Insieme, nella stessa domenica, noi europei incominciamo la campagna di vaccinazione contro il Covid-19: sarà la più imponente della storia. Domenica 27 dicembre 2020 è una data da segnare nel calendario europeo: è una data di unità tra persone e non solo tra nazioni; è una data di valorizzazione delle istituzioni dell'Unione, che sono arrivate in tempi imprevedibilmente rapidi a mettere a disposizione le dosi di vaccino; è una data di speranza per la salute e per l'economia. Alla benedizione di Natale urbi et orbi Papa Francesco ha segnalato: "In questo tempo di oscurità e incertezze per la pandemia appaiono diverse luci di speranza, come le scoperte dei vaccini".
Abbiamo ancora mesi di limitazioni e precauzioni davanti perché il tempo della vaccinazione sarà lungo e finché non saranno completate le certificazioni e le produzioni di tutti i vaccini in preparazione, bisognerà fare un programma, indicare chi vaccinare. Al riguardo sarà bene continuare a ribadire un principio: il vaccino bene comune. Papa Francesco ha già cominciato a Natale: "Chiedo a tutti: ai responsabili degli Stati, alle imprese, agli organismi internazionali di promuovere la cooperazione e non la concorrenza, e di creare una soluzione per tutti: vaccini per tutti, specialmente per i più vulnerabili e bisognosi di tutte le regioni del Pianeta".
E comunque "luci di speranza" si vedono ed illuminano il percorso verso la normalità, ci riporti alla normalità dei rapporti interpersonali, annulli le ricadute economiche della grande crisi sanitaria.
Il pipistrello diventato mostro - Una parentesi, così pensiamo la pandemia: il dopo sperato come il prima; ripetere gli abbracci, le interrogazioni a scuola, la pizza con gli amici, il giro al mercato; e ancora: "Lasciateci lavorare, l'economia ripartirà"; e l'immunità di gregge perseguita col vaccino servirà a rilanciare l'economia, a rimettere in moto la produzione, a far riprendere i consumi.
Raccontiamo il futuro utilizzando verbi con il prefisso "ri-", il prefisso di ripetere. Ce lo raccontiamo tutti insieme: noi persone, noi comunità. E tutti insieme ci apprestiamo a correre il più velocemente possibile fuori dalla pandemia sulla strada che conosciamo, perché è quella da cui veniamo.
Anche il Covid-19 corre sulla stessa strada, quella da cui veniamo, quella che dovremmo conoscere. Le epidemie sono, infatti, una costante della storia umana; anche della cronaca: in Africa, in Amazzonia, nel mondo che non fa cronaca. La loro diffusione percorre le stesse strade da secoli.
Ultimamente, il Nord del mondo con la sua corsa scientifica, economica, sociale pensava di aver definitivamente distaccato le malattie pandemiche: le epidemie potevano avvicinarsi a noi, ma non sopraffarci. Invece proprio il Nord del mondo stava allargando le strade alle epidemie muovendo ogni giorno di più aerei, navi, persone, merci. Così il Covid-19 ha messo in crisi scienziati e governanti, sanitari ed economisti perché ha sopraffatto la potenza scientifica e tecnologica di cui disponiamo; ha messo in crisi le persone perché ha reso evidente che non siamo padroni del nostro destino; ha insinuato il dubbio che proprio la potenza attuale dell'homo sapiens basata sull'interconnessione sviluppi effetti collaterali incontrollabili. Il pipistrello, di cui le popolazioni urbane hanno perso la memoria al punto da installare bat-box per proteggerlo, è diventato un mostro.
"La crisi - ricorda Papa Francesco - è un fenomeno che investe tutti e tutto. È presente ovunque e in ogni periodo della storia, coinvolge le ideologie, la politica, l'economia, la tecnica, l'ecologia, la religione. Si tratta di una tappa obbligata della storia personale e della storia sociale. Si manifesta come un evento straordinario, che causa sempre un senso di trepidazione, angoscia, squilibrio e incertezza nelle scelte da fare. Come ricorda la radice etimologica del verbo krino: la crisi è quel setacciamento che pulisce il chicco di grano dopo la mietitura".
Buono per diventare pane, quel chicco di grano; buono anche per diventare altro frumento. "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12,24) dice Gesù, indicandoci la fecondità vitale di ogni crisi. Papa Francesco legge così questo versetto del Vangelo: "L'atto di morire del seme è un atto ambivalente, perché nello stesso tempo segna la fine di qualcosa e l'inizio di qualcos'altro. Chiamiamo lo stesso momento morte-marcire e nascita-germogliare perché sono la medesima cosa: davanti ai nostri occhi vediamo una fine e allo stesso tempo in quella fine si manifesta un nuovo inizio".
I germogli spuntano anche dalla vecchiaia - È quello che i nostri occhi vedono nella crisi pandemica.
Vedono e hanno visto i vecchi morire, a migliaia e migliaia, al punto che il Coronavirus pareva "una cosa da vecchi", che di qualcosa pur dovevano morire. Si è arrivati a concentrarli in strutture sociosanitarie perché non occupassero posti negli ospedali. Così ne sono morti ancora di più. I sani, i vivi sono stati isolati: sia nelle loro case che nelle Rsa. Per la loro salute, si è detto: come se la salute dei vecchi dipendesse solo dalle pastiglie, mentre contano almeno altrettanto le carezze, l'attesa di qualcuno, l'essere importanti per un nipote. Abbiamo constatato che nella nostra società la vecchiaia è una questione privata, al massimo familiare, se la famiglia c'è e se può.
Poi i nostri occhi hanno visto un vecchio alpino suonare la fisarmonica davanti alla stanza in cui sua moglie era confinata. Hanno visto montare le tende degli abbracci: le abitano affetti che si alimentano a vicenda e che guariscono la solitudine degli anziani e la paura di futuro dei giovani. L'attività di cura è apparsa decisiva nei rapporti tra generazioni; probabilmente in futuro sarà un po' meno "appaltata" a chi si presta a farlo a nome di altri che hanno "cose più importanti da fare".
Nella vaccinazione i vecchi sono i primi; e i vecchi fragili sono primi fra i primi. Non era scontato. Inevitabilmente assegnate le prime dosi di vaccino al personale della sanità e dell'assistenza, i criteri per destinare quelle successive potevano essere molti; potevano essere quelli della prima fase. La crisi pandemica ha invece cambiato il paradigma sociale della vecchiaia fragile: tempo di vita da preservare, non sala d'attesa su un binario morto; tempo di condivisione tra generazioni; tempo su cui continuare ad investire risorse umane, scientifiche ed economiche.
È solo l'inizio, ma è nuovo ed è germogliato in pochi mesi.
Questa crisi è già parte di una possibile "nuova" vita: quella in cui le generazioni si abbracciano, quella in cui la cittadinanza europea è solidale, quella in cui la scienza ha l'orologio dei bisogni. Chiudere tra parentesi la pandemia vorrebbe dire soffocare questi germogli di vita e conservare di questa crisi globale solo i morti. Non è nella nostra natura: "Gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire, ma per rincominciare", ha incisivamente riassunto la filosofa Hannah Arendt, cui era stata tolta la cittadinanza tedesca perché ebrea.
27 dicembre 2020