Il logo del Giubileo ha le parole "Misericordes sicut Pater" (Misericordiosi come il Padre). "Siate dunque misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso": così la proposta di Gesù è riferita dall'evangelista Luca (Lc 6,27-36), che trasforma però la citazione dell'evangelista Matteo: "Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48). Come dire che per Luca la perfezione sta nella misericordia.
L'evangelista Luca è un medico; il "caro medico" lo chiama San Paolo nella Lettera ai Colossesi. Solo Luca riporta le parabole del Figliol prodigo, della Dracma perduta e del Buon Samaritano: un'attenzione alla misericordia che è frutto probabilmente anche della sua professione medica.
Come il Buon Samaritano, ad esempio, ci sono persone che si fanno carico di altre persone fino al punto da includerle nella loro vita: chi esercita una professione sanitaria è quotidianamente spinto a questa scelta.
È una situazione che si accetta o alla fine se ne difende, magari a causa di quello che medici, infermieri e operatori chiamano burnout, cioè a causa di uno stress lavorativo ed emotivo insopportabile?
Misericordia e competenza sono due parole in contrasto tra loro o si possono integrare?
Se lo è chiesto qualche mese fa Filippo Boscia, presidente nazionale dell'Associazione medici cattolici italiani. Queste alcune delle sue convinzioni: "La medicina, che è sacra e altamente umana, sta subendo un processo di desacralizzazione e disumanizzazione; sempre più onnipotente, ha smarrito la pietà e la misericordia, schiacciata com'è dalla tecnologia e sotto il peso dei grandi problemi bioetici. Se la competenza è un dovere dei medici e degli operatori sanitari, anche la misericordia è esigibile da parte dei pazienti". Cioè la misericordia per il personale sanitario non sarebbe solo un generoso "di più", ma un dovere, una manifestazione della loro professionalità.
Ai confini della vita. La vera misericordia che un malato e le persone che lo hanno a cuore si aspettano dal medico è la guarigione. Ci sono però situazioni nelle quali né la Medicina né la Misericordia sono sufficienti. Queste situazioni sono più frequenti quando la malattia o l'età ci portano ai "confini della vita".
Qui la "sconfitta" del medico è possibile; sempre qui la tecnica medica sembra a volte voler competere con la natura mortale dell'uomo (e magari con i familiari del malato).
Per questo ai confini della vita Medicina e Misericordia si danno spesso la mano: quest'ultima ha il volto dei familiari, ma anche i volti e le parole di volontari che strutturati in variegate associazioni hanno scelto questo tipo di servizio alle persone. Cito, solo come esempio, l'associazione padovana che ha per sigla CEAV, che riassume la denominazione "Cancro E Assistenza Volontaria". A Padova dal 1989 svolge un'attività organizzata di assistenza, personale e gratuita, a favore di coloro che stanno vivendo l'esperienza della malattia oncologica, siano essi pazienti o familiari. La Divisione di Radioterapia dell'Ospedale di Padova è stata il primo luogo di attività dell'associazione.
Non è solo un numero telefonico. I confini della vita sono comunque uno spazio in cui ci si avventura sempre con paura, non solo per chi vi è incamminato ma anche per le persone che lo hanno a cuore.
Di fronte ad una persona che si aggravava, una volta in famiglia ci si domandava se era ora di chiamare il prete. E c'era una componente di paura in questo interrogarsi, quasi si temesse di "accelerare" il passo verso l'ignoto.
Oggi, quando ci pare che una vita sia in difficoltà, ci si domanda tra familiari se è ora di chiamare il "118". Anche in questo caso c'è una componente di paura: quella di ammettere il pericolo di vita a se stessi e a chi lo è in prima persona.
Il "118" ci riporta… all'evangelista Luca e al suo Buon Samaritano. L'uomo mezzo morto sul ciglio della strada (Lc 10,25-37), è una delle immagini più intense dell'insegnamento a farsi prossimo. Il medico evangelista Luca ricorre alla scena di un incidente. Scena nella quale oggi - al posto del Buon Samaritano - compare… immediatamente il "118". Per molti il "118" è solo un numero di telefono, come quello dei taxi. Non è così: quel numero è solo l'interfaccia di un sistema integrato per le emergenze sanitarie, con "disponibilità di personale sempre più specializzato, di mezzi sempre più sofisticati, compresi quelli aerei, ed una moderna concezione della medicina che comporta erogazione delle cure attraverso una rete di ospedali con diverso grado di specializzazione e tra loro integrati", mi ha spiegato Andrea Spagna, direttore del Suem, il Servizio urgenza emergenza medica, di Padova.
"Ciò ha prodotto - dice ancora Andrea Spagna - un'ulteriore evoluzione delle modalità con cui viene svolto il soccorso extra ospedaliero. L'obiettivo fondamentale diventa portare il paziente nel posto non necessariamente più vicino, ma dove può essere curato in modo più appropriato rispetto alla patologia da cui è affetto, mettendo in atto percorsi condivisi tra tutti gli attori del sistema, dalla fase territoriale a quella ospedaliera. Nel nostro paese, tutto ciò è stato reso possibile con l'istituzione di un sistema per l'assistenza sanitaria di emergenza, con Decreto del Presidente della Repubblica Italiana del 27 marzo 1992. Con questo provvedimento non è stato solamente attivato un nuovo numero di telefono per le emergenze, ma sono state gettate le basi di un'organizzazione dedicata al soccorso sanitario, con strutture, mezzi e professionisti dedicati a svolgere questa delicata funzione".
Si chiamano ancora "Misericordie". Ragionando della dimensione civile della Misericordia, ci viene utile l'ultima precisazione di Andrea Spagna: è nel progetto generale di Servizio Sanitario Nazionale che si struttura e opera il servizio "118". Anche in questa decisiva risposta di salute è una comunità che decide di sostenere e di affiancare i suoi componenti più deboli, che mette al centro appunto la "debolezza" e se ne assume l'onere. Come fa il Buon Samaritano che paga anche le spese alberghiere.
Oggi la coscienza comunitaria di questo progetto si sta via via affievolendo, con la motivazione che bisogna far quadrare i bilanci. Sta affievolendo nei cittadini, mentre - e la contraddizione è così forte che non viene avvertita - proprio i cittadini ritengono scontato il servizio di emergenza e urgenza sanitaria, lo considerano un diritto esigibile in ogni momento e al più presto.
Eppure sono solo vent'anni che è stata attivata la centrale operativa del Suem di Padova. Era infatti il 1996. "Riceve ogni giorno circa 550 telefonate e, a fronte di queste, gestisce circa 200 interventi di soccorso, dei quali il 20 per cento circa per pazienti in gravi condizioni. La maggioranza delle richieste riguardano urgenze mediche (problemi cardiaci, respiratori, neurologici, ecc.), mentre gli incidenti stradali incidono per circa il 7 per cento del totale", mi racconta ancora Andrea Spagna.
La contraddizione tra forte esigenza individuale del servizio e debole propensione comunitaria a sostenerne gli oneri, tipiche della nostra società, risulta ancora più forte con riferimento proprio al servizio di emergenza-urgenza sanitaria, nel quale una componente essenziale è il volontariato. È questa un'attività storica del volontariato organizzato, che in alcune parti d'Italia è svolto da associazioni che portano ancora il nome di "Misericordie", restando dentro una tradizione lunga almeno mezzo millennio. Da noi a Padova il riferimento popolare è il nome "Croce Verde". "Chiamiamo la Croce Verde", si diceva prima che ci fosse il "118". Con il "118" operano tuttora i volontari della Croce Verde, con quelli della Croce Rossa e quelli di molte altre associazioni più localizzate nel territorio di riferimento ma altrettanto decisive per ruolo, motivazioni, esperienza e professionalità.
Pellegrinaggio al capezzale di un malato. Il volontariato sanitario non aggiunge solo braccia; arricchisce di rapporti personali momenti nei quali le persone sono più in difficoltà. I volontari praticano ogni giorno una tra le opere di misericordia più diffuse nella cultura popolare, quella di "visitare i malati".
La loro attività - tralasciando l'emergenza e l'urgenza - suggerisce nell'Anno Santo della Misericordia che "visitare i malati" potrebbe essere anche una forma di pellegrinaggio giubilare, quasi che ogni capezzale sia una Porta Santa. E per ogni malato il capezzale è davvero "una porta" che si apre nel buio.
Utilizziamo ancora la Bibbia. Il povero Giobbe, distrutto, gridando la sua disperazione ci riassume l'esigenza più profonda della persona malata: "Ascoltate bene la mia parola, e sia questo il conforto che mi date. Tollerate che io parli" (Gb, 21,2-3). La sfida di chi cura o visita un malato, sta nell'entrare in contatto con il suo dolore, nell'ascoltarlo: sia che voglia sfogarsi, sia che voglia lamentarsi, sia che abbia voglia semplicemente di parlare.
Ritorna così la questione iniziale: quanto "guarisce" una parola personalizza del medico, una carezza dell'infermiere? Quanto "cura" la Misericordia assieme alla Medicina?
La sfida non riguarda solo il personale sanitario. Sempre più spesso per "visitare i malati" non occorre andare all'ospedale: migliaia di vecchi fragili sono nelle nostre case; la vecchiaia finisce spesso per identificarsi con la malattia, anzi in una somma di tante malattie che la Medicina per ora riesce magari a governare ma non a guarire. Qui, nelle nostre case, protagonista diventa la Misericordia, che a volte - penso ai malati di demenza senile e di Alzheimer - non può ancora contare sulla Medicina, ma ha a disposizione una famiglia.
11 febbraio 2016, Giornata mondiale del Malato