La Grande Guerra finisce all'inizio di novembre del 1918. Don Luigi Sturzo valuta che sia quello il tempo per fondare un partito nazionale. Già a novembre raduna nella sede dell'Associazione Unione Romana un gruppo di amici per gettare le basi del nuovo partito. Il lavoro si infittisce e il punto politico dirimente è il rapporto con la Chiesa. Sarà questo del resto il lascito politico e storico del PPI.
Lo confermano le parole che Don Luigi Sturzo pronuncia il 17 dicembre 1918, a Roma, in una riunione di amici che con lui preparano il programma e lo statuto del partito che stava per nascere:
Se formiamo un partito politico al di fuori delle organizzazioni cattoliche, e senza alcuna specificazione religiosa, non per questo noi oggi ripiegheremo la nostra bandiera; noi solo vogliamo che la religione non venga compromessa nelle agitazioni politiche e ire di parte.
Lo conferma un incontro in Vaticano con il cardinale Pietro Gasparri. Nel dicembre 1918, poco prima di Natale, il Segretario di Stato convoca Sturzo in Vaticano. Le riunioni preparatorie per il nuovo partito erano infatti ormai arrivate alle conclusioni.
Trascrivo dalla Treccani.
Il sacerdote calatino andò a quell'incontro non senza trepidazione. "In quella udienza [ha scritto] sentivo il cuore battermi con eccitazione. Quella sera subii un vero interrogatorio stringente, e durante alcuni minuti pensai che la causa era perduta". Sturzo esordì chiedendo se, in caso di formazione di un partito "fra cattolici", il papa avrebbe tolto il non expedit. Gasparri replicò chiedendo ulteriori chiarimenti: "Ammesso che il Papa dica di sì, che politica farete voi verso la Chiesa?". "Nessuna politica contraria è chiaro [rispose Sturzo] ma anche nessuna politica speciale come partito. La questione romana è questione nazionale". Il cardinale chiese: "Che politica farete voi? la politica di Sonnino o di Orlando?". Sturzo rispose che, personalmente, era contrario a Sonnino ma aspettava il responso del primo congresso del partito per precisare la linea politica da seguire. Gasparri incalzò: "E che farà lei se il congresso le dirà di collaborare con Treves e Turati?". Sturzo rispose: "Sono pronto a collaborare anche con essi. Non ne avrei paura". Temette, con questa affermazione, di aver compromesso la sua causa. Invece la risposta del cardinale fu rassicurante e sorprese lo stesso Sturzo. Sorridendo il Segretario di Stato affermò: "Bravo! sarà meglio collaborare con Turati che collaborare con Sonnino, faccia pure quel che il congresso delibererà, ma eviti sempre di parlare a nome del Vaticano o a nome dell'Azione Cattolica". E concluse: "Se lei farà bene sarà suo merito e se farà male il Paese giudicherà". A una ulteriore richiesta di Sturzo circa l'abolizione del non expedit, Gasparri rispose: "Il Santo Padre provvederà quando e come crederà meglio".
La pratica laica della politica
Eccoci al 18 gennaio 1919. Eccoci all'anniversario.
Il 1919 è un anno caratterizzato da tre eventi storici decisivi al fine dell'ingresso dei cattolici a pieno titolo nel sistema politico italiano. Sono tre eventi tra loro collegati.
Il 18 gennaio nasce il Partito Popolare.
Più precisamente: il Partito Popolare Italiano: tre termini per definire le sue tre matrici di fondo. Partito: perché la politica è necessariamente una "parte", e il PPI non è cattolico, ma composto da cattolici. Popolare: perché Sturzo inventa pure una nuova ideologia politica sul rapporto tra cittadino e Stato, tra libertà privata e militanza pubblica, ispirata alla dottrina sociale della Chiesa. Italiano: perché i cattolici fuoriescono dall'assenteismo e si candidano a governare il Paese, fornendogli quell'anima nazionale (perché popolare e cattolica) che ancora gli mancava.
Trascrivo ancora dalla Treccani.
In Vaticano si colse, quindi, l'importanza della nascita di un partito "fra cattolici", che, pur ispirandosi ai valori del cristianesimo, non doveva essere emanazione della Santa Sede. Lo stesso Segretario di Stato ha scritto nelle sue memorie: "Resta il mio favore al partito popolare. [...] io ritenevo che non poteva chiamarsi partito cattolico, quasi che fosse l'esponente o il rappresentante della Chiesa cattolica e della Santa sede in Italia e nel Parlamento, ma che era un partito politico come tutti gli altri con un programma che si avvicinava di più ai principi cristiani, nonostante alcune lacune. Non era neppure vero, come sosteneva il "Giornale d'Italia", che il partito popolare fosse voluto dal Santo Padre Benedetto XV; il partito popolare sorse per generazione spontanea senza alcun intervento politico della Santa sede, né pro né contro".
Comunque, Papa Benedetto XV abolisce implicitamente il "Non expedit" consentendo ai cattolici di aderire al Ppi. È il secondo evento storico di questo 1919.
L'aconfessionalità, cioè la pratica laica della politica, è senza dubbio il tratto distintivo di questa esperienza, tanto che il nome scelto non è quello di Democrazia Cristiana, preferito in quello stesso giro di anni da Don Romolo Murri, adoperato nella elaborazione dei programmi dallo stesso Don Lugi Sturzo e poi adottato nel secondo dopoguerra dai fondatori, pur provenienti dal Ppi, del grande partito di ispirazione cristiana.
Scrive a questo proposito Gabriele De Rosa, tra i più grandi storici del movimento cattolico italiano: "Sturzo non pensò che il Ppi dovesse perseguire l'unità politica dei cattolici, e si commetterebbe quest'errore se si volesse attribuire al popolarismo questo scopo esplicito. Sturzo, piuttosto, si limitò a sostenere che merito del Partito Popolare era stato di aver portato a servizio del Paese "la maggioranza democratica dei cattolici italiani".
Il tema resta sempre aperto, tanto che Sturzo lo riprende più volte. Già al primo congresso nel giugno del 1919 a Bologna ribadisce "la funzione storica del Partito Popolare Italiano":
È superfluo dire perché non ci siamo chiamati partito cattolico: i due termini sono antitetici; il cattolicesimo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione.
Conseguentemente il Partito Popolare non si è mai proposto di realizzare l'unità politica dei cattolici: "La mia fu soltanto una corrente di cattolici che fondò un partito", racconta Don Sturzo.
Nella scelta del nome non c'è, tuttavia, nessun camuffamento: il riferimento è sempre la dottrina sociale della Chiesa. Ed è lo stesso Sturzo a spiegarlo con la… parabola della piazza adiacente a una chiesa dove "convengono tanto coloro che escono dalla Chiesa santificati, quanto coloro che vanno in Chiesa per santificarsi, e anche gli altri che si fermano in piazza per accudire ai loro affari o per conversare; anche costoro di tanto in tanto levano gli occhi alla chiesa, come se desiderassero di avere tempo o agio o volontà per entrarvi. Il partito politico può somigliarsi alla folla che sta in piazza, che da qualsiasi parte vi arrivi, non può non vedere la chiesa".
Terzo evento: il 16 novembre 1919 si tengono in Italia le prime elezioni con il sistema proporzionale, approvato alla Camera il 31 luglio di quello stesso anno, grazie alla battaglia condotta in particolare dai popolari e dai socialisti. Per il Ppi è la prima battaglia elettorale; la piattaforma elettorale dei popolari è incentrata sul programma, ma un peso preponderante vi riveste l'antibolscevismo. I risultati superano le attese: 1.176.473 voti (20,6 per cento) e 100 seggi alla Camera contro i 156 socialisti e i 209 liberali. Per curiosità Benito Mussolini in quelle elezioni del 16 novembre 1919 capeggiò una lista comprendente il protonazionalista Filippo Tommaso Marinetti, il libero pensatore Guido Podrecca e Arturo Toscanini, maestro di musica, e ottenne un risultato miserabile: nessun seggio alla Camera.
Il risultato ridimensiona il peso politico dei raggruppamenti liberali e sancisce l'affermazione dei partiti di massa. I commenti al voto in casa popolare si alternano tra la soddisfazione per il risultato complessivo del PPI e le fortissime preoccupazioni per il successo socialista. Mentre il fallimento dei liberali sta aprendo le porte alla "mala pianta rivoluzionaria", il riformismo popolare non si afferma come argine all'onda bolscevica. Vincerà la reazione fascista, con il concorso dei clerico-conservatori.
"Agli uomini liberi e forti" indica le libertà
Nel centenario ci interessa particolarmente il primo di questi tre eventi storici del 1919.
È il pomeriggio del 18 gennaio 1919. In una stanza dell'albergo Santa Chiara di Roma, situato in una delle strade che dal Senato portano alla Camera dei Deputati, la Commissione esecutiva provvisoria di undici membri, licenzia l' appello "A tutti gli uomini liberi e forti" e il programma in dodici punti di un partito nuovo, il Partito Popolare Italiano. In calce ci sono le firme dei componenti: on. avv. Giovanni Bertini, avv. Giovanni Bertone, Stefano Cavazzoni, rag. Achille Grandi, on. dott. Giovanni Longinotti, on. prof. Angelo Mauri, conte Giovanni Grosoli, on. avv. Umberto Merlin, on. avv. Giulio Rodinò; conte avv. Carlo Santucci. Per ultima compare la firma del prof. D. Luigi Sturzo, segretario politico.
L'elenco dei sottoscrittori è interessante per molti aspetti; ne evidenzio solo uno: su dieci compagni di Sturzo ben cinque sono parlamentari. È la conferma che il Ppi, pur iniziando una storia, è anche dentro una storia precedente.
L'appello pone questioni decisive, suddivise in tre blocchi fondamentali.
Il primo è dedicato alla Società delle Nazioni: evidenzia il peso che la tragedia della Grande Guerra ha avuto nella decisione dei cattolici democratici italiani di entrare attivamente nella scena politica.
Il secondo blocco riguarda le istituzioni. Lo abbiamo già letto: si immagina uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che sia la più sincera espressione del volere popolare.
Il classismo dello Stato borghese nato dal Risorgimento, il centralismo derivato dall'unificazione regia, i problemi economici e sociali delle masse meridionali sono tutti motivi storici che richiedono un controllo democratico del potere (suffragio universale e proporzionale), il potenziamento delle autonomie locali, la riforma agraria, le cooperative, il credito rurale, cioè per tutti quegli istituti che potevano recepire la spinta creativa e rinnovatrice della società. Tutti i problemi, anche quelli singoli e particolari di categoria, trovavano una comunque base di soluzione nel tema istituzionale generale: tutto quanto può essere risolto da istituzioni che non siano lo Stato deve a tali istituzioni essere affidato, e tutto quanto dove essere affidato allo Stato, deve essere deciso con il concorso di tutto il popolo. La finalizzazione del potere assume nella visione dei Popolari un contenuto e una forma istituzionale ben precisi.
Se il nucleo istituzionale dell'Appello ai liberi e forti è l'autonomia, il nucleo politico è la libertà.
Ma sarebbero queste vane riforme senza il contenuto se non reclamassimo, come anima della nuova società, il vero senso di libertà rispondente alla maturità civile dei nostro popolo e al più alto sviluppo delle sue energie: libertà religiosa non solo agl'individui ma anche alla Chiesa, per la esplicazione della sua missione spirituale nel mondo, libertà di insegnamento senza monopoli statali; libertà alle organizzazioni di classe, senza preferenze e privilegi di parte; libertà comunale e locale secondo le gloriose tradizioni italiche. Questo ideale di libertà non tende a disorganizzare lo Stato ma è essenzialmente organico nel rinnovamento delle energie e delle attività che debbono trovare al centro la coordinazione, la valorizzazione, la difesa e lo sviluppo progressivo. Energie che debbono comporsi a nuclei vitali che potranno fermare o modificare le correnti disgregatrici, le agitazioni promosse a nome di una sistematica lotta di classe e della rivoluzione anarchica, e attingere dall'anima popolare gli elementi di conservazione e di progresso, dando valore all'autorità come forza ed esponente insieme della sovranità popolare e della collaborazione sociale.
La centralità della libertà - anzi, più giustamente, delle libertà è segnalata nel simbolo del partito: lo scudo crociato dei vecchi Comuni guelfi (croce rossa in campo bianco) col motto "Libertas", perché - spiega Don Sturzo - "la politica ha per fondamento la libertà di volere e di potere, e la indipendenza nell'eseguire". E all'inizio del 1924, in un articolo su "Il Popolo Nuovo" Don Sturzo così parla del simbolo: "La bandiera allora spiegata per la libertà, l'insegna allora assunta: " lo Scudo Crociato con il motto Libertas" sono oggi la nostra bandiera e la nostra insegna".
Anche quando la breve stagione del Partito Popolare si sarà conclusa con il fascismo, è il tema della libertà quello che caratterizza, il pensiero, l'impegno di Sturzo negli anni del suo esilio in Francia, Inghilterra, Stati Uniti. "La libertà - scriverà nel 1949 sul quotidiano Il popolo - è come l'aria: se l'aria manca si muore; la libertà è come la vita… la libertà è dinamismo che si attua e si rinnova".
Il programma è, insieme, una guida pratica per l'azione e un catechismo ideale per la costruzione di un nuovo mondo interclassista fondato sui valori cristiani.
I 12 punti cardinali sono: integrità della famiglia; libertà d'insegnamento in ogni grado; riconoscimento giuridico e libertà dell'organizzazione di classe nell'unità sindacale; legislazione sociale nazionale e internazionale che garantisca il pieno diritto al lavoro e ne regoli la durata. Ed in più l'autonomia degli enti locali e l'auspicata nascita delle regioni, l'adozione del sistema proporzionale, il voto alle donne, l'imposta progressiva sui redditi, il disarmo universale e l'abolizione della coscrizione obbligatoria. Ma su tutti gli altri campeggia l'articolo 8 nel quale s'invoca la libertà ed indipendenza della Chiesa nella piena esplicazione del suo magistero spirituale. Libertà e rispetto della coscienza cristiana considerata come fondamento e presidio della vita della nazione, delle libertà popolari e delle ascendenti conquiste della civiltà del mondo.
La capacità organizzativa dei Popolari
Ventiquattro ore dopo la sua costituzione - documenta Stefano Jacini, uno dei primi storici del Partito Popolare - il Ppi conta sull'adesione di una ventina di quotidiani e di una cinquantina di settimanali, la maggior parte dei quali doveva restargli fedele fino all'ultimo. Il nucleo centrale di questa stampa è costituito dai giornali del cosiddetto trust capeggiato dal conte Giovanni Grosoli e comprendeva il Momento di Torino, L'Italia di Milano, L'Avvenire di Bologna, Il Corriere d'Italia di Roma, più numerosi giornali e riviste fiancheggiatori.
Nel giro di pochissimi giorni sorgono poi come funghi più di mille sezioni, comitati provinciali, gruppi femminili, con 56 mila tessere.
Nessuno può mettere in dubbio l'afflato religioso di Don Luigi Sturzo e il suo senso missionario della politica, ma è anche certo che il dinamico prete di Caltagirone per quasi un quarto di secolo come politico ed amministratore aveva lavorato infaticabilmente per non disperdere nulla di quanto il movimento cattolico aveva costruito e via via stava costruendo. Come ho già ricordato, egli era sicuro che la chiarezza delle idee non significasse senz'altro realizzabilità politica di quelle idee; bisognava nel frattempo puntare a salvare, grazie anche al coinvolgimento dei ceti medi rurali e artigiani, le opere sociali ed economiche cattoliche, evitando che esse venissero assorbite e depotenziate, dopo lo scioglimento dell'Opera dei Congressi, dalla pratica trasformistica. Così egli ha creato le condizioni perché al momento della nascita il partito nuovo avesse una macchina dai meccanismi perfettamente oliati. E lo si vede subito nelle elezioni politiche del 16 novembre 1919.
18 gennaio 2019
Questa conversazione destinata al Salotto Lazzaro ha utilizzato anche i molti materiali storici, studi e commenti sul Partito Popolare Italiano e su Don Luigi Sturzo presenti in Rete. Mentre ringraziamo gli autori e i depositari, ci auguriamo di aver contribuito a diffondere anche i loro contenuti.