Le scuole sono rimaste aperte questa settimana nel Regno Unito. Gli inglesi continuano a incontrarsi, senza limiti e divieti. Il loro primo ministro dice che misure come quelle adottate in Italia ed in altri paesi, a cominciare dalla Cina, poco servono per fermare l'epidemia di coronavirus.
Una decisione però l'hanno già presa: chiudere in casa gli anziani. Parlando a Sky News, il segretario alla Sanità britannico Matt Hancock ha annunciato che "nelle prossime settimane" agli over 70 verrà chiesto di autoisolarsi a casa loro e che la quarantena dei vecchi potrebbe durare per mesi. Eppure Sky News ha chiesto ragguagli al ministro della Sanità perché proprio lui ha scritto sul Sunday Telegraph che l'epidemia di coronavirus è "la più grande emergenza sanitaria pubblica di una generazione", che "richiede un'azione drammatica, in patria e all'estero, che normalmente non si vede in tempo di pace".
Matt Hancock ha 41 anni e non si capisce se sia preoccupato per sé o per i suoi genitori (e zii, se ne ha). Non si capisce se, isolandoli a casa loro, voglia proteggere i più anziani perché sono più a rischio oppure se voglia proteggere la sua generazione, tenendo libere le strutture sanitarie da un'invasione di vecchi ammalati di coronavirus. Così la sua generazione può fare la vita normale, se si ammala sarà curata e - visto che il Covid-19 è una cosa da vecchi - ha anche buone probabilità di cavarsela. Poche invece le probabilità per i vecchi: "Molte famiglie perderanno i loro cari", ha preannunciato ai britannici il premier Boris Johnson.
Limiti di età per la cura? - La pandemia, come molti bisogni di massa, genera anche una competizione fra generazioni. Conosciamo questa competizione a proposito di posti di lavoro, di servizi sociali, di risorse economiche (confronto fra stipendi dei giovani e pensioni dei vecchi). Ora la pandemia rende esplicita questa competizione anche in tema di salute.
Non è una novità: alcuni farmaci costosi non vengono prescritti ai troppo vecchi; cure ospedaliere sono a volte misurate sull'età. La pandemia fa esplodere questo discorso finora tenuto a voce bassa.
Sono state pubblicate una decina di giorni fa le "Raccomandazioni di etica clinica per l'ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili" prodotte dalla Siaarti, la Società italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva. Ha fatto molto discutere eticamente e fatto molto preoccupare gli anziani, la terza di queste Raccomandazioni.
"3. Può rendersi necessario porre un limite di età all'ingresso in TI. Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un'ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone.
In uno scenario di saturazione totale delle risorse intensive, decidere di mantenere un criterio di "first come, first served" equivarrebbe comunque a scegliere di non curare gli eventuali pazienti successivi che rimarrebbero esclusi dalla Terapia Intensiva".
Sono questioni decisive per una comunità e le persone che la formano; e non solo perché in questo caso sono "questioni di vita o di morte". Alla Siaarti lo sanno bene ed hanno deciso comunque di non stare zitti: "Siamo consapevoli che affrontare questo tema può essere moralmente ed emotivamente difficile. Come Società Scientifica avremmo potuto (tacendo) affidare tutto al buon senso, alla sensibilità e all'esperienza del singolo Anestesista-Rianimatore, oppure tentare di illuminarne il processo decisionale con questo piccolo supporto che potrebbe contribuire a ridurne l'ansia, lo stress e soprattutto il senso di solitudine. Oltre a rappresentare per il paziente un elemento chiaro di tutela in termini di limitazione dell'arbitrarietà delle scelte del team curante".
Cos'è la giustizia nell'emergenza? - C'è il principio di giustizia, che afferma l'eguale valore di ogni persona a prescindere da ogni discriminazione e la possibilità per ognuno ad accedere al più alto standard di cure mediche, compatibilmente con le risorse disponibili. Queste risorse possono scarseggiare, come vediamo già avvenire in Lombardia. Cos'è in condizioni estreme la giustizia?
Anche il Veneto si interroga su questo. Il 15 marzo il direttore generale della sanità Domenico Mantoan ha inviato a tutte le Asl e Aziende ospedaliere della Regione, compresi i presidi della sanità privata, e per conoscenza al presidente Zaia e all'assessore Lanzarin, un documento redatto da Camillo Barbisan, responsabile Servizio di bioetica Azienda ospedaliera di Padova, Davide Mazzon, direttore UO Anestesia e Rianimazione Belluno e docente di Bioetica Università di Padova e Paolo Navalesi, UOC Istituto di Anestesia e Rianimazione, Azienda ospedaliera e Università di Padova, ed approvato dal Comitato Tecnico Scientifico COVID-19 regionale.
Nel documento, Barbisan, Mazzon e Navalesi, sottolineano che "il documento della SIAARTI non va in alcun modo interpretato come uno stimolo a impiegare acriticamente indicatori di esclusione per i pazienti che necessitano di cure intensive, ma come uno strumento decisionale che si affianchi alla imprescindibile valutazione clinica, in condizione estreme quali quelle a cui, purtroppo, l'epidemia in atto ci potrebbe costringere".
È una costrizione dura "misurare" la vita. Lo è per i medici; lo è per ogni persona. Sappiamo che la vita ha una "misura", ha un limite; finora ciascuno lo sa per sé, lo sa per le persone che ha a cuore.
Come restare una comunità - La pandemia rende collettiva questa consapevolezza personale: la morte (che è la misura della vita) si aggira tra noi in continuazione, ci passa accanto con le persone che incontriamo e noi sappiamo che c'è. In un attentato, in un terremoto la morte viene d'improvviso e poi si allontana subito. Ora no, fa parte della nostra giornata per settimane. Ci si chiude in casa per non incontrarla.
Riusciremo a restare comunità anche in questa condizione?
La domanda non riguarda solo noi italiani, visto che il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, ha proprio oggi scritto su Twitter: - "La pandemia di Covdid-19 è una crisi che colpisce tutti, dobbiamo fare tutti la nostra parte, mostrando solidarietà ai più anziani, ai malati e a quelli che non hanno una buona salute. Insieme possiamo vincere la minaccia del coronavirus". "Fare tutti la nostra parte" è la condizione dell'essere comunità; portarsi sulle spalle che va lento è l'azione tipica della comunità.
Nella pandemia sono i vecchi ad andare lenti: improvvisamente isolati quelli già fragili e malati; improvvisamente spaesati quelli in salute che stavano serenamente da soli. Sono isolati e spaesati tutti, in massa: la grande età da conquista si trasforma in rischio. "Purtroppo - scrive Vittorio Coletti sul Corriere di oggi - i vecchi non possono permettersi l'incoscienza giovanile che portava certi soldati ventenni ad andare in guerra cantando, sanno il rischio che corrono e non hanno altra causa da difendere che la loro vita. Per loro non c'è un futuro collettivo da costruire, ma un brandello di tempo privato da trattenere".
15 marzo 2020