Egregio Senatore, la strada per l'Europa Unita è ancora lunga ed irta di ostacoli. Tanti sono i punti da definire a partire dalla Costituzione da riformare per finire alle stesse formazioni partitiche. Prendendo proprio spunto dalla visione dei partiti quali attualmente sono organizzati nel Parlamento Europeo, lei crede che ci sia piena omogeneità di finalità e tradizioni politiche?
I partiti così come si esprimono nel Parlamento europeo sono il risultato sia di aggregazioni storiche sia di regolamenti parlamentari che "premiano" le coalizioni. Non solo i grandi gruppi, ma anche quelli medi e piccoli sono di fatto delle coalizioni. Questo è un elemento di debolezza del Parlamento europeo, che potrà svolgere a pieno la sua funzione politica solo quando sarà un organo effettivamente politico. Non è un percorso breve: non si tratta infatti solo di rendere più omogenee delle forze parlamentari, ma anche di rendere più omogenee delle forze che si esprimono attualmente in maniera prevalente a livello nazionale. Limitandoci ai partiti italiani, per fare un esempio di diretto interesse, la loro "esposizione europea" non può prescindere dalle posizioni che prendono in Italia, anche in considerazione che non è passato nella scorsa legislatura il criterio della incompatibilità tra incarichi italiani e incarichi europei.
Lei ha ricoperto importanti incarichi europei, e quindi è tanto vicino alle questioni emergenti. La sua esperienza - dapprima in qualità di Presidente della Giunta per gli Affari Europei, attualmente come Segretario della Giunta stessa - le consente di fare un'attenta analisi anche sull'attuale composizione del PPE. Cosa ne pensa?
Ho partecipato all'inizio di quest'anno al congresso del Partito Popolare Europeo a Berlino, come membro della delegazione del Ppi. Ho condiviso il documento conclusivo del congresso. Ho applaudito Helmut Khol. Sono stato alla Fondazione Adenauer. Mi sono però anche chiesto che cosa c'entrasse il discorso di Silvio Berlusconi e cosa ci facesse la europarlamentare Lia Sartori, che è stata esponente di spicco dei craxiani in Veneto e che ora è esponente di spicco di Forza Italia sempre in Veneto. Siccome l'uno e l'altro comunque c'erano - e non da soli - mi chiedo se anche la storia del Ppe non si sia conclusa, come in Italia si è conclusa quella della Dc. Naturalmente questo giudizio non riguarda solo il Ppe, ma anche il Pse. Probabilmente nell'Europa, di cui a Laeken si è disegnato il futuro, c'è bisogno di una nuova geografia politico-parlamentare.
Secondo lei la collocazione migliore per coloro che si definiscono "eredi della DC" nel centro destra o nel centro sinistra?
Visto che si tratta di una… eredità, uno la spende come meglio crede, cercando comunque di portare rispetto a chi quella eredità ha costruita. La mia collocazione nell'Ulivo è già la risposta alla domanda. Ma la risposta politica è un'altra: non si tratta di essere "eredi", ma di costruire il cattolicesimo sociale e politico nell'Europa del terzo millennio.
Qual la differenza tra un moderato ed un democristiano?
È stato il problema vero di una lunga parte della storia democratico-cristiana quello di non porsi questa domanda; anzi di dare per scontata la risposta che non esiste differenza, che i due termini erano coincidenti: un democristiano non poteva non essere moderato ed un moderato non poteva non essere democristiano. Certo l'attitudine alla moderazione e la scelta democratico-cristiana possono convivere nella stessa persona, ma sono appunto un'attitudine e una scelta.
Moderato è chi sceglie di partecipare alla vita collettiva con le proprie idee, i propri bisogni e le proprie soluzioni, ma sa anche che ci sono idee bisogni e soluzioni complementari o addirittura alternativi ai propri e accetta di discuterne e di tenerne conto. Questa attitudine virtuosa è stata certamente propria dalla Dc, tanto che da un certo momento in avanti la prevalente funzione della Dc è stata quella di una mediazione di sintesi tra proposte. Così una virtù è diventata un difetto.
Democratico cristiano è chi sceglie di cercare di cogliere "i segni dei tempi", di proporli costantemente alla società nel suo insieme e di tentare di applicare alla società quel personalismo comunitario che sembra in grado di coniugare democrazia e giustizia. Il democratico-cristiano ha insomma un progetto ben preciso di società ed il suo sforzo è di creare le maggioranze perché questo progetto progressivamente si realizzi.
La Margherita sta fiorendo. Raggiunge il 16% della rappresentanza nazionale. Quale futuro lei intravvede per il fiore delle idee, della democrazia e della libertà?
La Margherita è il simbolo dell'evoluzione culturale italiana. Non a caso essa è stata piantata dagli elettori e non dai partiti, che comunque hanno dimostrato in questo caso di accettare la sfida che viene dai cittadini. Anche in considerazione della sua nascita, la Margherita deve continuare ad avere poca struttura e molta comunicazione.
Cosa pensa delle conclusioni emerse dal Consiglio Europeo di Laeken?
C'è una decisione importante: la nascita della Convenzione per aggiornare il Trattato dell'Unione. L'Europa cresce in democrazia e trasparenza, affidando il proprio futuro non solo alla diplomazia, come è avvenuto finora, ma ad un organismo nel quale gli eletti (parlamentari nazionali e parlamentari europei) sono in larga maggioranza.
C'è un nome finora non pronunciato ufficialmente nell'Unione: la Costituzione europea. Essa è fra le possibili attività della Convenzione. Anche qui si è fatto un salto importante.
Spero che l'Italia sia all'altezza delle opportunità. La presenza nella maggioranza di un partito antieuropeo come la Lega e la preferenza "americana" di Berlusconi rispetto alla tradizione europeista dell'Italia sono due ostacoli per noi, ma anche per gli altri europei.
Per finire, the last but not the list, come risolverebbe la questione del Medioriente, ha qualche previsione da fare?
Non sono… Berlusconi che va dicendo che se fosse per lui avrebbe già risolto tutto. Mi pare che la condizione da accettare sia quella di "due popoli, due stati". L'Italia può partecipare alla pacificazione attraverso l'Unione Europea, ma soprattutto non deve stancarsi - e purtroppo non lo ha fatto a Laeken - di porre come prioritario (anche se non esclusivo) il tema della dimensione mediterranea della politica europea. Solo una dimensione euromediterranea che faccia incontrare e solidarizzare tutte le sponde del nostro mare, farà scendere le ragioni dello scontro in tutto il Medio oriente, ponendo le premesse per la stabilizzazione definitiva, come à avvenuto nell'Europa continentale.