Il falso mito del Nord
Elezioni e ritorno al territorio
È SINGOLARE. Tanta enfasi attribuita ai media, in queste elezioni. Per spiegane il senso e il risultato. Per assistere, alla fine, al, puntuale, ritorno del territorio. Sottolineato dall´importanza riconosciuta, nei commenti, alla "questione settentrionale". I dati, infatti, ci dicono che la Cdl ha rimontato la china, rispetto alle previsioni, grazie al risultato conseguito nel Nord. Dove ha conquistato oltre il 53% dei voti validi. In particolare, in Veneto e in Lombardia, dove ha sfiorato il 57%. Mentre in Piemonte e in Friuli Venezia Giulia, al Senato, si è affermata, rovesciando l´esito dell´anno scorso, alle regionali.
Insomma, il Nord, contesto in cui si concentrano gran parte del Pil e del sistema produttivo nazionale: sembra tornato all´opposizione. Come negli anni Novanta. Tuttavia, questa discussione è viziata da un duplice equivoco. Fa riferimento a un Nord che non c´è più. E, quanto al presente, offre una lettura parziale e distorta del risultato elettorale.
In primo luogo, non ha senso guardare – e definire – il Nord come fosse lo stesso di dieci anni fa. Quando diede origine ai principali fenomeni di dissenso e di cambiamento politico in Italia. La Lega. Che, nel 1996, superò il 10% in Italia, il 25 % in Lombardia e il 30% in Veneto. Attestandosi ben oltre il 20% nelle regioni del Nord. Forza Italia, il partito personale dell´imprenditore mediatico, Silvio Berlusconi, che nel 1994 occupò il vuoto provocato dalla scomparsa dei partiti di governo, Dc e Psi anzitutto. E divenne l´attore politico protagonista della seconda Repubblica. Entrambi emersi, esplosi nel Nord. Di cui esprimono due diverse zone, due diversi modelli socioeconomici. La Lega: la piccola impresa, il localismo, che hanno la loro "patria" nel Nordest e nelle altre province pedemontane della Lombardia, ma anche del Piemonte. Il "capitalismo popolare", come lo ha chiamato Giorgio Lago. Poi, il Nord dei servizi, della finanza, del credito, della comunicazione. Il "capitalismo dei beni immateriali", come l´ha definito Arnaldo Bagnasco. Ha il suo centro a Milano. E un "sovrano" assoluto: Silvio Berlusconi. Inventa e afferma un partito personale e aziendale. Vende se stesso come un prodotto, a un popolo di spettatori e consumatori.
La "questione settentrionale". Quella domanda di cambiamento economico, sociale e politico, che esplode nel Nord, e s´impone a tutto il paese, fino a portare "Milano a Roma". Fino a conquistare il governo e il potere, nel 2001. Ebbene, quel Nord non c´è più. I suoi stessi interpreti, oggi, appaiono molto appannati.
E´ un´altra epoca, un altro secolo. L´economia, magari, non è in crisi depressiva, come si dice. Ma l´età della crescita infinita è sicuramente finita. Soprattutto, è cambiato il sentimento sociale. Da alcuni anni, infatti, si respira un´aria di pesante pessimismo. Anche – anzitutto – fra gli imprenditori. La maggioranza delle persone, nel Nord, teme la delocalizzazione, la concorrenza internazionale, i cinesi. Al tempo stesso, manifesta un elevato senso di insoddisfazione per la qualità della vita e dell´ambiente. Più ricchi e più infelici. Ma sempre distanti e ostili nei confronti della politica. Anche se al governo ci sono partiti "amici". La sfiducia nello stato e nelle istituzioni, anzi, è aumentata. Solo che non si traduce più in rabbia, protesta. Semmai, in delusione. Disincanto. In questo clima, la "questione settentrionale" non evoca rivolta o rivoluzione. Semmai delusione. E conservazione.
Se guardiamo i dati, infatti, poco sembra cambiato, nel Nord. Destra e sinistra sono sempre lì. Intorno a dieci punti di distanza, per il centrodestra. Oggi come ieri. E l´altro ieri. Quando gran parte degli elettori si concentrava sui partiti di governo. La Dc e il Psi. Ai quali, più o meno nelle stesse zone, si sono sostituiti la Lega e Forza Italia. Gli attori del cambiamento. Che, però, contrariamente a ciò che molti ritengono, in queste elezioni non sono andati troppo bene. Al contrario. Infatti, FI, rispetto al 2001, ha perso pesantemente. Più del 6%, nel Nordest come nel Nordovest. In Piemonte è calata del 9%, in Veneto di oltre il 7%, in Lombardia del 5%. Nell´insieme, si è attestata sul 25% circa. Recuperando certo, qualcosa, rispetto al disastro delle regionali dell´anno scorso. Ma proprio qualcosa. L´1% o poco più. Quanto alla Lega, galleggia poco sotto il 10%. Una frazione in più rispetto al 2001. Ma oltre il 3% meno di un anno fa. Mentre si è ridotta alla metà rispetto al 1996. Dieci anni fa. Pare davvero un altro secolo...
Così, la tenuta del centrodestra nel Nord si deve ai partiti considerati "meridionali". An e Udc. Che, in queste elezioni, a Nord si sono pressoché allineate alla media nazionale. Attorno all´11% An (+2%), oltre il 6% l´Udc (praticamente raddoppiata). Per cui FI conta molto meno, dentro la coalizione. E la Lega non è più il secondo partito del Nord. Anzi: sta perdendo di più proprio nelle zone dove era più forte e radicata. Cedendo consensi proprio a favore dell´Udc. Quasi una nemesi: il soggetto politico che aveva "prosciugato" la Dc oggi ne subisce il ritorno.
Chi continua a parlare di "questione settentrionale", come se nulla fosse cambiato. Chi recrimina contro l´ottusità amorale dei nordisti, affascinati dal Caimano. Dovrebbe usare maggiore prudenza. Anzitutto perché travisa il risultato.
Gli elettori del Nord, in questa occasione, più che per protesta, più che per amore, sembrano aver votato per "diffidenza". L´antica diffidenza verso il centrosinistra. Che ha radici lontane. La campagna mediatica condotta da Berlusconi l´ha riaccesa, violentemente. Evocando i temi vicini alla sinistra e lontani dal Nord. Lo Stato, il pubblico, la società multiculturale, la famiglia. Soprattutto le tasse. L´orazione populista, tenuta a Vicenza, in occasione dell´assemblea nazionale di Confindustria: contro i "comunisti", portatori di una cultura di "odio" verso la libertà, il mercato, l´impresa… Ha risvegliato molte persone impolitiche. Tentate di astenersi. Il clima della campagna elettorale le ha spinte a votare. Non per "fiducia" in FI e nel premier. Da cui sono delusi. Né, tantomeno, nella Lega rivoluzionaria di governo, alleata con i siciliani. Hanno, invece, votato per diffidenza. Contro la sinistra. E, per questo, hanno scelto, in molti, An, come risposta all´insicurezza. Oppure l´Udc, per "nostalgia" dei tempi in cui i politici erano mediatori, invece che sovversivi. Nostalgia della Dc.
Quanto al centrosinistra, prima di guardare al Nord come un territorio "naturalmente" ostile e inospitale, dovrebbe riflettere sull´adeguatezza di alcune scelte organizzative, politiche e comunicative di questa fase.
1) Dovrebbe, ad esempio, congratularsi con se stesso per l´abilità nel sollevare, alla vigilia del voto, temi critici per la società del Nord (e non solo). Come nel caso della goffa vicenda delle tasse sulle case e sui risparmi.
2) I partiti promotori dell´Ulivo (e oggi del partito Democratico) dovrebbero interrogarsi sull´efficacia della scelta di presentarsi insieme alla Camera e da soli al Senato. Soprattutto nel Nord, dove da due anni e per due elezioni, si erano presentati "Uniti nell´Ulivo". Con indubbio successo.
3) Molti elettori della Cdl, quando si è trattato di eleggere i sindaci di grandi città o i presidenti di regione, non hanno esitato, pragmaticamente, a premiare con il voto la maggiore esperienza e affidabilità dei candidati di centrosinistra. In Friuli Venezia Giulia, in Piemonte, a Verona, Padova e in altre città e province (Milano, Novara...). Domenica scorsa, d´altronde, Pordenone, gli elettori assegnavano il 60% dei voti la Cdl, alle politiche; e, nello stesso giorno, con la stessa percentuale, il 60%, confermavano il sostegno al sindaco e alla giunta di centrosinistra. Per cui non si capisce perché, mentre la Cdl si faceva "trainare" dai suoi governatori, al Senato, l´Unione rinunciava al contributo dei suoi "presidenti", come Illy e la Bresso. E alla capacità di attrazione sulla società locale che le potevano offrire formazioni radicate sul territorio, come le "liste civiche".
4) Infine, il centrosinistra, che dispone di tradizioni organizzative e di partecipazione importanti, dovrebbe interrogarsi sull´utilità della logica mediatica e presidenzialista. Che, di fatto, ha condiviso. Facendo della televisione l´unico vero "territorio" politico.
Con l´esito che il territorio mediatico gli è sfuggito, mentre quello reale si è vendicato.
Meglio, dunque, evitare di perdersi nel Nord. Inseguendo una questione che non c´è.
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