POPOLARI


Nel solco della democrazia personalistica di cui è un interprete
Sono i cittadini i titolari
della chiamata di Mattarella al Quirinale

Con il discorso di investitura il Presidente li ha fatti parlare perché le attese costruiscano la speranza

di Tino Bedin

La centralità delle persone nella vita e nelle attività delle istituzioni repubblicane: Sergio Mattarella ha messo questa centralità all'inizio e alla fine delle parole rivolte al Parlamento; ha costruito su questa scelta politica il suo discorso di investitura come Presidente della Repubblica.
Certo, egli dice sì alla "nuova chiamata - inattesa - alla responsabilità; alla quale tuttavia non posso e non ho inteso sottrarmi", dopo che "il Parlamento e i rappresentanti delle Regioni hanno preso la loro decisione". E tuttavia, finite le poche righe di preambolo, quando il discorso diventa nei contenuti e nel tono quello del nuovo Capo dello Stato, Mattarella spiega che il suo sì "per la seconda volta a rappresentare l'unità della Repubblica" è la risposta "a tutte le italiane e a tutti gli italiani: di ogni età, di ogni Regione, di ogni condizione sociale, di ogni orientamento politico. E, in particolare, a quelli più in sofferenza, che si attendono dalle istituzioni della Repubblica garanzia di diritti, rassicurazione, sostegno e risposte al loro disagio".

"La speranza siamo noi", come diceva David Sassoli
Del resto, che egli senta come "titolari" della sua chiamata al Quirinale prima di tutto i cittadini, l'aveva detto subito nella telegrafica dichiarazione di accettazione: "Queste condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati - e, naturalmente, devono prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti - con l'impegno di interpretare le attese e le speranze dei nostri concittadini".
A molte di queste attese Mattarella dedica il suo discorso di investitura. Non è un sommario di rivendicazioni. È il far parlare in Parlamento milioni di persone, in modo che le attese diventino di tutti e nella condivisione costruiscano la speranza.
"Ecco, noi, insieme, responsabili del futuro della nostra Repubblica", è l'ultima riga del discorso; immediatamente preceduta e motivata da questo ricordo di David Sassoli, il compianto presidente del Parlamento europeo: "La sua testimonianza di uomo mite e coraggioso, sempre aperto al dialogo e capace di rappresentare le democratiche istituzioni ai livelli più alti, è entrata nell'animo dei nostri concittadini. Auguri alla nostra speranza sono state le sue ultime parole in pubblico. Dopo avere appena detto: La speranza siamo noi".
David Sassoli è stato un interprete del personalismo comunitario che caratterizza anche la visione politica di Sergio Mattarella. Nel loro modo di stare nelle istituzioni e nelle parole con cui se ne fanno carico si sente che il cattolicesimo democratico, assente dalle cronache politiche, ha molte risposte alle domande della comunità italiana; nel legame profondo con la Costituzione repubblica la democrazia personalistica continua ad aprire strade nuove al futuro della società.
Dice Mattarella: "Costruire un'Italia più moderna è il nostro compito. Ma affinché la modernità sorregga la qualità della vita e un modello sociale aperto, animato da libertà, diritti e solidarietà, è necessario assumere la lotta alle diseguaglianze e alle povertà come asse portante delle politiche pubbliche". E Sassoli aveva fatto della lotta alle diseguaglianze uno dei capisaldi della sua attività istituzionale, politica e prima anche giornalistica.

I giovani si prendono sulle spalle il futuro di tutti
Redistribuzione, inclusione, partecipazione; diritti sociali che rendono effettivi i diritti politici: è in questa cultura politica che Mattarella avverte il bisogno "di investimenti nel capitale sociale" per "disegnare e iniziare a costruire, in questi prossimi anni, l'Italia del dopo emergenza".
Anche per il "capitale sociale", come fa per "la dignità", Sergio Mattarella non si limita al titolo: dà voce e volto a persone concrete: "Tutti i giovani in primo luogo, tutti, particolarmente loro, sentono sulle proprie spalle la responsabilità di prendere il futuro del Paese, portando nella politica e nelle istituzioni novità ed entusiasmo".
Giovani non solo e non tanto destinatari di politiche pubbliche, sottolinea Mattarella, ma prima di tutto innovatori della vita comunitaria.
Ascolti Sergio Mattarella; ti sembra di leggere Aldo Moro, di cui il Presidente della Repubblica è un erede.
Scriveva Aldo Moro il 15 maggio del 1969 su Il Popolo, il quotidiano della Democrazia Cristiana: "Ai giovani voglio dire che mi rendo conto del loro disagio e che sinceramente comprendo la loro aspirazione a modificare in meglio il mondo che li circonda. È certo che hanno diritto ad una scuola più aperta, più moderna, e che la nazione non può permettersi di sprecare i talenti. Dicano, dunque, discutano, si organizzino per affermare i loro principi, le loro aspirazioni, ma non si isolino".
Ora Sergio Mattarella al Parlamento propone "un'Italia che offra ai suoi giovani percorsi di vita nello studio e nel lavoro per garantire la coesione del nostro popolo".
Offre anche la direzione di questi percorsi di vita giovanili.
"La cultura non è il superfluo: è un elemento costitutivo dell'identità italiana. (…) Risorsa importante particolarmente per quei giovani che vedono nelle università, nell'editoria, nelle arti, nel teatro, nella musica, nel cinema un approdo professionale in linea con le proprie aspirazioni".
"Sosteniamo una scuola che sappia accogliere e trasmettere preparazione e cultura, come complesso dei valori e dei principi che fondano le ragioni del nostro stare insieme; scuola volta ad assicurare parità di condizioni e di opportunità".
"Nell'ultimo periodo gli indici di occupazione sono saliti - ed è un dato importante - ma ancora tante donne sono escluse dal lavoro, e la marginalità femminile costituisce uno dei fattori di rallentamento del nostro sviluppo, oltre che un segno di ritardo civile, culturale, umano".
"Tanti, troppi giovani sono sovente costretti in lavori precari e malpagati, quando non confinati in periferie esistenziali".

Al Parlamento il compito di ascoltare e far partecipare
"È doveroso ascoltare la voce degli studenti, che avvertono tutte le difficoltà del loro domani e cercano di esprimere esigenze, domande volte a superare squilibri e contraddizioni". È l'ultima indicazione, perché contiene lo spirito con cui seguire anche tutte le altre.
Il dovere di ascoltare è costitutivo della democrazia personalistica alla cui cultura Sergio Mattarella appartiene: deriva dalla consapevolezza che "la sovranità appartiene al popolo" e dalla necessità di sostenere il patto costituzionale che supera individualismo e populismo. Il Presidente indica al Parlamento "una Repubblica capace di riannodare il patto costituzionale tra gli italiani e le loro istituzioni libere e democratiche". Lo indica proprio a deputati e senatori, nella consapevolezza "il Parlamento ha davanti a sé un compito di grande importanza perché, attraverso nuove regole, può favorire una stagione di partecipazione.
Sergio Mattarella non è Giorgio Napolitano, non ha rimproveri; anzi elogia il Parlamento e lo mette al centro della Repubblica, seguendo la strada sulla quale hanno camminato Don Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi e Aldo Moro.

20 febbraio 2022


Aggiornamento
1 aprile 2022
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Tino Bedin