Le radici profonde della nostra Costituzione
La Costituzione è come un albero legato alla terra in cui è nato e in cui affonda le sue radici: si può potarlo o innestarlo ma non si può sradicarlo dalla sua terra senza farlo morire.
Ebbene la nostra Costituzione ha radici profonde nella nostra storia: il no alla modifica così radicale che è stata proposta dalla passata maggioranza deve fondarsi non su ragioni politiche di schieramento ma su motivazioni ben più profonde.
Sottolineerei tre aspetti del radicamento della Costituzione nella nostra storia.
II primo è legato al rapporto resistenza-costituzione, un rapporto radicalmente contestato negli anni Novanta da un revisionismo che ha ridotto l´immagine della Resistenza ad una lotta crudele fra due minoranze nella indifferenza della maggioranza del Paese. È evidente che su queste premesse, la Costituzione perdeva rilievo storico e diventava tutto e solo un compromesso fra i partiti. Così tutto l´edificio della Repubblica restava privo di fondamento e la Costituzione perciò destinata ad essere archiviata con il superamento di quel quadro storico e con la scomparsa dei soggetti politici protagonisti del compromesso da cui era nata.
Queste interpretazioni hanno provocato una reazione sul piano della ricerca e della riflessione storica che ha contribuito alla maturazione di una più comprensiva visione di quel periodo e perciò anche del significato della nostra Costituzione. L´immagine di un Paese immerso nella zona grigia dell´attendismo non risponde alla realtà: la popolazione italiana nel suo insieme non fu inerte e indifferente di fronte ai mille drammi umani provocati dall´8 settembre. È stata ricuperata, anche per merito del presidente Ciampi la complessa realtà della resistenza dei militari, rimasta in ombra nella storiografia di sinistra che li aveva classificati come i "badogliani". Sono stati ricuperati alla resistenza gli ufficiali e i soldati che resistono nei lager per fedeltà al giuramento al re. Il rifiuto della violenza e l´accentuarsi della volontà di pace non sono sentimenti "grigi", e non saranno di fatto irrilevanti per un´opera di ricostruzione della convivenza civile. Combattere ogni giorno per vivere e sopravvivere è cosa ben diversa da una inerzia passiva se si tiene conto dell´impegno eccezionale cui anche milioni di donne sono state chiamate. Insomma il fenomeno della lotta partigiana, che conserva tutto il suo insostituibile valore, non può essere isolato dalle innumerevoli forme di "resistenza civile" di cui il Paese fu teatro.
In questi spazi si colloca il ruolo della presenza cattolica intuito da Chabod ma a lungo poco valorizzato. Vi è stata certo una significativa partecipazione di cattolici alla Resistenza armata, ma il ruolo complessivo della Chiesa si colloca su un piano diverso che è quello della salvaguardia di spazi di umanità e di pietà di fronte allo scatenarsi dell´odio con una attiva partecipazione ad ogni forma possibile di assistenza ad una umanità sofferente.
Ebbene la Costituzione ha dato forma giuridica e ha consacrato sentimenti, speranze, attese, legate a indicibili sofferenze, che nel dramma della guerra si erano sviluppate e radicate nel popolo. Dunque la Costituzione non è un semplice compromesso fra i partiti ma è la risposta ad una domanda vitale di un popolo che usciva dalla tragedia della guerra. È elemento costitutivo di una nuova identità nazionale democratica. E´ per questa ragione storica, io credo, che la Corte costituzionale, ha dichiarato non modificabili principi e norme che ne costituiscono il nucleo fondamentale.
Un secondo motivo di radicamento storico della nostra Costituzione va sottolineato: la Costituzione inserisce l´Italia nella tradizione più solida del costituzionalismo europeo non solo per i suoi contenuti ma per il modo con il quale al nuovo assetto costituzionale si è giunti. Dal punto di vista della storia istituzionale italiana l´evento storico della nuova costituzione conclude il lungo dibattito che si apre nel corso stesso del processo risorgimentale sulla convocazione di una assemblea costituente capace di dare al Paese una costituzione, non concessa, ma voluta dal popolo.
Ma la Costituente italiana del 1946 non realizza quel modello giacobino di costituente del quale Zagrebelsky ha scolpito efficacemente i tratti caratteristici: «Il potere costituente è fissazione, è assolutizzazione di valori politici, è puro dover essere, è cominciamento ex novo, è elisione del passato e riduzione di ogni futuro al presente, è inizialmente accelerazione storica e successivamente arresto del movimento». In definitiva, aggiungo io, è negazione della storia.
Il modo stesso in cui si giunse alla Costituente esclude una interpretazione giacobina dell´evento. Un esito giacobino della crisi fu escluso anzitutto dalla famosa "svolta di Salerno" di Palmiro Togliatti che spinse il C.L.N. a superare la pregiudiziale antimonarchica e rese possibile il compromesso con la monarchia. Fu escluso poi dalla decisione di affidare a un referendum popolare la scelta fra monarchia e repubblica e di limitare i poteri della Costituente. Le due limitazioni segnavano un ulteriore distacco da quel modello radicale di costituente, legato alla cultura illuministica. La presenza cattolica e liberale alla Costituente ha contribuito in maniera determinante al superamento delle iniziali spinte della sinistra verso impostazioni assembleari e alla salvaguardia degli equilibri che caratterizzano il costituzionalismo europeo. I valori tradizionali del costituzionalismo europeo sono stati arricchiti dalla forte impronta sociale che caratterizza la nostra costituzione sul fondamento del principio di uguaglianza fissato nell´articolo 3.
Dunque la Costituzione per i suoi contenuti e per il modo in cui si giunse alla sua approvazione ha reinserito l´Italia, dopo la devastante esperienza istituzionale del fascismo, nel grande filone del costituzionalismo europeo e lo ha arricchito con l´esigenza di una democrazia sostanziale. E´ questo un ulteriore elemento che contribuisce a fare della Costituzione un essenziale elemento di una identità nazionale democratica.
Ma vi è un terzo elemento che contribuisce a radicare la Costituzione nella nostra identità storica.
Per dirla con le parole di Tocqueville la Costituzione repubblicana segna il momento della "istituzione della democrazia nel mondo cristiano": di fatto la Costituzione ha sancito la saldatura in Italia fra Chiesa cattolica e democrazia. Un obiettivo che il partito popolare di Sturzo aveva sostanzialmente mancato per il volgersi delle attenzioni della Chiesa verso il fascismo. La Chiesa era uscita rafforzata dalla guerra proprio in ragione del ruolo svolto di protezione delle popolazioni. Ma il suo rapporto con la democrazia italiana non era scontato. Il riconoscimento nel primo comma dell´articolo 7 della Chiesa come istituzione autonoma e sovrana nel suo ambito rappresenta un elemento cardine della nuova Costituzione. La accettazione anche del secondo comma di quell´articolo, non ostante le legittime riserve che suscitò, garantì l´adesione della Chiesa alla Costituzione. È solo con l´approvazione della Costituzione che si realizza la saldatura della Chiesa con la democrazia in Italia.
Tutto quanto detto sin qui non significa intangibilità della Costituzione nelle sue singole norme. Ma le iniziative di riforma esigono un criterio rigoroso di coerenza al significato storico profondo della Costituzione: esigono soprattutto la coscienza che la Costituzione è un bene non disponibile per qualsiasi operazione di scambio politico.
Lo scempio che è stato fatto della Costituzione sarebbe stato impossibile se nel profondo della coscienza popolare fosse radicato quel "patriottismo della Costituzione" nel quale si esprime oggi nei Paesi democratici più maturi il senso stesso della cittadinanza.
Perché la Costituzione è debole nella coscienza popolare? Perché non è diventata elemento vissuto, motivo di appartenenza nel nostro Paese? Il tema, che investe le responsabilità dei partiti e della scuola, è stato oggetto di molte ricerche e di molti dibattiti.
La partecipazione al referendum del 25 giugno, in difesa della Costituzione, può diventare un primo atto per la riscoperta di un senso più alto di cittadinanza democratica. Un fermo e meditato "no" il 25 giugno non solo servirà a respingere una cattiva riforma ma potrà essere l´occasione per compiere un passo almeno verso quel patriottismo della costituzione così debole nel nostro Paese. Per questo il no è pregiudiziale e netto, non è soggetto a condizioni o compromessi. Poi si tornerà a parlare delle riforme utili al Paese al di fuori di ogni logica di scambio politico. E si cessi - lo speriamo - di parlare di commissioni con poteri costituenti e si torni all´artico 138, nel grande solco della "cultura dell´emendamento".
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