POPOLARI

A 100 anni dall'Appello di Don Luigi Sturzo e dei cattolici popolari "A tutti gli uomini liberi e forti" / 6
Il popolarismo sturziano
contro la frammentazione

L'attualità di una proposta dentro una storia che è ancora interrotta

conversazione di Tino Bedin

Il Partito Popolare, dalle elezioni del 1919 allo scioglimento nel 1926, è parte, spesso attiva della convulsa vicenda parlamentare italiana che sfocerà con l'incarico di governo a Benito Mussolini e l'imposizione del fascismo. Una vicenda complessa e non schematicamente riassumibile in questa occasione.
L'avvento del fascismo bloccherà per vent'anni il tumultuoso avvio dei partiti di massa. Ma il seme del movimento fortemente organizzato piantato da Sturzo nel fertile terreno cattolico si dimostrerà vitale e resistente. Tutta l'azione di Alcide De Gasperi, e di molti suoi successori è in gran parte la realizzazione ammodernata del pensiero sturziano. E non è possibile capire in fondo le varie anime della Dc, il gioco tortuoso delle sue correnti, se non tornando con la memoria agli anni in cui fu modellato un partito così importante, e così ingombrante.

L'esilio e il Senato della Repubblica
Seguiamo, allora, Don Luigi Sturzo, eletto segretario e confermato nei congressi di Bologna (1919), Napoli (1920), Venezia (1921) e Torino (1923).
Il congresso di Torino è l'ultimo che egli guida da segretario, non perché sia venuta meno la consonanza ideale e politica con la sua base, ma perché Mussolini era al governo ed era cambiato il Papa.
Quel congresso vede la convinta opposizione di Sturzo al fascismo; per il sacerdote di Caltagirone a nessuno doveva essere consentito di strumentalizzare la coscienza cattolica degli italiani o di presentarsi - come tentava di fare il fascismo - come rappresentante esclusivo degli interessi cattolici nazionali, cosa che neanche il Partito Popolare si era mai sognato di fare.
Dopo il congresso, Sturzo prende posizione contro la legge elettorale maggioritaria (la legge Acerbo), il che scatena la forte reazione dei fascisti che si concreta in una violenta campagna stampa contro di lui.
Lo scontro aperto con "l'ateo devoto" Mussolini è così duro che a Sturzo arriva la richiesta di dimissioni non dal partito ma dal Vaticano, preoccupato per le violenze fasciste contro l'Azione Cattolica e con esponenti cattolici. "Ed al comando di V. B. - scrive allora il segretario del Ppi - io non ho che da rispondere: obbedisco, con la serenità di chi compie semplicemente il proprio dovere". È il 10 luglio 1923. Il Partito Popolare sarà guidato per quasi un anno da una segreteria congiunta fornata da Giovanni Gronchi, Giulio Rodinò e Giuseppe Spataro (segno che le dimissioni non erano state provocate dall'interno). Il gruppo parlamentare vota a favore della legge, contravvenendo al precedente deliberato di astensione.
Durante la campagna per le elezioni dell'aprile 1924, Sturzo lavora comunque attivamente, in qualità di membro della Direzione del PPI; il partito, che si qualifica come il più forte per numero di suffragi, va all'opposizione.
Dopo il delitto Matteotti, Sturzo concorda con la tesi di De Gasperi, segretario politico del PPI, sulla possibilità di collaborazione con i socialisti. Il 6 settembre del 1924, sostenendo sul "Popolo" un possibile accordo con i socialisti, Don Sturzo scrive che i "socialisti si sono posti sul terreno della costituzionalità, della libertà e della legalità. Alcuni di loro dicono che questa è solo una posizione tattica, un momento della dialettica della loro azione, la quale rimane perfettamente rivoluzionaria; ma essi stessi forse non credono a quello che dicono e certo si illudono assai. Perché le premesse storiche creano, con la forza ferrea della logica, le successive posizioni di sviluppo".
Gravemente minacciato nella vita dai fascisti, Sturzo viene invitato dal cardinale Gasparri a lasciare l'Italia, e, il 25 ottobre 1924, parte per Londra. Il soggiorno londinese si trasforma in esilio.
Scoppiata la seconda guerra mondiale, Sturzo è costretto ad abbandonare Londra per New York, ove arriva il 3 ottobre 1940. Sei anni dura l'esilio americano, durante i quali fonda un'associazione di cattolici democratici, American People and Freedom, e stringe rapporti con gli esuli raccolti nella Mazzini Society - tra i quali Gaetano Salvemini e Lionello Venturi - e con il mondo accademico degli USA. L'attività che lo impegna maggiormente è quella, raccomandatagli anche da De Gasperi, di convincere gli USA a distinguere fra fascismo e popolo italiano e impegnarsi per un trattato "senza umiliazioni e vessazioni".
Tornato in Italia nel 1946, Sturzo non entra a far parte della DC, pur mantenendo rapporti, non sempre facili, con i suoi maggiori esponenti. Il momento di maggiore tensione è quando Sturzo accetta l'invito del Vaticano a dare il proprio nome ad un progetto, bocciato da De Gasperi, di alleanza tra Dc, Msi e monarchici, per le elezioni al Comune di Roma del 1952 (operazione Sturzo, poi non riuscita). Il 17 dicembre 1952 è nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, "per altissimi meriti nel campo scientifico-sociale", e, all'interno di un panorama parlamentare che raramente lo soddisfa, riprende la sua battaglia per la moralizzazione della vita pubblica e politica italiana, opponendosi ad ogni apertura a sinistra.
Dopo una lunga agonia, muore a Roma l'8 agosto del 1959.

L'immagine del chiodo e del quadro
Fin dove resta valida oggi la concezione del popolarismo sturziano?
Nel dicembre 1942, durante l'esilio statunitense, in un articolo pubblicato su Il Mondo di New York, Sturzo scriveva: "La storia non si ripete; l'esperienza del Partito polare italiano fu unica: esso fu creato dopo la prima guerra mondiale come il contributo dei cattolici al nuovo ordine, democratico e pacifico, che doveva seguirne. Ma esso fu anche il compimento integrale della vita nazionale dopo che i cattolici (…) ne erano assenti dal 1870 in poi". Carlo Sforza, compagno d'esilio di Sturzo, definì questo articolo "l'atto di morte del Partito popolare". In realtà, più che atto di morte, si trattava da parte di Sturzo, della constatazione della irripetibilità di quell'esperienza.
Non è stato così. Gli elettori, i dirigenti, le politiche che per mezzo secolo hanno espresso la Democrazia Cristiana fanno parte di una esperienza sociale, culturale, politica e religiosa iniziata proprio il 18 gennaio 1919.
Non è così neppure oggi. L'editoriale della Civiltà Cattolica che ho citato all'inizio si inserisce in una ricerca che in questi mesi coinvolge migliaia di persone e decine di associazioni di ispirazione cristiana, che proprio nella sintesi operata un secolo fa da Don Luigi Sturzo cercano gli strumenti per ridurre la frammentazione della comunità italiana: frammentazione che non caratterizza tanto i cattolici, quanto la società nel suo insieme.
Se però dal Partito Popolare passiamo a Don Luigi Sturzo, come abbiamo continuamente fatto nel corso di questa conversazione, è forte la sensazione che la storia sia ancora interrotta.
In un recente numero dell'Espresso, Leoluca Orlando, sindaco di Palermo e esponente della storia dei cattolici democratici della Sicilia, risponde così ad una domanda sui suoi riferimenti politico-culturali: "Luigi Sturzo ha sdoganato i cattolici rispetto alla politica, ed è un suo merito storico. Resterà per questo. Come pure è profetico il suo municipalismo. Ma se io parlo a un giovane di Sturzo non vibra, vibra se gli parlo di Don Milani. O se parlo di Tonino Bello. La dimensione etica di Don Milani è ancora viva. Semplificando, Sturzo è il chiodo, non il quadro".
Solo "il chiodo", perché il "quadro" da ammirare lo hanno poi disegnato ed appeso altri. L'immagine è drammaticamente realistica. È anche la sola immagine?
Luigi Sturzo ha scritto oltre sessanta titoli, alcuni dei quali sono ancora adottati in università statunitensi nella quali lui stesso ha insegnato, e, anche per questo, possiamo dire che continua ad esser una miniera di riflessioni e suggestioni, interessanti anche per questo nostro tempo.
E ci sarà stato pure un motivo se il tedesco Konrad Adenauer, la sera dopo la firma in Campidoglio del Trattati di Roma, il 25 marzo 1957, invece di recarsi al Quirinale per i festeggiamenti di rito, compì una lunga visita di omaggio e di ringraziamento al senatore a vita Luigi Sturzo, presso il convento delle Suore Canossiane di via Orione dove abitava. Uno dei "padri fondatori" dell'odierna Ue intendeva così riconoscere il contributo di pensiero e di spinta etica che l'anziano sacerdote siciliano aveva dato in tempi più lontani al traguardo tagliato in quella circostanza. Ricordo che già nel 1928, Sturzo scriveva infatti dall'Inghilterra che "gli Stati Uniti d'Europa non sono un'utopia, ma soltanto un ideale a lunga scadenza con varie tappe e molte difficoltà". Ignaro ovviamente della tempesta bellica che sarebbe imperversata di lì a una decina d'anni, e con una lungimiranza che i fatti avrebbero attestato, aggiungeva che occorreva anzitutto "procedere a una revisione doganale", per preparare "una unione economica con graduale sviluppo, fino a poter sopprimere le barriere interne. Il resto verrà in seguito".
E poi al vaglio della Congregazione pontificia delle cause dei santi, per un ulteriore studio e analisi da parte di teologi, vescovi e cardinali, c'è anche il processo di beatificazione di Don Luigi Sturzo, il sacerdote siciliano che ha legato il proprio nome anche alla storia politica ed etica del nostro Paese. La fase diocesana si è conclusa nel novembre del 2017, dopo un processo iniziato nel 2002. In quindici anni il Tribunale diocesano ha ascoltato i racconti e i ricordi di ben 154 testimoni sparsi in Italia, Francia, Inghilterra e Stati Uniti, nazioni nelle quali il sacerdote siciliano visse e operò. Ne sono scaturiti 50 volumi. Passati al vaglio anche gli scritti, gli interventi e i discorsi del sacerdote. La conclusione di questo lavoro si è concretizzata nel via libera a livello diocesano per la causa di beatificazione.
L'immagine del chiodo e del quadro parrebbe insufficiente. Eppure è proprio mons. Michele Pennisi, presidente della commissione storica per la causa di canonizzazione di Don Luigi Sturzo, a spiegarcene le origini.
Per i conservatori cattolici dell'inizio del secolo scorso era considerato un progressista, per i seguaci più accesi di Romolo Murri un temporeggiatore, per i cattolici liberali un intransigente, per i socialisti massimalisti era definito con disprezzo un "riformista" mentre per un liberale rivoluzionario come Gobetti il " messia del riformismo", per la propaganda fascista un "prete intrigante", per il progressismo cattolico degli anni Cinquanta un "retrivo", per i neo liberali un "profeta del libero mercato", per gli affaristi della politica un "povero illuso".
Anche in vasti settori del mondo cattolico c'è stato quasi un ostracismo nei confronti di Sturzo, verso il quale perdura quello che è stato definito un "esilio culturale". Molti cattolici hanno preferito studiare il pensiero di pensatori d'oltralpe piuttosto che quello sturziano, che invece riscuoteva interesse all'estero, spesso da parte di quegli stessi autori che si prendevano a modello. Basti citare per tutti Jacques Maritain, che lo considerava una delle più grandi figure storiche del pensiero sociale cristiano.
Noi con questa conversazione, nel Salotto di Carlo e Bertilla Lazzaro, abbiamo provato a rimettere il quadro di Don Sturzo al suo giusto posto.

27 gennaio 2019

Questa conversazione destinata al Salotto Lazzaro ha utilizzato anche i molti materiali storici, studi e commenti sul Partito Popolare Italiano e su Don Luigi Sturzo presenti in Rete. Mentre ringraziamo gli autori e i depositari, ci auguriamo di aver contribuito a diffondere anche i loro contenuti.


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17 febbraio 2019
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Tino Bedin