COMMENTI E INCHIESTE
Le sfide nuove del Vecchio Continente
Pubblichiamo un ampio stralcio della relazione tenuta da Ralf Dahrendorf in occasione dell'incontro sul tema "Il futuro dell'Unione Europea e le sue classi dirigenti", organizzato a Roma dalla Scuola superiore della Pubblica amministrazione, in collaborazione con l'Associazione giovani classi dirigenti della Pubblica amministrazione.
Vi sono due ragioni che mi preoccupano personalmente, e da lungo tempo. Innanzitutto, il fatto che si è diffusa una lingua di Bruxelles, una lingua "ufficiale" di Bruxelles; se non la si parla, si è tagliati fuori dal gioco. Additati come outsider. Un giornalista, tra l'altro un europeo non inglese, mi ha detto una volta che, dato che si rifiutava di parlare il "brusselese", gli era difficile, di tanto in tanto, avere accesso alle informazioni cui era a buon diritto autorizzato ad accedere. Non era socio di questo bel "club". E noto inoltre un divario incredibile tra i bei discorsi sul futuro dell'Europa e le realtà quotidiane della cooperazione e integrazione europea. Ritengo che questo divario sia una delle ragioni più importanti per le quali così tanti cittadini non riescono a trovare il nesso vero e proprio. Ascoltano il messaggio miracoloso, il potere che l'Europa otterrà; poi, aprendo il giornale, nel consultare le notizie sull'Europa, con buona probabilità leggeranno di dibattiti sulla definizione del cioccolato, o sulla forma delle banane a norma. Finalmente si è partecipi dei meravigliosi obiettivi a lungo invocati. Il mio è un dialetto diverso, che mostra il fatto che sono un europeo convinto, non ho problemi a riconoscere le conquiste dell'Unione Europea, ma la mia lingua sarà difficilmente intelligibile dai soci del club di Bruxelles.
Un paio di cenni sulle conquiste raggiunte dall'Unione Europea.
Il mercato unico. Davvero una conquista degna di nota, a mio modo di vedere. La mia interpretazione personale della storia europea mi fa individuare in Jacques Delors il più eminente presidente della Commissione europea fino ad oggi. La sua grandezza è nel fatto che sia riuscito a trasformare il "mercato comune" in "mercato unico", concetto assai più ampio. Il mercato comune ha mosso i primi passi in materia di tariffe, o per meglio dire, di riduzione o abolizione di tariffe. Il mercato unico, come tutti sappiamo, ha contenuti di ben più ampio respiro. Sono le quattro libertà di movimento: uomini, merci, servizi, capitali. Tutti elementi assai importanti della nostra vita, economica e non. Questa conquista la definirei incompleta, e forse rimarrà incompleta per sempre, ciononostante è una conquista di cui possiamo andar fieri.
Politica economica. La seconda conquista è una certa disciplina della politica economica. Scelgo questa espressione, e non parlo di politica economica comune, poiché ritengo che ciò che è successo negli ultimi dieci anni è il fatto che gli Stati membri della Ue hanno accettato, e si sono abituati, a una disciplina di politica economica che rende assai improbabile un nostro ritorno a quei problemi diffusi di "stagflazione" verificatisi negli anni 70. In un certo senso, conformarsi ai requisiti di appartenenza all'Unione monetaria è stato importante quanto lo stesso raggiungimento del l'Unione monetaria. In altre parole, l'accettazione da parte di tutti noi in Europa del fatto che esistono condizioni preventive di comportamenti di bilancio, o per estensione di politica economica, e il conformarsi a queste condizioni, è una conquista durevole. É curioso come ciò sia successo, ma di questo mi sono ben reso conto grazie alla mia esperienza personale in campo internazionale: alle volte, si ha bisogno della disciplina imposta dalle pressioni esterne per raggiungere conquiste che già si desiderano, ma che non sono facili da raggiungere altrimenti. A questo penso quando parlo di disciplina della politica economica.
La cooperazione. La terza conquista è un aspetto cui conferisco gran rilievo, sebbene possa sembrare a prima vista secondario. Si tratta dell'abitudine a cooperare. É un'abitudine che porta ad attitudini simili, se non comuni, o quanto meno attitudini che vengono comprese da un bacino assai ampio, dagli altri che fanno parte integrante della stessa Comunità.
L'appartenenza. La quarta conquista, che percepisco come molto autentica, è il senso di appartenenza, sempre più diffuso, a uno spazio culturale comune a tutti gli europei. Non mi dispiace affatto parlare di identità culturale europea, sebbene mi sembri non proprio la terminologia adatta. Non dico che appartenere all'Europa sia la componente più importante del "nostro" senso di appartenenza, ma è un tassello del mosaico della nostra percezione di noi stessi. A mio avviso, i singoli Stati membri continuano a rivestire un'importanza fondamentale, e probabilmente sono lo spazio unico più importante per le decisioni in materie che riguardano tutti i cittadini. Esiste un grado di "familiarità" fra europei che certamente non esisteva nei primi anni del secondo dopoguerra, e che comunque non esisteva neppure negli ultimi venti o trenta anni. Piccoli aspetti simbolici hanno contributo alla nascita di questo senso, alcuni legati alla Ue, altri a eventi come le competizioni calcistiche a livello europeo. A ogni buon conto, questo senso di appartenenza esiste.
Dunque: mercato unico, disciplina della politica economica, abitudine alla cooperazione, senso di appartenenza.
Si sarebbe tentati di chiedere: tutto qui?
I singoli Stati. In un certo senso, sì. Ed è molto! Come già accennavo, gli Stati membri rimangono le sedi per le discussioni in materie cruciali per la vita dei cittadini, come la politica sociale, la politica dell'istruzione, e via dicendo. Il margine di manovra degli Stati membri è ampio: non dovremo farci condizionare dal fatto che molta della decisionalità pare essere "emigrata" dalle sedi nazionali; le nostre istituzionali hanno ampia decisionalità, in molte aree cruciali.
Dunque, il mondo in cui viviamo è complesso. É un mondo in cui gli Stati nazione continuano a essere spazi importanti, ma sono affiancati da spazi più ampi. In questo mondo complesso l'Europa ha un posto. Ora, quando si parla di Europa, quando vengono fuori i "grandi discorsi" cui prima accennavo, sarebbe bene che ci chiedessimo che cosa c'è dietro, quali sono le motivazioni per il desiderio di un'Unione ancora più coesa. La risposta non è tra le più semplici. Infatti, le risposte date subito dopo l'ultima guerra, dai primi ispiratori dell'Europa - Schumann, De Gasperi, Adenauer - non avrebbero oggi lo stesso valore. Non basta oggi dire che l'Unione esiste per impedire la guerra tra gli Stati membri. Neppure basterebbe dire che la Ue è parte dello schieramento di difesa contro l'illiberalità, il totalitarismo di un Impero dell'Est. Né la storia dell'Europa, né la minaccia implicita nella guerra fredda sembrano un argomento sufficiente per continuare il cammino verso una Unione più coesa. Mi pare che si possa individuare un nuovo tentativo di definizione dell'Europa che, confesso, percepisco come preoccupante, sebbene sia piuttosto diffuso di questi tempi. Un tentativo di definire l'Europa in relazione e, per certi versi, addirittura in contrapposizione agli Usa. É un tentativo, per così dire, di riaffermare il "nostro", in quanto europei, in un mondo in cui vige ora una sola superpotenza. Mi preoccupo quando sento parlare dell'euro come possibile arma nell'ambito di una stravagante guerra mondiale tra due o tre valute. Mi sembra si tratti di espressioni altamente fuorvianti e, per così dire, infelici. In questo ambito esiste un aspetto che sono davvero lieto di discutere, e sul quale non voglio essere frainteso: è il fatto che sempre più persone percepiscono gli Usa come una nazione del tutto insensibile e assolutamente liberista in economia, laddove l'Europa sarebbe caratterizzata dal ribadire l'importanza delle politiche sociali e della solidarietà sociale.
Il rapporto con gli Stati Uniti. Ho scritto molto sulla cosiddetta "quadratura del cerchio" della crescita economica e della coesione sociale in condizioni di libertà. Credo fermamente nella necessità di tutti noi di perseguire questa quadratura del cerchio. Ma quando dico "tutti noi" intendo "compresi gli Usa". Ritengo ci siano approcci diversi e vari gradi di successo nella quadratura di questo cerchio, e tante sono le maniere in cui si può tentare di effettuarla. Per quanto mi riguarda, però, ritengo che la definizione della Ue come contrappeso sarebbe quanto mai infelice. Peggio ancora considerarla come un elemento in una presunta battaglia mondiale sferrata agli Usa. Durante i mesi scorsi ho avuto modo di osservare che uno degli aspetti che abbiamo riscoperto dopo l'11 settembre dello scorso anno siano i valori comuni a tutto l'Occidente. Valori comuni che condividiamo con gli Stati Uniti. Personalmente, ritengo di appartenere a coloro che tentano di resistere alla tendenza di definire un'Unione Europea sempre più coesa come contrappeso agli Usa.
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