Colloquio con Enzo Bianchi
Ma Dio non è lo Stato
La Chiesa fa troppo politica. Siano i fedeli a dialogare con i laici
Date a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio. È con le celebri parole del Vangelo che Enzo Bianchi chiosa quella che a lui, grande biblista, pare come una "sfida nutrita di inimicizia" tra cattolici e laici nel nostro paese. Una sfida così calda che ha portato il libro appena pubblicato con Einaudi dal priore della comunità monastica di Bose, "La differenza cristiana", d'un balzo in cima alle classifiche dei più venduti: prima dei Codici da Vinci e dei noir da cassetta, per intenderci.
Già, ma sono di Cesare o di Dio le normative sulla fecondazione assistita o sul testamento biologico? La faccenda dei preservativi ai sieropositivi, il diritto di ogni bambino sulla Terra ad avere una vita decente, come il cardinale Carlo Maria Martini ha posto sulle pagine de "L'espresso", la decisione di concedere l'adozione ai single? Sono di Cesare o di Dio le quotidiane lacerazioni come l'esperimento inglese di cui si parla nelle pagine precedenti? Ecco come la vede il priore.
Padre Bianchi, in Inghilterra hanno impiantato nell'utero della madre un embrione selezionato tra altri perché non ha nel suo genoma un certo gene che predispone ad ammalarsi di un tumore oculare, eliminando, invece, quelli che ne erano portatori. Questo è un evento che riporta in primo piano una spaccatura tra la società civile, che non può che vedere del bene nella possibilità di far nascere bimbi sani, e la Chiesa che dice no. Lei come come la vede?
"Io ho studiato i testi sacri e sono a disagio con le complesse questioni poste dalla scienza moderna. Ma credo che alla Chiesa stia a cuore veramente la questione antropologica: è in nome del suo Signore che ha vissuto tra noi come uomo che essa deve difendere l'uomo. La Chiesa vuole che la scienza abbia dei limiti, e che operi sempre per difendere la vita dal concepimento alla morte, mai dimenticando tutto ciò che ne minaccia la pienezza e la dignità: guerre, ingiustizie, malattie, fame. Quindi ciò che oggi è in gioco è il rispetto di tutti gli uomini, di quelli che sono pieni delle loro facoltà e di quelli che ne risultano menomati. Se noi non diamo all'uomo questa pienezza di dignità e di diritti, tutto diventa relativo. E non sappiamo dove fermarci".
Eppure alla società civile pare che la lotta alle malattie abbia come obiettivo la salvezza dell'uomo. Lei parla della necessità di costruire un ethos comune tra cristiani e laici. E i laici vedono nella possibilità che offre la scienza proprio un orizzonte antropologico moderno. Come pensa che si possa costruire un ethos comune con una contraddizione così evidente?
"Certamente ci vuole un confronto, ci vuole un ascolto reciproco. La Chiesa deve saper mostrare che le sue ragioni sono a favore dell'uomo, e non sono semplicemente dottrinali e dogmatiche. E questo forse è quello che la Chiesa oggi ha un po' di difficoltà a fare".
Nel suo libro lei parla di una chiesa "troppo presenzialista". Che cosa intende?
"Nel Cristianesimo c'è una distinzione molto chiara, rispetto a ciò che si può fare per la costruzione della polis. I credenti, i fedeli, devono assolutamente partecipare a questa costruzione. Le figure istituzionali della Chiesa - presbiteri, vescovi, io stesso che sono un monaco - invece devono restare sempre sul pre-politico e sul pre-economico. Devono ricordare le ispirazioni del Vangelo, devono indubbiamente anche esprimere delle condanne laddove viene contraddetto ciò che secondo tutta la tradizione biblica è una menomazione dell'uomo e della vita sociale. Però devono arrestarsi lì. Perché le modalità con cui si traducono le ispirazioni spettano insieme ai cristiani, ai laici e ai fedeli di altre religioni nella costruzione della polis e possono essere differenti. Ogni tanto si dice: "In una società democratica anche la Chiesa ha diritto di parola". I cristiani, come tutti i cittadini, certamente hanno questo diritto, ma se le persone che sono rappresentative della Chiesa prendono una posizione che è già politica o economica e ne dettano la soluzione, esse rischiano con le loro parole di dividere la comunità cristiana. Allora io credo che le figure rappresentative della Chiesa devono sì ricordare le esigenze profetiche della giustizia, della pace, ma poi si devono fermare. E lasciare che siano i fedeli, i cristiani, insieme agli altri uomini non cristiani, a trovare le soluzioni economiche e politiche".
Quando parla dei pastori, intende anche l'alto magistero, intende anche il soglio pontificio?
"Per forza. Intendo tutti, tutti quelli che sono pastori nella Chiesa".
Pensa che nella costruzione delle soluzioni politiche si debba trovare un compromesso fra le diverse componenti della società o che comunque il Vangelo debba avere sempre la priorità?
"No, attenzione. La testimonianza del Vangelo i cattolici la danno nella società, e sono tenuti fino alla fine a darla per testimoniare come sia in gioco una questione di rispetto dell'umanità. Prendiamo il divorzio: i cattolici sanno che è contrario a un preciso insegnamento del loro Signore. Però è certo che nello scrivere una legge, lo Stato ha dovuto tenere conto di tutte le componenti della società: non credenti, ebrei, protestanti, e delle loro etiche. Quando c'è una legge da fare, si genera un percorso comune per la costruzione della polis".
Anche quando parliamo di aborto o di fecondazione assistita, appena condannata da papa Benedetto XVI?
"Io credo che dobbiamo essere molto chiari. I cristiani, hanno delle posizioni alle quali credono per ragioni antropologiche. Quando lo Stato legifera, va rispettato il gioco democratico, e i cattolici daranno il loro apporto. Se a un certo punto si trovassero di fronte a qualcosa che contraddice in maniera definitiva la loro visione antropologica, possono fare l'obiezione di coscienza. E dire: "Noi non partecipiamo a questo". Ma non possono pretendere che la legge morale cristiana diventi legge dello Stato. Questo assolutamente no".
Se sarà il gioco democratico a decidere la legge, il cristiano condannerà coloro che assumono comportamenti contrari all'etica cristiana?
"Il cristiano non deve mai disprezzare o condannare chi la pensa diversamente".
Anche se questi comportamenti sono in contrasto forte con l'etica cristiana?
"Il mondo non è più cristiano. Non siamo più in una cristianità in cui possiamo dettare la legge. E le nostre norme etiche non diventano automaticamente diritto. La società e la sua cultura dominante sono ormai lontane dal cristianesimo, ma i cristiani dovrebbero ricordarsi che hanno uno strumento formidabile per testimoniare i valori ispirati dal vangelo e custoditi dalla Chiesa: la loro stessa condotta di vita. Se c'è assenza di Dio nella vita sociale, dovremmo chiederci quanto non dipenda anche dai cristiani e dalla loro incapacità a farsi comprendere e, in certi casi, dall'ambiguità della loro testimonianza".
C'è un nuovo popolo che potremmo definire di non stretta osservanza e però chiede alla Chiesa delle indicazioni morali. Quante coppie cristiane sono disorientate dal fatto che essa impone di non usare anticoncezionali? Non crede che anche la morale sessuale cristiana debba aprirsi alla modernità?
"La Chiesa ha una sapienza millenaria. Quindi, al di là dell'individuazione dei problemi tecnici che ogni volta affiorano, essa si troverà sempre a porre al centro la vita, la dignità umana. Il vero problema è che noi cristiani dobbiamo essere capaci di usare un linguaggio e dei comportamenti che mostrino che le nostre posizioni non sono dogmatiche, ma puntano a tenere l'uomo al centro della prospettiva etica, libero da qualsiasi antica o nuova schiavitù e idolatria".
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