SCUOLA

Don Luca Passi pubblica nel 1836
il suo "Progetto morale e economico"

La dignità dei contadini
è una ricchezza sociale

La teorizzazione e la creazione di un istituto professionale agrario per arginare la fuga dalle campagne

di Tino Bedin

Far partecipare i contadini al progresso, perché possano, anzi desiderino restare contadini. Don Luca Passi vede bene quello che sta succedendo ai contadini del Veneto e della Lombardia. Le guerre napoleoniche (molto più che la Rivoluzione francese) hanno definitivamente rotto i confini delle campagne. Qui le guerre avevano significato spoliazioni e depredazioni, come nel resto d'Italia e in tutta Europa. Molti uomini si erano arruolati e avevano sottratto lavoro ai campi; così alle spoliazioni si erano aggiunte scarsità di raccolti e riduzione delle manutenzioni. Le conseguenze - anche in quel'inizio dell'Ottocento - erano quelle che siamo "abituati" a leggere sui libri per le guerre successive o a vedere in tv per le guerre contemporanee in Africa o in Medio Oriente: orfani, carestia, fame, moria di animali, epidemie. Tragedie che durano a lungo: nella Bergamasca ancora nel 1836 è il colera ad infuriare terribilmente. Tragedie che frantumano la vita di famiglie e di comunità: fame per fame, stenti per stenti, molti cercano un'altra vita fuori dalla campagna. "Io so di un piccolo paese - annota Don Passi - dove alcuni anni addietro vi erano tre soli sarti, oggi giorno ve ne sono 24".
La rottura non era solo fisica, cioè nell'allontanamento dall'agricoltura; non era solo generazionale, con i figli che andavano in città. La fame, le disgrazie collettive, la fatica senza fine e senza risultato avevano tolto "senso" alla vita di molti contadini, che - pur continuando a subirla per se stessi - non la desideravano più per i figli. "Ed i padri stessi, quasi vergognandosi della propria condizione credono accattare gloria e onore se riesca loro mandare alcuno de' propri figli alle arti od agli impieghi", osserva Don Passi, non senza disappunto. Egli ritiene infatti che stiano sbagliando, ma non fa loro la "morale"; prova piuttosto ad individuare e a creare le condizioni perché questa mentalità negativa non diventi generalizzata.
Lo fa mettendo insieme anche in questo caso due dei carismi che ha esercitati in tutte le sue scelte: quello di educatore e quello di fondatore.

Esperienza diretta e cultura europea. L'educazione è per Don Luca Passi lo strumento decisivo da utilizzare. Se "move a compassione il vedere come da molti con tanto proprio, ed altrui danno si abbandoni l'agricoltura per correre alle arti", ecco la sua proposta: "Perché dunque invece di adoperare tanto impegno per moltiplicare il numero degli artisti, non si cerca di promuovere l'agricoltura Madre e nutrice di tutte le arti? A ciò ottenere possono tornare utili le leggi, i libri, i premii, ma soprattutto l'educazione, tanto più che l'educazione migliorerebbe la stessa agricoltura".
E - secondo la sua attitudine di fondatore - indica subito come "facilitare il conseguimento di un fine così importante. Il mezzo che si propone sarebbe questo d'introdurre ne' pubblici e privati stabilimenti de' poveri fanciulli in un coll'arti l'agricoltura". Le due citazioni sono l'inizio e la conclusione della prima parte del libretto "Progetto morale ed economico", che Don Luca Passi pubblica a Bergamo nella Stamperia Mazzoleni nel 1836: è proprio l'anno del colera nella Bergamasca e non è una coincidenza. Proprio il colera infatti rischia di ingigantire il fenomeno della fuoruscita dei giovani dall'agricoltura: molti orfani di contadini saranno accolti in istituti, qui verranno formati ad un altro mestiere e non torneranno nella loro famiglia e nella loro comunità.
Il "Progetto" di Don Passi non è frutto di una elaborazione culturale, ma nasce dall'esperienza diretta e dalla sua vocazione alla carità, cioè a preoccuparsi delle situazioni di maggiore fragilità. Tiene tuttavia conto del dibattito che in tema di agricoltura e di nuovi mestieri è vivo in Europa. Le citazioni e soprattutto le note del libro segnalano l'approfondimento scientifico e sociologico che Don Passi ha premesso alla sua proposta.
Non mancano i riferimenti ai classici: da Cicerone a Virgilio, da Aristotele a Plutarco; questi però non servono a descrivere un ambiente "bucolico" o a lodare i "bei tempi andati", aiutano piuttosto a consolidare alcuni valori della condizione di vita "non urbana". Non sarà un caso se fin dalle primissime pagine Don Passi si soffermi sulla più sicura capacità di mettere su famiglia: "Un contadino senz'altri mezzi, senza risorse, senza capitali può prendere moglie, poiché la moglie stessa, ed i figli tornano per esso sorgente di ricchezza". E nella penultima pagina torna sul tema, questa volta dal punto di vista femminile: dopo essere state istruite nell'attività orticola e aziendale, "le fanciulle si mariteranno con facilità grandissima avendo dote, maggior salute, abitudine alle fatiche dell'agricoltura".
Il confronto - sia per i ragazzi sia per le ragazze - è con i loro coetanei che si sono avventurati in città ed in altri impieghi o in lavori autonomi. La prima parte del "Progetto morale ed economico" è dedicata proprio a questo confronto e mette in evidenza i "vantaggi morali", i "vantaggi sanitari" e i "vantaggi politici ed economici" della permanenza in agricoltura di una cospicua forza lavoro adeguatamente formata dal punto di vista professionale.

Un'attenzione diffusa dei parroci italiani. La centralità della formazione professionale per far partecipare l'agricoltura alla modernizzazione della società e dell'economia collega Don Luca Passi ad una profonda riflessione e ad una diffusa pratica che nei decenni a cavallo dell'Ottocento hanno per attori decine di sacerdoti, in particolare parroci. Dal Veneto alla Puglia, dalla Lombardia alla Toscana a partire dagli anni Settanta del Settecento sono numerosi i parroci di campagna che scrivono manuali di agricoltura pratica, promuovono corsi di aggiornamento, fondano accademie agrarie che dureranno nel tempo. Vedono infatti che nei loro paesi i contadini sono fermi a tecniche del passato e usano strumenti antichi.
Non è certo colpa dei contadini: "Se talvolta sembrano rozzi, gli è solo perché non ricevettero il beneficio dell'educazione. Quant'è dunque vantaggiosa l'educazione! D'esserne privi quei poveretti non hanno colpa, perché dovettero mettersi al lavoro tosto che furono capaci, ossia all'età di sei o sette anni", avverte Alessandro Parravicini, un pedagogo ed educatore del primo Ottocento molto apprezzato nel Lombardo-Veneto.
Spesso gli stessi parroci si rivolgono anche a "possidenti o comodi, o ricchi", come li chiama il toscano mons. Ippoliti in una "Lettera parenetica" in cui richiama i doveri dei proprietari terrieri nella valorizzazione dell'agricoltura e nella promozione della condizione di vita dei contadini. A frenare lo sviluppo dell'agricoltura non c'è infatti solo l'arretratezza professionale dei contadini. Don Lorenzo Crico, parroco a Fossalunga nel Trevigiano tra il 1797 e il 1825, scrive che la causa prima della decadenza della campagna era "il lusso dei possidenti", che volevano ad ogni costo ricavare una rendita dalle loro proprietà e non si preoccupavano né della produzione né dei produttori.

Le resistenze non frenano il "Progetto". In questo quadro è ancor più straordinario che proprio un possidente - quale è Don Luca Passi - si interessi delle condizioni e della promozione dei contadini ed in particolare dei loro figli e delle loro figlie, con una specifica attenzione per gli orfani.
Il filo conduttore del "Progetto" è l'educazione. I destinatari sono i ragazzi e le ragazze orfani che vivono in istituto. Gli educatori non sono maestri o professori ma persone con competenza e cuore. Lo strumento sono gli orfanotrofi, meglio: una parte dei loro terreni agricoli che comprendano - come quasi sempre succede - anche un fabbricato colonico. È la base di un istituto agrario, dove i ragazzi apprendono e praticano le nuove tecniche agrarie.
La straordinarietà della sua scelta è confermata dalla pur cortese freddezza della Municipalità di Bergamo, destinataria ufficiale del "Progetto": bella idea, ma è meglio che intanto sia lo stesso Don Passi a cominciare nella sua Calcinate. Come dire: l'agricoltura non è questione moderna, se ne curi chi sta in campagna. Don Passi capisce e va oltre: si comincia non solo a Calcinate ma addirittura in una sua casa.
Neppure gli orfani si trovano. Evidentemente anche per gli amministratori degli orfanotrofi il "Progetto morale ed economico" mette in discussione consuetudini educative e probabilmente convinzioni sul futuro da dare ai figli dei contadini. Don Passi prende atto e va avanti su strade che conosce bene: si prende cura di tre orfane e ricerca la collaborazione di donne generose. La prima è Maria Ridolfi che apre la casa. È il settembre del 1838, sono passati due anni dalla pubblicazione del "Progetto". Quello che era nato come una proposta sociale, diventa la base di una nuova "fondazione" di Don Luca Passi: imprevista ma provvidenziale anche nella vita successiva dell'Opera di Santa Dorotea.
In quella casa di Calcinate che poi diventerà "Il Conventino" si potrà infatti realizzare la centralità dell'educazione e assicurare sufficienti conoscenze pratiche alle ragazze di Calcinate, ad esempio con l'apertura di un incannatoio che darà lavarono alle giovani del paese.
Don Luca Passi - ed è un'altra delle sorprendenti novità che egli propone - ritiene che poiché producono reddito questi ragazzi debbano essere remunerati: non con un salario, ma accantonando loro un patrimonio da trasformare in beni durevoli al momento della loro uscita dall'orfanotrofio. Un principio che Don Passi sollecita anche per le ragazze, il frutto del cui lavoro agricolo deve essere trasformato in "dote" per il matrimonio.
Merita una riflessione anche per l'oggi questa idea di "borsa di matrimonio" che Don Passi propone per ragazzi e ragazze quando sono pronti a fare da soli.

10 marzo 2013


8 aprile 2013
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Tino Bedin