TINO BEDIN

Fine della Dc: continuità e discontinuità della rappresentanza
Il personalismo comunitario
diventa politica
nella coalizione della solidarietà

Dalla crisi di leadership della Dc alla esperienza nel sistema bipolare. Il tentativo regionalista dei veneti non ebbe fortuna

Imma Nava è laureanda in Sociologia, con indirizzo della comunicazione, all'Università La Sapienza di Roma. Sta elaborando la tesi di laurea dal titolo "Fine della Democrazia Cristiana, continuità e discontinuità della rappresentanza". La tesi è sperimentale ed elaborerà materiale raccolto attraverso interviste ai parlamentari, in quanto depositari di esperienza diretta. Queste le domande proposte al senatore Tino Bedin.

intervista a Tino Bedin
senatore dell'Ulivo

- Perché e come inizia la crisi di leadership della DC?
Il sistema politico "bloccato" dalla mancanza di una realistica alternativa di sinistra ha avuto come inevitabile conseguenza il blocco della rappresentanza parlamentare e della dirigenza (il ricambio avveniva per scelte interne e non per decisione degli elettori). Al di là di aspetti di "occupazione" del potere, questa situazione ha progressivamente ridotto la progettualità della rappresentanza democratico-cristiana, che ha affidato agli alleati via via succedutisi il ruolo di caratterizzare le scelte programmatiche. Da parte sua la Democrazia Cristiana assicurava il "buon governo", sia a livello territoriale che a livello nazionale.
In una società in evoluzione, che cambiava rispetto alle radici costituzionali - per ragioni sia anagrafiche che economiche - e rispetto alle radici cristiane - per ragioni sia culturali che personali - questo tipo di rappresentanza non era a lungo sostenibile. Essa si è comunque definitivamente conclusa nel momento in cui anche il ruolo di "buon governo" è apparso offuscato agli occhi dell'opinione pubblica per il susseguirsi di incriminazioni nel periodo di tangentopoli, ma prima ancora per la lunghezza nella realizzazione di progetti e di opere pubbliche; lunghezza che l'opinione pubblica collegava all'aumento ingiustificato dei costi.
Sottolineo il verbo "è apparso offuscato": la realtà - e lo sviluppo successivo sul piano giudiziario di molte vicende lo ha dimostrato - non era certo quella che appariva; la onestà e il buon governo della stragrande maggioranza della rappresentanza politica democratico-cristiana si esprimevano anche negli anni di Tangentopoli. Ma in politica conta molto quello che viene percepito, conta il sentimento popolare.
Come ho detto, comunque, la crisi di leadership della Dc non è stata determinata da Tangentopoli ma dalla riduzione dell'azione politica ad "amministrazione" invece che a progetto.

- Quanto ha influito il crollo del muro di Berlino sul sistema politico tradizionale?
In questo quadro il crollo del Muro di Berlino ha eliminato il "vincolo esterno" ad un fronte unico che garantisse comunque la partecipazione dell'Italia alla società occidentale. Da solo però questo evento non avrebbe determinato lo sfaldamento della Democrazia Cristiana e del sistema politico ad essa collegato.

- Secondo lei ci sono stati tentativi di recupero e di superamento della crisi della DC?
No. La "riduzione" della politica ad "amministrazione" , il non aggiornamento del progetto di società, dopo la diffusione della scuola e del lavoro, richiedevano una rappresentanza politica del tutto innovativa.
L'unico tentativo degno di nota, più proclamato che davvero ricercato, va ricondotto al Veneto con iniziative di due personaggi storicamente lontani: Bernini e Fracanzani. Entrambi ad un certo punto proposero la regionalizzazione della Dc e in particolare per il Veneto prospettarono un modello sul tipo della Csu bavarese. Era naturale che questa idea nascesse dal Veneto, dove era già forte la Liga Veneta, che poi con la confluenza nella Lega Nord diventerà uno dei fattori della fine della Democrazia Cristiana. I due leader veneti avevano tentato di riprodurre con una forza territoriale quello che la Dc aveva fatto con le forze politiche: sposarne alcune idee e continuare a governare.
Come ho detto quell'idea fu solo proposta e neppure tentata. Se realizzata - allora - avrebbe potuto probabilmente conservare alla guida democristiana il movimento leghista e quindi il Nord, garantendo l'intero paese.

- Come hanno influito le elezioni politiche del 1992 sulla rappresentanza democristiana?
Il sistema elettorale della preferenza unica, adottato per la prima volta nel 1992, ha fatto saltare definitivamente ogni equilibrio. Il già scarso apporto esterno alla rappresentanza (reso possibile dalla preferenza multipla, con l'aggregazione al personaggio politico di figure di altra provenienza) si è praticamente annullato in quanto ciascuno ha dovuto "correre" per conto proprio. Questo ha portato in primo piano una rappresentanza politica selezionata quasi esclusivamente all'interno del partito: si è così ulteriormente affievolito il contatto con il cambiamento in corso nella società.

- Quale evento ha avuto più rilevanza nella frantumazione e nella dispersione dei voti democristiani nella nascita dei partiti post-democristiani?
Del cambiamento in corso nella società italiana erano stati un segnale, rimasto senza risposta politica, i referendum istituzionali. I loro risultati vennero interpretati come espressione di un desiderio di governabilità, che pur c'era. L'esigenza più profonda con l'elezione diretta, la preferenza unica, il maggioritario era però un'altra: sostituire il cittadino al politico nella determinazione delle decisioni. Di fronte alla impossibilità di cambiare la classe politica, i cittadini accettavano la sfida di assumersi direttamente responsabilità e potere.
La classe politica di allora non è stata in grado di dare risposta alla "domanda politica" dell'opinione pubblica, limitandosi a dare risposta di forma elettorale, con questo accelerando a sua volta la crisi della politica.
L'accettazione del sistema maggioritario, dopo il referendum, senza la capacità di preparare la classe politica successiva, cioè senza la possibilità di far durare la legislatura il tempo naturale è diventato così l'evento che ha avuto la maggiore rilevanza nella frantumazione della Democrazia cristiana.
Il sistema maggioritario richiedeva inevitabilmente un cambiamento della geografia politica; esso andava preparato, studiando le regole nuove, le novità dell'elettorato, il peso dei riferimenti culturali. Ma - come ho detto - il referendum era lo specchio di una situazione di non-rappresentanza. Come tale fu vissuto dalla classe politica che adbicò.

- Quali sono gli elementi presenti nel suo partito che si legano ancora alla posizione ideale, culturale e politica della DC? E quali se ne discostano?
Già prima del primo voto maggioritario del 1994 la Democrazia cristiana aveva dichiarato la propria fine, non solo nominalistica. Il fatto che chi aveva militato nella Dc si ritrovasse poi il partiti diversi, a volte alleati fra loro, a volte contrapposti, fu descritto come la frammentazione democristiana. È un'immagine che continua tuttora e che fa dire a molti che nell'attuale parlamento ci sono molti più… democristiani che nell'ultima legislatura della Dc. Anche gli stessi protagonisti hanno vissuto - ed in parte vivono tuttora - la loro esperienza politica come una frammentazione.
Credo sia stato uno degli elementi di ritardo di questi anni. La Dc non si è frammentata; la Dc semplicemente non c'è più e non solo perché il sistema maggioritario non la rende possibile, ma perché non c'è questa domanda politica nei cittadini.
Ciò non significa che non si debba avere riferimenti a quella storia. Nel Partito Popolare i riferimenti sono di forma (che conta tanto quanto la sostanza in politica) e di progetto. Gli elementi di forma sono la presenza di una parte della classe dirigente che è crescita nella Democrazia cristiana. Altro elemento di forma è il "radicamento territoriale", cioè il modello organizzativo che il Ppi ha scelto: esso dà valore alla base, al rapporto diretto, alla decisione diffusa. Sul piano del progetto il Ppi ha gli stessi riferimenti della Dc nella dottrina sociale della Chiesa, nella interpretazione del personalismo comunitario che mette la persona al centro della politica, una persona però non individuo ma intrecciata con le altre persone nella comunità. Ancora il Ppi è partito fortemente europeo; in questa dimensione c'è anche una terza continuità di forma: l'appartenenza al Ppe.
La maggiore diversificazione è il numero degli elettori: non è una differenza solo formale e di dimensioni; essa richiede - meglio, avrebbe richiesto - una diversa scelta dell'agenda del Ppi, che per le sue dimensioni non può essere "generalista" come lo era la Dc.

- Cosa pensa delle dislocazioni bi-polari, cioè degli ex-democristiani presenti nei partiti di centro- destra e di centro- sinistra?
Mi permetto di correggere la domanda. Il termine "dislocazione" presuppone una valutazione: che i democristiani siano un blocco che "occupa" parte di entrambi gli schieramenti bipolari. La mia valutazione è diversa, come ho già detto: i "democristiani" non costituiscono oggi né un blocco politico né un blocco sociale o culturale. Stare nell'Ulivo o nel Polo è una scelta di campo.
Sul merito: la risposta è appunto nella mia scelta di campo. Senza la pretesa di dare pagelle, ovviamente, mi pare che il riferimento al personalismo comunitario diventi "politica" con maggiore coerenza in una coalizione che condivide valori di socialità.

- Mi può indicare i percorsi politici degli ex-democristiani nelle elezioni del 1994 e 1996?
Come ho ricordato, la prima elezione con il sistema maggioritario vede già la fine della Dc. Con Mino Martinazzoli lo Scudo Crociato aveva deciso di iniziare una nuova proposta politica, che aveva avuto anticipazioni in Veneto. Con l'avvio della stagione elettorale si hanno le prime formazioni politiche nuove: il Ppi e il Ccd; l'esito delle elezioni con la sconfitta del progetto centrista di Martinazzoli e Segni, accelera il processo bipolare, che nel 1995 porta alla coalizione dell'Ulivo e alla vittoria di Prodi nel 1996. La sistemazione bipolare non è ancora conclusa e per tutta la legislatura si hanno aggiustamenti e ritocchi, innovazioni; fino alla riproposizione nel 2001 dell'esperienza del 1994 con Andreotti, Zecchino e D'Antoni che fondano Democrazia europea. Non funziona Democrazia europea, ma non funziona elettoralmente neppure il Biancofiore, tentativo - questo sì - di "dislocazione" in un polo. Le elezioni del 2001 confermano agli increduli quello che era già avvenuto nel 1993: la conclusione della Democrazia cristiana.

- Qual è stato il Suo percorso politico?
Nel 1994, alla nascita del Ppi, mi è stato chiesto di portare nel nuovo partito riferimenti del cattolicesimo sociale che avevo coltivato e vissuto come giornalista cattolico. Nel 1996 e nel 2001 ho convintamente scelto la coalizione dell'Ulivo per continuare il servizio al cattolicesimo sociale iniziato nel 1994.

- Qual è il vostro elettore "di riferimento"?
In questo momento il "plurale" riferito all'elettorato è difficilmente decifrabile, visto che oggi faccio parte del gruppo parlamentare Margherita-L'Ulivo, come del resto avevo anticipato ai miei elettori.
Dirò allora del "mio" elettore di riferimento. Più che la persona singola è la "famiglia elettrice" il mio riferimento sia nel territorio che nella attività parlamentare. Una famiglia aperta alla vita di comunità, che ha a cuore i bambini e i suoi anziani; soprattutto una famiglia che ha a cuore la moglie, la mamma, la donna. E' una famiglia che vive il cattolicesimo "pratico" che caratterizza tuttora il Veneto e che è in grado di arricchire la società.

21 dicembre 2001

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