Si continua a morire di dolore. Per i medici sei vivo, ma il dolore cronico ti uccide nella personalità con la depressione, ti uccide le relazioni con l'isolamento, ti uccide nell'indipendenza con il licenziamento. L'ospedale e le cure farmacologiche sono prevalentemente orientate a sconfiggere la malattia che genera il dolore, considerato un pegno da pagare: inevitabile, anche nella percezione dei malati.
Proprio inevitabile? Papa Francesco - come spesso sa fare - ha ben riassunto questa condizione all'inizio di marzo, quando è intervenuto all'Assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita, che stava riflettendo su "Assistenza all'anziano e cure palliative". Ha detto il Papa: "Apprezzo il vostro impegno scientifico e culturale per assicurare che le cure palliative possano giungere a tutti coloro che ne hanno bisogno. Incoraggio i professionisti e gli studenti a specializzarsi in questo tipo di assistenza che non possiede meno valore per il fatto che "non salva la vita". Le cure palliative realizzano qualcosa di altrettanto importante: valorizzano la persona".
Anche se non si guarirà. Parole certamente care al promotori della Giornata nazionale del Sollievo che si celebra domenica 31 maggio. La Giornata è finalizzata (come richiama la direttiva del Presidente del Consiglio del 24 maggio 2001) a "promuovere e testimoniare, attraverso idonea informazione e tramite iniziative di sensibilizzazione e solidarietà, la cultura del sollievo dalla sofferenza fisica e morale in favore di tutti coloro che stanno ultimando il loro percorso vitale, non potendo più giovarsi di cure destinate alla guarigione". Quella di quest'anno è la quattordicesima manifestazione promossa da Ministero della salute, dalla Conferenza delle Regioni e dalla Fondazione nazionale "Gigi Ghirotti".
Il sollievo non può certo sconfiggere definitivamente il dolore, specie se cronico o in presenza di patologie in fase avanzata. Può però essere applicato attraverso cure adeguate, oggi esistenti, e con il sostegno tempestivo ed amorevole, sia psicologico sia sociale sia spirituale. Ci sono strutture sanitarie che, partendo dalla centralità della persona malata, si sono distinte nel sollievo e nell'affrancamento dal dolore inutile non solo con le terapie più avanzate, ma anche con il sostegno psicologico e attraverso un processo di umanizzazione delle cure.
Sono cure destinate alla persona malata ma anche ai suoi familiari. Pensiamo alle sofferenze di bambini malati: il sollievo va praticato anche nei confronti dei genitori, che certamente la rifletteranno sul figlio malato, moltiplicando gli effetti del sollievo stesso.
A cinque anni dalla legge. Si tratta di terapie vere e proprie, tanto che in mezzo tra la Giornata di oggi e quella direttiva governativa del 2001 c'è stata (e c'è tuttora) la legge 38 del 2010 che garantisce l'accesso alla terapia del dolore e alle cure palliative. È una legge ancora poco nota e non sufficientemente attuata nella pratica ospedaliera e nella cura domiciliare. La legge impone, ad esempio, di effettuare la misurazione del dolore a tutte le persone ricoverate in ospedale: una operazione che non è assolutamente diventata routinaria.
La Fondazione "Ghirotti" ha recentemente documentato che il 40 per cento delle persone che vivono in una condizione di dolore cronico ritengono di non ricevere ancora un trattamento medico adeguato; spesso hanno la sensazione che i medici non gli prestino sufficiente attenzione. Soltanto 3 cittadini su 10 sono indirizzati ai trattamenti idonei dal medico di famiglia, più del 60 per cento non sa quale percorso intraprendere né a chi rivolgersi. Trascorrono dai 12 ai 36 mesi prima di venire a conoscenza della possibilità di rivolgersi a un Centro di terapia del dolore, in cui trovare la giusta diagnosi e terapia. L'esperienza dice dunque che non sono ancora del tutto raggiunti gli obiettivi fissati dalla legge 38/2010 circa il diritto all'accesso alle cure palliative e terapia del dolore.
Il bisogno crescente. Eppure si tratta di obiettivi che interessano anche la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. L'ospedale Niguarda di Milano, che ha in corso un progetto specifico sulle cure palliative, ha documentato in questi giorni che "il progetto ha certamente favorito un appropriato percorso di cura con continuità assistenziale e una riduzione dei costi in termini di ospedalizzazioni, accesso in pronto soccorso ed esecuzione di esami inutili". Il bisogno del sollievo è documentato dallo stesso progetto del Centro regionale di terapia del dolore del Niguarda: una media dell'85 per cento dei pazienti coinvolti ha aderito alla terapia, "anche quelli che assumono più di 10 farmaci al giorno per altre patologie oltre il dolore cronico. L'informazione, l'educazione e il coinvolgimento attivo della persona nella cura del dolore è la chiave di successo del progetto, anche in situazioni complesse clinicamente con numerose altre patologie croniche associate".
Anche perché - come ha ricordato Papa Francesco alla stessa Pontifica Accademia per la Vita - la medicina "esplora nuove aree di applicazione delle cure palliative. Fino ad ora esse sono state un prezioso accompagnamento per i malati oncologici, ma oggi sono molte e variegate le malattie, spesso legate all'anzianità, caratterizzate da un deperimento cronico progressivo e che possono avvalersi di questo tipo di assistenza".
Il bisogno dunque è confermato; serve continuare a promuovere la cultura del sollievo come riassume Vito Ferri, coordinatore scientifico della Fondazione Ghirotti: "Si era notata - dice riferendosi all'inizio delle Giornate nazionali - una mancanza nell'opinione pubblica di una cultura vera e propria del sollievo, perché l'attenzione era troppo centrata sulla sofferenza, sul dolore. Mentre con la Giornata nazionale del sollievo si è voluto puntare il riflettore sull'affrancamento dal dolore. Quindi una giornata propositiva, a favore. Vuole essere una manifestazione per promuovere la cultura del sollievo in Italia".
Cronista della sua morte. La Fondazione Ghirotti compie nel 2015 quarant'anni ed è intitolata a Gigi Ghirotti, giornalista ammalatosi di cancro che ha continuato a fare il cronista anche della sua terribile avventura tra vita e morte. Quella sua "cronaca" appassionata e civile è diventata una battaglia per promuovere un cambiamento culturale sull'idea di malato e di malattia, che porti a malati finalmente considerati per le loro esigenze di persone oltre che di pazienti; e proprio secondo i bisogni delle persone il sollievo dal dolore e, ove possibile, la sua eliminazione, diventino una priorità nelle scelte terapeutiche in tutto il percorso di cura fino alla fase terminale.
"Le cure palliative - ci ha per l'appunto spiegato Papa Francesco nel discorso che ho citato all'inizio - sono espressione dell'attitudine propriamente umana a prendersi cura gli uni degli altri, specialmente di chi soffre. Esse testimoniano che la persona umana rimane sempre preziosa, anche se segnata dall'anzianità e dalla malattia. La persona infatti, in qualsiasi circostanza, è un bene per se stessa e per gli altri ed è amata da Dio. Per questo quando la sua vita diventa molto fragile e si avvicina la conclusione dell'esistenza terrena, sentiamo la responsabilità di assisterla e accompagnarla nel modo migliore".
In particolare, il sollievo esercitato a favore dei vecchi serve a sconfiggere non solo il dolore fisico, ma anche il dolore da abbandono: "Si tratta - ha detto ancora Papa Francesco - di un sostegno importante soprattutto per gli anziani, i quali, a motivo dell'età, ricevono sempre meno attenzione dalla medicina curativa e rimangono spesso abbandonati. L'abbandono è la "malattia" più grave dell'anziano, e anche l'ingiustizia più grande che può subire: coloro che ci hanno aiutato a crescere non devono essere abbandonati quando hanno bisogno del nostro aiuto, del nostro amore e della nostra tenerezza".
È una valle immensa che la vecchiaia fragile apre davanti alla medicina e alla sociologia: qui ci sono molte lacrime da asciugare, in modo che il dolore non uccida prima della malattia.
31 maggio 2015