Il bollettino della Cei contro le riforme della Costituzione a maggioranza: è decisionismo che poi genera instabilità
Referendum, tra i cattolici sale il No
Appelli dall´Ac agli scout. I vescovi: andare a votare è un dovere.
Manifesto anti-devolution di 41 testate religiose di vari orientamenti
ROMA - Votare al referendum costituzionale è un dovere. I vescovi lo ribadiscono attraverso il bollettino Sir. Esortando gli elettori a recarsi alle urne per «fedeltà alla Repubblica» e sconsigliando vivamente l´astensionismo, che potrebbe essere alimentato dalle preoccupazioni economiche dei cittadini. Il bollettino della Cei critica apertamente il metodo di modificare la costituzione a colpi di maggioranza. La riforma del Titolo V voluta dal centrosinistra, spiega il Sir, ha intasato la Corte costituzionale di conflitti di competenza e l´attuale riforma della seconda parte della carta fondamentale nasce anch´essa per decisione di uno solo degli schieramenti. «Riformare la Costituzione - ritengono i vescovi - può apparire il massimo della capacità decisionale». Ma senza il supporto di una larga condivisione «il rischio è di generare piuttosto instabilità e sovraccaricare il sistema».
La partecipazione degli elettori è «importantissima», ricorda il Sir, anche in vista del dibattito che si svilupperà dopo il voto.
Tuttavia viene sottolineato che i pronunciamenti della Cei «evitano scrupolosamente prese di posizione sul merito del voto».
Di segno opposto un appello di uno tra i più noti teologi italiani, Enrico Chiavacci, per il quale è dovere morale anche votare No.
Tra l´associazionismo cattolico si fa strada, invece, un forte movimento per il No. Associazioni storiche come le Acli e l´Azione cattolica invitano a bocciare la devolution di Bossi e Berlusconi.
Le Acli, che hanno partecipato direttamente alla campagna anti-devolution (nella foto a sinistra, un banchetto per la raccolta delle firme) e ora fanno parte dei comitati per il No, denunciano la «logica di scambio» tra i partiti del Polo che ha portato ad una riforma «contraddittoria», in cui emerge un «dispotismo del premier non riscontrabile in nessun paese di democrazia avanzata».
Più indiretto l´appello della presidenza dell´Azione cattolica, che condanna eventuali strumentalizzzioni della consultazione (leggi «spallata» berlusconiana), sollecita i partiti a riprendere la discussione dopo il referendum e indirizza i suoi aderenti a «considerare con attenzione» il documento congiunto del Meic (Laureati cattolici) e dell´Istituto Bachelet. Ma proprio da questo documento, consigliato come vademecum, partono bordate durissime contro la riforma del Polo, riassunte nell´appello esplicito a «bocciarla con il No popolare». Tra i motivi indicati: ancora il «premierato assoluto», un bicameralismo confuso, il depotenziamento del Presidente della Repubblica, la politicizzazione della Corte Costituzionale e una «cosiddetta devoluzione, basata su un federalismo assai poco solidale».
Un ruolo importante nel tam-tam per il No al referendum è giocato dal manifesto anti-devolution, che per la prima volta ha riunito quarantun testate religiose dagli orientamenti diversissimi. Da "Adista" ad "Aggiornamenti Sociali", da "Cem Mondialità" al "Tetto", da "Jesus" al "Segno", a "Rocca", a "Testimonianze", a "Vita pastorale". Diffuso nelle settimane scorse, il documento sta suscitando adesioni capillari sia nel mondo del micro-associazionismo tra testate missionarie come "Popoli", organi del volontariato o dello scautismo come "Servire". Il manifesto insiste sul fatto che la «devolution» rompe il legame di solidarietà fra gli italiani e ha uno spirito antieuropeo e implicitamente xenofobo, poiché non cita l´obbligo di Stato e Regioni a recepire i trattati internazionali.
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