SALUTE
Alzheimer: in attesa dei farmaci, utile la stimolazione cognitiva
Usare il cervello per non perderlo del tutto
La demenza si può prevedere: puntare sullo screening preventivo

di Tino Bedin presidente di AltaVita

La demenza è un'epidemia. Anzi è la più terribile delle epidemie perché strappa la persona da se stessa e perché è strettamente collegata alla vita: quanto più vivi, tanto più rischi di esserne colpito. E infatti l'aumento esponenziale delle demenze si avrà nella prima metà del secolo proprio nei paesi a medio e basso reddito, proprio perché lì l'età media si sta innalzando. Al momento i malati nel mondo i malati sono 44 milioni e l'Organizzazione mondiale della Sanità ritiene che questi numeri raddoppieranno ogni venti anni. Nel 2010 se ne stimavano 35 milioni, con la previsione di raggiungere i 76 milioni nel 2030 (la stima precedente era di 66 milioni) e i 135 milioni nel 2050 (stima precedente, 115 milioni). I Paesi più colpiti sono la Cina (5 milioni), l'Unione europea (5), gli Usa (2,9), l'India (1,5) il Giappone (1,1), la Russia (1,1) e l'Indonesia (un milione).

Mistero e isolamento. Inevitabilmente la demenza fa più paura di tutte le altre malattie. Indagini a livello globale segnalano che la demenza è in testa alle preoccupazioni per il proprio futuro, molto più del cancro.
Delle epidemie la demenza, che sinteticamente l'opinione pubblica definisce Alzheimer, ha tutte le caratteristiche.
Innanzi tutto non se ne conoscono pienamente le cause, ma soprattutto non se ne conosce la cura. Il Senato italiano, il 23 aprile scorso, ha così sintetizzato la situazione: "La ricerca scientifica non ha sino ad oggi individuato l'eziopatogenesi della malattia e le moderne terapie farmacologiche si limitano a benefici sintomatici, ad un rallentamento della progressione della malattia e alla cura delle sue conseguenze ma non si registra ancora un'efficacia che ne consenta la guarigione, per cui si rende necessario potenziare la ricerca scientifica del settore".
In secondo luogo l'Alzheimer - come le altre epidemie - provoca l'isolamento di chi è colpito e della famiglia del malato. Questa volta non ci sono moderni "lazzaretti": è il malato che si isola dalla famiglia e dalla società; la sua condizione mette completamente in discussione tutta la famiglia, le sue relazioni e la sua organizzazione; così anche la famiglia finisce nell'isolamento per le difficoltà delle relazioni al proprio interno e per l'impossibilità di organizzare rapporti esterni.

Nasce l'Alleanza globale. I costi personali e familiari dell'epidemia di Alzheimer e della demenza in genere sono quelli più drammatici ed immediati. Le dimensioni (e le proiezioni) dell'epidemia sono però tali da far considerare insopportabili i costi economici e sociali a livello globale.
Questa consapevolezza ha portato il 19 maggio scorso alla nascita di "Alleanza Globale della malattia di Alzheimer e della Demenza": organismo che unisce istituzioni pubbliche, organizzazioni private e mondo del non-profit a livello globale per affrontare la sfida comune. La presentazione è avvenuta nella sede dell'Onu a Ginevra, durante l'Assemblea mondiale della Sanità (l'annuale incontro dei 193 Paesi membri dell'OMS): sede ed occasione che disegnano da sole il contesto della lotta. L'iniziativa è stata presa da Alzheimer's Disease International (ADI), Alzheimer's Society (Inghilterra, Galles, Irlanda del Nord) e dal Dipartimento di Sanità inglese. L'Alleanza, come ho detto, sarà stretta a livello mondiale tra i governi, le Ong internazionali, le associazioni e gli enti con l'obiettivo di coordinare e diffondere le azioni per migliorare la cura e i servizi per le persone affette da Alzheimer e altre demenze.
La paternità prevalentemente inglese dell'Alleanza risponde ad un impegno che il Primo Ministro britannico David Cameron si era preso lo scorso 11 dicembre, quando aveva organizzato a Londra il primo "G8 Dementia Summit" per sviluppare azioni globali e coordinate sulla demenza. "Non importa dove voi viviate - aveva detto in quella occasione David Cameron - la demenza ruba le vite e distrugge le famiglie. È per questo che noi siamo qui riuniti e siamo determinati a sconfiggerla. Abbiamo combattuto la malaria, il cancro, l'AIDS e ora voglio che questo giorno sia ricordato come quello in cui é iniziata la lotta mondiale alla demenza".
A questo G8 sulla Demenza l'Italia non è stata rappresentata dal suo ministro della Salute, ma dal direttore generale. Giuseppe Ruocco. Invece molti ministri sono volati a Londra dalla Russia, il ministro Veronika I. Skvortsova; dal Giappone, il viceministro alla salute Shinako Tsuchiya; dal Canada il ministro Rona Ambrose; dalla Francia il ministro per la salute e per gli affari sociali Marisol Touraine e il ministro per l'educazione e la ricerca Geneviéve Fioraso; dalla Germania, il ministro Daniel Bahr.
Non stupisce quindi che l'Italia non abbia un piano nazionale sulle demenze. Sono solo 13 i Paesi nel mondo che se ne sono dotati, segno che la maggior parte dei governi è impreparata ad affrontare l'epidemia della demenza. L' Alleanza Globale della malattia di Alzheimer e della Demenza potrà aiutare a superare questa impreparazione.

Due risposte preventive. Per intanto in Italia - ed in Veneto in particolare - potrebbero essere attivate almeno due risposte, partendo dalla constatazione che dall'Alzheimer non si guarisce al momento.
Innanzi tutto la diffusione di luoghi adatti alle persone malate di Alzheimer. A proposito del cervello, la ricerca scientifica usa un'espressione molto evocativa: "O lo usi o lo perdi". La stimolazione cognitiva - in assenza per ora di farmaci adeguati - rappresenta l'unica risorsa per frenare la malattia anche dopo la sua conclamazione. Questa stimolazione cognitiva richiede competenze e - come dimostrano esperienze anche venete - ambienti specializzati. L'utilizzo di queste competenze e di questi ambienti dovrebbe essere inserito nei Livelli essenziali di assistenza.
L'altra risposta dovrebbe essere un investimento nella prevenzione, che nel caso specifico avrebbe anche ricadute decisive nella ricerca. Lo stato attuale delle conoscenze conferma che nel 90 per cento dei casi la malattia potrebbe essere diagnosticata almeno tre anni prima del suo insorgere. Dunque è opportuno attivare uno "screening" preventivo per identificare la malattia, ovviamente tarato su familiarità e condizioni particolari. Se lo si fa per il tumore al colon, pare giusto farlo per questa malattia ancora più invalidante e diffusa.
Sullo screening preventivo per le demenze ci sono obiezioni sia etiche sia economiche, soprattutto nel Regno Unito. Ma non dimentichiamo che obiezioni di questa natura erano state formulate all'inizio anche a proposito dell'Aids.

1 giugno 2014


3 luglio 2014
sal-030
scrivi al senatore
Tino Bedin