna del "maestro" Berlusconi con il "bidello" Lunardi in tv, la gente se le ricorda, una qualche risposta bisogna darla.
Luglio 2002: una delega totale al governo.
Intanto, il parlamento ha approvato una nuova legge (n. 137 del 6 luglio 2002) che delega il governo a riordinare fra l'altro tutta la materia dei beni culturali.
Ricordo che su questa materia è stato da poco redatto il Testo Unico dei Beni culturali (D.L. 490/1999), che ha assorbito e confermato i punti essenziali delle leggi precedenti, in particolare la legge del 1939. Ma già nel dicembre 2001 il ministro Urbani ha nominato per la revisione del Testo Unico una commissione di funzionari, presieduta da Gaetano Trotta (Consiglio di Stato); il nuovo testo, ultimato nel luglio 2002, non è stato ancora reso pubblico. Con la legge del luglio scorso il testo proposto dalla commissione Trotta potrebbe essere immediatamente adottato con procedura abbreviata, senza discussione nelle aule del parlamento, ma solo nelle relative commissioni.
Ora, che senso ha una legge-delega a codificare in materia di beni culturali a tre anni dalla redazione di un Testo Unico, se non c'è il programma di modificarlo in modo sostanziale?
L'articolo 10 della legge 137/2002 prevede in particolare un'amplissima delega al governo "per il riassetto e la codificazione in materia di beni culturali", in particolare mediante "la codificazione delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali". Uno dei principi già stabiliti prescrive di "aggiornare gli strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali", mediante il ricorso a fondazioni, accordi fra Stato, regioni e privati, il tutto "senza determinare ulteriori restrizioni alla proprietà privata".
Agosto 2002: ecco a cosa serviva il censimento.
Passiamo ad un'altra data. La Gazzetta Ufficiale ha pubblicato il 6 agosto 2002, in un amplissimo Supplemento, un elenco di beni di proprietà pubblica dei quali viene dichiarato il valore in moneta. Alcuni media ne hanno dedotto che i beni elencati fossero immediatamente offerti in vendita, ironizzando sui "prezzi", spesso ridicolmente bassi perché calcolati sulla base di valori catastali non aggiornati. In realtà, l'elenco è stato emanato dall'Agenzia del Demanio in applicazione di una legge anteriore a quella sulla Patrimonio spa, e cioè della legge del 23 novembre 2001, n. 410, che dispone una (peraltro doverosa) "ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico", ma già in funzione della sua privatizzazione e di operazioni di cartolarizzazione (art. 2). Le norme si applicano sia al patrimonio demaniale sia a quello indisponibile e disponibile; ma "l'inclusione nei decreti produce il passaggio dei beni al patrimonio disponibile" (art. 3, comma 1): di fatto, un bene demaniale di valore artistico può in tal modo perdere per decreto entrambe le caratteristiche e diventare disponibile alla vendita.
L'elenco pubblicato dal Demanio, in quanto pubblicato dopo la legge sulla Patrimonio spa (che pure non vi è richiamata) vale di fatto come una prima ricognizione del patrimonio non solo ai più che legittimi fini conoscitivi, ma anche in preparazione delle successive operazioni di trasferimento alla Patrimonio spa e di qui alla Infrastrutture spa, secondo il meccanismo che abbiamo visto.
Insomma, i media hanno forse esagerato a presentare quegli elenchi come la lista della spesa, da cui tutti potremmo comprarci il nostro sito archeologico, la nostra spiaggia, la nostra isola; ma non sarebbe sbagliato definirli il menu dal quale il ministro dell'Economia è chiamato a scegliere (d'intesa col ministro dei Beni culturali) ciò che gli pare più adatto a esser messo sul mercato. Si giustificano dunque, nonostante qualche imprecisione, i commenti della stampa straniera.
Si vede come le regole stabilite producano effetti, indipendentemente dalla smentite del governo.
Dicembre 2002: Tremonti vende anche senza aspettare la Patrimonio spa.
Per smorzare le polemiche sulle cartolarizzazioni, a metà novembre il ministro Giuliano Urbani aveva dichiarato: "Al massimo posso pensare di dare in garanzia la biglietteria di Pompei, non certo gli scavi. Principi che, a scanso di equivoci, ribadirò già nel primo articolo dei Codice dei beni culturali che stiamo preparando".
Ma passa poco più di un mese ed ecco un fatto, non parole. La strada delle due società Patrimonio spa e Infrastrutture spa non è la sola seguita dal ministro Tremonti per le alienazioni.
Nel decreto 24 dicembre 2002, il cosiddetto decreto di fine anno, il ministro ha provveduto a vendere alla società Fintecna spa una serie di beni di proprietà dello Stato al fine di rientrare nei parametri europei sull'indebitamento. A parte l'aspetto di giocoliere contabile per la sostanza del provvedimento, ricordo che sono stati venduti immobili di particolare valore culturale, che costituivano il patrimonio dell'Ente Tabacchi e che sono esempi di archeologia industriale tutelati dai beni culturali.
Adesso per questi lo Stato paga l'affitto.
Gennaio 2003: copertura dell'Alta velocità.
Un mese dopo il 24 gennaio ecco una prima applicazione del meccanismo della legge di giugno 2002.
L'Alta velocità esce dal guado e trova un nuovo piano di finanziamento centrato sulla "copertura integrale" di Infrastrutture Spa (Ispa). La società voluta da Giulio Tremonti per finanziare le grandi opere coprirà - con un patrimonio separato - 24.703 dei 28.790 milioni di di costo delle linee Torino-Milano-Napoli, facendosi carico dell'intero finanziamento del progetto (quota statale più quota di mercato) a partire dal 1^ gennaio 2003 ed erogando già quest'anno un mutuo di 3.104 milioni a Rfi/Tav, cui seguiranno finanziamenti per 4.028 milioni nel 2004, 4.893 milioni nel 2005, 3.942 milioni nel 2006. Si potrà evitare così il rallentamento degli investimenti nel momento in cui si avviano a toccare il picco massimo.
Il debito di Rfi/Tav verso Ispa - su cui si ipotizza l'applicazione di un tasso d'interesse del 5,65% annuo - sarà ripagato con un "canone di esercizio" versato a Ispa a partire dal 2009 fino al 2043: in tutto 64.469 milioni, cui vanno aggiunti costi operativi e imposte, coperti per 48.576 milioni dai ricavi provenienti dal traffico ferroviario e per 30.670 milioni dal "contributo integrativo" dello Stato previsto dall'articolo 75 della Finanziaria 2003.
Ma il ministro Lunardi ha aggiunto alcune osservazioni critiche. Per quel che ci riguarda un punto critico dell'istruttoria del ministero delle Infrastrutture riguarda le previsioni di traffico, che, nonostante l'ulteriore esame fatto con l'advisor Steer Davis Gleave, risultano "plausibili ma ottimistici" per il segmento passeggeri, "senz'altro ottimistici" per quello merci. Ipotesi di traffico che, nel caso si rivelassero infondate, potrebbero portare all'esercizio della garanzia statale di ultima istanza anche sulla quota di finanziamento a carico di Ispa, riportando così in futuro al di sopra della linea del debito pubblico quel che Tremonti, la Finanziaria 2003 e gli attuali modelli spostano al di sotto di quella linea.
Insomma lo sforzo che si chiede al bilancio statale non è annullato, ma spostato in avanti, dal 2009 in poi.
Se moltiplicassimo questo meccanismo per tutte le opere del piano, consolideremmo uno stock sotterrato di debito pubblico gigantesco. Cosa che si scaricherebbe sulle future generazioni e non avrebbe il via libera di Bruxelles.
E se a quel punto l'Unione Europea chiederà il rispetto dei patti, si provvederà a ritornare sotto la linea vendendo il patrimonio?
Il dettato costituzionale. Uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione (art. 9) stabilisce che "la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione". Secondo un'importante sentenza della Corte costituzionale (15/1/I986), l'art. 9 della Costituzione sancisce "la primarietà del valore estetico-culturale", che non può essere "subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici", e pertanto dev'essere esso stesso "capace di influire profondamente sull'ordine economico-sociale". Precisamente il contrario della ratio politica e giuridica della legge sulla Patrimonio spa con quel che segue; una legge che capovolge uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione per trasformare i beni culturali in una mera riserva di risorse economiche.
Sappiamo bene che i monumenti-simbolo non saranno in nessun caso i primi a essere messi in vendita, ma il punto non è questo: chi ha scritto "ora, dopo la nuova legge, sarebbe possibile vendere perfino il Colosseo" non faceva una battuta, diceva la verità. E la verità è che fino a ieri tutto il patrimonio artistico era per legge rigorosamente inalienabile, e che con la nuova legge può passare in mano alle due Spa e/o essere alienato.
Compromessi il volto dell'Italia, la sua identità.
Anche perché la vera unicità dell'Italia non è in una lista più o meno lunga di isolate opere "alte" da salvare a ogni costo nel generale sfacelo, ma nel prodigioso continuum fra le opere "alte" e il tessuto connettivo delle città che le ospitano, nel rapporto fra patrimonio evidente e patrimonio latente. Questa unicità italiana è anzi la carta vincente rispetto a ogni altro Paese, e dunque ha una notevolissima rilevanza economica.
Ecco cosa dice un imprenditore non certo vicino all'Ulivo; è sempre Cesare Romiti nella sua lettera aperta a Berlusconi.
"Rivitalizzare in nome del pubblico interesse la catena "conoscenza-tutela-gestione-fruizione" non vuol dire insomma spezzarla, escogitando nuovi e improbabili assetti, e non significa espropriare i diritti intellettuali e di proprietà cedendoli ai migliori offerenti. Se si pensa invece di rifarsi a modelli alternativi, conviene valutarne a fondo i principi ispiratori.
"Il tanto apprezzato sistema anglosassone di gestione privata non è indirizzato come molti credono (assimilandovi la stessa esperienza di Palazzo Grassi) al profitto, perché si basa su una filosofia opposta, ossia quella dell'impegno civile ed etico attraverso le donazioni a fondo perduto, incentivate dai benefici fiscali a favore del donatore. I contributi dei benefattori costituiscono il cosiddetto capital asset di ciascun museo o luogo d'arte, i cui truster ne investono la maggior parte, per ricavare le risorse destinate a nuove acquisizioni e al funzionamento della struttura.
"Cosa ancora più importante poi, nessun general manager o rappresentante dei soci fondatori piuttosto che dei donatori ha il potere (nonostante il loro ruolo determinante) di orientare o gestire la produzione culturale e l'attività di ricerca. Queste mantengono sempre il primato nella guida e nello sviluppo delle istituzioni e restano affidate ai responsabili culturali.
"É una questione di conoscenze e competenze, il cui tasso di qualità è tanto più essenziale al patrimonio italiano se si considera che è unico al mondo per le sue straordinarie ricchezze, complessità e storia".
10 febbraio 2003 |